INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

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Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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domenica 31 marzo 2024

Pasqua 2024

 

Pasqua 2024

 

  Spiegare il senso profondo della Pasqua cristiana decrittando la relativa teologia, in modo da rendere un’idea di ciò che la festa evoca che sia coinvolgente  anche per chi  ha perso dimestichezza con le parole della fede, non è facile. Specialmente in una confessione come quella cattolica nella quale da metà Ottocento la fa da padrona un teologia dogmatica tanto crudele e dispotica, quanto ormai poco utile per l’evangelizzazione. Veniamo poi da un lungo e triste periodo ecclesiale nel quale si è assistito ad una ripresa dell’assolutismo papale in funzione essenzialmente reazionaria: quello che si è cominciato ad indicare come un inverno ecclesiale e che si è vissuto tra il 1978 e il 2013. La svolta, comunque, risale storicamente a inizio Ottocento quando, dopo il Congresso di Vienna (1814-1815), nel quale dalle potenze vincitrici fu disegnata la nuova Europa dopo la definitiva sconfitta militare e politica dell’Impero di Napoleone Bonaparte, il Papato romano diede all’intera Chiesa cattolica una struttura modellata su quella degli stati contemporanei, che prima era stata propria solo del suo piccolo regno territoriale nell’Italia centrale.

  Chi vuole approfondire, lo potrà fare, ad esempio, leggendo il testo di Daniele Mennozzi, La storia della Chiesa, L’età contemporanea (vol.4), editore EDB 2019, disponibile anche in e-book e Kindle, o, con riferimento particolare ai rapporti tra Chiesa e Stato in Italia, il classico di Arturo Carlo Iemolo, Chiesa e stato in Italia negli ultimi cento anni, che io ho nell’edizione riveduta e ampliata del 1963,  riedita da Einaudi nel 1990, con un aggiornamento per il “Dopo fascismo”. Si vedrà come purtroppo il ruolo politico del Papato romano fu estremamente negativo per lo sviluppo di processi democratici in Italia fino al 1942, al contrario di quello di altre componenti del popolo di fede.

   In genere le spiegazioni sulla Pasqua che si danno nelle omelie, che per i più sono la principale fonte di apprendimento delle cose di fede, vengono accolte superficialmente,  come un arredo liturgico.

  Si dice che la morte è vinta. Ma l’evidenza è proprio il contrario.

  Del resto per la gente, come anche per ogni altro organismo vivente, la morte non è un vero problema: ognuno sa come affrontarla se riesce a fare appello alle sue risorse interiori innate, liberandosi delle direttive che in merito danno le culture di riferimento, che servono solo finché una persona è viva. Lo so per esperienza personale. La religione non è utile nell’agonia. Può essere anche controproducente.

  Lo scrittore russo Tolstoj, grande anima,  scrisse, due anni prima di morire,  una  Lettura del vangelo in breve, per spiegare la fede ai ragazzi che vivevano nella sua tenuta agricola. È disponibile anche in eBook e Kindle. Cercò di farlo estrapolando le parole che nei Vangeli sono direttamente messe in bocca a Gesù, nello scopo dichiarato di liberare la fede dagli elementi dogmatici e di dare indicazioni concrete di vita buona. E’ un’operazione che, comunque, come riferiscono gli esegeti, non ci consente veramente  di leggere esattamente le parole del Maestro come egli le pronunciò nella sua predicazione, perché i Vangeli, il cui testo si condensò molti decenni dopo la sua morte, sono totalmente  opera redazionale con lo scopo principale di dare indicazioni sulla costruzione comunitaria nel tempo in cui furono scritti. Ma che consente di verificare che la vita dopo la morte non appare al centro di quella predicazione. Potete provare anche voi a farlo.

  Nella teologia, in particolare in quella del Secondo Millennio, a quell’aspetto si è data invece moltissima importanza. Ne è testimonianza la Trecentesca  Divina Commedia dantesca, nella quale, sulla base di quella teologia, si costruì un incubo orrendo  dove, per  molte persone, peccatrici, la vita dopo la morte è immaginata come una permanenza in una specie di azienda dell’orrore nella quale  esseri superni si dedicano a torturarle nei modi più strani, per alcune di esse per sempre. Per scamparvi fu ideata la teologia delle indulgenze, gestita dal Papato romano, che fu sviluppata anche con metodologia propriamente  giuridica e che, nel Cinquecento, portò allo scisma protestante, perché ne fu obiettata la mancanza di fondamento evangelico.  al che il Papato e le potenze sue alleate reagirono con un’incredibile violenza, alla quale si replicò con violenza analoga.  La frattura sul punto si è risanata, dopo secoli di incredibili violenze, nel 1999, con la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione firmata da cattolici e luterani a Resenburg [Germania] alla quale via via hanno aderito altre Chiese protestanti.

  Resurrezione propriamente non è vita dell’anima dopo la morte, ma significa tornare in vita in spirito e corpo dopo che si è morti, anche se in un modo diverso, esattamente come si narra sia avvenuto per Gesù di Nazareth. Infatti, i racconti evangelici raccontano che si presentò ai suoi discepoli con il proprio corpo, anche se con i segni della Passione, invitando l’apostolo Tommaso,  che dubitava, a mettere la mano nelle sue piaghe.

  Come può accadere? Naturalmente non lo sappiamo e nemmeno possiamo immaginarcelo.

  Da molte tracce che troviamo negli scritti neotestamentari possiamo dedurre che i primi gruppi dei seguaci del Maestro siano rimasti sorpresi della sua morte in croce e che il giudizio sul mondo non fosse giunto di lì a poco, restaurando il bene. L’inquadramento della Resurrezione che vi troviamo servì a mantenere viva la speranza.

  Per avere un’idea della scansione temporale, immaginiamo che Gesù sia stato messo a morte negli scorsi anni ’30, regnante Pio 11°. Le Lettere di Paolo sarebbero state scritte negli scorsi anni ’50 sotto Pio 12°. Il testo dei vangeli si sarebbe formato sotto Giovanni Paolo 2°, tra gli anni ’80 e la fine del  millennio. Le attese andate deluse nei decenni seguiti alla morte del Maestro vennero tenute vive dando loro una prospettiva più ampia, alla fine dei tempi. Ma la Resurrezione, comunque, rimase tale: anima e corpo, come si dice.

  La Pasqua, che Gesù fino alla fine intese  nel senso giudaico, celebrando la cena rituale secondo l’uso giudaico (almeno secondo la narrazione dei Vangeli sinottici),  fu allora riferita alla sua Resurrezione.

 

Quando venne l’ora per la cena pasquale, Gesù si mise a tavola con i suoi apostoli. Poi disse loro: «Ho tanto desiderato fare questa cena pasquale con voi prima di soffrire. Vi assicuro che non celebrerò più la Pasqua, fino a quando non si realizzerà nel regno di Dio».

 Poi Gesù prese un calice, ringraziò Dio e disse: «Prendete questo calice e fatelo passare tra di voi. Vi assicuro che da questo momento non berrò più vino fino a quando non verrà il regno di Dio». Poi prese il pane, fece la preghiera di ringraziamento, spezzò il pane, lo diede ai suoi discepoli e disse: «Questo è il mio corpo, che viene offerto per voi. Fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, alla fine della cena, offrì loro il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza che Dio stabilisce per mezzo del mio sangue, offerto per voi.

[Dal Vangelo secondo Luca, capitolo 22, versetti da 14 a 20 – Lc 22, 14-20 – versione in italiano TILC Traduzione interconfessionale in lingua corrente]

 

  In questo importantissimo brano evangelico, la cui  narrazione corrisponde a quella di Mt 26, 26-30; Mc 14, 22-26; 1 Cor 11, 23-25, troviamo menzionati il Regno di Dio  e la nuova alleanza, che potrebbero esserci utili per evadere da certe fantasie spiritistiche sul dopo morte al  modo di Dante Alighieri.

  Siamo operaie e operai di quel Regno e partecipi di quell’alleanza.

  Accettiamo la morte fisiologica senza drammi, seguendo in questo l’esortazione di Francesco d’Assisi, che la chiamò sorella, nello spirito dell’uomo medievale, immerso com’era nella natura che lo sovrastava ma della quale anche si sentiva parte.

  Siamo sempre in una condizione di passaggio, noi personalmente  e la nostra società: la nostra Pasqua si celebra di giorno in giorno, fino all’ultimo, e anche quel giorno lo vivremo come un passaggio, che però vivremo soli, ma basteremo a noi stessi se lasceremo fare al nostro organismo. Siamo biologicamente programmati per nascere e morire.  Come accadde ai nostri avi accadrà anche per noi.

  E tuttavia la nostra vita in spirito e corpo non è per questo senza significato. Questo il messaggio pasquale. Per quel Regno, per quell’alleanza, che sono già in atto. Speriamo che con la nostra morte fisiologica non sia tutto finito e nel frattempo diamoci da fare per l’edificazione del Regno seguendo l’esempio del Maestro e confidando in quell’alleanza: il suo giogo, disse, è dolce e il peso leggero.

 

  In quel momento Gesù disse: 
«Ti ringrazio, Padre, 
Signore del cielo e della terra, 
perché hai nascosto queste cose 
ai grandi e ai sapienti 
e le hai fatte conoscere ai piccoli». 

Sì, Padre, così tu hai voluto. 

E disse ancora: «Il Padre ha messo tutto nelle mie mani. Nessuno conosce il Figlio, se non il Padre. Nessuno conosce il Padre, se non il Figlio e quelli ai quali il Figlio lo fa conoscere».

  «Venite con me, tutti voi che siete stanchi e oppressi: io vi farò riposare.Accogliete  le mie parole e lasciatevi istruire da me. Io non tratto nessuno con violenza e sono buono con tutti. Voi troverete la pace, perché quel che vi comando è per il vostro bene, quel che vi do da portare è un peso leggero».

[dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 11, versetto da 25 a 30 – Mt 11, 25-30 -    Versione in italiano TILC Traduzione interconfessionale in lingua corrente]

 

 Siamo stati salvati nella speranza, è scritto (Rm 6,24-25). Non avremo nulla di più in questa vita, ma è già molto.

  La Pasqua può essere spiegata anche così: come festa della speranza nei passaggi della vita. Chi è genitore la vede come incarnata nelle figlie e nei figli. Nell’età anziana questo spirito “pasquale” lo si può sviluppare nei confronti di tutte le persone più giovani, allargando maternità e paternità in senso spirituale. Si diviene così guide e consolazione per la gente intorno.

  E la sofisticata nostra teologia? Ha una sua funzione, naturalmente. Ha sviluppato un grande pensiero (del quale la gran parte delle persone, anche di quelle colte, si mostra spesso inconsapevole) che ha ancora una sua utilità sociale, quando non fa soffrire inutilmente. Ma, nella mia esperienza, è vano cercarvi consolazione spirituale personale. Serve, come ogni altra forma di cultura, ad organizzare la società.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.

 

 

 

 

sabato 30 marzo 2024

Sabato santo

 

Sabato Santo

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[Dalla voce Settimana Santa dell’Enciclopedia italiana Treccani on line

https://www.treccani.it/enciclopedia/settimana-santa_(Enciclopedia-Italiana)/# di Nicola Turchi]

Sabato santo. - Era in origine giornata di severissimo digiuno, - che ora per disposizione del Codex IurCan. (Can. 1252, par. 4) cessa a mezzogiorno, - e aliturgica. Essa trascorreva nella preparazione immediata dei catecumeni al battesimo, che aveva luogo la sera previa benedizione del fonte battesimale. Dal fonte i catecumeni, divenuti neofiti, movevano processionalmente verso la basilica tutta illuminata per la prossima celebrazione liturgica, che coincideva con i primi chiarori dell'alba.

  In seguito la funzione fu anticipata fino alla mattina del sabato, come tuttora si pratica, e allora si creò un'altra messa per il giorno di Pasqua. Le cerimonie del sabato santo si seguono in quest'ordine:

1. accensione e benedizione del nuovo fuoco, fatta da un sacerdote fuori della porta della chiesa;

2. benedizione dei cinque grani d'incenso e accensione del nuovo fuoco di tre candele (Lumen Christi) poste a triangolo su di una canna; canto dell'Exultet (praeconium paschale) e accensione del cero pasquale, nel quale vengono confitti a forma di croce i cinque grani d'incenso, e accensione di tutte le altre lampade della chiesa;

3. canto delle profezie, ossia di passi dell'Antico Testamento che riassumono per sommi capi la storia del popolo ebraico dalla creazione del mondo fino al trionfo dei tre fanciulli nella fornace di Babilonia;

4. benedizione del fonte battesimale ed eventualmente battesimo di catecumeni; indi processione solenne di ritorno in chiesa, celebrazione della messa con canto del Gloria in excelsis, suono (detto "scioglimento") delle campane, e benedizione delle case con la nuova acqua benedetta. Il senso della rigenerazione completa di tutta la vita morale e materiale del cristiano in unione con Cristo risorto è trasparentissima in tutta questa mirabile liturgia della Pasqua.

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 Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: "Abramo, Abramo!". Rispose: "Eccomi!".  Riprese: "Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, và nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò".  Abramo si alzò di buon mattino, sellò l`asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l`olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato.  Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo.  Allora Abramo disse ai suoi servi: "Fermatevi qui con l`asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi". Abramo prese la legna dell`olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt`e due insieme.  Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: "Padre mio!". Rispose: "Eccomi, figlio mio". Riprese: "Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov`è l`agnello per l`olocausto?".  Abramo rispose: "Dio stesso provvederà l`agnello per l`olocausto, figlio mio!". Proseguirono tutt`e due insieme;  così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l`altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull`altare, sopra la legna.  Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio.  Ma l`angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: "Abramo, Abramo!". Rispose: "Eccomi!".  L`angelo disse: "Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio".  Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l`ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio.  Abramo chiamò quel luogo: "Il Signore provvede", perciò oggi si dice: "Sul monte il Signore provvede".  L`angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta  e disse: "Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio,  io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici.  Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce".

 Abramo tornò dai suoi servi; insieme si misero in cammino verso Bersabea [*] e Abramo abitò a Bersabea.

[dal Libro della Genesi, capitolo 22, versetti da 1 a 12 – Gn 22, 1-12 – versione in italiano TILC Traduzione interconfessionale in lingua corrente]

 

[*] villaggio a circa 50 chilometri a sud di Hebron, in Giudea.

 

  Cominciai a partecipare alla Veglia Pasquale, quella che nella nostra parrocchia inizierà stasera alle 22, quand’ero fidanzato con la ragazza che divenne poi mia moglie, nella chiesa di San Saba, nell’omonimo rione romano, curata dai gesuiti. Mia moglie era nel coro e io seguivo per mesi le prove che si facevano in preparazione di quella liturgia, che è molto suggestiva.

 Quando nel ’91 tornai nella nostra parrocchia dopo qualche anno lontano per lavoro, vi si seguivano gli usi di un gruppo fondamentalista che voleva la Veglia molto lunga, dalle prime stelle del Sabato Santo all’alba del giorno dopo, e non partecipai più, anche perché non mi piacevano i canti che si facevano. Dall’autunno del 2015, con l’arrivo del nuovo parroco, la situazione è progressivamente cambiata, quel gruppo  celebra ora una propria liturgia, ma partecipare alla Veglia mi è ancora troppo faticoso, per il fatto di dover stare comunque diverse ore nel banco in chiesa, cosa che mi fa male alla schiena. Ci vanno mia moglie, che canta nel coro, e le mie figlie.

   Nella letture bibliche che si fanno nella Veglia si rievocano le origini giudaiche della nostra fede religiosa.

  Ho trascritto sopra un episodio biblico che si legge durante la Veglia Pasquale e  che ho sempre trovato molto duro da accettare. E’ tratto libro della Genesi,  del quale si legge anche il racconto della Creazione e che ricevemmo dall’antico giudaismo.

  Ciò che chiamiamo Pasqua prese il nome dall’omonima festa dell’antico giudaismo, che ancor oggi gli ebrei nostri contemporanei celebrano. Ormai, però, cristianesimi ed ebraismi sono religioni molto diverse. Anche il senso della Pasqua dei cristiani è completamente diverso da quella celebrata dall’ebraismo. Fa riferimento alla Resurrezione di Gesù di Nazareth, il Cristo dei cristiani.

   Ai tempi in cui Paolo di Tarso scrisse le sue Lettere, negli anni 50 del Primo secolo, a circa vent’anni dalla  morte del Maestro, non era ancora così, i suoi seguaci che provenivano dal giudaismo frequentavano le sinagoghe e si ritiene che, almeno in quelle al di fuori della Palestina, vi fossero ammessi anche quelli che non provenivano dal giudaismo, ma dalle genti, intese come popolazioni non giudee. Paolo di Tarso volle, appunto, essere l’apostolo dei gentili. Dove nel lessico neotestamentario si usa una parola greca che vale gentili, in italiano traduciamo con pagani, che è un termine insultante che ricevemmo dal latino e che vale come villano. Io non  uso mai la parola "pagana" per indicare la persona non cristiana. In particolare, le genti che nell’antichità greco-romana seguivano i culti politeistici erano molto religiose, come testimoniano i resti dei grandi templi che costruirono, ed espressero anche una cultura religiosa molto raffinata. Parte di quest’ultima fu integrata nei cristianesimi.

  Le altre letture bibliche della veglia sono tratte dal libro dell’Esodo, con il racconto dello sterminio dei guerrieri egiziani che cercavano di raggiungere gli israeliti in fuga dopo che i sovrano egiziano, il Faraone, aveva consentito loro di migrare, un altro episodio biblico che fin da bambino ho trovato molto difficile da accettare, per l’intensa violenza che evoca; da libro del profeta Isaia, con la celebrazione della misericordia di Dio, il Santo d’Israele, verso il suo popolo e l’invito a seguire la usa voce; dal libro del profeta Baruc, con l’esortazione a seguire la legge di Dio; dal libro del profeta Ezechiele, con l’annuncio dell’azione di Dio per radunare di nuovo il suo popolo disperso, dandogli un cuore e uno spirito nuovi.

  Poi si legge un passo tratto dalla Lettera ai Romani  di Paolo di Tarso, nel quale si spiega il significato salvifico della morte del Cristo, del quale riporto di seguito gli ultimi quattro versetti:

 

Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che vivremo con lui, perché sappiamo che Cristo, risuscitato dai morti, non muore più: la morte non ha più potere su di lui. Quando egli morì, morì nei confronti del peccato una volta per sempre, ma ora vive, e vive per Dio. Così, anche voi, consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, con Cristo Gesù.

[dalla Lettera ai Romani  di Paolo di Tarso, capitolo 6, versetti da 8 a 11 – Rm 6, 8-11]

 

  Il brano evangelico quest’anno è tratto dal Vangelo secondo Marco ed è quello in cui si racconta di quando le donne, recatesi al sepolcro di Gesù, lo trovarono vuoto.

 

Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù.  Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole.  Esse dicevano tra loro: "Chi ci rotolerà via il masso dall`ingresso del sepolcro?". Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d`una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: "Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E` risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l`avevano deposto.  Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto".

[dal Vangelo secondo Marco, capitolo 16, versetti da 1 a 7  - Mc 16, 1-7]

 

  All’inizio della Veglia Pasquale si fa un gran fuoco sul sagrato della chiesa, da esso si accende il grande cero pasquale e tutti da esso accendono una candela. Poi si entra in processione, con il cero pasquale e le candele accesi, nella chiesa che è lasciata al buio. Dopo che il popolo è entrato, vengono accese le luci. Quindi si recita o si canta il duecentesco  Exultet – Esulti

Esulti il coro egli angeli, esulti l'assemblea celeste:
un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto.

Gioisca la terra inondata da così grande splendore;
la luce del Re eterno ha vinto le tenebre del mondo.

Gioisca la madre Chiesa, splendente della gloria del suo Signore,
e questo tempio tutto risuoni
per le acclamazioni del popolo in festa.

[(E voi, fratelli carissimi,
qui radunati nella solare chiarezza di questa nuova luce,
invocate con me la misericordia di Dio onnipotente.
Egli che mi ha chiamato, senza alcun merito,
nel numero dei suoi ministri, irradi il suo mirabile fulgore,
perché sia piena e perfetta la lode di questo cero.)]

[Il Signore sia con voi.
E con il tuo spirito.]

In alto i nostri cuori.
Sono rivolti al Signore.

Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.
E' cosa buona e giusta.

E' veramente cosa buona e giusta
esprimere con il canto l'esultanza dello spirito,
e inneggiare al Dio invisibile, Padre onnipotente,
e al suo unico Figlio, Gesù Cristo nostro Signore.

Egli ha pagato per noi all'eterno Padre il debito di Adamo,
e con il sangue sparso per la nostra salvezza
ha cancellato la condanna della colpa antica.

Questa è la vera Pasqua, in cui è ucciso il vero Agnello,
che con il suo sangue consacra le case dei fedeli.

Questa è la notte in cui hai liberato i figli di Israele, nostri padri,
dalla schiavitù dell'Egitto,
e li hai fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso.

Questa è la notte in cui hai vinto le tenebre del peccato
con lo splendore della colonna di fuoco.

Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo
dall'oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo,
li consacra all'amore del Padre
e li unisce nella comunione dei santi.

Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte,
risorge vincitore dal sepolcro.

(Nessun vantaggio per noi essere nati, se lui non ci avesse redenti.)

O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà:
per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio!

Davvero era necessario il peccato di Adamo,
che è stato distrutto con la morte del Cristo.
Felice colpa, che meritò di avere un così grande redentore!

(O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere
il tempo e l'ora in cui Cristo è risorto dagli inferi.

Di questa notte è stato scritto: la notte splenderà come il giorno,
e sarà fonte di luce per la mia delizia.)

Il santo mistero di questa notte sconfigge il male,
lava le colpe, restituisce l'innocenza ai peccatori,
la gioia agli afflitti.

(Dissipa l'odio, piega la durezza dei potenti,
promuove la concordia e la pace.)

O notte veramente gloriosa,
che ricongiunge la terra al cielo e l'uomo al suo creatore!

In questa notte di grazia accogli, Padre santo, il sacrificio di lode,
che la Chiesa ti offre per mano dei suoi ministri,
nella solenne liturgia del cero,
frutto del lavoro delle api, simbolo della nuova luce.

(Riconosciamo nella colonna dell'Esodo
gli antichi presagi di questo lume pasquale
che un fuoco ardente ha acceso in onore di Dio.
Pur diviso in tante fiammelle non estingue il suo vivo splendore,
ma si accresce nel consumarsi della cera
che l'ape madre ha prodotto
per alimentare questa preziosa lampada.)

Ti preghiamo, dunque, Signore, che questo cero,
offerto in onore del tuo nome
per illuminare l'oscurità di questa notte,
risplenda di luce che mai si spegne.

Salga a te come profumo soave,
si confonda con le stelle del cielo.
Lo trovi acceso la stella del mattino,
questa stella che non conosce tramonto:
Cristo, tuo Figlio, che risuscitato dai morti
fa risplendere sugli uomini la sua luce serena
e vive e regna nei secoli dei secoli. Amen

 Per le persone cristiane, Cristo risorto è luce. Come poi le Chiese cristiane abbiano progressivamente promosso un certo efferato oscurantismo, per cui ad un certo punto si sentì la necessità di una nuova illuminazione, è un'altra storia. 

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

 

 

venerdì 29 marzo 2024

Venerdì Santo

 

Venerdì Santo

 

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Dalla voce Settimana Santa dell’Enciclopedia italiana Treccani on line

https://www.treccani.it/enciclopedia/settimana-santa_(Enciclopedia-Italiana)/# di Nicola Turchi]

Venerdì santo. - Giornata aliturgica, con stazione a Santa Croce in Gerusalemme, dove il popolo si recava dopo essersi radunato al Laterano. Attualmente consta di tre elementi:

1. una sinassi o riunione, in cui si leggono profezie dell'Antico Testamento, poi la Passione secondo Giovanni, e infine si recita la grande litania, in cui il celebrante invita a pregare per la Chiesa, per il papa, per i vescovi e il clero, per l'imperatore, per i catecumeni, per la purgazione del mondo da mali e da errori, per gli eretici e scismatici, per gli Ebrei, e infine per i pagani. Questa litania, che non ha nulla che specificamente si riferisca al venerdì santo, può considerarsi come il tipo della preghiera offertoriale che doveva aver luogo in ogni liturgia dopo la lettura del Vangelo. Questa prima parte nella più antica liturgia romana doveva essere unica;

2. l'adorazione della croce. Questa cerimonia ha la sua origine in Gerusalemme e fu introdotta in Roma da papa Sergio I. Aveva luogo nel pomeriggio, ed era presieduta dal pontefice che usciva dal Laterano a piedi scalzi, dietro la S. Croce che egli incensava lungo tutto il percorso, dirigendosi alla basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Oggi quest'adorazione segue in ogni chiesa il canto del passio, ed è fatta dal clero che a piedi scalzi muove verso un crocifisso posto nel mezzo del presbiterio;

3. la messa dei "presantificati" ossia la consumazione dell'Ostia "preconsecrata", cioè consacrata nel giorno precedente (v. Giovedì santo). Terminata l'adorazione, si procede verso l'altare del "Sepolcro" donde viene tratta la sacra Ostia che e solennemente portata verso l'altare al canto del Vexilla Regis prodeunt di Venanzio Fortunato, mostrata al popolo e consumata dal sacerdote sull'altare; questo poi viene subito spogliato della sua tovaglia.

 

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 Io penso che le sofferenze del tempo presente non siano assolutamente paragonabili alla gloria che Dio manifesterà verso di noi. Tutto l’universo aspetta con grande impazienza il momento in cui Dio mostrerà il vero volto dei suoi figli.  Il creato è stato condannato a non aver senso, non perché l’abbia voluto, ma a causa di chi ve lo ha trascinato. Vi è però una speranza:  anch’esso sarà liberato dal potere della corruzione per partecipare alla libertà e alla gloria dei figli di Dio. Noi sappiamo che fino a ora tutto il creato soffre e geme come una donna che partorisce. E non soltanto il creato, ma anche noi, che già abbiamo le primizie dello Spirito, soffriamo in noi stessi perché aspettiamo che Dio, liberandoci totalmente, manifesti che siamo suoi figli. Perché è vero che siamo salvati, ma soltanto nella speranza. E se quel che si spera si vede, non c’è più una speranza, dal momento che nessuno spera ciò che già vede. Se invece speriamo quel che non vediamo ancora, lo aspettiamo con pazienza.

  Allo stesso modo, anche lo Spirito viene in aiuto della nostra debolezza, perché noi non sappiamo neppure come dobbiamo pregare, mentre lo Spirito stesso prega Dio per noi con sospiri che non si possono spiegare a parole. Dio, che conosce i nostri cuori, conosce anche le intenzioni dello Spirito che prega per i credenti come Dio desidera.

  Noi siamo sicuri di questo: Dio fa tendere ogni cosa al bene di quelli che lo amano, perché li ha chiamati in base al suo progetto di salvezza.  Da sempre li ha conosciuti e amati, e da sempre li ha destinati a essere simili al Figlio suo, così che il Figlio sia il primogenito fra molti fratelli. Ora, Dio che da sempre aveva preso per loro questa decisione, li ha anche chiamati, li ha accolti come suoi, e li ha fatti partecipare alla sua gloria.

[Dalla Lettera ai Romani di Paolo di Tarso, capitolo 8, versetti da 18 a 30 – Rm 8, 18-30, versione in italiano TILC Traduzione interconfessionale in lingua corrente]

 

  Si pensa che il testo che ho sopra trascritto sia stato composto a Corinto verso la metà degli anni 50 del Primo secolo. Precede quindi di vari decenni la composizione del testo dei Vangeli, e in particolare del Vangelo secondo Giovanni, dal quale è tratta una lunga lettura che sarà proclamata stasera nella nostra parrocchia durante la Celebrazione della Passione del Signore.

 Contiene una visione grandiosa che parla di un universo tutto in attesa, e noi in esso, e della nostra speranza.

  La Lettera ai Romani  risale ad un epoca precedente la rottura dei seguaci del Maestro con l’antico giudaismo, vale a dire il sistema sociale, politico e religioso centrato sulle istituzioni di vertice che ruotavano intorno al Tempio di Gerusalemme, in Giudea. A quell’epoca i seguaci del Maestro frequentavano ancora le sinagoghe, dove ci si radunava per insegnare e imparare la Legge divina, per la preghiera comune per i riti organizzati intorno alle Scritture. Si ritiene che gli  autori del Vangelo di Giovanni (in genere si ritiene che il testo di quel Vangelo non sia stato scritto dal discepolo prediletto del Maestro, ma che sia un’opera collettiva di maestri, capaci esprimere nel greco antico sofisticati ragionamenti e  che operavano lontano dalla Palestina) siano vissuti quando invece si era già consumata la frattura con l’antico giudaismo, dopo la radicale distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte degli occupanti romani e l’allontanamento di quelli che ormai si chiamavano cristiani dalle sinagoghe.

 Nella Lettera ai Romani  non c’è l’idea che la Chiesa debba sostituire i giudei quale popolo destinatario delle promesse divine (che, come ho letto,  cominciò ad affacciarsi nel 2° Secolo, quando la polemica con l’ebraismo cominciò a incrudelire. Raggiunse presto livelli di incredibile ferocia).

  Viene considerato significativo del clima sociale e religioso in cui fu composto il Vangelo secondo Giovanni questo brano che si trova nel capitolo 16, versetti da 1 a 4 – Gv 16, 1-4:

 

Vi ho parlato così perché questi fatti non turbino la vostra fede. Sarete espulsi dalle sinagoghe; anzi verrà un momento in cui vi uccideranno pensando di fare cosa grata a Dio. Faranno questo perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io ve l’ho detto perché, quando verrà il momento dei persecutori, vi ricordiate che io ve ne avevo parlato. Non ne ho parlato fin dal principio, perché ero con voi».

 

  Nel Vangelo secondo Giovanni si parla in genere dei giudei  come avversari del Maestro. Questo traspare anche nella lettura evangelica che si fa stasera.

  Eppure, è stato notato che Gesù di Nazareth morì da giudeo. Tutti  i primi suoi seguaci furono giudei. Gesù, stando a quello che emerge nel Nuovo Testamento, non sembra che abbia voluto fondare una nuova  religione. Per la verità nemmeno Paolo di Tarso.

  All’epoca della morte del Maestro i giudei erano già emigrati in molte parti dell’impero romano, e in particolare a Roma, ad Alessandria in Egitto, in Asia Minore e in Grecia, come anche avevano costituito un importante centro culturale a Babilonia. La prima espansione dei cristianesimi si ebbe nelle sinagoghe e, in particolare, in quelle fuori della Palestina. Esse avevano conquistato una condizione giuridica riconosciuta nei confronti delle autorità imperiali.

  Insomma, i racconti della Passione che troviamo nei Vangeli, e in particolare in quello Secondo Giovanni, il più tardo, potrebbero non corrispondere precisamente alla situazione che si  ebbe in quel difficile frangente alla fine dei ministero pubblico del Maestro. Ma si tratta di congetture, perché le fonti sui cristianesimi delle origini sono scarsissime, Quei racconti  neotestamentari sono centrati sul riconoscimento o negazione della divinità del Maestro, problema che però si affermò progressivamente lungo il Primo secolo,  e sul quale ancora negli anni 50 e 60 di quell’epoca c’erano problemi. La definizione dei dogmi cristologici,  per rispondere alla domanda chi fosse stato Gesù e imporre precise definizioni in merito, li creò almeno fino all’Ottavo secolo, ma per certi versi anche oltre.

  Le notizie sul Maestro da fonti extra-neotestamentarie sono estremamente scarse. In tempi molto turbolenti, nella Palestina sotto lo spietato Pilato, procuratore  del potere romano in Giudea, probabilmente la sua  morte in croce non ebbe quella risonanza che ha per noi. L’accusa con cui il Maestro fu condotto presso  Pilato per ordine dei capi del Tempio fu essenzialmente quella di essere un agitatore sociale. E, dai racconti evangelici, non pare che Pilato si sia reso bene conto di chi aveva davanti e soprattutto del problema di ordine religioso che poneva.

  Per noi, oggi, è naturalmente molto diverso.

  In religione si ritiene che la morte in croce del Maestro sia stata salvifica.  Come è spiegato nella Lettera ai Romani  al capitolo  5, versetti da 14 a 21 – Rm 5, 14-21:

 

  Adamo era la figura di colui che doveva venire. Ma quale differenza tra il peccato di Adamo e quel che Dio ci dà per mezzo di Cristo! Adamo da solo, con il suo peccato, ha causato la morte di tutti gli uomini. Dio invece, per mezzo di un solo uomo, Gesù Cristo, ci ha dato con abbondanza i suoi doni e la sua grazia. Dunque, il dono di Dio ha un effetto diverso da quello del peccato di Adamo: il giudizio provocato dal peccato di un sol uomo ha portato alla condanna, mentre il dono concesso dopo tanti peccati ci ha messi nel giusto rapporto con Dio. Certo, la morte ha dominato per la colpa di un solo uomo; ma ora si ha molto di più: quelli che ricevono l’abbondante grazia di Dio e sono stati accolti da lui parteciperanno alla vita eterna unicamente per mezzo di Gesù Cristo.

 Dunque uno solo è caduto, Adamo, e ha causato la condanna di tutti gli uomini; così, uno solo ha ubbidito, Gesù Cristo, e ci ha ristabiliti nella giusta relazione con Dio che è fonte di vita per tutti gli uomini.  Per la disubbidienza di uno solo, tutti risultarono peccatori; per l’ubbidienza di uno solo, tutti sono accolti da Dio come suoi.

 In seguito venne la Legge, e così i peccati si moltiplicarono. Ma dove era abbondante il peccato, ancora più abbondante fu la grazia.  Il peccato ha manifestato il suo potere nella morte; la grazia manifesta il suo potere nel fatto che Dio ci accoglie e ci dà la vita eterna per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore.

 

  Questo brano appartiene ad un universo di significati o semiosfera molto distante da quello della nostra cultura. Ci presenta una divinità capace di ira al pari degli umani, di condanne, della colpa di un progenitore mitico che avrebbe provocato la disgrazia per tutta l’umanità e via dicendo. Per la verità era anche la cultura a cui fece riferimento Gesù di Nazareth.

  Come possiamo farlo capire alla gente del nostro tempo che è poco acculturata alla semiosfera biblica?

  Gli antichi teismi precristiani presentavano gli dei come figure capricciose e violente, al modo dei potenti del mondo. Rispetto ad essi i cristiani si negavano, tanto da essere accusati di ateismo. Tali quegli dei come le persone che in essi confidavano. L’orizzonte cristiano  è diverso. La via che indica è diversa ed è quella indicata dal nostro Maestro. Siamo accolti e accogliamo, essere accolti è la nostra speranza e l’accogliere è il comandamento nuovo. Una prospettiva grandiosa al pari della redenzione universale evocata nel brano biblico che ho citato all’inizio.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

giovedì 28 marzo 2024

Giovedì Santo

 

 Giovedì Santo


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Dalla voce Settimana Santa dell’Enciclopedia italiana Treccani on line

https://www.treccani.it/enciclopedia/settimana-santa_(Enciclopedia-Italiana)/# di Nicola Turchi]

Giovedì santo. - In origine era l'unica grande celebrazione liturgica di tutta la settimana santa, nella quale si volevano commemorare tre cose: l'istituzione dell'Eucaristia (in caena Domini); la benedizione degli olî santi; e la riconciliazione dei penitenti in vista della Pasqua imminente (ora decaduta). La stazione era (ed è) a San Giovanni in Laterano.

La liturgia commemorativa dell'istituzione dell'Eucaristia, si celebrava un tempo di sera per maggiore aderenza al racconto evangelico dell'ultima cena [ nota mia: la voce dell’Enciclopedia risale al 1936; ora è ripreso l’uso di celebrarla la sera]. Ora si celebra al mattino, in paramenti bianchi (in Germania un tempo erano verdi, donde il nome di Gründonnerstag, "giovedì verde", alla giornata), con canto del Gloria e suono di campane che poi taceranno fino al sabato santo; si consacrano due ostie, una delle quali, che deve servire per il giorno seguente in cui non si consacra, finita la messa, viene solennemente portata in processione e deposta entro un ciborio appositamente preparato sopra un altare, che è riccamente ornato di lumi, piante e fiori, ed è visitato nelle varie chiese da grande affluenza di popolo devoto. Questo altare è popolarmente chiamato Il (santoSepolcro, ma inesattamente, perché non è destinato affatto a commemorare la morte e sepoltura di Gesù Cristo, bensì a glorificare l'istituzione della Eucaristia.

Deposto il Santissimo Sacramento nell'apposito altare, segue la lavanda dei piedi (mandatum) a dodici chierici o a dodici poveri, a somiglianza di quanto fece Gesù secondo il racconto del Vangelo di Giovanni, la cui lettura precede la cerimonia. Un tempo il papa compieva questa cerimonia, di ritorno dal Laterano, della chiesa papale di San Lorenzo (Sancta Sanctorum), lavando i piedi a 12 suddiaconi, mentre nella basilica si recitavano i vespri.

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Io ho ricevuto dal Signore quel che a mia volta vi ho trasmesso: nella notte in cui fu tradito, il Signore Gesù prese il pane, fece la preghiera di ringraziamento, spezzò il pane e disse: «Questo è il mio corpo che è dato per voi. Fate questo in memoria di me». Poi, dopo aver cenato, fece lo stesso col calice. Lo prese e disse: «Questo calice è la nuova alleanza che Dio stabilisce per mezzo del mio sangue. Tutte le volte che ne berrete, fate questo in memoria di me».

 Infatti, ogni volta che mangiate di questo pane e bevete da questo calice, voi annunziate la morte del Signore, fino a quando egli ritornerà.

[Dalla Prima lettera ai Corinzi di Paolo di Tarso, capitolo 11, versetti da 22 a 26 – 1 Cor 11, 22-26 – versione in italiano TILC Traduzione interconfessionale in lingua corrente]

 

  Questo che ho sopra trascritto si ritiene essere il più antico testo del Nuovo Testamento nel quale si racconta di un rito molto importante la cui istituzione le comunità cristiane della metà del Primo secolo, che lo praticavano nelle case private dove si riunivano,  riconducevano direttamente al Maestro. Si ritiene risalga  agli anni 50 del Primo secolo, una ventina d’anni dopo la morte del Maestro. Il rito corrisponde alla seconda parte della nostra messa.

  Nelle narrazioni della Passione dei Vangeli detti sinottici (perché molto simili nella struttura, tanto da poter essere letti insieme accostandone il testo, così da aver un sol colpo d’occhio; si ritiene che risalgano agli anni 80 del Primo secolo, quindi circa cinquant’anni dalla morte del Maestro), viene collocato nel corso della cena rituale di Pasqua, secondo l’uso giudaico, che il Maestro celebrò con i Dodici apostoli. Nel Vangelo secondo Giovanni (che si ritiene risalga agli anni 90 del Primo secolo, sessant’anni circa dalla morte del Maestro)  la si anticipa di un giorno e non sarebbe stata una cena rituale pasquale.

  Poco prima di quella cena si narra di un altro rito, del quale si fa memoria nella  messa del Giovedì Santo, la lavanda dei piedi.

 

 Era ormai vicina la festa ebraica della Pasqua. Gesù sapeva che era venuto per lui il momento di lasciare questo mondo e tornare al Padre. Egli aveva sempre amato i suoi discepoli che erano nel mondo, e li amò sino alla fine.

  All’ora della cena, il diavolo aveva già convinto Giuda (il figlio di Simone Iscariota) a tradire Gesù. Gesù sapeva di aver avuto dal Padre ogni potere; sapeva pure che era venuto da Dio e che a Dio ritornava. Allora si alzò da tavola, si tolse la veste e si legò un asciugamano intorno ai fianchi, versò l’acqua in un catino, e cominciò a lavare i piedi ai suoi discepoli. Poi li asciugava con il panno che aveva intorno ai fianchi.

Quando arrivò il suo turno, Simon Pietro gli disse:

— Signore, tu vuoi lavare i piedi a me?

Gesù rispose:

— Ora tu non capisci quello che io faccio; lo capirai dopo.

Pietro replicò:

— No, tu non mi laverai mai i piedi!

Gesù ribatté:

— Se io non ti lavo, tu non sarai veramente unito a me.

Simon Pietro gli disse:

— Signore, non lavarmi soltanto i piedi, ma anche le mani e il capo.

Gesù rispose:

— Chi è già lavato non ha bisogno di lavarsi altro che i piedi. È completamente puro. Anche voi siete puri, ma non tutti.

Infatti, sapeva già chi lo avrebbe tradito. Per questo disse: «Non tutti siete puri».

Gesù terminò di lavare i piedi ai discepoli, riprese la sua veste e si mise di nuovo a tavola. Poi disse: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate Maestro e Signore, e fate bene perché lo sono. Dunque, se io, Signore e Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Io vi ho dato un esempio perché facciate come io ho fatto a voi. 

[dal Vangelo secondo Giovanni, capitolo 13, versetti da 1 a 15 – Gv 13, 1-15. Versione in italiano TILC Traduzione interconfessionale in lingua corrente.

 

 Questo è il brano evangelico che si proclama nella messa di oggi. L’episodio non c’è negli altri Vangeli.

 Quale ne è il senso?    

  Su ogni versetto biblico si è fatta grande cultura, si è ragionato e si è scritto moltissimo. Spesso questo sfugge a chi accosta le cose della fede in modo un po’ superficiale considerandole un po’ come favolette per incolti.

  Nemmeno i più sapienti sono in grado di dominare la materia, ci si aiuta l’un l’altro in questo.

  Riferisco di seguito una prospettiva interpretativa che mi ha colpito in ciò che ne ho letto.

  Nel brano biblico l’azione di lavare i piedi alle altre persone al modo di chi serve è presentato come un esempio da imitare. E anche come una forma di fare agàpe. Viene introdotta infati dal versetto 1 del capitolo 13 in cui si legge:

 

Egli aveva sempre amato i suoi discepoli che erano nel mondo, e li amò sino alla fine.

 

Nel greco antico:

 

ἀγαπήσας τοὺς ἰδίους τοὺς ἐν τῷ κόσμῳ εἰς τέλος ἠγάπησεν αὐτούς

 

che si legge:

 

agapèsas tus idìus tus en to kòsmos èis tèlos egàpesen autàs

 

letteralmente:

 

avendo fatto agape con  i propri nel mondo, fino alla fine fece agape con loro

 

 Agàpe, che in genere viene tradotto in lingua italiana dai testi biblici neotestamentari, scritti in greco antico,  come amore, non indica un sentimento, ma un’azione inclusiva e benefica, solidale e misericordiosa. Poco dopo il brano della lavanda dei piedi, ai versetti 34 e 35 del  medesimo capitolo 13, c’è quello del comandamento nuovo, che è appunto quello di fare agàpe:

           

«[…]Io vi do un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri. Amatevi come io vi ho amato! Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se vi amate gli uni gli altri.

 

Nel greco antico neotestamentario:

 

ἐντολὴν καινὴν δίδωμι ὑμῖν ἵνα ἀγαπᾶτε ἀλλήλους, καθὼς ἠγάπησα ὑμᾶς ἵνα καὶ ὑμεῖς ἀγαπᾶτε ἀλλήλους. ἐν τούτῳ γνώσονται πάντες ὅτι ἐμοὶ μαθηταί ἐστε, ἐὰν ἀγάπην ἔχητε ἐν ἀλλήλοις                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         

 

che si legge:

 

entolèn kainén dìdomi umìn ina agapàte allèlus, katòs egàpesa umàs ìna kài umèis agapàte allèlus. En tùto gnòsontai pàntes òti emòi matetài èste, eàn agàpen èxete en allèlois

 

letteralmente:

 

un comandamento nuovo do a voi perché facciate agàpe gli uni verso gli altri, come io ho fatto agape con voi così anche voi fate agàpe gli uni verso gli altri. Da questo vi sapranno tutti [che] miei discepoli siete, se agàpe avete gli uni verso gli altri.

Mario Ardigò  - Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.

 

mercoledì 27 marzo 2024

Mercoledì Santo

 

Mercoledì Santo

 

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Dalla voce Settimana Santa dell’Enciclopedia italiana Treccani on line

https://www.treccani.it/enciclopedia/settimana-santa_(Enciclopedia-Italiana)/# di Nicola Turchi]

Mercoledì santo. - Un tempo la stazione era aliturgica e clero e popolo si radunavano di mattina al Laterano, dove aveva luogo la spiegazione sulla Passione, e la grande litania che ora si recita nel venerdì santo. Introdotta la liturgia stazionale, il popolo si radunava a San Pietro in Vincoli, donde muoveva in processione verso la basilica di S. Maria Maggiore per la celebrazione della messa, durante la quale si legge una seconda profezia d'Isaia sul "servo di Jahvè", figura di Cristo umiliato per i peccati degli uomini, e la Passione secondo Luca.

 

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  Nel Tempo liturgico della Quaresima, mia madre seguiva l’esercizio della Quaresima romana che si fa sulla base di un’antica tradizione visitando certe chiese, e svolgendovi particolari riti, tra i quali delle processioni: è ciò a cui accenna l’autore della voce Quaresima  dell’Enciclopedia Treccani  on line nei brani che vi sto trascrivendo dal Web.

 

Chi di noi ha creduto

alla notizia che abbiamo ricevuto?

Chi di noi vi ha visto

la mano di Dio?

Davanti al Signore infatti

il suo servo è cresciuto

come una pianticella,

come una radice in terra arida.

Non aveva né dignità né bellezza,

per attirare gli sguardi.

Non aveva prestanza,

per richiamare l’attenzione.

Noi l’abbiamo rifiutato e disprezzato,

come un uomo pieno di sofferenze e di dolore,

come uno che fa ribrezzo a guardarlo,

che non vale niente,

e non lo abbiamo tenuto in considerazione.

 

Eppure egli ha preso su di sé i nostri dolori,

si è caricato delle nostre sofferenze,

e noi pensavamo che Dio

lo avesse castigato, percosso e umiliato.

Invece egli è stato ferito

per le nostre colpe,

è stato schiacciato per i nostri peccati.

Egli è stato punito,

e noi siamo stati salvati.

Egli è stato percosso,

e noi siamo guariti.

Noi tutti eravamo come pecore smarrite,

ognuno seguiva la sua strada.

Ma il Signore ha fatto pesare su di lui

le colpe di tutti noi.

 

Egli si è lasciato maltrattare,

senza opporsi e senza aprir bocca,

docile come un agnello condotto al macello,

muto come una pecora davanti ai tosatori.

È stato arrestato,

giudicato e condannato,

ma chi si è preoccupato per lui?

È stato eliminato dal mondo dei vivi,

colpito a morte

per i peccati del suo popolo.

È stato sepolto con i criminali,

si è trovato con i ricchi nella tomba.

Eppure non aveva commesso alcun delitto,

non aveva ingannato nessuno.

1Ma il Signore ha voluto prostrarlo

e lo ha fatto soffrire.

Lui, suo servo, ha dato la vita

come un sacrificio per gli altri;

avrà discendenza e vivrà a lungo.

Realizzerà il progetto del Signore.

1Il Signore dichiara:

«Dopo tante sofferenze,

egli, il mio servo, vedrà la luce e sarà soddisfatto

di quel che ha compiuto.

Infatti renderà giusti davanti a me

un gran numero di uomini,

perché si è addossato i loro peccati.

Perciò lo pongo tra i grandi,

e parteciperà al trionfo dei potenti.

Perché si è consegnato alla morte

e si è lasciato mettere tra i malfattori.

Ha preso su di sé

le colpe di tutti gli altri

ed è intervenuto a favore dei peccatori».

[Dal libro del profeta Isaia, capitolo 53 – Is 53

  -  versione in italiano TILC Traduzione interconfessionale in lingua corrente]

 

Un angelo del Signore parlò così a Filippo: «Alzati, e va’ verso sud, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza: è una strada deserta». Filippo si alzò e si mise in cammino. Tutto a un tratto incontrò un Etiope: era un eunuco, un funzionario di Candace, regina dell’Etiopia, amministratore di tutti i suoi tesori. Era venuto a Gerusalemme per adorare Dio e ora ritornava nella sua patria. Seduto sul suo carro, egli stava leggendo una delle profezie di Isaia.

  Allora lo Spirito di Dio disse a Filippo: «Va’ avanti e raggiungi quel carro». Filippo gli corse vicino e sentì che quell’uomo stava leggendo un brano del *profeta Isaia. Gli disse: «Capisci quello che leggi?». Ma quello rispose: «Come posso capire se nessuno me lo spiega?». Poi invitò Filippo a salire sul carro e a sedersi accanto a lui. Il brano della Bibbia che stava leggendo era questo:

Come una pecora fu condotto al macello,

e come un agnello che tace

dinanzi a chi lo tosa,

così egli non aprì bocca.

È stato umiliato ma ottenne giustizia.

Non potrà avere discendenti,

perché con violenza gli è stata tolta la vita.

Rivoltosi a Filippo l’eunuco disse: «Dimmi, per piacere: queste cose il profeta di chi le dice: di sé stesso o di un altro?».

Allora Filippo prese la parola e cominciando da questo brano della Bibbia gli annunziò chi era Gesù.

Lungo la via arrivarono a un luogo dove c’era acqua e l’Etiope disse: «Ecco, qui c’è dell’acqua! Che cosa mi impedisce di essere battezzato?».

Allora l’eunuco fece fermare il carro: Filippo e l’eunuco discesero insieme nell’acqua e Filippo lo battezzò.

Quando risalirono dall’acqua, lo Spirito del Signore portò via Filippo, e l’eunuco non lo vide più. Tuttavia egli continuò il suo viaggio, pieno di gioia. Filippo poi si trovò presso la città di Azoto; da quella città fino a Cesarèa egli predicava a tutti.

[Dagli Atti degli apostoli, capitolo 8, versetti da 32 a 40 – At 8, 32-40 - -  versione in italiano TILC Traduzione interconfessionale in lingua corrente]

 

  Liturgia significa azione di popolo: è parola che ci viene dal greco antico. Tutta la vita vissuta da persone cristiane è liturgia. La nostra fede non è una sensazione mentale, ma è un avvicinarsi alle altre persone facendo cose insieme. Così sono anche le liturgie della Pasqua e quelle delle stazioni quaresimali  della Quaresima romana, pratica che si ritiene risalga ad epoca tra la  metà del Quarto secolo e il Settimo secolo, l’epoca in cui la nostra fede si consolidò assumendo i tratti fondamentali che ancora ha.

  Le stazioni quaresimali della Quaresima romana nella Settimana santa  sono queste:

 

Domenica delle Palme

S. Giovanni in Laterano

Lunedì

S. Prassede all'Esquilino

Martedì

S. Prisca all'Aventino

Mercoledì

S. Maria Maggiore

Giovedì

S. Giovanni in Laterano

Venerdì

S. Croce in Gerusalemme

Sabato

S. Giovanni in Laterano

Domenica di Pasqua

S. Maria Maggiore

 

 Potete saperne di più a questo indirizzo sul Web:

https://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_academies/cult-martyrum/documents/rc_pa_martyrum_20020924_stazioni_it.html

  La nostra fede inizia sempre con un incontro con altre persone, che ti spiegano come intendono il senso delle loro vite alla luce di una tradizione. La nostra Bibbia, gran parte della quale ricevemmo dall’antico giudaismo, quindi da un’altra fede!, è uno strumento di mediazione per dar corpo a questo incontrarsi, che è liturgia.

  Può sorprendere, ma, a conti fatti, si ritiene che solo alcune delle Lettere  attribuite a Paolo di Tarso, l’apostolo dei gentili (vale a dire dei non giudei – egli tuttavia era giudeo, proveniente dal grande movimento culturale dei farisei), siano state (probabilmente) effettivamente dettate o scritte dall’autore dichiarato. Così è anche per i libri biblici (della Bibbia dei cristiani) dal quale ho tratto i brani che ho sopra trascritto. Anche la Bibbia deriva da azioni liturgiche, è opera collettiva.

  Si ritiene che il testo degli Atti degli apostoli, che narra eventi situabili tra gli anni 30  gli anni 60 del Primo secolo, si sia consolidato negli anni 80, circa cinquant’anni dopo la morte del Maestro. Riflette, osservano gli antropologi delle origini cristiane, il punto di vista di comunità cristiane degli anni 80. Ci dice che, per spiegarsi la morte del Fondatore, ci si rifece al capitolo 53 del libro biblico del profeta Isaia. Si ritiene che quest’ultimo testo si sia consolidato nel Sesto secolo dell’era antica tra giudei che erano stati deportati in Babilonia. La permanenza in Babilonia dei giudei è stata straordinariamente feconda per l’ebraismo. Ad un certo punto, secondo le consuetudini di laggiù, i deportati furono infatti integrati nella società babilonese e produssero grande cultura, inaugurandovi anche una tradizione di studi. Parte di quella cultura transitò anche nei cristianesimi: un fatto molto frequente, quello del dell’influenza di una religione su un’altra o dell’integrazione di elementi di una religione in altre. Il folklore italiano a sfondo religioso è pieno di fatti simili.

  Il rarefarsi delle comunità cristiane in Europa occidentale crea problemi nella tradizione della fede, perché ostacola gli incontro dialogici nei quali la fede viene spiegata. Altri problemi derivano dalla rigidità della teologia normativa, la cosiddetta dogmatica, che è un elemento politico della religione, perché si propone di stabilire chi può considerarsi persona cristiana e chi non.

  Il problema fondamentale per la persona cristiana è rispondere alla domanda posta dallo stesso Maestro: «Voi chi dite che io sia?» [riportata da tutti e tre i Vangeli sinottici, Marco, Matteo,  Luca – Mc 8,29; Mt 16,15; Lc 9,18]. Da questo dipende il suo  vangelo alla gente intorno.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli