ELEZIONI POLITICHE 2022
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Appunti per una scelta consapevole
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Da La Repubblica del 25-8-22 – di Claudio Tito – L’agenda della realtà – il discorso di Draghi a Rimini
[…] La politica estera del nostro Paese dal 26 settembre in poi, dopo cioè che le polveri delle urne si saranno posate, dovrà fare i conti con la necessità di svelare gli inganni che hanno accompagnato buona parte del confronto tra i partiti […] La guerra in Ucraina sarà ancora il primo detonatore dei problemi europei e italiani. Lo sarà perché si tratta di un conflitto destinato a non concludersi rapidamente e anzi, dopo il recente attentato a Mosca, potrebbe rivelarsi ancora più cruento. Ma se l’Italia e il fronte occidentale possono avere ancora l’opportunità di non farsi coinvolgere direttamente nella guerra, non possono schivarne le conseguenze. Tutti saranno dunque costretti ad affrontare tre gigantesche ripercussioni: la crisi energetica e quindi economica, quella umanitaria è quella alimentare
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Uno dei partiti che presentano candidati alle prossime elezioni politiche ha commissionato una campagna di propaganda ad una agenzia pubblicitaria, di quelle che si occupano anche di marketing, quell’attività aziendale per convincere i consumatori a comprare un prodotto in commercio a preferenza di altri.
Compariranno quindi sulle nostre strade dei grandi cartelli con annunci organizzati sulla contrapposizione nero / rosso e, in basso a destra, l’intimazione al lettore di scegliere.
Uno di questi ha nel campo nero, a sinistra, la parola PUTIN e su quello rosso, a destra, EUROPA. Il cartello fa riferimento ai sistemi politici della Federazione Russa e dell’Unione Europea e dei suoi stati membri, ma anche, implicitamente alla guerra in Ucraina, il maggior pericolo del momento per noi.
Il regime che assoggetta attualmente la Federazione Russa può essere considerato come un tipo di fascismo che ingloba una teologia politica cristiana nella sua ideologia e ha il suo Duce nel presidente federale Vladimir Vladimirovič Putin, nato a San Pietroburgo, sul golfo di Finlandia, di sessantanove anni, già ufficiale superiore della polizia politica dell’Unione sovietica, in politica dal 1991, anno dell’abolizione del regime comunista sovietico, come vicesindaco della sua città, sempre più potente all’ombra del primo presidente federale post sovietico Borís Nikoláevič Él’cin, per la prima volta presidente federale succedendo a quest’ultimo nel 1999. La Federazione Russa conserva ancora procedure elettorali democratiche, ma non può più essere considerata una democrazia perché il regime non consente più libertà di manifestazione del pensiero e di associazione.
La prima osservazione da fare su quel cartello propagandistico è che contrappone due elementi molto diversi: il capo egemone di un fascismo, quello russo, e la denominazione di un continente, l’Europa. Tuttavia va considerato che la Russia, la quale comprende gran parte dell’Europa, che convenzionalmente si estende ad Oriente fino alla catena dei monti Urali, è il più grande stato europeo. Mosca, la capitale federale, e San Pietroburgo sono in Europa. E, soprattutto, gran parte della popolazione russa è di cultura europea e la sua parte che segue una religione segue in genere un cristianesimo, quello ortodosso. Il presidente federale Putin è un europeo ed è europeo il regime fascista da lui egemonizzato. Certo, poi una grandissima parte del territorio della Federazione Russa si trova in Asia: si tratta di territori assoggettati con le guerre condotte nei secoli passati dagli Zar, gli imperatori russi. La parola Zar, deriva da quella latina Caesar (che in Italia leggiamo Cèsar), appellativo dato agli imperatori romani dopo Giulio Cesare. Quel concetto di autorità imperiale fu inculturato nei russi dall’impero romano di Bisanzio / Costantinopoli, nell’antica Grecia, ora in Turchia, dal quale i russi ricevettero anche alfabeto e cristianesimo. Se, contrapponendo PUTIN e EUROPA si vuole sostenere che il regime putiniano non è “Europa”, questo è errato. Va osservato che caratteristiche del regime putiniano si osservano anche in altre parti dell’Europa, ad esempio in Ungheria e in Turchia (sostituito l’Islam al cristianesimo nell’ideologia politica. Istanbul, l’antica Costantinopoli- Bisanzio è una delle maggiori città europee). Quel regime russo è attualmente uno dei grandi modelli istituzionali a cui gli altri stati fanno riferimento. Gli altri sono, nell’ordine di grandezza delle popolazioni sottomesse: quello comunista cinese, quello dell’Unione europea, quello statunitense, quello britannico e quello dell’Arabia Saudita. Il regime putiniano russo ha anche in Italia i suoi estimatori. Sostenere però che, come fascismo, sia estraneo all’ Europa è errato, perché il fascismo nacque proprio in Europa, più precisamente in Italia, dal socialista rivoluzionario Mussolini. Va osservato che anche il presidente federale russo ha un passato di socialista rivoluzionario, più precisamente di comunista bolscevico, e se non lo fosse stato, professione di ateismo compresa, non sarebbe stato assunto nella polizia politica sovietica e non vi avrebbe fatto carriera.
Se si valuta la contrapposizione PUTIN/EUROPA dal punto di vista della guerra in Europa orientale, premesso appunto che si tratta di una guerra europea, quindi in Europa e con il coinvolgimento anche di potenze europee, va osservato che essa non coinvolge tutti gli europei: non la Confederazione Elvetica, Cipro e la Serbia. Coinvolge anche due stati americani: il Canada e gli Stati Uniti d’America.
Il conflitto coinvolge la Federazione Russa, l’Ucraina che è stata invasa dalla prima il 24 febbraio di quest’anno e poi l’Unione Europea, che sta aiutando militarmente l’Ucraina come se già fosse un suo stato membro secondo quanto prevede il Trattato di Lisbona (entrato in vigore nel 2009); la Gran Bretagna, che dal 2014 addestra gruppi di militari ucraini, e la NATO, fortemente egemonizzata dagli Stati Uniti d’America, che sta dando all’Ucraina armi, sta addestrando le sue truppe e sta fornendo, stando quello che ho letto, informazioni strategiche essenziali mediante i suoi sistemi avanzati di osservazione.
L’Ucraina, già parte dell’Impero russo, divenne uno stato indipendente a seguito del trattato di pace di Brest-Litovsk concluso nel marzo 1918 tra la Russia, governata dai rivoluzionari comunisti bolscevichi, e la Germania e i suoi alleati nella Prima guerra mondiale (1914-1918). Nel 1919 come tale divenne parte dell’Unione sovietica. Allo scioglimento di quest’ultima, nel 1991, costituì con la nuova Federazione russa e la Bielorussia, anch’essa diventata uno stato indipendente, la Comunità di stati indipendenti, creata sul modello della Comunità economica europea, che dal 2009 si trasformò in Unione Europea, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Le cause del conflitto russo-ucraino risalgono a circa dieci anni fa, sulla questione del proseguimento del procedimento di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea, avversata dalla Federazione russa e da una parte consistente della politica ucraina. Va ricordato che in Crimea, diventata ucraina nel 1954 per decisione dell’Unione sovietica, la Federazione russa ha un importante complesso di basi navali, su territori che dal 1997 erano stati concessi in affitto dall’Ucraina. Nel 2014, dopo l’abbattimento a seguito di sommosse popolari di un governo ucraino filorusso, la Federazione Russa invase la Crimea, annettendosela, e, appoggiando e fomentando moti popolari locali, fece delle province orientali di Doneck e di Lugansk due repubbliche indipendenti filorusse. Gli accordi negoziati a Minsk, in Bielorussia, nel 2014 e 2015 per riportare la pace in quelle due province rimasero sostanzialmente inattuati, e dal 2014 si visse una condizione di conflitto armato mai sopita. Successivamente la Federazione Russa si oppose anche all’adesione dell’Ucraina alla NATO, rimuovendo l’opposizione all’adesione all’Unione Europea (che dal 2009 prevede anche l’assistenza militare degli stati membri aggrediti), chiedendo in prima battuta un trattato multilaterale che impegnasse l’Ucraina alla neutralità e il riconoscimento dell’annessione della Crimea. Tale base di negoziato fu rigettata dagli Stati Uniti d’America nel vertice con la Federazione russa tenutosi a Ginevra nel giugno 2021.
Aggravandosi il contrasto, con il rapido avanzare della procedura di adesione dell’Ucraina alla NATO, il 21 febbraio di quest’anno il presidente federale Putin, in un articolato discorso televisivo, dichiarò che l’Ucraina, per i suoi legami storici, culturali e spirituali con la Russia non aveva diritto di esistere se non integrata con quest’ultima e, il successivo 24 febbraio, annunciò in un altro discorso televisivo di aver ordinato l’invasione militare dell’Ucraina per rovesciare il suo governo e impedire l’adesione alla NATO, considerata una minaccia collegata all’imperialismo statunitense. Lo stesso giorno l’Ucraina fu invasa dall’esercito della Federazione russa da settentrione e oriente. Il rovesciamento del governo ucraino non riuscì e da allora, e fino ad oggi, è in corso uno di quei conflitti definiti “a bassa intensità”, sanguinosi ma non totali, del tipo di quello che fu condotto dalla NATO in Afghanistan dall’ottobre 2001 all’agosto 2021.
Ora, è evidente che la Federazione russa, benché egemonizzata dal suo presidente federale con un regime sostanzialmente fascista centrato sulla sua persona (questa essendo appunto una delle caratteristiche del fascismo, inventato, come scritto prima, dopo la Prima guerra mondiale in Italia da Benito Mussolini ed altri), non coincide con lui. La Federazione Russa è una parte molto importante, e vastissima, dell’Europa e le sue relazioni con il resto dell’Europa determineranno se la pace continentale potrà essere ripristinata. La scelta da farsi, ora, non è quindi tra PUTIN e l’EUROPA, ma tra il continuare la guerra europea senza che l’Unione Europea, e l’Italia in essa, prema per un negoziato di pace multilaterale, o invece attivarsi per un tale negoziato. Distinguere tra il Presidente federale russo e il suo regime e la Federazione russa, la “Russia” diciamo, è molto importante, perché la Russia sopravvivrà al suo attuale Presidente federale, e così la pace che dovesse essere conclusa sotto il suo dominio. Così come i Patti Lateranensi, gli accordi di Conciliazione con il Papato dopo l’invasione del Regno pontificoo del 1870, vennero conclusi dal Papato nel 1929 con il Regno d’Italia rappresentato dal dittatore fascista Mussolini, ma sopravvissero a quest'ultimo e vivono tuttora, inglobati nella nostra Costituzione. Con quegli accordi il Papato non riebbe il suo Regno nell’Italia centrale con capitale Roma, ma solo una minima porzione di quest’ultima in suo dominio esclusivo. Ebbe però garantito l'essenziale: l'assoluta libertà di autogoverno e di magistero e la libertà di pastorale e magistero per la Chiesa che è in Italia.
La decisione del governo italiano dimissionario di lasciare alla sola Ucraina la decisione di avviare un tale negoziato non si presenta conforme ai principi della dottrina sociale della Chiesa. Dovrebbero invece parteciparvi tutti i belligeranti e la Comunità internazionale rappresentata dalle Nazioni Unite.
Leggiamo infatti nell’importantissima enciclica Il Centenario -Centesimus annus, diffusa sotto l’autorità del papa Giovanni Paolo 2º nel 1991, anno della ricostruzione politica del continente europeo dopo la rapida dissoluzione dei regimi comunisti bolscevichi dell’Europa orientale:
18. Certo, dal 1945 le armi tacciono nel Continente europeo; tuttavia, la vera pace — si ricordi — non è mai il risultato della vittoria militare, ma implica il superamento delle cause della guerra e l'autentica riconciliazione tra i popoli. Per molti anni, invece, si è avuta in Europa e nel mondo una situazione di non-guerra più che di autentica pace. Metà del Continente è caduta sotto il dominio della dittatura comunista, mentre l'altra metà si organizzava per difendersi contro un tale pericolo. Molti popoli perdono il potere di disporre di se stessi, vengono chiusi nei confini soffocanti di un impero, mentre si cerca di distruggere la loro memoria storica e la secolare radice della loro cultura. Masse enormi di uomini, in conseguenza di questa divisione violenta, sono costrette ad abbandonare la loro terra e forzatamente deportate.
Una folle corsa agli armamenti assorbe le risorse necessarie per lo sviluppo delle economie interne e per l'aiuto alle Nazioni più sfavorite. Il progresso scientifico e tecnologico, che dovrebbe contribuire al benessere dell'uomo, viene trasformato in uno strumento di guerra: scienza e tecnica sono usate per produrre armi sempre più perfezionate e distruttive, mentre ad un'ideologia, che è perversione dell'autentica filosofia, si chiede di fornire giustificazioni dottrinali per la nuova guerra. E questa non è solo attesa e preparata, ma è anche combattuta con enorme spargimento di sangue in varie parti del mondo. La logica dei blocchi, o imperi, denunciata nei Documenti della Chiesa e di recente nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis, fa sì che le controversie e discordie insorgenti nei Paesi del Terzo Mondo siano sistematicamente incrementate e sfruttate per creare difficoltà all'avversario.
[…]
52. I pontefici Benedetto XV ed i suoi successori hanno lucidamente compreso questo pericolo, ed io stesso, in occasione della recente drammatica guerra nel Golfo Persico, ho ripetuto il grido: «Mai più la guerra!». No, mai più la guerra, che distrugge la vita degli innocenti, che insegna ad uccidere e sconvolge egualmente la vita degli uccisori, che lascia dietro di sé uno strascico di rancori e di odi, rendendo più difficile la giusta soluzione degli stessi problemi che l'hanno provocata! Come all'interno dei singoli Stati è giunto finalmente il tempo in cui il sistema della vendetta privata e della rappresaglia è stato sostituito dall'impero della legge, così è ora urgente che un simile progresso abbia luogo nella Comunità internazionale. Non bisogna, peraltro, dimenticare che alle radici della guerra ci sono in genere reali e gravi ragioni: ingiustizie subite, frustrazioni di legittime aspirazioni, miseria e sfruttamento di moltitudini umane disperate, le quali non vedono la reale possibilità di migliorare le loro condizioni con le vie della pace.
Per questo, l'altro nome della pace è lo sviluppo. Come esiste la responsabilità collettiva di evitare la guerra, così esiste la responsabilità collettiva di promuovere lo sviluppo. Come a livello interno è possibile e doveroso costruire un'economia sociale che orienti il funzionamento del mercato verso il bene comune, allo stesso modo è necessario che ci siano interventi adeguati anche a livello internazionale. Perciò, bisogna fare un grande sforzo di reciproca comprensione, di conoscenza e di sensibilizzazione delle coscienze. È questa l'auspicata cultura che fa crescere la fiducia nelle potenzialità umane del povero e, quindi, nella sua capacità di migliorare la propria condizione mediante il lavoro, o di dare un positivo contributo al benessere economico. Per far questo, però, il povero — individuo o Nazione — ha bisogno che gli siano offerte condizioni realisticamente accessibili. Creare tali occasioni è il compito di una concertazione mondiale per lo sviluppo, che implica anche il sacrificio delle posizioni di rendita e di potere, di cui le economie più sviluppate si avvantaggiano.
Ciò può comportare importanti cambiamenti negli stili di vita consolidati, al fine di limitare lo spreco delle risorse ambientali ed umane, permettendo così a tutti i popoli ed uomini della terra di averne in misura sufficiente. A ciò si deve aggiungere la valorizzazione dei nuovi beni materiali e spirituali, frutto del lavoro e della cultura dei popoli oggi emarginati, ottenendo così il complessivo arricchimento umano della famiglia delle Nazioni.
Quindi: il negoziato per la pace non è affare solo di uno dei belligeranti, o di alcuni di essi o anche di tutti loro, ma anche dell’intera Comunità internazionale ed esso va condotto abbandonando l’obiettivo di mantenere ad una parte o ad alcune di esse un’egemonia secondo la logica di blocchi o imperi e valutando realisticamente le ragioni del conflitto proposte dai belligeranti e le concrete possibilità di superarle.. L’obiettivo principale, in questa prospettiva, dovrebbe essere quello di assicurare alle popolazioni, da qualsiasi governo risultino di fatto dominate, quindi indipendentemente dalle linee di frontiera, analoghe condizioni di libertà, benessere e sviluppo, indipendentemente quindi anche dall’idea di sovranità, che significa voler riconoscere a un governo la proprietà di territori e della gente che c’è sopra e il diritto di farne ciò che vuole senza che nessun altro, neanche la Comunità internazionale, possa intromettersi. La lunghissima pace europea che l’Unione Europea ha saputo realizzare fino a quest’anno si è basata appunto sulla non assolutizzazione dell’idea di sovranità, per cui i confini dei suoi stati membri sono pian piano svaniti e le questioni di dominio territoriale risolte pacificamente. Leggiamo, in particolare, nell’art.11 della nostra Costituzione:
Articolo 11
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Questa norma, frutto anche del lavoro dei cattolici democratici presenti nell’Assemblea costituente (che tra il 1946 e il 1947 redasse e deliberò la nostra Costituzione repubblicana) è perfettamente conforme all’attuale dottrina sociale sulle relazioni internazionali.
Detto ciò, possiamo concludere che la campagna propagandistica, organizzata da un’agenzia di pubblicità, “SCEGLI TRA PUTIN E EUROPA” informi realisticamente dell’oggetto della decisione politica da prendere?
La decisione sulla guerra in Europa orientale è della massima importanza, perché la guerra ci sta facendo entrare in recessione economica e da essa inevitabilmente conseguiranno disoccupazione e impoverimento.
Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli