Decisioni elettorali
Improvvisamente e inaspettatamente, nel corso di una sanguinosa guerra europea nella quale siamo pesantemente coinvolti e che ci sta provocando danni ingentissimi, innanzi tutto l’arresto della ripresa economica dopo il travaglio dell’epidemia da COVID-19 nonostante le misure d’emergenza che abbiamo deciso in sede di Unione Europea, siamo chiamati ad elezioni politiche che si presentano di rilevanza epocale per vari motivi, un vero passaggio di fase storica, perché riguarderanno anche importanti valori civici e umanitari. Sembra che la gerarchia ecclesiastica, di solito estremamente invadente in occasioni come questa, non si impiccerà. Del resto è ormai disponibile una vasta letteratura del magistero per orientarsi: è il corpo di documenti della dottrina sociale. Dal 2004 è sintetizzato nel Compendio della dottrina sociale, disponibile sul WEB a questo indirizzo:
Va tuttavia precisato che dal 2013 si sono aggiunti i documenti diffusi sotto l’autorità di papa Francesco, che sotto diversi aspetti l’hanno innovata, in particolare chiamando ad una più intensa partecipazione di base, secondo lo stile detto sinodale.
Come si decide alle elezioni politiche, procedure mediante le quali saranno eletti 600 nuovi membri del Parlamento, l’organo di vertice della Repubblica che delibera le leggi e coopera ad autorizzare il Governo a governare? Le procedure sono solo l’aspetto formale della decisione collettiva. Ogni persona elettrice è chiamata a decidere con il voto: come sceglie tra le varie proposte di candidati e programmi? Qui ci sono delle sorprese.
Sulle dinamiche elettorali varie discipline scientifiche hanno espresso in modo molto esteso il risultato delle loro osservazioni, a partire da quella, sviluppatasi da qualche decennio, della psicologia della decisione. Ad esse si aggiungono le dottrine giuridiche, le quali in gran parte ne prescindono, costruendo i loro sistemi ideologici su antichi assiomi di origine fondamentalmente filosofica.
Come le persone decidono nelle elezioni politiche negli ordinamenti delle democrazie di massa è ormai piuttosto chiaro. In particolare faccio riferimento agli studi sul campo dello psicologo israeliano Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia nel 2002, divulgati in Pensieri lenti e veloci, pubblicato in italiano da Mondadori nel 2012 e tuttora disponibile anche in e-book, e dell’antropologo e studioso dell’evoluzione della psicologia umana inglese Robin Dunbar, divulgati recentemente nel libro Amici, comprendere il potere delle nostre relazioni più importanti, pubblicato quest’anno in italiano da Einaudi e anch’esso disponibile in e-book. In sostanza: le decisioni elettorali delle singole persone sono in gran parte frutto di auto-inganni cognitivi – bias (parola inglese che si pronuncia baies, che è usata nel gergo psicologico e che significa appunto auto-inganno cognitivo), determinati da come funziona la fisiologia della nostra mente, dall’ambiente sociale di immediato riferimento e dall’azione di persuasione esercitata da diversi agenti politici sulle psicologie individuali, in particolare nei loro aspetti emotivi. In sostanza, si ha solo l’illusione di scegliere a ragion veduta. La nostra, infatti, è una mente emotiva (D. Kahneman) nella quale le emozioni sono determinanti nei processi decisionali, anche se ci si sforzi di esercitarvi la razionalità. Quest’ultima, alla fine, risulta sempre insufficiente per l’impossibilità pratica, per la singola persona ma anche per le organizzazioni, di controllare e padroneggiare realmente tutte le informazioni rilevanti. Nelle democrazie di massa occidentali le organizzazioni che competono per il potere politico hanno preso a utilizzare le tecnologie psicologiche del marketing, l’attività per convincere il pubblico dei consumatori ad acquistare prodotti per offerti sul mercato, che cercano di sfruttare il meccanismo degli inganni cognitivi a vantaggio del committente, e quindi il consenso politico è sempre costruito (tema su cui è centrato di Noam Chomskj, La fabbrica del consenso. La politica e i mass media, pubblicato in italiano nel 2014 da Il saggiatore; nella linea del classico L’opinione pubblica, di Walter Lippman, del 1922 – che ho conosciuto perché citato su Limes del mese scorso – edito in italiano da Donzelli 1999, disponibile anche in e-book). Questo spiega perché, in regimi democratici dove contano le maggioranze, queste ultime hanno più o meno sempre sostanzialmente la peggio, a vantaggio delle minoranze privilegiate, e che, quindi, bisogna concludere che siano state spinte a votare contro i propri interessi.
La dottrina giuridica, a differenza delle scienze economiche e sociologiche, non ha ancora sistematizzato questa realtà, per cui ragiona sempre come se gli elettori, nei sistemi politici democratici, fossero agenti consapevoli e, addirittura, come se il popolo, concetto prettamente di diritto pubblico a differenza di quello sociologico di popolazione, potesse esprimere realmente una sua volontà come soggetto collettivo. Quindi, in linea con un pensiero risalente al Seicento / Settecento, ci si divide, per spiegare il fondamento del potere degli stati, tra coloro che lo immaginano come un contratto sociale e quelli che lo pensano come la necessitata e volontaria sottomissione a un potere che si è imposto con la violenza, in entrambi i casi per organizzare un ordinamento che liberi dalla violenza generalizzata (ne cives ad arma ruant, secondo l’antica massima giuridica dei romani: ci si assoggetta per impedire la violenza privata come forma di regolamento dei conti in società), conferendo ad un centro di potere il monopolio della forza.
In realtà il contratto sociale è possibile realmente, per insuperabili nostri limiti fisiologici di specie (cfr R. Dunbar, Amici, cit.), solamente in piccoli gruppi, più o meno di una cinquantina di persone (che troviamo anche al vertice degli stati e delle organizzazioni internazionali, come nel collegio di 15 persone del Consiglio di sicurezza dell’ONU, o in quello di 24 persone del Governo Draghi. La Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America (1776) – atto formale fondativo della prima democrazia contemporanea – fu firmata da 56 persone). Per il resto, sottoposti a un qualche potere pubblico sempre ci si ritrova soggetti, a prescindere da qualsiasi consenso volontario, ed è come quando si sale su un treno alla stazione. In democrazia le procedure pubbliche elettorali e quelle referendarie costituiscono solo un limite a poteri pubblici già effettivi in società: sono la fonte formale della loro legittimazione pubblica. Il contesto delle scelte elettorali e referendarie è però già precostituito dai gruppi che, in base ai criteri normativi stabiliti in un ordinamento, hanno titolo giuridico per farlo, e quindi sono anche ammessi a contendere le posizioni di potere pubblico. Un tempo si presupponeva che agli elettori tali gruppi non fossero indifferenti. Questo è il fondamento dell’assioma della rappresentanza politica attribuita ai membri dei collegi che vengono nominati mediante procedure elettorali. Del resto quei gruppi per lo più esprimevano narrazioni ideologiche volte a creare un reale e duraturo rapporto di affidamento da parte degli elettori, quindi un magistero e anche un catechismo, vale a dire attività di formazione. La militanza di partito li rafforzava molto. I partiti politici erano anche agenti della formazione diffusa alla politica nel quadro delle proprie organizzazioni di militanza. Ciò determinava una certa rigidità del consenso elettorale, con spostamenti di pochi punti percentuali di elezione in elezione e una certa stabilità dell’ordinamento politico.
Dagli scorsi anni Novanta, la situazione è profondamente cambiata e ancor più nell’ultimo decennio. Si dà per presupposta la fluidità del consenso elettorale, al modo della propensione dei consumatori verso le offerte commerciali. E quindi la sua amplissima contendibilità alle elezioni. Si cerca quindi di attrarre il consenso elettorale con tecniche propriamente di marketing, che utilizzano le metodiche della moderna psicologia della decisione (cfr D. Kahneman, Pensieri lenti e veloci, cit.). Si sono prodotti quindi rilevantissimi spostamenti di consenso elettorale, che hanno prodotto, tra il 2013 e il 2018 al quasi completo ricambio del personale politico di vertice. Questo in un contesto in cui tra i gruppi di potere pubblico si è affermata globalmente l’adesione al sistema economico del capitalismo liberista, con la conseguenza che le decisioni più rilevanti, quelle sull’economia, ne sono necessitate, senza possibilità reale dei governi di sottrarvisi, e che le sole questioni lasciate all’arbitrio degli stati sono quelle di confine.
Attualmente i sistemi politici egemoni a livello mondiale, che vengono considerati come modelli di riferimento dagli altri stati, sono nell’ordine decrescente dell’ampiezza delle popolazioni sottomesse: quello neo-comunista della Cina popolare, quello dell’Unione Europea, quello degli Stati Uniti d’America e quello russo. Quest’ultimo è in fase espansiva verso l’Europa centrale, che sta reagendo. Una delle alternative alle prossime elezioni è appunto quella di seguire il modello russo del regime del presidente federale Vladimir Putin, caratterizzato da una stretta integrazione tra Chiesa e Stato, dall’adesione al capitalismo liberista in economia e dal proposito di difendere valori tradizionali secondo il motto Dio-Patria-Famiglia, enunciato anche dal fascismo mussoliniano dopo il compromesso con il Papato nei Patti Lateranensi del 1929. Tutti i regimi politici egemoni nel mondo che ho menzionato praticano e difendono il capitalismo liberista. Questo regime politico-economico si è quindi globalizzato. Nessuno dei maggiori partiti politici italiani ha in programma di incidervi. Essi, sotto questo profilo, sono tutti conservatori (mentre, ad esempio, il fascismo mussoliniano si definiva rivoluzionario e cercò di introdurre un diverso sistema economico, quello corporativo; così come si definivano rivoluzionari i comunisti, ora presenti solo in piccole formazioni, che volevano introdurre l’economia socialista).
In questa nuova situazione, e per l’incidenza del consenso creato – nell’ultimo decennio – mediante reti sociali telematiche governate da sistemi di intelligenza artificiale, il consenso elettorale di massa si esprime essenzialmente come agitazione elettorale, una tempesta indotta a ridosso delle elezioni, che può favorire questa o quella organizzazione elettorale per fattori essenzialmente contingenti ed emotivi. È’ proprio su di essi che fa conto il marketing elettorale, che cerca di attrarre con offerte, senza argomentare sul contesto, com’era costume dei segretari politici dei partiti ancora negli anni ’90. Da ragazzo assistetti al discorso di Moro allo storico 13º Congresso Dc (1976), nel quale il segretario politico Zaccagnini (detto familiarmente Zac) venne confermato dall’assemblea congressuale: quattro ore, ad un certo punto il relatore ebbe anche un mancamento.
Ai tempi nostri, in Europa, ogni programma politico dovrebbe premettere che siamo entrati in una fase economica recessiva fuori dall’ordinario svilupparsi del ciclo economico dell’economia di mercato, che sempre manifesta un alternarsi di alti e bassi fronteggiabili con manovre di finanza pubblica e altre misure, e riconducibile alla guerra in Ucraina. Non si sa quando quest’ultima sfocerà in un armistizio ed essa potrebbe evolvere in una guerra totale tra Russia e NATO. L’incertezza è massima anche perché, sostanzialmente, la NATO ha lasciato al regime ucraino zelenskjano, che procedendo il conflitto sempre più assomiglia politicamente a quello putiniano russo, la decisione di iniziare la guerra totale, ad esempio con il bombardamento missilistico del grande complesso russo di basi navali intorno a Sebastopoli, in Crimea. Allo stato, deve prevedersi dunque che le risorse di finanza pubblica per misure sociali diminuiranno costantemente a favore delle spese per gli armamenti, che l’inflazione continuerà a salire, per la grande liquidità immessa nel sistema economico per indurvi una fase espansiva, mentre gli operatori economici hanno ridimensionato le proprie prospettive a causa dell’incertezza determinata dalla guerra, dalla restrizione del mercato, dagli aumentati costi dell’energia e anche per l’aumento dei tassi di interesse indotto dal sistema bancario governato dalla BCE per fronteggiare l’inflazione (partendo da tassi addirittura negativi a dicembre). Quindi ogni offerta elettorale non è credibile se non se ne prevede il finanziamento mediante la riduzione di altre provvidenze, l’aumento dei tributi o un reale contrasto dell’evasione fiscale (stimando in termini ragionevoli le previsioni di aumento del gettito, che sarebbe lento). Questo mi pare manchi in tutte le proposte elettorali.
In una democrazia, come oggi la si intende, la legittimazione giuridica all’esercizio del potere pubblico dipende da procedure formali ad evidenza pubblica, rigidamente normate, tra le quali quelle elettorali. Queste procedure, di carattere prettamente sacrale, vale a dire che non richiedono per la loro validità di riuscire a rispecchiare effettivamente il sentire collettivo ma solo il rispetto di certe formalità, costituiscono limitiall’esercizio del potere. Tali limiti, a prescindere dalle forme, presuppongono a monte, nella teoria giuridica, agenti politici consapevoli e capaci di conquistare e accrescere tale consapevolezza interagendo in società: una opinione pubblica dialogica. Questa condizione, tuttavia, non è mai totalmente effettiva. Di fatto agiscono in società diverse opinioni pubbliche, gran parte confinate in propri ambiti sociali segregati, secondo gli strati e gli ambienti sociali. Il confinamento, causa principale degli auto-inganni cognitivi, è reso più severo nelle reti sociali, governate da sistemi di intelligenza artificiale e da procedure che operano proprio a tale fine, per creare ambienti omogenei sui quali poi poter meglio influire con tecniche di marketing, con le tecnologie della moderna psicologia della decisione di massa che sfruttano molto la fisiologia emotiva della nostra mente, che, come detto, è una mente emotiva (cfr D. Kahneman, op. cit.). Oggi il marketing si fa utilizzando potentemente le reti sul Web, che consentono meglio di segregare emotivamente gruppi di consumatori in ambienti omogenei, in cui tutte le persone tendono a pensarla in uno stesso modo e il dissenso non viene tollerato, sui quali è più efficace l’induzione di emozioni.
Nella misura in cui viene meno, a monte delle procedure formali elettorali, un agente razionale consapevole e capace di interazione dialogica, quelle procedure possono essere strumentalizzate per evaderei limiti della democrazia, ciò che appunto accade nei regimi politici, come quello putiniano, indicati come democrature, dittature che si autolegittimano mediante procedure formalmente democratiche ridotte però a meri riti, mediante la soppressione con vari pretesti delle libertà e degli strumenti di interazione sociale che consentono una formazione di una reale opinione pubblica. Quei regimi politici hanno successo nell’ acquisire consenso pubblico nella misura in cui riescono confinare la gente in ambiti sociali impermeabili a ciò che c’è all’esterno. Per inciso, è ciò che sta accadendo anche nella Chiesa cattolica nel corso dei processi formalmente sinodali inscenati dallo scorso autunno.
Un primo consiglio che si può dare per prepararsi ad una scelta elettorale consapevole e motivata, fin dove si può, è allora quello di cercare di evadere dal confinamento in cui le tecniche di marketing elettorale tendono a chiuderci, quindi a parlare anche con chi non la pensa come noi, e di informarsi il più possibile accostando fonti affidabili, che di solito non sono quelle delle reti sociali, che si basano invece sulla segregazione di gruppi omogenei strumentale alla persuasione collettiva al servizio di un committente.
Mario Ardigó - Azione Cattolica a in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli