Divisioni
Venerdì
scorso il nostro parroco ha ricordato che nella lettera di Clemente I, san
Clemente "Papa" o "romano", ai cristiani di Corinto
(scritta in greco antico) si trattava delle divisioni che travagliavano quelle
prime comunità ecclesiali [di seguito il testo in traduzione in italiano, una biografia
del santo e un interessante discorso di Benedetto 16° - Joseph Ratzinger ad una
udienza generale del 2007, nella quale
ricordò quel documento e la figura del santo]. E’ un problema che c’è anche
ora, quello delle divisioni, ha aggiunto. Ne aveva già trattato Paolo di Tarso,
in un lettera sempre a quelli di Corinto in Grecia, che oggi è compresa nella
nostra Bibbia, nel Nuovo Testamento, come Prima
lettera ai Corinzi. Un male così antico può essere risolto? Non ci si
dovrebbe rassegnare ad esserne afflitti? Paolo indicò la via: l’agàpe, il volersi bene prima di tutto, facendo spazio agli altri,
come in un lieto convito dal quale nessuno sia escluso. Clemente indicò invece
la via dell’obbedienza e dell’umiltà, in un’epoca in cui cominciava ad
organizzarsi la gerarchia sacrale, prendendo a modello la gerarchia sacerdotale dell’ebraismo antico. Per circa duemila anni fu questa via ad essere innanzi tutto
proposta dal Magistero successivo, senza tralasciare, naturalmente la prima:
occorreva obbedire per amore. Dalla
metà del secolo scorso, e in particolare a seguito della riforma attuata dal
Concilio Vaticano 2° (1962-1965) fu invece innanzi tutto, di nuovo, quella dell’agàpe, alla quale la stessa autorità
della gerarchia sacrale doveva conformarsi, obbedendole.
Comandare si doveva, certo, ma per amore.
Una stessa legge, quindi, per il comando e l’obbedienza. Storicamente quella
dell’agàpe fu la legge più violata
dalle prassi ecclesiali che si succedettero nel tempo e si affiancarono nei
vari tempi. E ancora oggi presenta problemi attuativi.
Storicamente le nostre comunità si sono
organizzate secondo questi modelli:
- il
cenacolo intorno ad un profeta, una personalità straordinaria, qualche volta
ritenuta prodigiosa, che si riteneva
interpretasse il senso della storia per illuminazione superiore;
- la comunità guidata da una classe
sacerdotale, con distinzione molto marcata tra la gerarchia e il resto del
popolo, sul modello dell’antico ebraismo;
- la comunità guidata da un re - pastore, un sovrano
civile con ruolo anche religioso, sul modello di Giustiniano I, sovrano dell’Impero
romano d’Oriente (Sesto secolo della nostra era) che riproponeva, adattandolo,
l’antico modello sacrale degli imperatori romani precristiani.
Nel Primo millennio prevalse il terzo modello
(il sovrano pastore religioso del suo popolo), fino alla metà del Secondo
prevalse il secondo modello. Dopo di allora il primo (profetico) e il secondo
modello (sacerdotale) si contesero l’autorità sul popolo. Il primo modello ebbe
successo nelle Chiese sorte dalla riforma. Una ripresa del terzo modello si
ebbe nel Seicento e fino all’affermarsi del principio democratico della laicità
dello Stato, dall’Ottocento. In quei tre modelli vi sono guide ben distinte da
coloro che sono guidati. Il primo modello si trova attuato anche in diversi movimenti nati dalla riforma della teologia del laicato
deliberata dal Concilio Vaticano 2°. Dagli anni Sessanta del Novecento si sono andate
diffondendo concezioni democratiche, secondo le quali i fedeli laici, la base del popolo, dovrebbero avere più voce nelle
questioni religiose. Un modello secondo questo principio è quello adottato
dalla nostra Azione Cattolica, ma solo per le decisioni di competenza
associativa, mentre per il resto si segue il modello sacerdotale. Secondo
questo modello si decide insieme,
dopo un lavoro di autoformazione che rende meno dipendenti da guide profetiche
o sacrali e più capaci di critica ragionevole nei confronti di queste ultime. Si
collabora con loro co-decidendo consapevolmente.
Il principio di autorità, profetica o
sacerdotale, genera di solito divisioni molto marcate, mentre promette di
risolvere quelle nella base. Al dunque prevale il più forte, che cerca di
cancellare gli altri. Le lotte alle cosiddette eresie, le differenziazioni ideologiche su punti importanti della fede religiosa, hanno
avuto storicamente quel senso. L’ecumenismo, il processo di superamento delle
divisioni religiose, animato dalle autorità religiose è avanzato molto faticosamente, trascinato dai movimenti espressi dalla base. Ora anche questi ultimi sono in
fase recessiva.
Storicamente il popolo religioso ha chiesto
guide per fare unità: difficilmente l’ha mantenuta per virtù propria, nello
spirito dell’agàpe. Questo è assai difficile anche oggi. Non si riesce ad intendersi e finisce spesso in
rissa, cercando di prevalere per vie di fatto. L’aver sviluppato, nel corso di
due millenni di riflessione religiosa, una complicatissima ed estesissima teologia
rende difficile l’accesso dei più alla riflessione religiosa, ne ha fatto una
questione destinata ad un ceto ristretto studiosi. Il movimento di riforma del Concilio
Vaticano 2° ha cercato di suscitare una migliore competenza teologica nel
laicato, sfruttando anche l’opportunità data dalla maggiore istruzione popolare
sviluppata dai sistemi scolastici improntati ai principi delle democrazie
occidentali. Da qui anche la riforma della catechesi che in Italia si è avviata
a partire dagli anni Settanta. I risultati ci sono stati, ma molto inferiori
alle aspettative, e forse alle possibilità della gente. Di fatto, nell’associazionismo
religioso, quello animato dalle persone che più tempo dedicano alla religione, vale a dire i praticanti e partecipanti, la competenza religiosa appare ancora
piuttosto carente, per cui nessuna discussione ha uno sviluppo utile senza il
supporto di un prete. Molto vago appare, in particolare, l’orientamento
biblico. Di fronte alla Bibbia i più si scoraggiano e, invitati a trovare nel testo argomenti su una certa questione, non lo sanno fare. E’ una situazione che
riguarda giovani e anziani. Non è molto diffusa l’abitudine a ragionare di
Bibbia in un gruppo biblico,
aiutandosi reciprocamente nello studio e nella comprensione. La religiosità,
dunque, mi appare ancora prevalentemente devozionale. Molto forte è quella dei
santi prodigiosi e dei santuari, che ricalca in parte le consuetudini
precristiane, delle quali spesso appare una trasfigurazione. Così è per la
religiosità del miracolo, del resto inculcata anche dalla gerarchia sacrale,
che, ad esempio, fonda le conferme di santità su questo tipo di eventi
prodigiosi.
Che succede se si scontrano il modello profetico e quello sacerdotale in una medesima comunità? L’esperimento
si è fatto da noi in parrocchia, e molto a lungo. Il risultato è quello che
vediamo. Due comunità affiancate, ma
non integrate, che hanno di recente imparato
almeno a convivere, senza voler silenziare l’altra. Si fa vita separata, e
quando si è tentato di incontrarsi per confrontare le proprie religiosità, ci
si è limitati ad esporre, come si dice, i propri punti di vista, incapaci di
trovare un modo di vita comune salvo che, in parte, nella liturgia. Come
sappiamo, anche su quest’ultimo aspetto della vita parrocchiale si sono viste
scintille, e la guerra della Settimana
santa ne è espressione, in quel tempo liturgico in cui si è forzati a
trovarsi insieme e ognuno vorrebbe però fare secondo i propri costumi, imponendoli agli altri. La
missione affidata al parroco giunto tra noi nell’ottobre 2015 è proprio quella
di guidarci a superare questa frattura. Molto si è fatto. Ma molto rimane da
fare. Del resto qui da noi si è vissuta l’esasperazione di una situazione che è
comune più o meno a tutte le comunità in cui esperienze religiose di diversa
impostazione cercano di coesistere nello spirito dell’agàpe, o almeno senza farsi troppo male. Va meglio dove si vive in
una monocultura, come nei movimenti.
La nostra Azione Cattolica è la dimostrazione che un modo diverso di convivere
è realmente possibile. La soluzione proposta in Azione Cattolica, dalla fine degli anni
Sessanta, è quella del metodo democratico,
che comprende diversi importanti principi umanitari, come quello di rispettare
chi la pensa diversamente, di non negare a nessuno la sua dignità di persona,
che sono attuazioni dello spirito dell’agàpe. La pratica della democrazia è tuttavia piuttosto
insufficiente, o inesistente, al di fuori dell’Azione Cattolica, (il tirocinio
dovrebbe iniziare fin da molto piccoli, fin dal primo catechismo) e si scontra
con la storica diffidenza della gerarchia che l’ha duramente combattuta fino ad
un recente passato, trovandola inadatta alle relazioni ecclesiali e da
utilizzare solo in quelle civili, in quanto potenzialmente fonte di indisciplina e sedizione. Ogni
tanto ancora si sbotta nel “La Chiesa non
è una democrazia!”. Non lo è sicuramente ora, ma non farebbe male a diventarlo. Le sarebbe utile proprio per
provare a sanare le divisioni in modo veramente pacifico. La
questione è sempre: “principio di
autorità o agàpe?”. Secondo Paolo di Tarso quest’ultima dovrebbe prevalere in
ogni cosa, nell’autorità come nell’obbedienza e nelle relazioni paritarie.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
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Prima lettera di Clemente Romano ai Corinzi
[dal WEB: https://www.liturgia.it/content/1cor_clem_ita.pdf]
Nota: il
documento fu scritto in greco antico
La Chiesa
di Dio che è a Roma alla Chiesa di Dio che è a Corinto, agli eletti santificati
nella volontà di Dio per nostro Signore Gesù Cristo. Siano abbondanti in voi la
grazia e la pace di Dio onnipotente mediante Gesù Cristo. Elogio dei Corinti I,
1. Per le improvvise disgrazie e avversità capitatevi l'una dietro l'altra, o
fratelli, crediamo di aver fatto troppo tardi attenzione alle cose che si
discutono da voi, carissimi, all'empia e disgraziata sedizione aberrante ed
estranea agli eletti di Dio. Pochi sconsiderati e arroganti l'accesero,
giungendo a tal punto di pazzia che il vostro venerabile nome, celebre e amato
da tutti gli uomini, è fortemente compromesso. 2. Chi, fermandosi da voi, non
ebbe a riconoscere la vostra fede salda e adorna di ogni virtù? Ad ammirare la
vostra pietà cosciente ed amabile in Cristo? Ad esaltare la vostra generosa
pratica dell'ospitalità? A felicitarsi della vostra scienza perfetta e sicura?
3. Facevate ogni cosa, senza eccezione di persona, e camminavate secondo le
leggi del Signore, soggetti ai vostri capi e tributando l'onore dovuto ai
vostri anziani. Esortavate i giovani a pensare cose moderate e degne.
Raccomandavate alle donne di compiere tutto con coscienza piena, dignitosa e
pura, amando sinceramente, come conviene, i loro mariti; insegnavate a ben
accudire alla casa, attenendosi alla norma della sottomissione e ad essere
assai prudenti.
II, 1.
Tutti eravate umili e senza vanagloria, volendo più ubbidire che comandare, più
dare con slancio che ricevere. Contenti degli aiuti di Cristo nel viaggio e
meditando le sue parole, le tenevate nel profondo dell'animo, e le sue
sofferenze erano davanti ai vostri occhi. 2. Così una pace profonda e splendida
era data a tutti e un desiderio senza fine di operare il bene e una effusione
piena di Spirito Santo era avvenuta su tutti. 3. Colmi di volontà santa nel
sano desiderio e con pietà fiduciosa, tendevate le mani verso Dio onnipotente,
supplicandolo di essere misericordioso se in qualche cosa, senza volerlo,
avevate peccato. 4. Giorno e notte per tutta la vostra comunità vi adoperavate
a salvare con pietà e coscienza il numero dei suoi eletti. 5. Gli uni verso gli
altri eravate sinceri, semplici e senza rancori. 6. Ogni sedizione ed ogni
scisma era per voi orribile. Vi affliggevate per le disgrazie del prossimo e
ritenevate le sue mancanze come vostre. 7. Senza pentirvi mai di ogni buona
azione, eravate pronti ad ogni opera di bene. 8. Ornati di una condotta
virtuosa e venerata, compivate ogni cosa nel timore di Lui: i comandamenti e i
precetti del Signore erano scritti nella larghezza del vostro cuore.
Funeste conseguenze della discordia
III, 1.
Ogni onore e abbondanza vi erano stati concessi e si era compiuto ciò che fu
scritto: "Il diletto mangiò e bevve, si fece largo e si ingrassò e
recalcitrò". 2. Di qui gelosia e invidia, contesa e sedizione,
persecuzione e disordine, guerra e prigionia. 3. Così si ribellarono i
disonorati contro gli stimati, gli oscuri contro gli illustri, i dissennati
contro i saggi, i giovani contro i vecchi. 4. Per questo si sono allontanate la
giustizia e la pace, in quanto ognuno ha abbandonato il timore di Dio ed ha
oscurato la sua fede; non cammina secondo i comandamenti divini, non si
comporta come conviene a Cristo, ma procede secondo le passioni del suo cuore
malvagio, in preda alla gelosia ingiusta ed empia attraverso la quale anche
"la morte venne nel mondo".
Esempi del Vecchio Testamento
IV, 1. Così
è scritto: "Accadde che, dopo molti giorni, Caino offrì a Dio in
sacrificio dei frutti della terra e Abele offri anche lui in sacrificio dei
primogeniti delle pecore e del loro grasso. 2. E Dio guardò Abele e i suoi
doni, ma non prestò attenzione a Caino e ai suoi sacrifici. 3. Caino ne fu molto
rattristato e il suo volto mostrava abbattimento. 4. Dio disse a Caino: perché
sei triste, e perché il tuo volto mostra abbattimento? Non hai forse peccato,
se, pur offrendo rettamente il tuo sacrificio, non hai diviso rettamente le
parti? 5. Rasserenati: la tua offerta ritorna a te e tu ne potrai disporre. 6.
Disse Caino al fratello Abele: andiamo in campagna. E avvenne che mentre erano
in campagna Caino si gettò sul fratello e l'uccise". 7. Vedete, fratelli,
l'invidia e la gelosia portarono al fratricidio. 8. Per l'invidia il nostro
padre Giacobbe fuggì dal cospetto di suo fratello Esaù. 9. L'invidia fece
perseguitare Giuseppe sino alla morte e portarlo sino alla schiavitù.
10.L'invidia spinse Mosè a fuggire dalla presenza del Faraone, re di Egitto, nel
sentire da un suo connazionale: "Chi ti ha posto come arbitro e giudice su
di noi? Tu credi di uccidermi come hai ucciso ieri l'egiziano?". 11. Per
invidia Aronne e Maria alloggiarono fuori dell'accampamento. 12. L'invidia
portò vivi nell'inferno Datan ed Abiran per essersi ribellati contro il servo
di Dio Mosè. 13. Per l'invidia David ebbe non solo l'odio degli stranieri, ma
fu anche perseguitato da Saul, re d'Israele.
Esempi del Nuovo Testamento
V, 1. Ma
lasciando gli esempi antichi, veniamo agli atleti vicinissimi a noi e prendiamo
gli esempi validi della nostra epoca. 2. Per invidia e per gelosia le più
grandi e giuste colonne furono perseguitate e lottarono sino alla morte. 3.
Prendiamo i buoni apostoli. 4. Pietro per l'ingiusta invidia non una o due, ma
molte fatiche sopportò, e così col martirio raggiunse il posto della gloria. 5.
Per invidia e discordia Paolo mostrò il premio della pazienza. 6. Per sette
volte portando catene, esiliato, lapidato, fattosi araldo nell'oriente e
nell'occidente, ebbe la nobile fama della fede. 7. Dopo aver predicato la
giustizia a tutto il mondo, giunto al confine dell'occidente e resa
testimonianza davanti alle autorità, lasciò il mondo e raggiunse il luogo
santo, divenendo il più grande modello di pazienza.
Una schiera di eletti
VI, 1. A
questi uomini che vissero santamente si aggiunse una grande schiera di eletti,
i quali, soffrendo per invidia molti oltraggi e torture, furono di bellissimo
esempio a noi. 2. Per gelosia furono perseguitate le donne, giovanette e fanciulle
che soffrirono oltraggi terribili ed empi per la fede. Affrontarono una corsa
sicura ed ebbero una ricompensa generosa, esse deboli nel fisico. 3. La gelosia
allontanò le mogli dai mariti ed alterò la parola del nostro padre Adamo:
"Ecco ella è osso delle mie ossa e carne della mia carne". 4. La
gelosia e la discordia rovinarono molte città e distrussero grandi nazioni.
pentimento
VII, 1.
Carissimi, scriviamo tutte queste cose non solo per avvertire voi, ma anche per
ricordarle a noi. Siamo sulla stessa arena e uno stesso combattimento ci
attende. 2. Lasciamo i vani ed inutili pensieri e seguiamo la norma gloriosa e
veneranda della nostra tradizione. 3. Vediamo ciò che è bello, ciò che è
piacevole e gradito davanti a chi ci ha creato. 4. Guardiamo il sangue di Gesù
Cristo e consideriamo quanto sia prezioso al Padre suo. Effuso per la nostra
salvezza portò al mondo la grazia del pentimento. 5. Scorriamo tutte le
generazioni e notiamo che di generazione in generazione il maestro "diede
luogo al pentimento" per tutti quelli che volevano a lui rivolgersi. 6.
Noè predico il pentimento e tutti quelli che l'ascoltarono furono salvi. 7.
Giona predisse lo sterminio ai Niniviti, ma essi, pentiti dei loro peccati, si
resero propizio Dio pregando ed ebbero la salvezza, benché estranei a Dio.
Il pentimento è desiderato dal Signore
VIII, 1. I
ministri della grazia di Dio parlarono del pentimento per mezzo dello Spirito
Santo. 2. Anche il Signore di tutte le cose parlò del pentimento col
giuramento: "Io vivo - dice il Signore - e non voglio la morte del
peccatore, bensì la sua conversione". Aggiunse anche un buon proposito. 3.
"Pentiti, o casa d'Israele, della tua iniquità. Riferisci ai figli del mio
popolo: anche se i vostri peccati arriveranno dalla terra al cielo e saranno
più rossi dello scarlatto e più neri del sacco, e vi convertite a me con tutto
il cuore e direte: "Padre", io vi ascolterò come un popolo
santo". 4. In un altro passo dice così: "Lavatevi e purificatevi,
toglietevi le cattiverie dalle vostre anime innanzi ai miei occhi. Cessate
dalle vostre iniquità, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia,
liberate l'oppresso, rendete il suo diritto all'orfano e rendete giustizia alla
vedova, e poi discuteremo, dice il Signore. E se i vostri peccati fossero come
la porpora, io li renderò bianchi come la neve; se fossero come lo scarlatto li
renderò bianchi come la lana. Se volete e mi ascoltate, vi nutrirete dei beni
della terra. Se non volete e non mi ascoltate, una spada vi divorerà. Questo
infatti la bocca del Signore disse". 5. Egli nella sua onnipotente volontà
ha deciso che tutti i suoi diletti partecipino al pentimento.
Enoch e Noè
IX, 1.
Obbediamo dunque alla sua grandiosa e gloriosa volontà. Divenuti supplici della
sua misericordia e della sua bontà, prosterniamoci e rivolgiamoci alla sua
pietà, abbandonando la vanità, la discordia e la gelosia che conduce alla
morte. 2. Guardiamo i ministri perfetti della sua grandezza e della sua gloria.
3. Prendiamo Enoch che fu trovato giusto nella sua ubbidienza e fu elevato dal
mondo senza morire. 4. Noè fu trovato fedele. Mediante il suo ministero predicò
al mondo la rinascita ed il Signore, suo tramite, salvò gli animali che in
concordia erano entrati nell'arca.
Abramo
X, 1.
Abramo, chiamato l'amico, fu trovato fedele nell'essere ubbidiente alle parole
di Dio. 2. Egli per ubbidienza uscì dalla sua terra, dalla sua parentela e
dalla casa di suo padre. Per aver abbandonato una piccola terra, una parentela
insignificante e una umile casa, ereditò le promesse di Dio. 3. Dice a lui (il
Signore): "Esci dalla tua terra, dalla tua parentela, dalla casa di tuo
padre per andare nel paese che ti mostrerò. Farò di te una grande nazione, ti
benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai benedetto. Benedirò quelli che
ti benediranno e maledirò quelli che ti malediranno e in te saranno benedette
tutte le tribù della terra". 4. E di nuovo, nel separarsi da Lot, Dio gli
disse: "Alza i tuoi occhi e dal luogo ove sei guarda a nord, a mezzogiorno
e ad oriente verso il mare. Tutta la terra che tu vedi la darò a te e alla tua
discendenza per sempre. 5. Renderò la tua discendenza come la sabbia della
terra. Se qualcuno può contare la sabbia della terra, conterà anche la tua
discendenza". 6. E di nuovo parla: "Dio condusse fuori Abramo e gli
disse: guarda il cielo e conta le stelle se puoi contarle. Così sarà la tua
discendenza. Abramo credette a Dio e gli fu reputato a giustizia". 7. Per
la fede e l'ospitalità gli fu dato un figlio nella vecchiaia e per obbedienza
lo offrì in sacrificio a Dio sopra uno dei monti che gli indicò.
Lot
XI, 1. Per
l'ospitalità e la pietà Lot fu salvato da Sodoma, quando tutta la regione fu
punita dal fuoco e dallo zolfo. Chiaramente il Signore mostrava che egli non
abbandona quelli che sperano in lui, e manda punizioni e tormenti a quelli che
sono ribelli. 2. Infatti la moglie uscita insieme a Lot, poiché era di diversi
sentimenti e in disaccordo, fu trasformata in una colonna di sale. Fu posta
quale segno sino ai nostri giorni, perché fosse noto a tutti che si separano e
non credono alla potenza di Dio, sono di condanna e di esempio a tutte le
generazioni.
Raab
XII, 1. Per
la fede e l'ospitalità fu salvata la meretrice Raab. 2. Quando Gesù di Nave
mando gli esploratori a Gerico e il re della regione seppe che erano venuti ad
esplorare la sua terra mandò gli uomini per prenderli e ucciderli. 3.
L'ospitale Raab allora, dopo averli accolti, li nascose nella soffitta sotto
gli steli di lino. 4. Sopraggiunti (i messi) del re le dissero: "Quelli
che sono venuti ad esplorare la nostra terra sono entrati da te; cacciali
fuori, il re comanda così". Essa rispose: "Gli uomini che cercate
sono entrati da me, ma subito sono usciti e camminano sulla strada" e
mostrava loro la direzione opposta. 5. Disse agli uomini (che aveva nascosto):
"So bene che il Signore Iddio vi affida questa terra; lo spavento e il
terrore sono caduti sugli abitanti. Quando ve ne sarete impadroniti salvate me
e la casa di mio padre". 6. Essi le risposero: "Sarà come tu hai
detto. Quando ti accorgi che stiamo per venire, riunisci tutti i tuoi sotto il
tuo tetto e saranno salvi; quanti saranno trovati fuori della casa saranno
uccisi". 7. Stabilirono di dare un segnale, di appendere, cioè, dello
scarlatto alla casa. Si manifestava così che per mezzo del sangue del Signore
ci sarebbe stato il riscatto per tutti quelli che credono e sperano in Dio. 8.
Vedete, carissimi, che in questa donna non c'era solo la fede, ma anche la
profezia.
L'umiltà XIII, 1.
Dunque, fratelli, siamo umili deponendo ogni baldanza, boria, stoltezza ed ira
e facciamo quello che è scritto. Dice infatti lo Spirito Santo: "I1 saggio
non si glori della sua sapienza nè il forte della sua forza, nè il ricco della
sua ricchezza, ma chi si gloria si glori nel Signore, di ricercarlo e di
praticare il diritto e la giustizia". Ricordiamoci soprattutto delle
parole che il Signore Gesù disse insegnandoci la benevolenza e la magnanimità.
2. Così disse: "Siate misericordiosi per ottenere misericordia; perdonate
per essere perdonati; come farete agli altri, così sarà fatto a voi; come date,
così sarà dato a voi; come giudicate, così sarete giudicati; la bontà che
usate, sarà usata; la misura con la quale misurate, sarà di misura per
voi". 3. Rafforziamoci in questo comandamento e in questi precetti, per
procedere umili ed ubbidienti alle Sue sante parole. Dice la sua santa parola:
4. "A chi rivolgerò lo sguardo se non al mite, al pacifico e a chi teme le
mie parole?".
L'orgoglio
XIV, 1. E'
giusto e santo, fratelli, che noi siamo ubbidienti a Dio, piuttosto che seguire
nell'arroganza e nella sedizione i capi dell'esecranda gelosia. 2. Noi ci
esponiamo non ad un danno leggero, bensì ad un grande pericolo se audacemente
ci abbandoniamo ai voleri di uomini che gettano nella contesa e nelle sedizioni
per distoglierci da ciò che è bene. 3. Siamo buoni gli uni verso gli altri, secondo
la compassione e la dolcezza di chi ci ha fatti. 4. E' scritto: "I buoni
abiteranno la terra, e gli innocenti resteranno su di essa, ma i peccatori vi
saranno sterminati". 5. E dice di nuovo: "Ecco l'empio esaltato e
innalzato come i cedri del Libano; passai e non c'era più e cercai il luogo
dov'era e non lo trovai. Custodisci l'innocenza e osserva la rettitudine. Per
l'uomo pacifico c'è una posterità".
Unità e pace
XV, 1.
Uniamoci, dunque, a quelli che religiosamente vivono la pace e non a quelli che
la vogliono con ipocrisia. 2. Dice infatti: "Questo popolo mi onora con le
labbra e il suo cuore è lontano da me". 3. E di nuovo: "Con la bocca
mi benedicevano e con il cuore mi maledicevano". 4. Di nuovo dice:
"Lo amavano con la bocca e con la lingua gli mentivano, il loro cuore non
era retto con lui, nè rimanevano fedeli alla sua alleanza". 5. Per questo
"divengano mute le loro labbra ingannatrici che dicono iniquità contro il
giusto". E di nuovo: "Disperda il Signore tutte le labbra
ingannatrici, la lingua orgogliosa, quel1i che dicono: noi renderemo potente la
nostra lingua, le nostre labbra sono per noi. Chi è padrone di noi? 6. Per la
miseria dei poveri e i lamenti dei bisognosi mi leverò, dice il Signore, li
porrò in salvo; 7. e parlerò liberamente con loro".
Umiltà di Cristo
XVI, 1.
Cristo è degli umili, non di chi si eleva sul suo gregge. 2. Lo scettro della
maestà di Dio, il Signore Gesù Cristo, non venne nel fragore della spavalderia
e dell'orgoglio - e l'avrebbe potuto - ma nell'umiltà di cuore, come lo Spirito
Santo ebbe a dire di lui: 3. "Signore, chi credette alla nostra voce? e il
braccio del Signore a chi fu rivelato? Noi l'annunciammo alla sua presenza:
egli è come un fanciullo, come una radice nella terra assetata; non ha apparenza
nè gloria. Noi lo vedemmo, non aveva una bella apparenza, ma l'aspetto suo era
spregevole, lontano dall'aspetto degli uomini. Come l'uomo che è nel dolore e
nel travaglio e che sa sopportare l'afflizione perché nasconde il suo volto,
non fu onorato e tenuto in considerazione. 4. Egli porta i nostri peccati e
soffre per noi, e noi l'abbiamo considerato punito, castigato da Dio e
umiliato. 5. Egli fu ferito per i nostri peccati e tribolato per le nostre
malvagità. I1 castigo che ci dà salvezza è su di lui; fummo risanati per le sue
lividure.6. Tutti come pecore eravamo sbandati; l'uomo si era sviato dal suo
cammino. 7. E il Signore diede lui per i nostri peccati, e lui per essere stato
maltrattato, non apre bocca. Come pecora fu condotto al macello e come l'agnello
muto davanti a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca. Nell'umiliazione
fu tolta la sua condanna. 8. Chi spiegherà la sua generazione? La sua vita è
presa dalla terra. 9. Per le malvagità del mio popolo è giunto alla morte. 10.
E darò i malvagi in cambio della sua sepoltura e i ricchi in cambio della sua
morte. 11. Se fate sacrifici per il peccato, la vostra anima vedrà una lunga
posterità. 12. E il Signore vuole liberarlo dall'afflizione della sua anima, mostrargli
la luce e plasmarlo con l'intelligenza e giustificare il giusto che si fa servo
di molti; ed egli porterà i loro peccati. 13. Per questo egli erediterà molti e
dividerà le spoglie dei forti come ricompensa, poiché fu consegnata alla morte
la sua anima, e fu considerato tra i malvagi. 14. Egli portò i peccati di molti
e fu tradito per i loro peccati". 15. E di nuovo egli dice: "Io sono
un verme e non un uomo, obbrobrio degli uomini e disprezzo del popolo. 16.
Tutti quelli che mi vedono mi scherniscono, parlano tra le labbra e scuotono il
capo: ha sperato nel Signore, Lui lo liberi, lo salvi se lo vuole". 17.
Vedete, carissimi, quale modello ci è dato! Se il Signore si è umiliato a tal
punto, che cosa faremo noi che, per mezzo suo, siamo venuti sotto il giogo
della sua grazia?
Umiltà di santi
XVII, 1.
Siamo imitatori di quelli che camminavano nelle pelli di capra e di pecora
annunziando la venuta di Cristo. Alludiamo ai profeti Elia ed Eliseo ed anche
Ezechiele, ed oltre a questi anche a coloro che resero testimonianza. 2. Fu
grandemente testimoniato Abramo e fu chiamato amico di Dio, e dice con umiltà
guardando alla gloria di Dio: "Io sono polvere e cenere". 3. Anche di
Giobbe è scritto così: a Giobbe era giusto, irreprensibile, veritiero, pio,
alieno da ogni male". 4. Ma egli si accusa dicendo: "Nessuno è mondo
da macchia, neppure se la sua vita è di un giorno". 5. Mosè fu chiamato
"il fedele in tutta la sua casa" e per il suo servizio Dio punì
l'Egitto con i flagelli e i tormenti. Ma egli, grandemente onorato, non si vantò
e disse dal roveto quando ebbe la rivelazione: "Chi sono io, perché mandi
me? Io sono debole di voce e di lingua tarda". 6. E di nuovo dice:
"Io sono vapore che esce dalla pentola".
Umiltà di David
XVIII, 1.
Che diremo di David cui fu data testimonianza? A lui disse il Signore: "Ho
trovato un uomo secondo il mio cuore, David figlio di Iesse; lo unsi nella mia
eterna misericordia". 2. Ma anch'egli dice a Dio: "Abbi pietà di me,
secondo la tua grande pietà e la pienezza della tua compassione cancelli la mia
iniquità. 3. Lavami dalla mia malvagità e purificami dal mio peccato perché io
conosco la mia iniquità e il mio peccato mi è sempre davanti. 4. Contro te solo
ho peccato ed ho fatto il male alla tua presenza, perché tu sia trovato giusto
nelle tue parole e vinca quando sei chiamato in giudizio. 5. Ecco, sono stato
concepito nell'iniquità e nei peccati mi concepì mia madre. 6. Ecco, tu hai
amato la verità e mi hai svelato gli arcani e i segreti della tua sapienza. 7.
Mi aspergerai con l'issopo e sarò purificato, mi laverai e sarò bianco più
della neve. 8. Mi farai sentire allegria e gioia ed esalteranno le ossa
umiliate. 9. Distogli il tuo volto dai miei peccati e cancella tutte le mie
iniquità. 10. Crea in me un cuore puro, o Dio, e rinnova nelle mie viscere uno
spirito retto. 11. Non cacciarmi dal tuo cospetto e non togliere da me il tuo
santo spirito. 12. Dammi la gioia della tua salvezza e fortificami con lo
spirito che mi guidi. 13. Insegnerò ai perversi le tue vie e gli empi si
convertiranno a te. 14. Purificami dai delitti di sangue, o Dio, Dio della mia
salvezza. 15. La mia lingua celebrerà la tua giustizia. Signore tu aprirai la
mia bocca e le mie labbra annunzieranno la tua lode. 16. Se tu volessi un
sacrificio lo darei; tu non ti compiaci di olocausti. 17. E' sacrificio a Dio
uno spirito contrito; Dio non disprezzerà un cuore contrito ed umiliato".
La pace
XIX, 1.
L'umiltà e la modestia di siffatti uomini, tanto celebri per l'obbedienza,
hanno reso migliori non solo noi, ma anche le generazioni a noi precedenti e quelli
che recepiscono le parole di Lui nel timore e nella verità. 2. Partecipi,
dunque, di molte e grandi azioni gloriose, corriamo verso la meta di pace
dataci fin dal principio e guardiamo il padre e creatore di tutto l'universo.
Attacchiamoci ai doni e ai benefici della pace, magnifici e sublimi. 3.
Contempliamolo con il pensiero e guardiamo con gli occhi dell'anima la grande
sua volontà! Consideriamo quanto sia equanime verso ogni sua creatura.
L'armonia del mondo nella pace e nella
concordia
XX, 1. I
cieli che si muovono secondo l'ordine di Lui gli ubbidiscono nell'armonia. 2.
Il giorno e la notte compiono il corso da Lui stabilito e non si intralciano a
vicenda. 3. Il sole e la luna e i cori delle stelle secondo la Sua direzione
girano in armonia senza deviazione per le orbite ad essi assegnate. 4. La
terra, feconda per Sua volontà, produce abbondante nutrimento per gli uomini,
per le fiere e per tutti gli animali che vivono su di essa, senza riluttanza e
senza cambiare nulla dei Suoi ordinamenti. 5. Le cose misteriose degli abissi e
i giudizi inesplicabili degli inferi sono retti dagli stessi ordinamenti. 6. La
massa del mare immenso che nella sua creazione si raccolse nei suoi antri, non
supera i limiti posti, ma come fu ad esso ordinato, così agisce. 7. Disse
infatti: "Fin qui tu verrai, e i tuoi flutti si infrangeranno in te
stesso". 8. L'oceano senza fine per gli uomini e i mondi, che sono oltre,
sono retti dalle stesse leggi del Signore. 9. Le stagioni di primavera,
d'estate, d'autunno e d'inverno si susseguono in armonia una dopo l'altra. 10.
I venti nell'incalzarsi compiono nel proprio tempo il loro servizio senza
intralcio; le sorgenti perenni create per il rinfrancamento e la salute, senza
mai cessare, offrono da bere per la vita degli uomini. Anche gli animali più
piccoli si riuniscono nella pace e nella concordia. 11. Il creatore e signore
dell'universo dispose che tutte queste cose fossero nella pace e nella
concordia, benefico verso tutto e particolarmente verso di noi che ricorriamo
alla sua pietà per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo. 12. A Lui la gloria e
maestà nei secoli dei secoli. Amen.
Ubbidienza al Signore
XXI, 1.
Guardate, carissimi, che i numerosi benefici di Lui non diventino condanna per
noi se vivendo in modo degno di Lui non facciamo nella concordia ciò che è
bello e gradito al suo cospetto. 2. Dice, infatti, in un luogo: "Lo
Spirito del Signore è lucerna che esplora le profonditàlle viscere". 3.
Consideriamo che egli è vicino e nulla gli sfugge nè dei nostri pensieri nè dei
discorsi che facciamo. 4. E' quindi giusto che non ci discostiamo dalla sua
volontà. 5. E' meglio urtare gli uomini stolti, ignoranti, superbi, vanagloriosi
nella spavalderia della loro parola che urtare Dio. 6. Veneriamo il Signore
Gesù Cristo il cui sangue fu dato per noi, rispettiamo quelli che ci guidano,
onoriamo gli anziani, educhiamo i giovani al timore di Dio, indirizziamo al
bene le nostre donne. 7. Esse mostrino l'indimenticabile costume della purezza,
manifestino la loro vera volontà di pace, rendano palese la moderazione della
loro lingua mediante il silenzio ed esercitino la carità non secondo le
passioni, ma santamente senza parzialità per tutti quelli che temono Dio. 8. I
nostri figli partecipino dell'educazione in Cristo; imparino che cosa possano
l'umiltà e l'amore presso il Signore e come sia bello e grande il timore di Lui
che salva tutti quelli che vivono santamente in Lui con mente pura. 9. Egli è
scrutatore dei pensieri e dei sentimenti. Il suo spirito è in noi, e quando
vuole lo toglie.
La grandezza della fede e la miseria dei
peccatori
XXII, 1. La
fede in Cristo conferma tutte queste cose. Egli per mezzo dello Spirito Santo
così ci esorta: "Figli, ascoltatemi: vi insegnerò il timore del Signore.
2. Chi è l'uomo che vuole la vita, desiderando vedere giorni felici? Frena la
tua lingua dal male e le tue labbra dal parlare con inganno. 4. Evita il male e
opera il bene. 5. Cerca la pace e perseguila. 6. Gli occhi del Signore sono sui
giusti e le sue orecchie attente alla loro supplica. La faccia del Signore è
verso quelli che fanno il male, per distruggere dalla terra il loro ricordo. 7.
Il giusto ha gridato e il Signore l'ha ascoltato e l'ha liberato da tutti gli
affanni. 8. Molte sono le tribolazioni del giusto, ma da tutte lo libererà il
Signore". E ancora: "Molte sono le afflizioni del peccatore, ma la
misericordia circonderà coloro che sperano nel Signore".
Fede in Cristo
XXIII, 1. Il
Padre misericordioso e benevolo in tutto ha cuore verso coloro che lo temono, e
con dolcezza e con soavità offre le sue grazie a quelli che si rivolgono a lui
con semplicità di pensiero. 2. Perciò non restiamo dissociati, nè la nostra
anima si gonfi dei suoi benefici sovrabbondanti e magnifici. 3. Non sia per noi
la Scrittura quando parla: "Infelici quelli dall'animo doppio e vacillanti
nello spirito che dicono: queste cose udimmo già dai padri nostri, ora siamo
diventati vecchi e nulla di questo ci è accaduto. 4. O stolti paragonatevi ad
un albero; prendete ad esempio la vite; prima perde le foglie, poi si ha il
germoglio, poi la foglia, poi il fiore e dopo ciò il grappolo verde, infine
l'uva matura".Vedete che in poco tempo il frutto dell'albero si matura. 5.
In verità presto e improvvisamente si compirà la volontà di Lui, e lo attesta
anche la Scrittura: "Egli verrà presto e non tarderà" e
"all'improvviso verrà il Signore nel suo tempio e il santo che voi
attendete".
La risurrezione
XXIV, 1.
Carissimi, notiamo come il Signore ci mostri di continuo la futura resurrezione
di cui ci diede come primizia il Signore Gesù Cristo risuscitandolo dai morti.
2. Osserviamo, carissimi, la resurrezione che avviene di volta in volta. 3. Il
giorno e la notte ci mostrano la resurrezione; cessa la notte e sorge il
giorno; se ne va il giorno e sopraggiunge la notte. 4. Prendiamo i frutti. In
che modo e in qual parte germoglia il seme? 5. Uscì il seminatore e gettò nella
terra i semi; secchi e nudi caduti nella terra si dissolvono. Poi la grandezza
della provvidenza del Signore li fa rinascere, e da uno solo crescono molti e
portano frutto.
La fenice
XXV, 1.
Consideriamo lo strano prodigio che avviene nelle terre d'oriente, cioè in
quelle vicino all'Arabia. 2. Vi è un uccello chiamato fenice: è il solo della
specie e vive cinquecento anni. Quando è vicino a morire si fa un nido con
incenso, mirra ed altri aromi e giunta l'ora vi entra e muore. 3. Dalla carne
in putrefazione nasce un verme che nutrendosi dei succhi dell'animale morto,
mette le ali. Poi, divenuto forte prende quel nido in cui sono le ossa del suo
genitore e portandoselo passa dall'Arabia all'Egitto nella città chiamata
Eliopoli. 4. E di giorno sotto lo sguardo di tutti, volando sull'altare del
sole lo depone e così torna indietro. 5. Pertanto i sacerdoti esaminano gli
annali e trovano che esso è giunto al compiersi del cinquecentesimo anno.
La grandezza delle promesse
XXVI, 1.
Riteniamo, dunque, cosa grande e straordinaria che il creatore dell'universo
opererà la risurrezione di coloro che lo hanno servito santamente nella
sicurezza di una fede sincera. Non ci comprova anche in un uccello la grandezza
della sua promessa? 2. Dice infatti: "Mi risusciterai e ti loderò".
E: "Mi coricai e dormii, mi svegliai poiché tu sei con me". 3. E
ancora dice Giobbe: "E risusciterai questa mia carne che ha sopportato
queste cose".
Il Signore tutto conosce e possiede
XXVII, 1.
Con questa speranza le nostre anime si stringano al fedele nelle promesse e al
giusto nei giudizi. 2. Chi ci ordina di non mentire, egli soprattutto non
mentirà. Nulla è impossibile a Dio, tranne il mentire. 3. Si riaccenda dunque la
fede di lui in noi, e riflettiamo che ogni osa gli è vicina. 4. Nella parola
della sua maestà ha fatto sussistere tutte le cose e nella parola le può
distruggere. 5. Chi gli può chiedere: "Cosa hai fatto? Chi può resistere
alla potenza della sua forza?". Quando vuole e come vuole farà ogni cosa e
nulla cadrà delle cose da lui stabilite. 6. Tutto gli è presente e nulla si
cela alla sua volontà. 7. Se "I cieli narrano la gloria di Dio e il
firmamento annunzia l'opera delle sue mani; il giorno la trasmette al giorno e
la notte la fa conoscere alla notte; e non esistono parole nè lingue di cui non
si comprendono i suoni".
Dio tutto vede e ascolta
XXVIII, 1.
Dio vede ed ascolta dunque ogni cosa. Temiamolo abbandonando i malvagi desideri
di opere ignobili per essere protetti con la sua misericordia nel giudizio
futuro. 2. Dove uno di noi può sfuggire alla sua potente mano? Quale mondo può
dare rifugio a chi lo diserta? Dice infatti la Scrittura: 3. "Dove andrò e
dove mi nasconderò al tuo sguardo? Se salgo in cielo, tu sei là; se vado agli
estremi limiti della terra, là è la tua destra; se mi stendo negli abissi, là è
il tuo spirito". 4. Dove uno può ritirarsi? Dove può fuggire lontano da
chi tutto abbraccia?
Israele popolo eletto
XXIX, 1.
Avviciniamoci a Lui nella santità dell'anima, alzando a Lui le mani pure e
senza macchia e amando il nostro padre benevolo e misericordioso, il quale fece
di noi una porzione scelta per sè. 2. Così, infatti, è scritto: "Quando
l'Altissimo distribuì le genti e disseminò i figli di Adamo, stabilì i confini
delle nazioni secondo il numero degli angeli di Dio. Porzione del Signore fu il
popolo di Giacobbe, Israele fu la parte della sua eredità". 3. In un altro
passo la Scrittura dice: "Ecco, il Signore ha preso per sè un popolo in
mezzo alle genti come un uomo serba per sé a primizia della sua aia. Da questo
popolo uscirà il santo dei santi".
Le opere e non le parole
XXX,
1.Essendo noi una porzione santa, praticheremo tutto ciò che appartiene alla
santità: fuggiamo le maldicenze, gli amplessi impuri e ignobili, l'ubriachezza,
la mania innovatrice, le passioni orribili, l'adulterio infame e l'orgoglio
odioso. 2. "Dio, infatti, dicono, resiste ai superbi, e dà la grazia agli
umili". 3. Uniamoci dunque a coloro ai quali la grazia è data da Dio;
rivestiamoci della concordia rendendoci umili e padroni di noi stessi, lontani
da ogni mormorazione e maldicenza, giudicando con le opere e non con le parole.
4. La Scrittura dice infatti: "Chi parla molto, anche a sua volta
ascolterà; il ciarliero pensa forse di essere giusto? 5. Benedetto il nato da
donna che ha vita breve. Non essere abbondante di parole". 6. La nostra
lode sia in Dio e non per noi stessi. Dio disdegna i lodatori di se stessi. 7.
La testimonianza della buona azione sia data agli altri, come fu data ai nostri
padri giusti. 8. La temerità, la presunzione e l'audacia sono per i maledetti
da Dio; la benevolenza, l'umiltà e la dolcezza, invece, per i benedetti da Dio.
Benedizione divina
XXXI, 1.
Uniamoci alla Sua benedizione e vediamone le vie. Sfogliamo gli avvenimenti
dall'inizio. 2. Per quale motivo il nostro padre Abramo fu benedetto se non per
aver praticato con fede la giustizia e la verita? 3. Isacco, conoscendo il
futuro, con fiducia si fece volentieri condurre al sacrificio. 4. Giacobbe con
umiltà si allontanò dalla sua terra per il fratello e andò da Labano e ne
divenne servitore. A lui fu dato lo scettro delle dodici tribù di Israele.
La fede
XXXII, 1. A
considerare sinceramente uno ad uno i beni elargiti da lui si riconosceranno
grandiosi. 2. Da Giacobbe, discendono tutti i sacerdoti e i leviti ministri
dell'altare di Dio; da lui il Signore Gesù secondo la carne; da lui i re, gli
arconti e i capi secondo Giuda; ne sono di piccola gloria gli altri scettri,
come Dio aveva promesso: "La tua discendenza sarà numerosa come le stelle
del cielo". 3. Tutti furono glorificati ed esaltati non per se stessi o
per le loro opere o per l'azione giusta che avevano compiuto, ma per la volontà
Sua. 4. E noi, dunque, che per Sua volontà siamo stati chiamati in Gesù Cristo,
non siamo giustificati nè per la nostra sapienza o intelligenza o pietà o le
opere compiute in santità di cuore, ma per la fede con la quale Dio onnipotente
giustificò tutti sin dal principio. A Lui sia gloria nei secoli dei secoli.
Amen.
Le opere buone
XXXIII, 1.
Che faremo o fratelli? Cesseremo di fare il bene e trascureremo la carità?
Giammai permetta il Signore che questo avvenga tra noi, ma con zelo ed ardore
sforziamoci di compiere ogni opera buona. 2. Lo stesso artefice e signore
dell'universo si compiace delle sue opere. 3. Con la sua immensa potenza fissò
i cieli e li ornò con la sua incomprensibile intelligenza. Separò la terra
dall'acqua che la circonda e la stabilì sul saldo fondamento della sua volontà
e con il suo comando chiamò in vita tutti gli animali che in essa s'aggirano.
Avendo preparato il mare e gli animali che sono in esso con la sua potenza li
rinchiuse. 4. Con le mani sacre ed immacolate plasmò l'uomo, l'essere superiore
e che tutto governa, quale impronta della sua immagine. 5. Così dice il
Signore: "Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza. E Dio creò
l'uomo; li fece maschio e femmina". 6. Avendo compiuto tutte queste cose
le approvò e le benedisse col dire: "Crescete e moltiplicatevi". 7.
Vediamo che tutti i giusti furono ornati di opere buone, e lo stesso Signore
che si era ornato di opere buone provò gioia. 8. Con un tale modello volgiamoci
senza indugio alla Sua volontà e con tutta la nostra forza applichiamoci
all'opera di giustizia.
Partecipi delle grandi promesse
XXXIV, 1.
Il buon operaio prende a fronte alta il pane del suo lavoro mentre il pigro e
l'indolente non guardano il datore di lavoro. 2. Conviene dunque che siamo
premurosi nel fare il bene; da Lui ci viene ogni cosa. 3. Lo ha dichiarato:
"Ecco il Signore, e davanti a lui sta la mercede da dare a ciascuno
secondo la sua opera". 4. Poichè noi crediamo con tutto il cuore in Lui,
ci esorta a non essere inoperosi nè trascurati in ogni opera buona. 5. Siano in
Lui il nostro vanto e la nostra sicurezza, sottostiamo alla sua volontà e
consideriamo che tutta la schiera dei suoi angeli, stando intorno a lui,
adempie la sua volontà. 6. Dice, infatti, la Scrittura: "Miriadi e miriadi
stavano intorno a lui e mille migliaia lo servivano e gridavano: Santo, santo,
santo il Signore Sabaoth; tutta la creazione è piena della sua gloria". 7.
E noi, riuniti nella concordia e dall'intimo come da una sola bocca, gridiamo
con insistenza verso di lui che ci renda partecipi delle sue grandi e gloriose
promesse. 8. La Scrittura dice infatti: "Occhio non vide, orecchio non
ascoltò e non penetrò nel cuore dell'uomo quanto ha preparato per quelli che
l'attendono".
Una grande ricompensa
XXXV, 1.
Come sono magnifici e mirabili i doni di Dio, o carissimi. 2. Vita
nell'immortalità, splendore nella giustizia, verità nella libertà, la fede nella
sicurezza, padronanza di sé nella santità. Tutte queste cose cadono sotto la
nostra intelligenza. 3. Quali sono le cose preparate per quelli che le
attendono? Il creatore e padre dei secoli, il santissimo, sa la quantità e la
bellezza di esse. 4. Noi, dunque, lottiamo per trovarci nel numero di quelli
che lo attendono per essere partecipi dei doni promessi. 5. Come questo
avverrà, o carissimi? Se la nostra mente sarà fissa fedelmente in Dio, se
cercheremo le cose a lui accette e gradite, se compiremo ciò che conviene alla
sua volontà irreprensibile e seguiremo la via della verità, allontanando da noi
ogni ingiustizia e cattiveria, avarizia, contese, malignità e inganni,
mormorazioni, maldicenze, odio a Dio, orgoglio, iattanza, vanagloria e
inospitalità. 6. Quelli che fanno queste cose sono odiosi a Dio e "non
solo quelli che le fanno, ma anche quelli che le approvano". 7. Dice
infatti la Scrittura: "A1 peccatore Dio parlò: Perché spieghi i miei
precetti ed hai sulla bocca la mia alleanza? 8. Tu odiasti la disciplina e
gettasti dietro le spalle le mie parole. Se vedevi un ladro, correvi con lui, e
con gli adulteri avevi la parte. La tua bocca era piena di malvagità e la tua
lingua tesseva inganni. Sedendo sparlavi di tuo fratello e al figlio di tua
madre ponevi tranelli. 9. Questo facevi e io tacqui; tu supponevi, iniquo, che
io ti fossi simile. 10. Ti confonderò e ti porro faccia a faccia con te stesso.
11. Capite queste cose, voi che vi dimenticate di Dio, perché non vi assalga
come un leone e non ci sia chi vi liberi. 12. Un sacrificio di lode mi darà
gloria; ivi la strada con la quale gli mostrerò la salvezza di Dio".
Gesù Cristo, la salvezza
XXXVI, 1.
Questa la strada, o beneamati, nella quale troviamo salvezza: Gesù Cristo il
sommo sacerdote delle nostre offerte, il protettore e l'aiuto della nostra
debolezza. 2. Per mezzo suo fissiamo lo sguardo sulle altezze dei cieli, per
mezzo suo osserviamo come in uno specchio la sua faccia immacolata e sublime,
per mezzo suo si sono aperti gli occhi del cuore, per mezzo suo la nostra mente
ottusa e ottenebrata rifiorisce alla luce, per mezzo suo il Signore ha voluto
farci gustare la scienza immortale. "Egli, splendore della maestà divina,
di tanto è superiore agli angeli di quanto il nome che ebbe in eredita è più
eccellente". 3. E' scritto così: "Egli ha fatto dei venti i suoi
messaggeri e delle vampe di fuoco i suoi ministri". 4. Di suo figlio così
disse il Signore: "Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato. Chiedi a me e
ti darò le genti in tua eredità e tuoi saranno i confini della terra". 5.
E di nuovo gli dice: "Siedi alla mia destra finchè io ponga i nemici a
sgabello dei tuoi piedi". 6. Chi sono i nemici? I malvagi e quelli che si
oppongono alla sua volontà.
Cristo, la nostra guida
XXXVII, 1.
Militiamo, fratelli, con ogni nostra prontezza sotto i suoi ordini
irreprensibili. 2. Consideriamo i soldati sotto gli ufficiali, con quale
ordine, disciplina e sottomissione eseguono i comandi. 3. Non tutti sono
proconsoli, nè capi di mille, cento, nè di cinquanta e così di seguito, ma
ciascuno nel proprio ordine esegue i comandi dei re o dei governanti. 4. I
grandi non possono stare senza i piccoli e i piccoli senza i grandi; in tutte
le cose c'è qualche collegamento e in questo la utilità. 5. Prendiamo il nostro
corpo. La testa non può stare senza i piedi, nè i piedi senza la testa. Le più
piccole parti del nostro corpo sono necessarie ed utili a tutto il corpo; ma
tutte convivono ed hanno una sola subordinazione per salvare tutto il corpo.
Tutti i beni da Dio
XXXVIII, 1.
Si conservi dunque tutto il nostro corpo in Cristo Gesù e ciascuno si
sottometta al suo prossimo, secondo la grazia in cui fu posto. 2. Il forte si
prenda cura del debole, e il debole rispetti il forte. Il ricco soccorra il
povero, il povero benedica Dio per avergli dato chi supplisce alla sua
indigenza. Il saggio dimostri la sua saggezza non nelle parole, ma nelle opere
buone. L'umile non testimoni a se stesso, ma lasci che sia testimoniato da
altri. Il casto nella carne non si vanti, sapendo che un altro gli concede la
continenza. 3. Consideriamo, fratelli, di quale materia siamo fatti, come e chi
entrammo nel mondo, da quale fossa e tenebra colui che ci plasmò e ci creò ci
condusse al mondo. Egli aveva preparato i benefici prima che noi fossimo nati.
4. Abbiamo tutto da lui, di tutto lo dobbiamo ringraziare. A lui la gloria nei
secoli. Amen.
Niente superbia
XXXIX, 1.
Gli sciocchi, gli insensati, i pazzi, gli ineducati, ci deridono e ci
scherniscono, volendo esaltarsi con i propri sentimenti. 2. Che cosa può un
mortale? Quale la forza di chi nasce dalla terra? 3. E' scritto infatti:
"Non vi era una figura davanti ai miei occhi, ma percepivo un soffio di
vento e una voce. 4. Che dunque? Sarà puro un mortale davanti al Signore? O
sarà incensurabile nelle sue opere l'uomo se non si fida dei suoi servi e
scorge il torto anche nei suoi angeli? 5. Non è puro neanche il cielo al suo
cospetto. 94. Ahimè, quelli che abitano case di fango, tra i quali siamo anche
noi di quel fango! Li ha schiacciati come un tarlo e dal mattino alla sera non
esistono più. Perirono per non poter aiutare se stessi. 6. Soffiò su di loro e
morirono, perché non avevano saggezza. 7. Tu chiama se qualcuno ti ascolterà o
se vedrai qualche angelo santo. L'ira rovina lo sciocco e la gelosia uccide il
perverso. 8. Ho visto gli stolti mettere radici, ma subito la loro vita fu
divorata. 9. Siano lungi dalla salvezza i loro figli; siano disprezzati davanti
alle porte dei più infelici. Non vi sarà chi li liberi. I beni per loro
preparati li consumeranno i giusti; essi, invece, non saranno liberati dai
mali".
I tempi stabiliti
XL, 1. Sono
per noi evidenti queste cose e siamo scesi nelle profondità della conoscenza
divina. Dobbiamo fare con ordine tutto quello che il Signore ci comanda di
compiere nei tempi fissati. 2. Egli ci prescrisse di fare le offerte e le
liturgie, e non a caso o senz'ordine, ma in circostanze ed ore stabilite. 3. Egli
stesso con la sua sovrana volontà determina dove e da chi vuole siano compiute,
perché ogni cosa fatta santamente con la sua santa approvazione sia gradita
alla sua volontà. 4. Coloro che fanno le loro offerte nei tempi fissati sono
graditi e amati. Seguono le leggi del Signore e non errano. 5. A1 gran
sacerdote sono conferiti particolari uffici liturgici, ai sacerdoti è stato
assegnato un incarico specifico e ai leviti incombono propri servizi. Il laico
è legato ai precetti laici.
Piacere a Dio
XLI, 1.
Ciascuno, o fratelli, nel suo posto piaccia a Dio, agendo in buona coscienza e
dignità, senza infrangere la norma stabilita per il suo compito. 2. Non si
offrano dappertutto, o fratelli, sacrifici perpetui o votivi, o di espiazione o
di riparazione, ma solo a Gerusalemme. Ivi pure non si offrano sacrifici in
ogni luogo, ma innanzi al tempio sull'altare, dopo un esame minuto della
vittima da parte del sommo sacerdote e dei ministri prima ricordati. 3. Quelli
che agiscono non conformi alla di lui volontà meritano la pena di morte. 4.
Vedete, fratelli, quanto maggiore è la scienza di cui fummo degnati, tanto
maggiore il pericolo cui siamo esposti.
I ministri della Chiesa
XLII, 1.
Gli apostoli predicarono il Vangelo da parte del Signore Gesù Cristo che fu
mandato da Dio. 2. Cristo fu inviato da Dio e gli apostoli da Cristo. Ambedue
le cose ordinatamente secondo la volontà di Dio. 3. Ricevuto il mandato e pieni
di certezza nella risurrezione del Signore nostro Gesù Cristo e fiduciosi nella
parola di Dio con l'assicurazione dello Spirito Santo, andarono ad annunziare
che il regno di Dio stava per venire. 4. Predicavano per le campagne e le città
e costituivano le primizie del loro lavoro apostolico, provandole nello
spirito, nei vescovi e nei diaconi dei futuri fedeli. 5. E questo non era
nuovo; da molto tempo si era scritto intorno ai vescovi e ai diaconi. Così,
infatti, dice la Scrittura: "Stabilirono i loro vescovi nella giustizia e
i loro diaconi nella fede".
La dignità sacerdotale
XLIII, 1.
Che meraviglia se quelli che avevano fede in Cristo stabilirono come opera da
parte di Dio i ministri predetti? Anche Mosè "fedele servitore in tutta la
casa" segnò nei libri sacri tutto ciò che gli fu ordinato. Gli altri
profeti lo seguirono rendendo testimonianza alle norme stabilite da lui. 2.
Quando sorse gelosia intorno al sacerdozio e le tribù si disputavano quale di
esse si sarebbe ornata del nome glorioso, egli ordinò ai dodici capitribù di
portargli delle verghe e che ciascuna fosse contrassegnata dal nome. Avendole
prese, le legò, le sigillò con gli anelli dei capitribù e le pose nel
tabernacolo della testimonianza sulla tavola di Dio. 3. Chiuso il tabernacolo
sigillò le chiavi come le verghe. 4. E disse loro: "Fratelli, la tribù la
cui verga germoglierà, Dio sceglie per esercitare il sacerdozio e
servirlo". 5. Venuto il mattino, convocò tutto Israele, seicentomila
uomini. Mostrò i sigilli ai capitribù e aprì il tabernacolo della testimonianza
e tirò fuori le verghe. E si trovò che la verga di Aronne non solo era
germogliata, ma aveva anche il frutto. Che ve ne pare, o carissimi? Mosè non
prevedeva che questo sarebbe accaduto? Lo sapeva davvero. Fece così perché non
scoppiasse un tumulto in Israele e fosse glorificato il nome del vero e
dell'unico Dio. A lui sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Giusto ufficio
XLIV, 1. I
nostri apostoli conoscevano da parte del Signore Gesù Cristo che ci sarebbe
stata contesa sulla carica episcopale. 2. Per questo motivo, prevedendo
esattamente l'avvenire, istituirono quelli che abbiamo detto prima e poi
diedero ordine che alla loro morte succedessero nel ministero altri uomini
provati. 3. Quelli che furono stabiliti dagli Apostoli o dopo da altri illustri
uomini con il consenso di tutta la Chiesa, che avevano servito rettamente il
gregge di Cristo con umiltà, calma e gentilezza, e che hanno avuto
testimonianza da tutti e per molto tempo, li riteniamo che non siano
allontanati dal ministero. 4. Sarebbe per noi colpa non lieve se esonerassimo
dall'episcopato quelli che hanno portato le offerte in maniera ineccepibile e
santa. 5. Beati i presbiteri che, percorrendo il loro cammino, hanno avuto una
fine fruttuosa e perfetta! Essi non hanno temuto che qualcuno li avesse
allontanati dal posto loro stabilito. 6. Noi vediamo che avete rimosso alcuni,
nonostante la loro ottima condotta, dal ministero esercitato senza reprensione
e con onore.
La persecuzione dei giusti
XLV, 1. Voi
siete pieni di emulazione e di zelo nelle cose che riguardano la salvezza. 2.
Vi siete curvati sulle Sacre Scritture, le vere, date dallo Spirito Santo. 3.
Siete convinti che nulla di ingiusto e di falso è scritto in esse. Non
troverete che i giusti siano stati ricusati da uomini santi. 4. I giusti sono
stati perseguitati, ma dagli ingiusti; sono stati imprigionati, ma dagli empi;
sono stati lapidati, ma dagli iniqui; uccisi da quelli che vengono presi
dall'invidia perversa e malvagia. 5. Essi sopportarono gloriosamente queste
sofferenze. 6. Che dire, o fratelli? Daniele forse fu gettato nella fossa dei
leoni da quelli che temevano Dio? 7. Anania, Azaria e Misaele furono chiusi in
una fornace di fuoco da quelli che praticavano il culto grande e glorioso
dell'Altissimo? Giammai questo. Chi sono, dunque, quelli che l'hanno commesso?
Persone detestabili e piene di ogni cattiveria spinsero il loro furore sino al
punto da mandare alla tortura quelli che servivano Dio in santità e senza
reprensione. Esse non sapevano che l'Altissimo è difensore e protettore di
quelli che con coscienza difendono il suo santo nome. A lui la gloria nei
secoli dei secoli. Amen. 8.Coloro che hanno sopportato con fiducia hanno
ereditato la gloria e l'onore, sono stati esaltati e scritti da Dio nel suo
memoriale per i seco1i dei secoli. Amen.
Attaccarsi ai giusti
XLVI, 1. A
siffatti esempi bisogna, fratelli, che ci atteniamo anche noi. 2. E' scritto,
infatti: "Attaccatevi ai santi perché quelli che sono uniti ad essi
diverranno santi". 3. E di nuovo in un altro luogo la Scrittura dice:
"Con l'innocente sarai innocente, con l'eletto sarai eletto, ma con il
perverso ti pervertirai". 4. Attacchiamoci dunque agli innocenti e ai
giusti, sono gli eletti di Dio. 5. Perché tra voi contese, ire, dissensi, scismi
e guerra? 6. Non abbiamo un solo Dio, un solo Cristo e un solo spirito di
grazia effuso su di noi e una sola vocazione in Cristo? 7. Perché strappiamo e
laceriamo le membra di Cristo e insorgiamo contro il nostro corpo giungendo a
tanta pazzia da dimenticarci che siamo membra gli uni degli altri? Ricordatevi
delle parole di Gesù e nostro Signore. 8. Disse, infatti: "Guai a
quell'uomo; sarebbe stato meglio che non fosse nato, piuttosto che
scandalizzare uno dei miei eletti. Meglio per lui che gli fosse stata attaccata
una macina e fosse stato gettato nel mare, piuttosto che pervertire uno del
miei eletti". Il vostro scisma ha sconvolto molti e molti gettato nello
scoraggiamento, molti nel dubbio, tutti noi nel dolore. Il vostro dissidio è
continuo.
La discordia
XLVII,
1.Prendete la lettera del beato Paolo apostolo. 2. Che cosa vi scrisse
all'inizio della sua evangelizzazione? 3. Sotto l'ispirazione dello Spirito vi
scrisse di sé, di Cefa, e di Apollo per aver voi allora formato dei partiti. 4.
Ma quella divisione portò una colpa minore. Parteggiavate per apostoli che
avevano ricevuto testimonianza e per un uomo (Apollo) stimato da loro. 5. Ora,
invece, considerate chi vi ha pervertito e ha menomato la venerazione della
vostra rinomata carità fraterna. 6. E' turpe, carissimi, assai turpe e indegno
della vita in Cristo sentire che la Chiesa di Corinto, molto salda e antica,
per una o due persone si è ribellata ai presbiteri. 7. E tale voce non solo è
giunta a noi, ma anche a chi è diverso da noi. Per la vostra sconsideratezza si
è portato biasimo al nome del Signore e si è costituito un pericolo per voi
stessi.
La porta della giustizia
XLVIII, 1.
Liberiamocene subito e gettiamoci ai piedi del Signore. Piangendo,
supplichiamolo che fattosi propizio si riconcili con noi e ci ristabilisca
nella nobile e santa pratica della carità fraterna. 2. Questa è la porta della
giustizia aperta alla vita, come è scritto: "Apritemi le porte della
giustizia; entrando confesserò il Signore. 3. Questa è la porta del Signore; i
giusti entreranno per essa". 4. Molte sono le porte aperte, (ma) quella
della giustizia è in Cristo. Beati sono tutti quelli che vi entrano e dirigono
il loro cammino nella santità e nella giustizia, tutto facendo tranquillamente.
5. Ciascuno sia fedele, sia capace di esporre la scienza, sia saggio nel
giudicare i motivi, sia puro nelle opere. 6. Tanto più occorre che sia umile
quanto più è creduto molto grande, e deve cercare il bene comune per tutti e
non quello proprio.
La carità
XLIX, 1.
Chi ha la carità in Cristo pratichi i suoi comandamenti. 2. Chi può spiegare il
vincolo della carità di Dio? 3. Chi è capace di esprimere la grandezza della
sua bellezza? 4. L'altezza ove conduce la carità è ineffabile. 5. La carità ci
unisce a Dio: "La carità copre la moltitudine dei peccati". La carità
tutto soffre, tutto sopporta. Nulla di banale, nulla di superbo nella carità.
La carità non ha scisma, la carità non si ribella, la carità tutto compie nella
concordia. Nella carità sono perfetti tutti gli eletti di Dio. Senza carità
nulla è accetto a Dio. 6. Nella carità il Signore ci ha presi a sé. Per la
carità avuta per noi, Gesù Cristo nostro Signore, nella volontà di Dio, ha dato
per noi il suo sangue, la sua carne per la nostra carne e la sua anima per la
nostra anima.
L, 1.
Vedete, carissimi, come è cosa grande e meravigliosa la carità, e della sua
perfezione non c'è commento. 2. Chi è capace di trovarsi in essa se non quelli
che Dio ha reso degni? Preghiamo dunque e chiediamo alla sua misericordia perché
siamo riconosciuti nella carità, senza sollecitazione umana, irreprensibili. 3.
Sono passate tutte le generazioni da Adamo sino ad oggi, ma quelli che con la
grazia di Dio sono perfetti nella carità raggiungono la schiera dei più, che
saranno visti nel novero del regno di Cristo. 4. Infatti è scritto:
"Entrate nelle vostre stanze per pochissimo, finché passa la mia ira e il
mio furore; mi ricorderò del giorno buono e vi risusciterò dai vostri
sepolcri". 5. Siamo beati, carissimi, se eseguiamo i comandamenti di Dio
nella concordia della carità, perché ci siano rimessi i peccati per la carità.
6. E' scritto: "Beati quelli cui furono rimesse le malvagità e i cui
peccati sono stati coperti; beato l'uomo del quale il Signore non considererà
il peccato, né l'inganno è sulla sua bocca". 7. Questa beatitudine è per
quelli scelti da Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. A lui la gloria
nei secoli dei secoli. Amen.
Confessare le colpe
LI, 1.
Chiediamo che ci siano perdonate le mancanze e le azioni ispirate
dall'avversario. Coloro che furono i capi della sedizione e dello scisma devono
considerare la parte comune della speranza. 2. Quelli che vivono nel timore e
nella carità vogliono incappare nelle ingiurie piuttosto essi stessi che il
prossimo. Preferiscono subire il biasimo per la bella e giusta armonia
trasmessaci. 3. E' meglio per l'uomo confessare le sue colpe che indurire il
suo cuore, come si indurì il cuore dei rivoltosi contro il servitore di Dio,
Mosè, e la loro condanna fu ben chiara; 4. poiché "discesero vivi
nell'ade" e "la morte li pascolerà". 5. Il Faraone e il suo
esercito e tutti i capi di Egitto, i carri e quelli che vi erano sopra, per
questo motivo furono sommersi nel Mar Rosso e perirono. I loro cuori insensati
si erano induriti, dopo i miracoli e i portenti avvenuti in Egitto, mediante il
servo di Dio Mosè.
LII, 1.
Fratelli, il Signore dell'universo non ha bisogno, non cerca nulla da nessuno
tranne che si faccia a lui la confessione. 2. Dice, infatti, l'eletto David:
"Mi confesserò al Signore e gli sarà accetto più di un giovenco che mette
le corna e le unghie. Vedano i poveri e gioiscano". 3. E di nuovo dice:
"Offri a Dio un sacrificio di lode e rivolgi all'Altissimo le tue
preghiere; invocami nel giorno della tua afflizione e io ti libererò e tu mi
glorificherai". 4. "Sacrificio gradito a Dio è uno spirito
contrito".
La carità di Mosè
LIII, 1.
Carissimi, voi conoscete le Sacre Scritture e le conoscete bene; avete meditato
le parole di Dio. Per il ricordo vi scriviamo queste cose. 2. Quando Mosè salì
sul monte trascorrendo quaranta giorni e quaranta notti nel digiuno e
nell'umiltà, a lui disse il Signore: "Discendi presto di qui perché il
popolo tuo, che conducesti dalla terra di Egitto, ha prevaricato; si è presto
allontanato dalla via che tu avevi prescritto, e si è fatto idoli di metallo
fuso". 3. E disse a lui il Signore: "Ti ho parlato una volta e anche
due dicendo: "Ho riguardato questo popolo e vedi è di dura cervice; lascia
che lo distrugga. Cancellerò il suo nome di sotto il cielo e farò di te una
nazione grande, meravigliosa e molto più numerosa di questa"". 4. E
disse Mosè: "Giammai, Signore. Rimetti il peccato a questo popolo, o
cancella me dal libro dei viventi". 5. O grande carità! O perfezione
insuperabile! Un servo parla con libertà al Signore, implora il perdono per il
popolo o chiede di essere eliminato anche lui con esso.
La pace del gregge di Cristo
LIV, 1. Tra
voi c'é qualcuno generoso, misericordioso e pieno di amore? 2. Dica: se per
colpa mia si sono avuti sedizione, lite e scismi vado via. Me ne parto dove
volete e faccio quello che il popolo comanda purché il gregge di Cristo viva in
pace con i presbiteri costituiti. 3. Ciò facendo si acquisterà una grande
gloria in Cristo e ogni luogo lo riceverà. "Del Signore è la terra e
quanto essa contiene". 4. Così hanno fatto e faranno quelli che con una
condotta senza rimorsi, sono cittadini di Dio.
LV, 1. Per
riportare gli esempi dei pagani, molti re e capi, in tempi di pestilenza,
ammoniti dall'oracolo, si offrirono alla morte per salvare con il loro sangue i
cittadini. Molti abbandonarono le loro città perché cessasse la sedizione. 2.
Sappiamo che molti tra noi si offrirono alle catene per liberare gli altri;
molti si offrirono alla schiavitù e con il prezzo ricavato davano da mangiare
agli altri. 3. Numerose donne rese forti dalla grazia di Dio compirono molte
azioni virili. 4. La beata Giuditta, mentre la città era assediata, chiese agli
anziani che la lasciassero andare nel campo degli avversari. 5. Si espose
dunque al pericolo. Uscì dalla città per amore della patria e del popolo che
era assediato e il Signore diede Oloferne in mano di una donna. 6. Ester,
perfetta nella fede, non si espose a minor pericolo per salvare le dodici tribù
di Israele sul punto di perire. Nel digiuno e nella umiltà implorò il Signore
che tutto vede, Dio dei secoli. Egli, vedendo l'umiltà dell'anima di lei, salvò
il popolo per il cui amore affrontò il pericolo.
La protezione di Dio
LVI, 1. Per
quelli che si trovano in qualche peccato intercediamo anche noi, perché siano
loro concesse la mansuetudine e l'umiltà e cedano non a noi ma alla volontà di
Dio. Così sarà fruttuoso e perfetto presso Dio e presso i santi il ricordo con
la pietà. 2. Accettiamo il rimprovero per il quale nessuno deve indispettirsi,
o carissimi. La correzione che ci facciamo a vicenda è buona e assai
vantaggiosa; ci unisce alla volontà di Dio. 3. Così dice la santa parola:
"Il Signore mi ha educato con il rimprovero e non mi ha consegnato alla
morte". 4 "Il Signore corregge chi ama e frusta ogni figlio che gli è
accetto". 5. "Il giusto - dice - mi correggerà nella misericordia e
mi proverà; l'olio dei peccatori non unga la mia testa". 6. E di nuovo
dice: "Beato l'uomo che il Signore ha corretto; non ricusare l'ammonizione
dell'onnipotente; egli fa soffrire, e di nuovo ristabilisce. 7. Percuote e le
sue mani guariscono. 8. Sei volte ti trarrà dalle angustie e alla settima non
ti toccherà il male. 9. Nella fameti scamperà dalla morte, nella guerra ti
libererà dalla mano di ferro. 10. E ti proteggerà dalla sferza della lingua, e
non temerai i mali che sopravvengono. 11. Riderai degli ingiusti e dei malvagi
e non temerai le bestie feroci; 12. perché esse saranno in pace con te. 13. Poi
conoscerai che è in pace la tua casa, e la prosperità della tua tenda non viene
mai meno. 14. Vedrai che è numerosa la tua discendenza e i tuoi figli come
l'erba del campo. 15. Scenderai nel sepolcro come grano maturo mietuto alla
stagione, o come mucchio dell'aia raccolto a suo tempo". 16. Guardate,
carissimi, quanta è la protezione per quelli che sono corretti dal Signore.
Come padre buono ci corregge nell'avere misericordia di noi con un santo
rimprovero.
Sottomissione ai presbiteri
LVII, 1.
Voi che siete la causa della sedizione sottomettetevi ai presbiteri e
correggetevi con il ravvedimento, piegando le ginocchia del vostro cuore. 2.
Imparate ad assoggettarvi deponendo la superbia e l'arroganza orgogliosa della vostra
lingua. E' meglio per voi essere trovati piccoli e ritenuti nel gregge di
Cristo, che avere apparenza di grandezza ed essere rigettati dalla sua
speranza. 3. Così parla la sapienza maestra di virtù: "Ecco, io emetterò
per voi una parola del mio spirito e insegnerò a voi il mio discorso. 4. Poiché
chiamai e non ascoltaste, prolungai i discorsi e non foste attenti, ma
frustraste i miei consigli e disobbediste ai miei richiami. Anch'io riderò
della vostra rovina, e mi rallegrerò se arriverà lo sterminio su di voi e se
improvviso giungerà il tumulto e sovrasterà la catastrofe simile al turbine e
quando avverranno l'angoscia e l'oppressione. 5. Accadrà che voi m'invocherete
e non vi ascolterò; i cattivi mi cercheranno e non mi troveranno. Odiarono la
sapienza, non vollero saperne del timore del Signore, né vollero ascoltare i
miei consigli e disprezzarono le mie esortazioni. 6. Per questo mangeranno i
frutti della loro condotta e si sazieranno della loro empietà. 7. Saranno
uccisi per aver commesso ingiustizie contro i fanciulli e il giudizio
distruggerà gli empi. Chi mi ascolta riposerà fiducioso sulla speranza e vivrà
tranquillo lontano da ogni male".
Umiltà nell'ubbidienza
LVIII, 1.
Ubbidiamo dunque al suo nome santissimo e glorioso e sfuggiamo alle minacce
fatte dalla Sapienza contro i disobbedienti, per riposare fiduciosi nel nome
santissimo della sua Maestà. 2. Ascoltate il nostro consiglio, e non avrete a
pentirvi. Vive Dio, vive il Signore Gesù Cristo e lo Spirito Santo, la fede e
la speranza degli eletti. Chi avrà praticato in umiltà, con costante mitezza e
senza rimpianto i comandamenti e i precetti dati da Dio sarà posto e annoverato
nel numero dei salvati da Gesù Cristo, per mezzo del quale a Lui la gloria nei
secoli dei secoli. Amen.
La grande preghiera
LIX, 1.
Quelli che disubbidiscono alle parole di Dio, ripetute per mezzo nostro,
sappiano che incorrono in una colpa e in un pericolo non lievi. 2. Noi saremo
innocenti di questo peccato e chiederemo, con preghiera assidua e supplica, che
il creatore dell'universo conservi intatto il numero dei suoi eletti che si
conta in tutto il mondo per mezzo dell'amatissimo suo figlio Gesù Cristo
Signore nostro, col quale ci chiamò dalle tenebre alla luce, dall'ignoranza
alla conoscenza del suo nome glorioso, 3. a sperare nel tuo nome, principio di
ogni creatura: Tu apristi gli occhi del nostro cuore perché conoscessimo te, il
solo altissimo nell'altissimo dei cieli, il santo che riposi tra i santi, che
umili la violenza dei superbi, che sciogli i disegni dei popoli, che esalti gli
umili e abbassi i superbi. Tu che arricchisci e impoverisci, che uccidi e dai
la vita, il solo benefattore degli spiriti e Dio di ogni carne, che scruti gli
abissi, che osservi le opere umane, che soccorri quelli che sono in pericolo e
salvi i disperati, creatore e custode di ogni spirito che moltiplichi i popoli
sulla terra, e che fra tutti scegliesti quelli che ti amano per mezzo di Gesù
Cristo, l'amatissimo tuo figlio mediante il quale ci hai educato, ci hai
santificato e ci hai onorato. 4. Ti preghiamo, Signore, sii il nostro soccorso
e sostegno. Salva i nostri che sono in tribolazione, rialza i caduti, mostrati
ai bisognosi, guarisci gli infermi, riconduci quelli che dal tuo popolo si sono
allontanati, sazia gli affamati, libera i nostri prigionieri, solleva i deboli,
consola i vili. Conoscano tutte le genti che tu sei l'unico Dio e che Gesù
Cristo è tuo figlio e "noi tuo popolo e pecore del tuo pascolo".
LX, 1. Con
le tue opere hai reso visibile l'eterna costituzione del mondo. Tu, Signore, creasti
la terra. Tu, fedele in tutte le generazioni, giusto nei tuoi giudizi, mirabile
nella forza e nella magnificenza, saggio nel creare, intelligente nello
stabilire le cose create, buono nelle cose visibili, benevolo verso quelli che
confidano in te, misericordioso e compassionevole, perdona le nostre iniquità e
ingiustizie, le cadute e le negligenze. Non contare ogni peccato dei tuoi servi
e delle tue serve ma purificaci nella purificazione della tua verità e dirigi i
nostri passi per camminare nella santità del cuore e fare ciò che è buono e
gradito al cospetto tuo e dei nostri capi. 3. Sì, o Signore, fa' splendere il
tuo volto su di noi per il bene, nella pace, per proteggerci con la tua mano
potente e scamparci da ogni peccato col tuo braccio altissimo, e salvarci da
coloro che ci odiano ingiustamente. 4. Dona concordia e pace a noi e a tutti
gli abitanti della terra, come la desti ai padri nostri quando ti invocavano
santamente nella fede e nella verità; rendici sottomessi al tuo nome
onnipotente e pieno di virtù e a quelli che ci comandano e ci guidano sulla
terra.
LXI, 1. Tu,
Signore, desti loro il potere della regalità per la tua magnifica e ineffabile
forza, perché noi, conoscendo la gloria e l'onore loro dati, ubbidissimo ad
essi senza opporci alla tua volontà. Dona ad essi, Signore, sanità, pace,
concordia e costanza, per esercitare al sicuro la sovranità data da te. 2. Tu,
Signore, re celeste dei secoli, concedi ai figli degli uomini gloria, onore e
potere sulle cose della terra. Signore, porta a buon fine il loro volere,
secondo ciò che è buono e gradito alla tua presenza, per esercitare con pietà,
nella pace e nella dolcezza, il potere che tu hai loro dato e ti trovino
misericordioso. 3. Te, il solo capace di compiere questi beni ed altri più grandi
per noi, ringraziamo per mezzo del gran Sacerdote e protettore delle anime
nostre Gesù Cristo, per il quale ora a te sia la gloria e la magnificenza e di
generazione in generazione e nei secoli dei secoli. Amen.
Ricapitolazione degli argomenti trattati
LXII, 1.
Fratelli, vi abbiamo scritto abbastanza sulle cose che convengono alla nostra
religione e sono utili a una vita virtuosa per quelli che vogliono osservare la
pietà e la giustizia. 2. Abbiamo toccato tutti i punti che riguardano la fede,
la penitenza, la vera carità, la continenza, la saggezza e la pazienza. Vi
abbiamo ricordato che nella giustizia, nella verità e nella magnanimità bisogna
piacere santamente a Dio onnipotente, amando la concordia, dimenticando le
offese, nell'amore e nella pace con una benevolenza continua, come i nostri
padri, di cui abbiamo già parlato, si resero graditi con l'umiltà verso il
Padre, Dio e creatore, e tutti gli uomini. 3. E questo abbiamo ricordato con
piacere, perché eravamo certi di scrivere a fedeli eccellenti che hanno
approfondito le parole dell'insegnamento di Dio.
I messaggeri di pace
LXIII, 1.
E' giusto che noi con tali e tanti esempi sottostiamo, prendendo il posto
dell'obbedienza. Desistiamo dalla vana sedizione per raggiungere senza biasimo
lo scopo propostoci nella verità. 2. Ci darete esultanza di gioia se, divenuti
obbedienti a ciò che vi abbiamo scritto mediante lo Spirito Santo, smorzerete
la collera ingiusta della vostra gelosia, secondo l'esortazione fatta in questa
lettera alla pace e alla concordia. 3. Vi abbiamo inviato uomini fedeli e
saggi, vissuti in mezzo a noi con modi corretti dalla gioventù alla vecchiaia,
che saranno testimoni tra noi e voi. 4. Abbiamo fatto questo perché sappiate
che ogni nostro pensiero è stato ed è che ritroviate presto la pace.
La benedizione di Dio
LXIV, 1.
Dio che tutto vede ed è padrone degli spiriti e signore di ogni carne, che ha
scelto il Signore Gesù Cristo e noi mediante Lui ad essere suo popolo, conceda
ad ogni anima che implora il suo mirabile e santo nome, fede, timore, pace,
pazienza e magnanimità, continenza, purezza e prudenza. E sia gradita al Suo
nome per mezzo del sommo sacerdote e nostro protettore Gesù Cristo, per il
quale sia a lui la gloria, grandezza, potenza e onore, ora e nei secoli dei
secoli. Amen.
LXV, 1.
Rimandateci presto nella pace e nella gioia i messaggeri da noi inviati,
Claudio, Efebo e Valerio Bitone con Fortunato perché ci annunzino quanto prima
la pace e la concordia invocate e desiderate, e presto noi ci rallegriamo della
vostra serenità. 2. La grazia del Signor nostro Gesù Cristo sia con voi e con
tutti quelli ovunque chiamati da Dio per mezzo Suo e a Lui sia gloria, onore,
potenza e maestà e regno eterno, dai secoli nei secoli dei secoli. Amen
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Biografia di
San Clemente Papa
dal Web: http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-clemente-i_(Enciclopedia-dei-Papi)/
Clemente I, santo
Nella lista dei vescovi di Roma fornita da Ireneo di
Lione, C. (o Clemente Romano) è considerato il terzo successore degli apostoli
dopo Lino e Anacleto. Ireneo afferma che C., non unico nella sua epoca,
era stato a contatto con gli apostoli, tanto che la loro predicazione risuonava
alle sue orecchie e la loro tradizione era davanti ai suoi occhi, e ricorda che
durante il suo episcopato la Chiesa di Roma inviò ai Corinzi una lettera per
farli riconciliare, rinnovando la fede e la tradizione apostolica da poco
ricevuta. Eusebio di Cesarea conferma questi dati aggiungendo altre
notizie: sarebbe succeduto ad Anacleto nel dodicesimo anno di Domiziano, cioè nel 92 (Historia ecclesiastica III, 15; cfr.
Chronicon, ad a. 92, dove si afferma che fu a capo della Chiesa di Roma per
nove anni), sarebbe stato compagno di Paolo (Historia ecclesiastica III, 4, 9)
- con un probabile riferimento all'omonimo personaggio citato in Filippesi 4, 3
- insieme ad altri collaboratori dell'apostolo.
Questa identificazione risale a Origene, In Iohannem
VI, 54, 279, ma non sembra sufficientemente fondata, soprattutto per motivi
cronologici se si deve porre il vescovo C. alla fine del I secolo, oltre al
fatto che nel passo citato Paolo sembra riferirsi a cristiani di Filippi, che
non hanno alcun rapporto con la Chiesa di Roma.
Lo stesso Eusebio fornisce
molte informazioni sulla lettera della Chiesa dei Romani alla Chiesa dei
Corinzi, la cosiddetta Epistula ad Corinthios o I Clementis, rilevando in essa
la presenza di molte citazioni di Ebrei (Historia ecclesiastica III, 38, 1;
cfr. Girolamo, De viris illustribus 15), e riporta l'opinione che C. sarebbe
stato il traduttore della medesima epistola neotestamentaria, scritta da Paolo
nella sua lingua materna (Historia ecclesiastica III, 38, 3); Eusebio cita
inoltre un passo delle omelie di Origene su Ebrei, in cui si riferiva la
tradizione secondo cui per alcuni C. ne sarebbe stato l'autore (ibid. VI, 25,
13). Eusebio aggiunge che C. guidava ancora i Romani all'epoca di Nerva e agli
inizi dell'impero di Traiano (ibid. III, 21), e più precisamente che cessò di
vivere nel terzo anno di Traiano, cioè nel 99, trasmettendo il suo ufficio a
Evaristo (ibid. III, 34; cfr. Chronicon, ad a. 99).
La tradizione che pone C. dopo Lino e
Anacleto è nota anche a Girolamo, De viris illustribus 15: "quartus post
Petrum Romae episcopus", ma lo stesso Girolamo ne conosce un'altra secondo
cui C. sarebbe stato il successore immediato di Pietro (ibid.: "tametsi
plerique Latinorum secundum post Apostolum putent fuisse Clementem"; cfr.
Adversus Iovinianum I, 12; In Esaiam XIV, 52, 13-15). Questa tradizione è
spesso congiunta con quella che vuole C. ordinato dallo stesso Pietro, e si
legge già in Tertulliano, De praescriptione haereticorum 32, 2, nella Epistula
Clementis ad Iacobum - un testo che oggi si pensa risalga alla fine del sec.
III e che fa parte della letteratura pseudoclementina, nel quale tuttavia si
specifica che tale ordinazione avvenne quando Pietro era in fin di vita - e più
tardi nelle Constitutiones apostolorum.
È probabile che l'intento di collegare C.
direttamente a Pietro trovi la sua spiegazione nel fatto che C. era stato
identificato con il personaggio omonimo citato in Filippesi 4, 3, quindi
davvero contemporaneo degli apostoli, e anche perché senza dubbio egli
costituisce la personalità più importante tra i primi successori di Pietro.
Un tentativo di mediare le due tradizioni,
quella che vedeva in Lino il successore di Pietro e quella che considerava tale
C., è rappresentato da quei testi che propongono la serie Pietro-Lino-C., come
le citate Constitutiones apostolorum in Oriente, il Catalogo Liberiano, le
liste episcopali romane di Ottato di Milevi e di Agostino in Occidente. Ma sono
attestate anche altre soluzioni. Epifanio di Salamina si
chiedeva come mai un contemporaneo degli apostoli fosse subentrato solo più
tardi, e non immediatamente alla loro morte, nell'episcopato romano. Epifanio
ipotizza che gli apostoli possano aver ordinato chi li sostituisse nel governo
della Chiesa romana mentre loro erano impegnati nel ministero apostolico, e
immagina - sulla base di Epistula ad Corinthios 54, 2, in cui si esortano i più
generosi ad allontanarsi piuttosto che suscitare sedizioni, divisioni e
discordie, e vedendo in questo passo il riflesso di una situazione personale
dell'autore - che per non suscitare problemi all'interno della comunità C. si
sia astenuto dall'esercitare le funzioni episcopali finché non vi fu costretto
alla morte di Pietro, di Lino e di Cleto. Quella di
Epifanio non è altro che una ipotesi, ed egli stesso in definitiva afferma di
non sapere se C. sia stato ordinato da Pietro o da Cleto (Panarion 27, 6, 2-7).
Pur come tale, l'ipotesi fu ampliata nel Prologus alle Recognitiones da Rufino
di Aquileia, il quale, volendo conciliare questa tradizione con le più antiche
liste episcopali romane che ponevano Lino e Anacleto dopo Pietro, appoggiandosi
sulla apocrifa Epistula Clementis ad Iacobum, in cui C. affermava di essere
stato ordinato da Pietro, sostenne come un dato acquisito che Lino e Cleto
avrebbero esercitato le funzioni episcopali quando Pietro, che si era riservato
l'ufficio apostolico, era ancora in vita. Così Rufino poteva affermare come
certo sia che Lino e Cleto avrebbero preceduto C., sia che lo stesso C. poteva
dirsi successore di Pietro in quanto subentrato nell'episcopato al governo di
Pietro esercitato insieme con Lino e Cleto.
Il Catalogo Liberiano stabilisce questa
successione con la relativa cronologia: Lino (56-67)-C. (68-76)-Cleto (77-83).
Il Liber pontificalis, nr. 4, tiene conto del sistema introdotto
da Rufino e consono con le liste di Ireneo e di Eusebio, ma mantiene la
cronologia del Catalogo Liberiano, creando così una contraddizione tra la
successione e la cronologia: Lino (56-67)-Cleto (77-83)-C. (68-76). Come già
accennato, tutti questi interventi sono motivati dalla preoccupazione di
assicurare a C. un posto di prestigio nella lista episcopale romana, che però
non si saprebbe dire quanto corrisponda alla realtà delle successioni
episcopali del sec. I. Certo, non si può affermare con sicurezza che la lista
di Ireneo, ripresa da Eusebio, Epifanio e Clemente, abbia maggiore credibilità
sul piano storico. Se tuttavia C. è l'autore dell'Epistula ad Corinthios, che la critica pone
ormai concordemente alla fine del sec. I, si è tenuti ad accettare per C. una
cronologia più vicina a quella di Eusebio.
A questo proposito si deve ricordare che
scarsa fortuna ha raccolto l'ipotesi che C. si debba identificare con il
console del 95 Flavio Clemente, mandato a morte l'anno successivo da
Domiziano secondo Dione Cassio e Svetonio, soprattutto perché non è affatto
dimostrato, come si pretendeva in questa eventualità, che le motivazioni della
condanna del console fossero di natura religiosa. Un rapporto tra C. vescovo e
il console Flavio Clemente era già stato supposto esplicitamente nella Passio
Nerei et Achillei, un testo di nessun valore storico, in cui C. è detto figlio
del fratello del console. Non maggiore credito devono avere le notizie su C.
che si ricavano dalle Pseudoclementine, secondo cui egli sarebbe stato romano
(Recognitiones I, 1; Homiliae I, 1), figlio di Faustiniano, imparentato con la
famiglia dell'imperatore, e della nobile matrona Mattidia, fratello minore dei
gemelli Fausto e Faustino (Recognitiones VII, 8). Anche l'identificazione con
l'omonimo personaggio citato nel Pastore di Erma è dubbia, potendosi ammettere
solo anticipando alla fine del sec. I la composizione del Pastore. In base alla
Epistula ad Corinthios, attribuita a C., si può dedurre che il suo autore fosse
di cultura giudaico-ellenistica, per la conoscenza dell'Antico Testamento e di
alcune opere della letteratura intertestamentaria, come per certe sue
caratteristiche di stile e di composizione. J.B. Lightfoot ha supposto che C.
fosse un liberto di famiglia patrizia.
Secondo il Liber pontificalis C., romano di
nascita, della regione celimontana, figlio di Faustino, avrebbe esercitato il
suo ministero per nove anni, due mesi e quattro giorni dal 68 al 76. C. avrebbe
ricevuto da Pietro la dignità episcopale di governare la Chiesa, così come a
Pietro era stata consegnata e affidata la cattedra da Cristo, e il fatto che
Lino e Cleto siano nominati prima di lui è giustificato per il fatto che essi
sarebbero stati ordinati vescovi per esercitare il ministero sacerdotale. La
notizia gli attribuisce la suddivisione di Roma in sette regioni, affidate
ognuna ad un notaio incaricato di indagare "sollicite et curiose [...]
diligenter" le gesta dei martiri della propria; afferma che compose molti
libri, tra i quali cita "duas epistolas, quae catholicae nominantur"
e quella scritta a Giacomo, di cui però non dice espressamente trattarsi di una
sua opera (ma che tale deve considerarsi nella opinione del redattore, in
quanto in essa C. comunica a Giacomo gli ultimi atti di Pietro prima di
morire). Afferma inoltre che procedette a due ordinazioni per un totale di
dieci presbiteri, due diaconi e quindici vescovi. Sulla base del Chronicon di
Eusebio, la fonte aggiunge che C. sarebbe morto martire nel terzo anno di
Traiano, cioè nel 99, e sarebbe stato sepolto "in Grecias" il 24
novembre. La sua morte fu seguita da ventun giorni di vacanza. Per un
personaggio come C. i dati del Liber pontificalis, se non si possono
considerare storicamente attendibili, manifestano apertamente la loro origine
nella letteratura e nella tradizione ecclesiastica romana. Il riferimento alla
zona celimontana ("de regione Celiomonte"), come quella in cui C.
sarebbe nato, riflette la relazione, ormai nel VI secolo data per certa, tra C.
papa e la chiesa di S. Clemente, posta più precisamente nella vallata tra il
Celio e l'Esquilino e già ricordata da Girolamo negli ultimi anni del IV secolo
(Girolamo, De viris illustribus 15: "nominis eius memoriam usque hodie
exstructa ecclesia custodit") e poco più tardi da una lettera di papa
Zosimo (ep. I, 2: "in sancti Clementis basilica").
La connessione diretta dei
resti di strutture d'età romana rinvenuti al di sotto della chiesa medievale
con C. è da escludere, dal momento che sono in massima parte non anteriori al
III secolo: è probabilmente contemporaneo alla testimonianza di Girolamo un
collare, oggi perduto, recante un'iscrizione graffita (Corpus Inscriptionum Latinarum,
XV, nr. 7192: "tene me quia fugi et reboca me Victori acolito a dominicu
Clementis" seguita dal monogramma cristologico), che costituisce la più
antica testimonianza epigrafica di un toponimo cristiano legato ad un non
meglio specificato Clemens. Dunque tra Celio ed Esquilino già dagli ultimi anni
del IV secolo si era fissato un toponimo connesso con un Clemens, che Girolamo
identificava con il papa del I secolo, ma che è forse più corretto ritenere un
più tardo (sec. IV) omonimo donatore degli ambienti in cui fu ospitato un
edificio o una struttura funzionale cristiana variamente denominata nelle
diverse fonti (ecclesia, dominicum, basilica, titulus) secondo una dinamica
simile a quella di altri tituli romani (F. Guidobaldi, S. Clemens).
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BENEDETTO XVI
UDIENZA
GENERALE
Aula
Paolo VI
Mercoledì, 7 marzo 2007
Saluto
ai pellegrini presenti nella Basilica Vaticana:
Dal WEB: http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2007/documents/hf_ben-xvi_aud_20070307.html
Cari fratelli e sorelle,
sono lieto di accogliervi e rivolgo
a ciascuno di voi il mio cordiale benvenuto. Saluto anzitutto i pellegrini
provenienti dalle Diocesi della Regione Ecclesiastica Piemontese, che
accompagnano i loro Vescovi nella Visita ad limina. Cari amici, la
fede cristiana si confronta, anche in Piemonte e Valle d’Aosta con molte sfide
dovute, nell’odierno contesto socio-culturale, alle tendenze agnostiche
presenti in campo dottrinale, come pure alle pretese di piena autonomia etica e
morale. Non è certo facile annunciare e testimoniare oggi il Vangelo. Tuttavia
permane nel popolo un solido substrato spirituale, che si manifesta tra l’altro
nell’attenzione alle istanze della vita cristiana, nell’intimo bisogno di Dio,
nella riscoperta del valore della preghiera, nella stima verso il sacerdote
zelante e il suo ministero. Si avverte, inoltre, da parte di fedeli laici e di
gruppi di impegno apostolico, una più sentita esigenza di tensione alla
santità, misura alta della vita cristiana. Mi rivolgo pure a voi, cari Fratelli
nell’Episcopato: di fronte alle difficoltà che a volte incontrano le comunità
ecclesiali affidate alle vostre cure, vi esorto a proseguire con coraggio
nell’aiutarle a seguire fedelmente il Signore, valorizzando le loro
potenzialità spirituali e i carismi di ciascuno. Ricordate loro che nessuna
difficoltà può separarci dall’amore di Cristo, come già affermava san Paolo
(cfr. Rm 8,35-39). Per questo, unendo le forze, voi Pastori
insieme ai sacerdoti, alle persone consacrate e ai fedeli laici testimoniate
con fervore la vostra comune adesione a Cristo ed edificate la Chiesa nella
carità e nella verità. La Madre Celeste, che il popolo piemontese invoca da
sempre con sentita devozione, vi assista, vi illumini e vi conforti.
Saluto ora i giovani qui presenti,
in particolare gli alunni della Scuola Don Carlo Costamagna di
Busto Arsizio e quelli della Scuola Don Giovanni Bosco di
Canonica d'Adda. Cari amici, il tempo di Quaresima, che stiamo vivendo, sia per
voi occasione propizia per riscoprire il dono della sequela di Cristo e
imparare ad aderire sempre, con il suo aiuto, alla volontà del Padre.
E così prendiamo la strada giusta,
la strada che ci apre il cammino al futuro.
* * *
San Clemente Romano
Cari fratelli e sorelle,
abbiamo meditato nei mesi scorsi
sulle figure dei singoli Apostoli e sui primi testimoni della fede cristiana,
che gli scritti neo-testamentari menzionano. Adesso dedichiamo la nostra
attenzione ai santi Padri dei primi secoli cristiani. E così possiamo vedere
come comincia il cammino della Chiesa nella storia.
San Clemente, Vescovo di Roma negli
ultimi anni del primo secolo, è il terzo successore di Pietro, dopo Lino e
Anacleto. Riguardo alla sua vita, la testimonianza più importante è quella di
sant’Ireneo, Vescovo di Lione fino al 202. Egli attesta che Clemente «aveva
visto gli Apostoli», «si era incontrato con loro», e «aveva ancora nelle
orecchie la loro predicazione, e davanti agli occhi la loro tradizione» (Contro
le eresie 3,3,3). Testimonianze tardive, fra il quarto e il sesto
secolo, attribuiscono a Clemente il titolo di martire.
L’autorità e il prestigio di questo
Vescovo di Roma erano tali, che a lui furono attribuiti diversi scritti, ma
l’unica sua opera sicura è la Lettera ai Corinti. Eusebio di Cesarea,
il grande «archivista» delle origini cristiane, la presenta in questi termini:
«E’ tramandata una lettera di Clemente riconosciuta autentica, grande e
mirabile. Fu scritta da lui, da parte della Chiesa di Roma, alla Chiesa di
Corinto ... Sappiamo che da molto tempo, e ancora ai nostri giorni, essa è
letta pubblicamente durante la riunione dei fedeli» (Storia Eccl. 3,16).
A questa lettera era attribuito un carattere quasi canonico. All’inizio di
questo testo – scritto in greco – Clemente si rammarica che «le improvvise
avversità, capitate una dopo l’altra» (1,1), gli abbiano impedito un intervento
più tempestivo. Queste «avversità» sono da identificarsi con la persecuzione di
Domiziano: perciò la data di composizione della lettera deve risalire a un tempo
immediatamente successivo alla morte dell’imperatore e alla fine della
persecuzione, vale a dire subito dopo il 96.
L’intervento di Clemente era
sollecitato dai gravi problemi in cui versava la Chiesa di Corinto: i
presbiteri della comunità, infatti, erano stati deposti da alcuni giovani
contestatori. La penosa vicenda è ricordata, ancora una volta, da sant’Ireneo,
che scrive: «Sotto Clemente, essendo sorto un contrasto non piccolo tra i
fratelli di Corinto, la Chiesa di Roma inviò ai Corinti una lettera
importantissima per riconciliarli nella pace, rinnovare la loro fede e
annunciare la tradizione, che da poco tempo essa aveva ricevuto dagli Apostoli»
(Contro le eresie 3,3,3). Potremmo quindi dire che questa lettera
costituisce un primo esercizio del Primato romano dopo la morte di san Pietro.
La lettera di Clemente riprende temi cari a san Paolo, che aveva scritto due
grandi lettere ai Corinti, e in particolare la dialettica teologica,
perennemente attuale, tra indicativo della salvezza e imperativo dell’impegno
morale. Prima di tutto c’è il lieto annuncio della grazia che salva. Il Signore
ci previene e ci dona il perdono, ci dona il suo amore, la grazia di essere
cristiani, suoi fratelli e sorelle. E’ un annuncio che riempie di gioia la
nostra vita e dà sicurezza al nostro agire: il Signore ci previene sempre con
la sua bontà, e la bontà del Signore è sempre più grande di tutti i nostri
peccati. Occorre però che ci impegniamo in maniera coerente con il dono
ricevuto e rispondiamo all’annuncio della salvezza con un cammino generoso e
coraggioso di conversione. Rispetto al modello paolino, la novità è che
Clemente fa seguire alla parte dottrinale e alla parte pratica, che erano
costitutive di tutte le lettere paoline, una «grande preghiera», che
praticamente conclude la lettera.
L’occasione immediata della lettera
schiude al Vescovo di Roma la possibilità di un ampio intervento sull’identità
della Chiesa e sulla sua missione. Se a Corinto ci sono stati degli abusi,
osserva Clemente, il motivo va ricercato nell’affievolimento della carità e di
altre virtù cristiane indispensabili. Per questo egli richiama i fedeli
all’umiltà e all'amore fraterno, due virtù veramente costitutive dell’essere
nella Chiesa: «Siamo una porzione santa», ammonisce, «compiamo dunque tutto
quello che la santità esige» (30,1). In particolare, il Vescovo di Roma ricorda
che il Signore stesso «ha stabilito dove e da chi vuole che i servizi liturgici
siano compiuti, affinché ogni cosa, fatta santamente e con il suo beneplacito,
riesca bene accetta alla sua volontà ... Al sommo sacerdote infatti sono state
affidate funzioni liturgiche a lui proprie, ai sacerdoti è stato preordinato il
posto loro proprio, ai leviti spettano dei servizi propri. L’uomo laico è
legato agli ordinamenti laici» (40,1-5: si noti che qui, in questa lettera
della fine del I secolo, per la prima volta nella letteratura cristiana,
compare il termine greco laikós, che significa «membro del laós»,
cioè «del popolo di Dio»).
In questo modo, riferendosi alla
liturgia dell’antico Israele, Clemente svela il suo ideale di Chiesa. Essa è
radunata dall’«unico Spirito di grazia effuso su di noi», che spira nelle
diverse membra del Corpo di Cristo, nel quale tutti, uniti senza alcuna
separazione, sono «membra gli uni degli altri» (46,6-7). La netta distinzione
tra il «laico» e la gerarchia non significa per nulla una contrapposizione, ma
soltanto questa connessione organica di un corpo, di un organismo, con le
diverse funzioni. La Chiesa infatti non è luogo di confusione e di anarchia,
dove uno può fare quello che vuole in ogni momento: ciascuno in questo
organismo, con una struttura articolata, esercita il suo ministero secondo la
vocazione ricevuta. Riguardo ai capi delle comunità, Clemente esplicita
chiaramente la dottrina della successione apostolica. Le norme che la regolano
derivano in ultima analisi da Dio stesso. Il Padre ha inviato Gesù Cristo, il
quale a sua volta ha mandato gli Apostoli. Essi poi hanno mandato i primi capi
delle comunità, e hanno stabilito che ad essi succedessero altri uomini degni.
Tutto dunque procede «ordinatamente dalla volontà di Dio» (42). Con queste
parole, con queste frasi, san Clemente sottolinea che la Chiesa ha una
struttura sacramentale e non una struttura politica. L’agire di Dio che viene
incontro a noi nella liturgia precede le nostre decisioni e le nostre idee. La
Chiesa è soprattutto dono di Dio e non creatura nostra, e perciò questa
struttura sacramentale non garantisce solo il comune ordinamento, ma anche
questa precedenza del dono di Dio, del quale abbiamo tutti bisogno.
Al termine, la «grande preghiera»
conferisce un respiro cosmico alle argomentazioni precedenti. Clemente loda e
ringrazia Dio per la sua meravigliosa provvidenza d’amore, che ha creato il
mondo e continua a salvarlo e a santificarlo. Particolare rilievo assume
l’invocazione per i governanti. Dopo i testi del Nuovo Testamento, essa
rappresenta la più antica preghiera per le istituzioni politiche. Così,
all’indomani della persecuzione, i cristiani, ben sapendo che sarebbero
continuate le persecuzioni, non cessano di pregare per quelle stesse autorità
che li avevano condannati ingiustamente. Il motivo è anzitutto di ordine
cristologico: bisogna pregare per i persecutori, come fece Gesù sulla croce. Ma
questa preghiera contiene anche un insegnamento che guida, lungo i secoli,
l’atteggiamento dei cristiani dinanzi alla politica e allo Stato. Pregando per
le autorità, Clemente riconosce la legittimità delle istituzioni politiche
nell’ordine stabilito da Dio; nello stesso tempo, egli manifesta la
preoccupazione che le autorità siano docili a Dio e «esercitino il potere, che
Dio ha dato loro, nella pace e nella mansuetudine con pietà» (61,2). Cesare non
è tutto. Emerge un’altra sovranità, la cui origine ed essenza non sono di
questo mondo, ma «di lassù»: è quella della Verità, che vanta anche nei
confronti dello Stato il diritto di essere ascoltata.
Così la lettera di Clemente
affronta numerosi temi di perenne attualità. Essa è tanto più significativa, in
quanto rappresenta, fin dal primo secolo, la sollecitudine della Chiesa di
Roma, che presiede nella carità a tutte le altre Chiese. Con lo stesso Spirito
facciamo nostre le invocazioni della «grande preghiera», là dove il Vescovo di
Roma si fa voce del mondo intero: «Sì, o Signore, fa’ risplendere su di noi il
tuo volto nel bene della pace; proteggici con la tua mano potente ... Noi ti
rendiamo grazie, attraverso il Sommo Sacerdote e guida delle anime nostre, Gesù
Cristo, per mezzo del quale a te la gloria e la lode, adesso, e di generazione
in generazione, e nei secoli dei secoli. Amen» (60-61).