Valori
Il valore commerciale di una cosa è il suo
prezzo: che cosa o quanto si è disposti a dare per averla, comprandola da chi
la possiede. Ci sono però cose che costano poco e che, in certe circostanze,
hanno per noi un grandissimo valore, perché da come funzionano o dall’averle
può dipendere la nostra vita: è il caso, ad esempio, di alcuni componenti
meccanici delle nostre automobili, come i freni. C’è chi ha bisogno di
stampelle per camminare e, se le perde o anche solo se gli cadono lontano tanto
che non può più afferrarle, non ha altra scelta per muoversi che strisciare per
terra o chiedere aiuto, se c’è chi glielo può dare.
Quando in società si parla di valori non ci si riferisce, però, a
cose, ma a certi principi che guidano l’azione e che vengono ritenuti senza
prezzo, quindi non commerciabili o non
negoziabili, in quanto indispensabili per la convivenza e addirittura la
sopravvivenza. Questi valori sono di origine culturale, vale a dire che
sono integralmente una costruzione sociale, attuata sulla base di
consuetudini sociali, quindi ad usi e costumi e all’interazione
tra i gruppi che animano la società, ma anche della volontà del ceto che è
riuscito storicamente a dominare la società, quindi della norme da esso espresse. Ogni
ceto dominante ha come primo scopo quello di inculcare nella società il valore della sua indispensabilità per la convivenza.
Il primo scopo del potere è quello di consolidare il proprio potere: ne trattò
diffusamente e organicamente il filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1689). Per riuscirci, storicamente si è cercato di sacralizzare il sistema di potere dominante con due metodi:
accreditandolo come tradizionale, quindi
risalente ai fondatori di una civiltà, agli antenati, o di origine soprannaturale. La prima via fu seguita dagli antichi Romani,
la seconda dagli antichi israeliti e poi dall’ebraismo, la cultura religiosa che da
essi derivò. Nella nostra confessione religiosa, inculturata, prima, dall’antico
ebraismo e, poi, dalla cultura giudica degli antichi Romani, si sono
seguite entrambe le vie: il potere religioso viene accreditato da un’origine
soprannaturale dei valori da esso espressi e dal fatto che essi sono
stati tramandati mediante una tradizione, che, a questo punto, essendo un valore essa stessa,
viene scritta con la “T” maiuscola, Tradizione.
In questa prospettiva, il potere rende sé stesso indispensabile, quindi
esso stesso un valore, perché nella Tradizione si fa rientrare, oltre ad usi e
costumi, anche la tradizione, per via legittima, del potere stesso mediante cooptazione, che è quando un potente sceglie
il suo successore e/o i suoi collaboratori elevandoli al suo rango, introducendoli nella sua cerchia, corte, classe o ceto e conferendo loro analogo potere. Spesso, nelle tradizioni culturali
fondative di un potere si trova un mito,
una narrazione non storicamente accreditata, in genere con connotati
soprannaturali, che spiega la ragione
per la quale quel potere deve ritenersi indiscutibile, al riparo di ogni
contestazione e indispensabile per l’armonia sociale e per quella tra società e
natura. Di miti di questo genere è piena la parte della nostra Bibbia che
abbiamo acquisito dall’antico ebraismo. La tradizione fondativa della nostra
confessione religiosa non ha invece carattere mitico e si basa sull’insegnamento
e sulla figura di una persona realmente esistita, il nostro Maestro. Questo è
stato ritenuto talmente importante nella nostra fede, che le tradizioni
evangeliche hanno cercato di situare con la massima precisione possibile il
tempo della vita del Maestro, raccogliendone le memorie trasmesse dai primi
testimoni. Narrazioni con carattere mitico sul potere religioso sono state
costruite molto più tardi, in particolare all’inizio del Secondo millennio,
quando il Papato romano si diede organizzazione da impero religioso. Nell’insegnamento
del Maestro è però piuttosto evidente
questo principio, che è anche un valore nel senso che ho precisato: il potere
religioso non è un valore in sé stesso. Il potere religioso vale solo come servizio. Uno dei titoli più antichi del Papa romano, risalente al
Sesto secolo, è infatti Servo dei servi di Dio, espressione che
dal Nono secolo venne impiegata all’inizio dei documenti del Papa romano. L’insegnamento
del Maestro è pieno di altri valori,
accreditati dall’essere di origine soprannaturale, conformemente all’ideologia
religiosa nell’antico ebraismo.
Il valore in quanto tale è inteso come un limite ad ogni
potere. Ma il potere sociale partecipa alla costruzione dei valori e quindi tende ad adattarli a
seconda delle sue esigenze, in particolare per accreditarsi in società,
ottenendo il riconoscimento della propria sacralizzazione.
La critica di un potere che è riuscito a sacralizzarsi viene considerata eretica, vale a dire come un
discostamento inammissibile dalle concezioni fondamentali della fede.
Dalla fine del Settecento si è prodotto, nei popoli di cultura europea, un movimento per la desacralizzazione dei poteri politici, per consentirne la critica:
in questo consiste, in definitiva, il principio-valore della laicità delle istituzioni pubbliche che può anche dirsi secolarizzazione. Quest’ultimo non va inteso come presa di distanziazione
dal soprannaturale, perché in piena secolarizzazione tra gli europei le
concezioni soprannaturali abbondano, ma da ogni potere che pretenda obbedienza
religiosa. Questo ha finito fatalmente per coinvolgere lo stesso Papato romano,
che infatti si vorrebbe cercare di riorganizzare nello spirito di servizio, uno dei valori insegnati dal
Maestro.
In democrazia, ai tempi nostri, si considera un valore la secolarizzazione
dei poteri politici: ad essi non è più riconosciuto di sottrarsi alla critica facendosi
scudo della religione. E tuttavia la democrazia contemporanea si fonda anche su un sistema molto esteso di altri
valori, di principi sottratti ad ogni
potere, ad esempio di quello del ceto di volta in volta dominante o delle
maggioranze politiche. In altre parole: la stessa volontà popolare non è
considerata il principio supremo di organizzazione sociale. Non esiste più una
vera e propria sovranità, l’essere al di sopra di ogni potere. Anche la
volontà popolare, in democrazia come oggi la si intende, deve riconoscere un
esteso sistema di limiti fondati su valori. Nelle democrazie avanzate espresse
dalle culture europee questo sistema di valori deriva culturalmente, in
gran parte, dall’insegnamento del
Maestro. In esso stanno, effettivamente, le loro radici culturali. L’idea fondamentale è quella di giustizia, intesa come dare a ciascuno
il suo ma in una concezione di agàpe,
di convivenza misericordiosa derivante da relazioni di tipo fraterno, per avere
uno stesso Padre. L’atteggiamento del
Maestro verso i reietti della società del suo tempo è molto significativo per
capire quell’ordine di idee. Si trattò di un sostanziale rovesciamento di
concezioni correnti nell’antico ebraismo vissuto nella Palestina del suo tempo.
Può essere utile, per intendere, rileggere la parabola del Padre misericordioso detta
anche del Figliuol prodigo (Luca 15,11-32):
[11] Disse ancora: "Un uomo aveva due figli.
[12] Il più giovane disse al padre: Padre, dammi
la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze.
[13] Dopo non molti giorni, il figlio più
giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue
sostanze vivendo da dissoluto.
[14] Quando ebbe speso tutto, in quel paese
venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno.
[15] Allora andò e si mise a servizio di uno
degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci.
[16] Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che
mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava.
[17] Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti
salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame!
[18] Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò:
Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te;
[19] non sono più degno di esser chiamato tuo
figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni.
[20] Partì e si incamminò verso suo padre.
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli
corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.
[21] Il figlio gli disse: Padre, ho peccato
contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo
figlio.
[22] Ma il padre disse ai servi: Presto, portate
qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari
ai piedi.
[23] Portate il vitello grasso, ammazzatelo,
mangiamo e facciamo festa,
[24] perché questo mio figlio era morto ed è
tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.
[25] Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al
ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze;
[26] chiamò un servo e gli domandò che cosa
fosse tutto ciò.
[27] Il servo gli rispose: È tornato tuo
fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto
sano e salvo.
[28] Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il
padre allora uscì a pregarlo.
[29] Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti
servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai
dato mai un capretto per far festa con i miei amici.
[30] Ma ora che questo tuo figlio che ha
divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il
vitello grasso.
[31] Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre
con me e tutto ciò che è mio è tuo;
[32] ma bisognava far festa e rallegrarsi,
perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è
stato ritrovato".
Dunque, la vita del giovane dissoluto è un valore a prescindere da ciò
che ha fatto. Ciò che gli viene concesso al ritorno nella casa paterna dipende
da questo: non viene retribuito per ciò che ha fatto e quindi scacciato o
ridotto a condizione servile. E’ proprio delle democrazie contemporanee
considerare un valore la vita delle persone, a prescindere da etnia,
cultura, religione, orientamento sessuale, ricchezza o altre ragioni di
eminenza sociale. La concezione di giustizia
delle democrazie contemporanee è
strettamente legata all’idea di uguaglianza
delle vite delle persone considerate valori.
In passato si temette l’eclisse dei valori religiosi perché si era
iniziato a mettere in questione il valore del potere religioso, visto come
parte essenziale di quel sistema di valori. In realtà, muovendo nell’ottica
della riforma di quel potere, per agganciarlo nuovamente al valore del servizio, e dunque non facendone un valore
in sé, è apparso chiaro che si poteva trovare una sua valida giustificazione
sociale anche ai tempi nostri. Tutte le volte che però si mette in questione il
valore delle vite delle persone, come sta accadendo
in Occidente di questi tempi e come già accaduto nell’era dei fascismi europei
tra gli anni Venti e la metà degli anni Quaranta del secolo scorso, la questione
è molto più seria: sono effettivamente in questione le radici di una civiltà, al di
là di chi comanda in un certo tempo. La democrazia, come già prima la nostra
fede religiosa, fu una faticosa conquista culturale e, tutto sommato, è una
tradizione recente, degli ultimi due secoli. Non si è lavorato abbastanza sulla
sua tradizione alle generazioni future, dando
per scontato, implicitamente, che per i suoi evidenti agganci religiosi essa
potesse valersi della Tradizione di fede. Questo è all’origine di tutti i problemi dell’oggi,
in particolare alla crisi di solidarietà per la quale si tende ad assegnare a
tutto un prezzo e a dare a ciascuno secondo quel prezzo, divenendo il
commercio, e la sua istituzione principale che è il mercato, l’ambiente in cui in
mancanza di correttivi sociali tende a predominare il più forte come in natura,
il valore predominante. Il pensiero
sociale di fede, e al suo interno la dottrina sociale, cerca di reagire
costruendo ideologie e prassi politiche adeguate. Un lavoro che andrebbe fatto,
ma che in genere non si fa perché non se ne trova più il tempo, anche in quelle cellule di società che
sono le parrocchie. Non se ne ha tempo perché, in particolare da giovani, si
sta troppo poco in parrocchia, benché gli ambienti per starci generalmente ci
siano, ma rimangono vuoti la gran parte del giorno. Questo ostacola la
tradizione e l’inculturazione dei valori fondamentali della fede, che, come ho
notato, sono anche quelli fondativi della democrazie contemporanee espresse
dalle culture europee. Le relazioni sociali sono sempre più mediate da reti
sociali a cui si è connessi per molte ore al giorno, sempre più ore al giorno,
attraverso gli smartphone, che sono terminali dei sistemi di intelligenza
artificiale che consentono il controllo sociale. Queste reti sono povere in
termini di valori, veicolano solo punti di vista e l’influenza di chi le reti
sociali controlla e riesce a influire proprio su quei punti di vista,
costruendo una sorta di bolla cognitiva
intorno alle persone. Il valore che
appare più minacciato è paradossalmente, trattandosi di relazioni che si
intrattengono con reti sociali, quello della solidarietà. Questo
perché chi controlla le reti sociali mediante sistemi di intelligenza
artificiale non è in genere interessato alla solidarietà ma al consolidamento
del proprio potere, al potere per il potere (Hobbes). L’approccio alla
religione è così piuttosto superficiale,
basato prevalentemente sull’esibizione di oggetti ridotti a feticci o amuleti o
su immaginifiche tradizioni alterate in fantasiosi miti strumentalizzati a fini
di potere. Le relazioni sono volatili, sentite come poco impegnative. La
relazione più stabile e impegnativa, tanto da generare dipendenza, è quella con
il sistema che gestisce la rete e crea la bolla
in cui ci si caccia. Reagire
richiede il ripristino di una tradizione di maggiore, più ravvicinata e
prolungata consuetudine reciproca, al modo in cui avveniva, ad esempio, nell’esperienza
degli oratori, per i più giovani.
Mario Ardigò - Azione Cattolica
in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli