Cultura, popolo e
nazione
Impariamo dal Concilio Vaticano 2° (1962-1965) la definizione di cultura:
Con il termine generico di « cultura » si
vogliono indicare tutti quei mezzi con i
quali l'uomo affina e sviluppa le molteplici capacità della sua anima e del suo
corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il
lavoro; rende più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in tutta la
società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine,
con l'andar del tempo, esprime, comunica
e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché
possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano.
Di conseguenza la cultura
presenta necessariamente un aspetto storico e sociale e la voce « cultura »
assume spesso un significato sociologico ed etnologico. In questo senso si parla
di pluralità delle culture. Infatti dal
diverso modo di far uso delle cose, di lavorare, di esprimersi, di praticare la
religione e di formare i costumi, di fare le leggi e creare gli istituti
giuridici, di sviluppare le scienze e le arti e di coltivare il bello, hanno origine i diversi stili di vita e le
diverse scale di valori. Cosi dalle usanze tradizionali si forma il patrimonio proprio di ciascun gruppo umano.
Così pure si costituisce l'ambiente
storicamente definito in cui ogni uomo, di qualsiasi stirpe ed epoca, si
inserisce, e da cui attinge i beni che gli consentono di promuovere la
civiltà.
[dalla Costituzione pastorale La
gioia e la speranza - Gaudium et spes,
n.53]
Il popolo è l’ambiente umano da
cui scaturiscono le culture, in un complesso sistema di relazioni sociali che
coinvolge coloro che vivono in un certo ambiente, ma anche le generazioni del
passato, attraverso una tradizione. Storicamente le tradizioni
culturali nacquero come orali. L’acquisizione
cultura della scrittura consentì di
tramandarle molto più efficacemente ed anche di riscoprirle all’occorrenza.
Al giorno d’oggi tradizioni orali e scritte coesistono, ma una tradizione non
si ritiene al sicuro se non la si fissa in testi scritti. Le nostre Scritture sacre
sono il prodotto di un processo simile. La loro traduzione in lingue diverse da
quelle da cui originarono le tradizioni orali che le costituirono, a partire da
quella in greco antico fatta intorno all’anno 200 dell’era antica, ne consentì
il trasferimento in altre culture. Così in Italia preghiamo seguendo tradizioni
create nell’antica Palestina, un ambiente culturale molto diverso dal nostro.
Cultura e popolo
possono essere considerati elementi naturali, nel senso che, quando dall’evoluzione
biologica in un processo di milioni di
anni si formarono le strutture celebrali base della mente consentendo relazioni sociali di tipo culturale, le società
umane sono caratterizzate da culture. Anche queste ultimi sono stata connotate
da un processo di evoluzione causato dal mutamento degli usi e costumi e da
quello degli ambienti umani di riferimento. Società confinate in ambienti poco
permeabili con ciò che c’è intorno mutano meno rapidamente. Al contrario,
società aperte tendono a evolvere molto rapidamente, così come accade nel mondo
globalizzato di oggi. La globalizzazione significa la rimozione tendenziale di ogni
barriera che si frappone alle relazioni tra culture, che comprendono anche
quelle economiche, relative alla produzione e al commercio, e sociali. Di queste ultime fanno parte anche quelle
religiose.
Quella di nazione è invece un elemento culturale. Ne ha trattato il sociologo Zygmut Bauman (1922-1917)
nel libro divulgativo Retropia, del
2017, edito in traduzione italiana da Laterza, che ho sintetizzato alcuni
giorni fa. Ma anche lo storico Eric John Ernest Hobsbawm (1917-2012) in Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma,
mito, realtà, edito in traduzione italiana da Einaudi (può essere compreso
da chi abbia finito le superiori). L’identità nazionale viene proposta come naturale, ma è essenzialmente un
elemento politico. In questo senso
Hobsbawn sostiene che il nazionalismo
viene prima della nazione, citando l’antropologo e sociologo Ernest Gellner
(1925-1995):
«Le nazioni quali modo naturale e di derivazione divina di
classificare gli uomini, come destino
politico […] intrinseco sono un mito; il nazionalismo, che talvolta si
appropria delle culture precedenti per trasformale in nazioni, che talvolta se
le inventa, che spesso oblitera le culture precedenti; questa è la realtà».
Secondo Hobsbawn, si parla di nazioni nel significato odierno del termine dal
Settecento, salvo rare anticipazioni. Da quest’epoca l’idea di nazione è stata utilizzata come fonte di
legittimazione del potere politico: nazione,
in questa prospettiva, è un popolo che nella sua cultura ha la volontà dell’unità politica. Nei due secoli
precedenti quest’ultima era invece data da una dinastia sovrana che, per
legittimazione sacrale, quindi religiosa, intendeva esprimere pastori o padri per un certo popolo definito da elementi
cultura: di questo era fatta la nazione.
Dal Settecento ci cercò di sostituire la legittimazione nazionale a quella sacrale;
questo però, facendo emergere il popolo,
perché il nazionalismo è un elemento
culturale, segnò la crisi delle dinastie sovrano e l’evoluzione verso regimi
politici diversi, tendenzialmente a base sociale più ampia anche quando
effettivamente autocratici, come quelli fascisti. Il nazionalismo finì per
connotare le concezioni di cultura che si avevano, presentando le culture umane come un insieme organico, basato innanzi
tutto su lingua e religione, due degli elementi culturali la cui evoluzione è
più lenta, quanto alla lingua per ragioni di struttura della mente, quanto alla
religione per l’importanza che per la sua autorevolezza ha l’antichità delle
tradizioni. L’ambizione del nazionalismo, come di ogni politica, è quella di
frenare l’evoluzione della cultura sulla quale il proprio potere si fonda,
ancorandosi ad elementi culturali a più lenta evoluzione. In questo modo, fino
ad epoca recente, la religione è stata ancora utilizzata, in vari modi, a sostegno di un potere politico.
La costruzione culturale di un nazionalismo è piuttosto complicata in
ambienti sociali come quello italiano e quello tedesco caratterizzati da una
grande varietà culturale, sensibile addirittura nello spostarsi geograficamente
di poche decine di chilometri. Il nazionalismo italiano, in particolare, che
nell’Ottocento realizzò l’unità nazionale
nel corso di aspri e sanguinosi conflitti, aventi carattere di guerre
civili tranne che per la guerra contro l’Impero austriaco, non era basato su
reali affinità culturali e, in particolare, avendo mire politiche sul piccolo
regno dei Papi nell’Italia centrale, non poté avvalersi della religione come
fattore di coesione, visto che in Italia era maggioritaria quella cattolica,
asservita al Papato. Questo lo rese fragile e piuttosto diverso da quello che
caratterizzò processi di unificazione politica di altri stati. I sociologi
osservano che l’unità culturale su base nazionale iniziò a realizzarsi effettivamente sotto l’azione della
televisione di stato, dagli scorsi anni Cinquanta, e in particolare per
influsso della pubblicità, per quel processo che i sociologi chiamano imitazione acquisitiva. Il primo canale
televisivo italiano si chiamò Nazionale. A quel tempo e fino agli anni
Ottanta, la radiotelevisione fu riservata ad un organismo di stato. Il
pluralismo televisivo che si produsse dalla metà degli anni Ottanta suscitò
anche, nel giro di dieci anni e in concomitanza con evoluzioni storiche a
livello mondiale, un sensibile rivolgimento politico: per circa un trentennio
la politica italiana venne caratterizzata da maggiore imprenditore della
televisione privata in Italia. Il partito politico da lui fondato, fu
inizialmente organizzato da personale proveniente da una grande impresa
operante nel ramo della pubblicità televisiva.
L’arcivescovo
di Bologna Giacomo Biffi (1928-2015) diceva che, se si escludevano
pastasciutta e religione cattolica, non c’erano altri elementi su cui sostenere
il nazionalismo italiano. In realtà in Italia si mangiano moltissimi tipi di
pastasciutta e dagli anni Sessanta la nostra religione iniziò a mutare
velocemente. Dunque anche questo delude, come in genere deludono gli elementi
culturali quando li si vuole considerare naturali.
Naturale è la cultura,
nel senso che le società umane ne sono caratterizzate, ma poi le culture sono
tante quanto le società umane, che in genere non coincidono con le nazioni, e
soprattutto evolvono più o meno rapidamente. In definitiva, quello
di Biffi era un buon modo di demitizzare il nazionalismo, in particolare quello
italiano, verso il quale, per le ragioni che ho ricordato, la Chiesa cattolica
ha avuto sempre forti riserve.
Il nazionalismo italiano più nobile, perché più disinteressato, fu
quello del politico rivoluzionario Giuseppe Mazzini (1805-1872). Fu scritto dal
mazziniano Goffredo Mameli, autore del testo del guerresco Fratelli
d’Italia o Canto d’Italia, che è il
nostro inno nazionale:
Fratelli d'Italia,
l'Italia s'è desta,
dell'elmo di Scipio
s'è cinta la testa.
Dov'è la vittoria?
Le porga la chioma,
ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci a
coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò!
Noi fummo da secoli
calpesti, derisi,
perché non siam popolo,
perché siam divisi.
Raccolgaci un'unica
bandiera, una speme:
di fonderci insieme
già l'ora suonò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò!
Uniamoci, amiamoci,
l'unione e l'amore
rivelano ai popoli
le vie del Signore.
Giuriamo far libero
il suolo natio:
uniti, per Dio,
chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò!
Dall'Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn'uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d'ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò!
Son giunchi che
piegano
Le spade vendute:
Già l'Aquila d'Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d'Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a
coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò.
Stringiamci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l'Italia chiamò!
La lirica chiama alla solidarietà che c’è tra i combattenti. L’esigenza di
combattere, in questa prospettiva, nasce dalla costatazione che «Noi fummo da
secoli, calpesti, derisi», in quanto divisi, in quanto non popolo. E’ quel noi che però era problematico, proprio perché non
si era popolo, gli elementi culturali di unità erano piuttosto deboli e,
più che altro, basati su tradizioni
colte, letterarie. Fatta l’Italia, si
dovette poi tentare di fare gli Italiani: ciò che il fascismo mussoliniano
pensò di realizzare attraverso la guerra, come già avevano pensato i
nazionalisti interventisti che avevano spinto il Regno d’Italia ad intervenire
nella Prima guerra mondiale, in sostanza aggredendo il vicino Impero austriaco.
Ma ciò che le guerre mondiali del Novecento in cui fu gettata l’Italia non
riuscirono a produrre, fu fatto dalla televisione di stato, in particolare
consolidando la lingua nazionale, che fino alla metà del Novecento fu
essenzialmente un parto letterario.
Ai tempi nostri rinasce la proposta del
nazionalismo italiano, dopo un trentennio di aspra polemica contro di esso, con
la proposta di secessione del Nord dal Sud. Su che cosa fondarlo, a
parte la guerra, considerato che pastasciutta, religione e altro hanno deluso e
la pratica della lingua italiana, anche ai più alti livelli, è quella che è?
Come osservato da Bauman, lo si sta facendo, in Europa e negli Stati Uniti d’America,
costruendo il mito dell’invasione dei
migranti, quindi su una guerra
essenzialmente attuata con misure di polizia e con l’ostilità interculturale
verso chi ha scarse possibilità di difesa.
Mario Ardigò
- Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli