Sovranità
Molti politici
chiedono agli elettori il consenso ad una politica che recuperi al popolo
italiano la sovranità. Di che si tratta? E quand’è che
la sovranità ci è stata tolta?
La nostra
Costituzione si apre proclamando che la
sovranità appartiene al popolo (art.1, comma 2°). Sovranità è l’esercizio di un potere che non ha limiti, sovrano appunto. Era quello degli
antichi sovrani assoluti. Però, nella medesima proposizione di quell’articolo
in cui si attribuisce al popolo la sovranità, c’è scritto che essa si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Dunque, anche quello del popolo non è
un potere senza limiti. Questo perché,
come è scritto nell’art.1, comma 1°, della Costituzione, l’Italia è una repubblica democratica. La democrazia è appunto un
sistema politico di limiti ad ogni potere, pubblico e privato: limiti basati su
valori. Ad esempio quello della persona umana e quello del lavoro. Il potere
degli antichi sovrani assoluti era invece, almeno sulla carta, secondo le leggi
che essi stessi o i loro predecessori avevano dato ai popoli caduti in loro
dominio, senza alcun limite che non fosse quello della volontà dello stesso sovrano, il
quale poteva decidere di disfare ciò che aveva fatto: in questo senso era
assoluto, non condizionato da null'altro. Quei sovrani avevano potere di vita e
di morte e su ogni proprietà dei loro sudditi. Dal Duecento, in Europa, anche il potere di quei sovrani iniziò progressivamente ad avere dei limiti,
fondamentalmente verso i pari della
dinastia sovrana, verso la classe dei nobili legati a quest’ultima da legami
feudali, tra dinastie, per i quali alle dinastie inferiori veniva riconosciuto
un potere politico autonomo su certi territori purché riconoscessero la supremazia
di quelle superiori, facessero formale atto di sottomissione. Sviluppandosi
processi democratici, dalla fine del Settecento, finirono per averne di molto più
intensi, fino alla situazione di oggi, in cui le dinastie sovrane europee che
rimangono si dice che regnino ma non
governino, esercitando, oltre che funzioni di rappresentanza nelle
pubbliche cerimonie, un ministero più che altro morale. In Europa c’è ancora un
solo monarca veramente assoluto ed
è il Papa, sia come capo religioso che come sovrano del suo piccolo
dominio di quartiere a Roma, sul colle Vaticano. Lo è di fatto e di diritto. Riporto di seguito la “costituzione”, denominata legge fondamentale, della Città del
Vaticano, che comincia quando si entra
in piazza San Pietro o si attraversa uno dei varchi nei muraglioni
vaticani presidiati dalla Guardia Svizzera, il piccolo esercito del Pontefici,
erede di una tradizione storica di bellicosi mercenari. E’ entrata in vigore nel 2001, sostituendo
quella del 1929. Noterete che è piuttosto breve e che è priva di dichiarazioni
relative a valori o a diritti dei governati. Del resto la Città del Vaticano,
che secondo il Trattato del 1929 con il Regno
d’Italia non potrebbe neppure essere definita stato (non è mai nominata come tale in quell'atto), è un’entità politica molto particolare, costituita
solo per garantire indipendenza e libertà al Papa, per l’esercizio del suo alto
ministero religioso. Il suo popolo è fatto di dipendenti dell’organizzazione
della Curia, il complesso degli uffici che aiuta il Papa nelle sue funzioni, e
da alcuni dei lavoratori dei servizi
ausiliari. Potrebbe, oggi, il Papa, se si arrabbiasse veramente, far tagliare la testa a eretici e sovversivi
politici, come i suoi predecessori fecero? Il codice penale che si applica
nella Città del Vaticano è quello vigente nel Regno d’Italia nel 1929, con le
modifiche introdotte nel 1969 e 2013: per
queste ultime, non si dovrebbe più rischiare la pena di morte. Ma con i sovrani
assoluti nulla è mai detto in modo definitivo. E’ così anche con i popoli
insofferenti dei limiti democratici e dei valori a cui fanno riferimento.
Il fatto che ogni più
alto potere abbia dei limiti è assolutamente normale in democrazia. Ed è normale
anche se si voglia costruire una ordinamento internazionale su basi
democratiche. Ad esempio costituendo un’entità politica sovranazionale come l’Unione
Europea. L’Italia vi partecipa, ma non la domina. Anche gli organi supremi dell’Unione
hanno dei limiti, verso gli stati e verso ogni altra aggregazione sociale
minore, così come verso le singole persone, secondo il principio fondamentale
della sussidiarietà. Infatti l’Unione Europea ha
una Costituzione piena di limiti democratici e di valori, che è composta del Trattato di Lisbona, concluso nel 2007
ed entrato in vigore il 1 dicembre 2009, e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, entrata in
vigore insieme al Trattato. L’Unione
Europea è un lavoro collettivo: è ovvio che anche gli stati debbano avere dei
limiti. Ma, partecipando all’Unione, la loro azione politica è di molto
potenziata e inoltre la collettività sovranazionale li protegge, perché ci si
aiuta nelle difficoltà. Riprenderci la
sovranità significherebbe in
definitiva uscire dall’Unione, perché non si può parteciparvi, quindi esserne parte, senza accettare dei
limiti. Usciti, si sarebbe poi soli di fronte al grande mondo, una virgoletta
in un piccolo mare interno, quale appare l’Italia sul mappamondo. Significherebbe
essere più deboli, in un mondo in cui i
più forti sono tentati di mangiarsi i più deboli.
In Costituzione si menziona la sovranità, perché quando fu scritta, e
forse anche ora, non c’era altra parola che rendesse l’idea di un sistema politico fatto in modo che nessuno potesse far schiavo il popolo. Di fatto, finora,
nessuno c’è riuscito nell'Italia democratica. I limiti democratici hanno resistito. Questo perché il
popolo, tutta la gente che ha diritto di partecipare
alla nostra democrazia, ha detto la
sua, quando poteva farlo. Ha fatto la sua parte. Ma è impegno che va rinnovato
ad ogni scadenza importante.
L’idea di sovranità dovrebbe essere accompagnata dall’idea di responsabilità. Un sovrano assoluto non
accetterebbe di rendere conto di ciò che decide, di essere quindi responsabile. Anche il
popolo dovrebbe essere così? Non in democrazia. In questo regime politico si
chiede una certa coerenza misurata sui valori. Democrazia e virtù sono
strettamente legate: non è possibile una democrazia non virtuosa, e senza
propositi e condotte virtuose le democrazie decadono. E questo è vero
specialmente nei tempi difficili, quando si è tentati di mollare e farsi lecito
tutto quello che ci si era vietato: quello che gli economisti chiamano azzardo
morale.
Una delle questioni
più importanti in ballo nelle elezioni politiche che si terranno nella prossima
primavera, e per le quali occorre prepararsi,
è appunto, nientedimeno, se continuare ad essere una democrazia, con tutti i
valori che essa comporta, in primo luogo
quelli della persona e del lavoro. Ci sono di quelli che sono insofferenti dei
limiti democratici. Questa insofferenza è manifestata in primo luogo dai
principali attori dell’economia capitalista. Ritengono che i poteri pubblici
non dovrebbero occuparsi tanto di economia, la quale dovrebbe essere lasciata
alle dinamiche di mercato, quelle della
domanda e dell’offerta. Il loro compito, in materia economica, dovrebbe essere essenzialmente quello
di garantire la sicurezza delle proprietà, dei flussi finanziari e dei
commerci, nel quadro di accordi internazionali e secondo i principi da essi
stabiliti a livello mondiale.
Oggi lo stato
italiano è il maggiore datore di lavoro: i dipendenti pubblici sono oltre tre
milioni, dei quali circa la metà sono statali. I più numerosi sono gli
insegnanti, i militari e le forze di polizia. Il loro lavoro è in genere più sicuro di
quello dei dipendenti privati, in cui si sono progressivamente allargate le
aree di precariato ed è diventato più facile licenziare. Il settore pubblico
dovrebbe avvicinarsi al privato o dovrebbe essere l’inverso? Tutto dipende da
che impostazione si dà alla politica economica. I licenziamenti più facili e le
retribuzioni in calo, secondo le leggi di mercato, incidono sui valori
fondamentali della persona e del lavoro. Sono fondamentali non solo per le vite
della gente, ma anche per la stessa democrazia. La nostra infatti vuole essere fondata sul lavoro. E’ scritto nell’art.1
della Costituzione, nella parte dedicata ai Principi
fondamentali. Però rispettare le persone e il loro lavoro costa, in termini
propriamente economici. E’ per questo che nei decenni passati certe lavorazioni
industriali sono state trasferite, delocalizzate
si dice, in nazioni dove i lavoratori costavano
meno. Rispettare, nelle imprese industriali e commerciali, il valore della persona e del lavoro è un
limite, un limite al profitto, a ciò
che rimane dedotti i costi di produzione e le tasse. E’ un limite che è
previsto in un altro articolo della costituzione, l’art.41. Lo si vorrebbe
ritoccare.
Chi propone di recuperare sovranità si mostra insofferente di certi
limiti, che, dice, ci costano troppo. Bisognerebbe non accontentarsi di parole d’ordine: riprendersi la sovranità. Bisognerebbe
approfondire di quali limiti ci si
vorrebbe liberare, perché non accada poi, gira gira, di finire vittime di
questa nuova libertà da certi limiti. In un’economia lasciata a sé stessa, alle
sue dinamiche, i più forti si mangiano i più deboli. Siamo poi proprio sicuri
di riuscire ad essere sempre, per tutta la nostra vita, anche da anziani ad
esempio, dalla parte dei primi?
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma,
Monte Sacro, Valli
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Legge fondamentale
dello Stato della Città del Vaticano
26 novembre 2000
Acta Apostolicae Sedis, Supplemento, 01.02.2001
nota: la nuova Legge fondamentale dello Stato della Città
del Vaticano del 26 novembre 2000, in sostituzione della precedente - la prima
- emanata il 7 giugno 1929 dal Papa Pio XI di v.m., è entrata in vigore il 22
febbraio 2001, Festa della Cattedra di San Pietro
Il Sommo Pontefice, preso
atto della necessità di dare forma sistematica ed organica ai mutamenti
introdotti in fasi successive nell'ordinamento giuridico dello Stato della
Città del Vaticano, allo scopo,pertanto, di renderlo sempre meglio rispondente
alle finalità istituzionali dello stesso, che esiste a conveniente garanzia
della libertà della Sede Apostolica e come mezzo per assicurare l’indipendenza
reale e visibile del Romano Pontefice nell’esercizio della Sua missione nel
mondo, di Suo Motu Proprio e certa scienza, con la pienezza della Sua sovrana
autorità, ha promulgato la seguente Legge:
Art. 1
1. Il Sommo Pontefice, Sovrano dello Stato della Città del
Vaticano, ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.
2. Durante il periodo di Sede vacante, gli stessi poteri
appartengono al Collegio dei Cardinali, il quale tuttavia potrà emanare
disposizioni legislative solo in caso di urgenza e con efficacia limitata alla
durata della vacanza, salvo che esse siano confermate dal Sommo Pontefice
successivamente eletto a norma della legge canonica.
Art. 2
La rappresentanza dello Stato nei rapporti con gli Stati
esteri e con gli altri soggetti di diritto internazionale, per le relazioni
diplomatiche e per la conclusione dei trattati, è riservata al Sommo Pontefice,
che la esercita per mezzo della Segreteria di Stato.
Art. 3
1. Il potere legislativo, salvi i casi che il Sommo
Pontefice intenda riservare a Se stesso o ad altre istanze, è esercitato da una
Commissione composta da un Cardinale Presidente e da altri Cardinali, tutti
nominati dal Sommo Pontefice per un quinquennio.
2. In caso di assenza o di impedimento del Presidente, la
Commissione è presieduta dal primo dei Cardinali Membri.
3. Le adunanze della Commissione sono convocate e presiedute
dal Presidente e vi partecipano, con voto consultivo, il Segretario Generale ed
il Vice Segretario Generale.
Art. 4
1. La Commissione esercita il suo potere entro i limiti
della Legge sulle fonti del diritto, secondo le disposizioni di seguito
indicate ed il proprio Regolamento.
2. Per l’elaborazione dei progetti di legge, la Commissione
si avvale della collaborazione dei Consiglieri dello Stato, di altri esperti
nonché degli Organismi della Santa Sede e dello Stato che possano esserne
interessati.
3. I progetti di legge sono previamente sottoposti, per il
tramite della Segreteria di Stato, alla considerazione del Sommo Pontefice.
Art. 5
1. Il potere esecutivo è esercitato dal Presidente della
Commissione, in conformità con la presente Legge e con le altre disposizioni
normative vigenti.
2. Nell’esercizio di tale potere il Presidente è coadiuvato
dal Segretario Generale e dal Vice Segretario Generale.
3. Le questioni di maggiore importanza sono sottoposte dal
Presidente all'esame della Commissione.
Art. 6
Nelle materie di maggiore importanza si procede di concerto
con la Segreteria di Stato.
Art. 7
1. Il Presidente della Commissione può emanare Ordinanze, in
attuazione di norme legislative e regolamentari.
2. In casi di urgente necessità, egli può emanare disposizioni
aventi forza di legge, le quali tuttavia perdono efficacia se non sono
confermate dalla Commissione entro novanta giorni.
3. Il potere di
emanare Regolamenti generali resta riservato alla Commissione.
Art. 8
1. Fermo restando quanto disposto agli artt. 1 e 2, il
Presidente della Commissione rappresenta lo Stato.
2. Egli può delegare la rappresentanza legale al Segretario
Generale per l’ordinaria attività amministrativa.
Art. 9
1. Il Segretario Generale coadiuva nelle sue funzioni il
Presidente della Commissione.
Secondo le modalità indicate nelle Leggi e sotto le
direttive del Presidente della
Commissione, egli:
a) sovraintende all’applicazione delle Leggi e delle altre
disposizioni normative ed
all'attuazione delle decisioni e delle direttive del
Presidente della Commissione;
b) sovraintende all’attività amministrativa del
Governatorato e coordina le funzioni delle
varie Direzioni.
2. In caso di assenza o impedimento sostituisce il
Presidente della Commissione,
eccetto per quanto disposto all'art. 7, n. 2.
Art. 10
1. Il Vice Segretario Generale, d’intesa con il Segretario
Generale, sovraintende
all’attività di preparazione e redazione degli atti e della
corrispondenza e svolge le altre funzioni a lui attribuite.
2. Egli sostituisce il Segretario Generale in caso di sua
assenza o impedimento.
Art. 11
1. Per la predisposizione e l’esame dei bilanci e per altri
affari di ordine generale
riguardanti il personale e l’attività dello Stato, il
Presidente della Commissione è assistitodal Consiglio dei Direttori, da lui
periodicamente convocato e da lui presieduto.
2. Ad esso prendono parte anche il Segretario Generale ed il
Vice Segretario Generale.
Art. 12
I bilanci preventivo e consuntivo dello Stato, dopo
l’approvazione da parte della
Commissione, sono sottoposti al Sommo Pontefice per il
tramite della Segreteria di Stato.
Art. 13
1. Il Consigliere Generale ed i Consiglieri dello Stato,
nominati dal Sommo Pontefice per un quinquennio, prestano la loro assistenza
nell’elaborazione delle Leggi e in altre materie di particolare importanza.
2. I Consiglieri possono essere consultati sia singolarmente
che collegialmente.
3. Il Consigliere Generale presiede le riunioni dei
Consiglieri; esercita altresì funzioni di coordinamento e di rappresentanza
dello Stato, secondo le indicazioni del Presidente della Commissione.
Art. 14
Il Presidente della Commissione, oltre ad avvalersi del
Corpo di Vigilanza, ai fini della sicurezza e della polizia può richiedere
l’assistenza della Guardia Svizzera Pontificia.
Art. 15
1. Il potere giudiziario è esercitato, a nome del Sommo
Pontefice, dagli organi costituiti secondo l’ordinamento giudiziario dello
Stato.
2. La competenza dei singoli organi è regolata dalla legge.
3. Gli atti giurisdizionali debbono essere compiuti entro il
territorio dello Stato.
Art. 16
In qualunque causa civile o penale ed in qualsiasi stadio
della medesima, il Sommo Pontefice può deferirne l’istruttoria e la decisione
ad una particolare istanza, anche con facoltà di pronunciare secondo equità e
con esclusione di qualsiasi ulteriore gravame.
Art. 17
1. Fatto salvo quanto disposto nell’articolo seguente,
chiunque ritenga leso un proprio diritto o interesse legittimo da un atto
amministrativo può proporre ricorso gerarchico ovvero adire l’autorità
giudiziaria competente.
2. Il ricorso gerarchico preclude, nella stessa materia,
l’azione giudiziaria, tranne che il Sommo Pontefice non l’autorizzi nel singolo
caso.
Art. 18
1. Le controversie relative al rapporto di lavoro tra i
dipendenti dello Stato e
l’Amministrazione sono di competenza dell’Ufficio del Lavoro
della Sede Apostolica, a norma del proprio Statuto.
2. I ricorsi avverso i provvedimenti disciplinari disposti
nei confronti dei dipendenti dello Stato possono essere proposti dinanzi alla
Corte di Appello, secondo le norme proprie.
Art. 19
La facoltà di concedere amnistie, indulti, condoni e grazie
è riservata al Sommo
Pontefice.
Art. 20
1. La bandiera dello Stato della Città del Vaticano è
costituita da due campi divisi
verticalmente, uno giallo aderente all’asta e l’altro
bianco, e porta in quest'ultimo la tiara con le chiavi, il tutto secondo il
modello, che forma l’allegato A della presente Legge.
2. Lo stemma è costituito dalla tiara con le chiavi, secondo
il modello che forma
l’allegato B della presente Legge.
3. Il sigillo dello Stato porta nel centro la tiara con le
chiavi ed intorno le parole "Stato della Città del Vaticano", secondo
il modello che forma l’allegato C della presente Legge.
La presente Legge fondamentale sostituisce integralmente la
Legge fondamentale della Città del Vaticano, 7 giugno 1929, n. I. Parimenti
sono abrogate tutte le norme vigenti nello Stato in contrasto con la presente
Legge.
Essa entrerà in vigore il 22 febbraio 2001, Festa della
Cattedra di San Pietro Apostolo.
Comandiamo che l’originale della presente Legge, munito del
sigillo dello Stato, sia depositato nell’Archivio delle Leggi dello Stato della
Città del Vaticano, e che il testo corrispondente sia pubblicato nel
Supplemento degli Acta Apostolicae Sedis mandando a chiunque spetti di
osservarla e di farla osservare.
Data dal Nostro Palazzo Apostolico Vaticano il ventisei
novembre duemila, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo,
anno XXIII del Nostro Pontificato.
IOANNES PAULUS II, PP (Papa Giovanni Paolo 2°)