Populismo
Gli studiosi di politica segnalano in Italia il pericolo del populismo. Quest’ultimo, per come lo si
intende nel dibattito pubblico di oggi, è una strategia politica per conquistare
e conservare il potere. Viene attuata da gruppi in crisi di legittimazione,
vale a dire quando non riescono a convincere la gente con altri argomenti.
Consiste nel confermare le persone nelle loro paure irrazionali, giustificando
le loro tentazioni cattive. Si sostiene che la situazione è tanto grave che non
c’è altro modo per uscirne che essere cattivi, come si fa in guerra. I
populisti si offrono di fare il male per conto altrui: propongono un patto che
consiste nel dar loro il potere senza stare tanto a sottilizzare e promettono
di fare loro il lavoro sporco che occorre per salvarsi, liberando le coscienze
dei loro mandanti politici. Però richiedono mani libere. Non vogliono sentire
obiezioni in corso d’opera. E quando cominciano a far danno e qualcuno
protesta, dicono che è troppo presto per farlo, che bisogna lasciarli lavorare. E’ sempre troppo presto. E se si osserva che, continuando in un certo
modo, le cose non potranno che peggiorare, allora accusano chi fa queste
previsioni di essere un menagramo e un disfattista. Proposta questa
impostazione politica, si è di fronte al populismo, nel senso che ho sopra
precisato. E’ chiaro che si tratta di un atteggiamento che ricorre in misura
maggiore o minore in quasi tutte le politiche italiane di oggi. E’ una manifestazione
del degrado della politica. Si tratta di un fenomeno che è in corso dagli
scorsi anni ’80, quando appunto gli studiosi cominciarono a parlare di crisi dei legittimazione della politica.
E’ degrado per tre aspetti: per il fatto che non si dice alla gente la verità sui
mali sociali; perché si propone come soluzione un lavoro sporco, che consiste
nell’essere cattivi; perché, infine, si propone di dare fiducia incondizionata a certi politici,
disertando un lavoro essenziale in democrazia che è quello della costante critica
politica razionale.
Il populismo può essere considerato come una grave malattia della
democrazia. Infatti è una strategia che è stata attuata storicamente da
correnti politiche non democratiche e dai loro principali esponenti. Fu
sostanzialmente populista la politica del fascismo mussoliniano, fino alla sua
prima caduta nel luglio del 1943. Successivamente esso fu caratterizzato
essenzialmente dalla violenza politica, fino al disastro finale nell’Italia del
Nord, nel 1945. Ma populismo e violenza politica spesso si accompagnano. Questo
perché il populismo di solito prende di mira certi settori sociali, dai quali
può venire una reazione alla quale si oppone una repressione violenta. Il
populismo è insofferente dei limiti che caratterizzano le politiche
democratiche e li considera parte del problema da risolvere senza tanti scrupoli
morali. Il pericolo della violenza politica incombe quindi in tutte le
politiche populiste.
Parliamo di popolo e di paure.
Ma quali sono le paure esagerate artificiosamente dal populismo? Possono essere
le più varie, a seconda degli strati sociali coinvolti. In questa prospettiva
il popolo perde il suo aspetto unitario, di massa in cui non si riesce bene a
distinguere granché, come in una fotografia dell’alto del grande pubblico di un
concerto rock. Appaiono vari gruppi, ciascuno dei quali ha le sue specifiche
paure. Il populista confermerà tutti nelle loro paure, senza curarsi di avere
un atteggiamento coerente. A tutti dirà che penserà lui a mettere le cose a
posto, andando al potere. Se si cerca di approfondire, andrà su generico, ad
esempio dicendo di ispirarsi a qualche modello straniero vincente. Ma le ragioni per
cui ci sono nazioni vincenti e nazioni perdenti sono appunto quelle che occorre
studiare per capire che fare. Com’è successo che certi siano tra i perdenti? E come farà il nostro
populista a ribaltare la situazione? Che competenza ha? Un discorso come questo
dà fastidio al populista: a questo punto i fascisti storici iniziavano a menare
le mani. Quando ci affidiamo ad una qualche azienda per le nostre esigenze, ad
esempio per acquistare l’automobile alla quale affidiamo le nostre vite, ci
informiamo delle referenze di chi produce e vende. Il populista in genere non è
in grado di esibire curriculi impressionanti. A volte è veramente alle prime
armi. O le sue esperienze di amministrazione riguardano situazioni piuttosto
limitate. Ma è ambizioso, se gli si affidasse il mondo intero avrebbe la
soluzione a tutti i suoi problemi. E fa una colpa a chi ha da obiettare in
merito.
Immaginate di dover subire un delicato
intervento chirurgico. Preferireste affidarvi a chi capita o ad un medico con
un buon curriculum?
Tutti dovrebbero intendersi un po’ di politica. Non è come per la
medicina, dove per capirci occorre aver seguito un impegnativo corso di studi.
Ma governare una grande città, una regione o una nazione intera richiede molto
più che l’intendersi un po’ di politica: occorre aver dimostrato di saper
fare e, innanzi tutto, di conoscere veramente e realisticamente le istituzioni
con le quali si deve avere a che fare, le funzioni da svolgere e i problemi che
ci sono.
Poi, a disastro avvenuto, ci sarà sempre qualcuno che dirà che il populista qualcosa di buono l’avrà pure fatto.
Questo argomento mi è stato proposto questa estate a proposito del Mussolini.
Allora ho fatto l’esempio che segue. Qualche anno fa il secondo pilota
di un aereo di linea, rimasto solo alla guida, ha mandato l’apparecchio a
schiantarsi contro una montagna. Aveva deciso di farla finita. In quel momento
gli è parsa una buona soluzione e si è trascinato dietro gli altri membri
dell’equipaggio e i passeggeri. Si è scoperto che aveva avuto problemi
psichiatrici, che però non erano stati segnalati alla compagnia aerea. Ma qualcosa di buono l’avrà pure fatto!
Avrà voluto bene a qualcuno. Avrà avuto una famiglia che ha seguito
amorevolmente. Prima di quell’ultimo volo, non aveva fatto sempre quello che doveva? Eh, sì, qualcosa di buono certamente l’avrà fatto.
Ma voi, se aveste saputo dei problemi psichiatrici che aveva maturato quel
pilota, ci sareste saliti con lui su quell’ultimo volo? E’ così che vanno
giudicati i politici di governo, prima e dopo il loro servizio. Sì, ad esempio,
avranno pure fatto qualcosa di buono, ma ora
sono in grado di pilotare la nazione? Non è che ci manderanno a sbattere
contro una montagna? Nel caso del Mussolini, non è che egli abbia nascosto le
sue intenzioni: voleva fare guerra, diceva, per conquistare uno spazio vitale, in cui erano comprese
Libia ed Etiopia. Lo ha detto chiaro e forte e agli italiani, fin da piccoli,
ha messo in mano libro e moschetto (un
tipo di fucile utilizzato in guerra). Seguiva i futuristi, per i quali la guerra era l’unica igiene del mondo.
Bene, l’Italia ebbe la guerra, diverse guerre, prima quelle coloniali e poi quella mondiale. Gli italiani, che erano meno
ricchi della gente di altre nazioni, speravano di guadagnarci. Conquistare non significa anche un po’ rapinare, che è quando con la violenza ci
si impossessa delle ricchezze altrui? Gli italiani ritennero di averne il
diritto, perché anche gli altri europei facevano lo stesso. Quindi poi alla
fine sono andati a sbattere in una disastrosa guerra mondiale, dalla quale la
nazione è uscita pressoché annientata. Alcuni sono ancora tentati da quella
via, ma capiscono che qualcosa non è andato per il verso giusto e allora,
quando non passano a menare le mani, propongono l’argomento principe dei
populisti di sempre a disastro avvenuto,
appunto quello del ma qualcosa di buono
l’avrà fatto. Altri sostengono che però sarebbe meglio vederci chiaro, realisticamente, prima ed ora su come andrà a finire nel complesso con una politica; a loro non basta che chi comanda qualcosa di buono l'abbia comunque fatto. E se poi la storia si ripetesse? E se ci si schiantasse? I saggi invitano ad imparare dalla storia, che è, dicono, maestra di vita.
Ognuno ha delle paure per come vanno le cose
in società. Il sociologo Zygmunt Bauman (1925-2017) ha scritto che la nostra
epoca è caratterizzata dall’insicurezza sociale, ed anche nelle società più ricche.
Non si è più sicuri del lavoro, di avere una casa, di essere aiutati nelle
difficoltà. Si cerca di trovare soluzioni private a questi mali sociali, ma di
solito si è sempre indietro, in fondo impotenti, rimane sempre questa paura. Ma
com'è che accade anche nelle nazioni più ricche? Non ci si potrebbe fare
qualcosa con gli strumenti della politica? Probabilmente sì, perché si tratta
di mali sociali che sono le conseguenze di sistemi di relazioni sociali che non funzionano bene. Si tratta di costruzioni umane che, come sono state fatte, possono anche essere cambiate. Però si tratta di sistemi molto complessi, di reti di relazioni che ormai
coinvolgono tutto il mondo. Per cui, ad esempio, il pericolo di una guerra
nucleare dall’altra parte del globo ci preoccupa, e veramente ci deve preoccupare ha
sostenuto il capo del governo tedesco Angela Merkel, non tanto perché potrebbe arrivarci addosso
un qualche missile sparato da laggiù, ma perché gran parte delle nostre cose di
uso quotidiano, che compriamo a basso prezzo, ci vengono da quelle parti. Prima
di operare bisogna, quindi, innanzi
tutto capire e capire in modo veritiero, realistico, che significa in modo aderente ai fatti e razionalmente. E, capendo, si potrebbe avere la spiacevole sorpresa di
concludere che le cose non possono cambiare veramente se non si decide innanzi
tutto di cambiare il modo come è impostata la propria vita. Non serve essere
cattivi con qualcun altro. E’
appunto ciò che viene proposto nell’enciclica Laudato si’, diffusa nel 2015 dal papa Francesco. E’ un documento
che contiene un’analisi realistica e razionale dei mali sociali di oggi. Ma non
contiene populismo, come i detrattori
del Papa sostengono: innanzi tutto perché si tratta di un’analisi realistica
della realtà; poi perché non conferma la gente nelle sue paure, ma anzi esorta
a non avere paura; non propone di
essere cattivi per salvarsi, ma anzi di essere virtuosi, e, infine, e questo è
molto importante per distinguere la sua prospettiva da quella populista, il suo
principale problema non è di conquistare o di mantenere un potere politico, ma di
migliorare la situazione sociale.
Il principale intento del populista è invece quello di conquistare o di
mantenere il potere politico, non di risolvere i problemi della gente. E’ per
questo che non ha necessità di una visione realistica e razionale dei problemi
della società. Gli basta avere una visione realistica e razionale dei suoi problemi, che pensa di risolvere andando al
potere e mantenendolo. Ma a mente fredda gli altri non gli darebbero credito perché non ha mai dimostrato di essere granché come politico: bisogna allora che la gente abbia paura e abbandoni la razionalità, il costume della critica sociale, e, insomma, si fidi senza stare troppo a sottilizzare, si fidi sulla parola di chi le garantisce che la salverà, anche se a costo di sofferenze altrui, il lavoro sporco del quale il populista promette di occuparsi, senza farlo gravare sulle coscienze dei suoi mandanti. Così il populista incoraggia la gente ad avere paura perché in questo modo pensa che
gli cadrà nelle mani, senza tante remore, scrupoli di coscienza, resistenze intellettuali o morali. Il suo principale argomento è “non è il momento di fare tanto gli
schizzinosi”. L’etica passa in secondo piano, come la razionalità. Ma come essere veramente
sicuri di non rimanere vittime di questo abbandono dell’etica, di quello che
gli economisti chiamano azzardo morale, che significa appunto fare
i propri interessi, egoisticamente, senza fare tanto gli schizzinosi?
Attualmente la principale paura che le politiche populiste incoraggiano
nella nostra gente è quella degli immigrati, in particolare dall’Africa. Sembra
che tutti i nostri problemi dipendano da questo. E’ una paura irrazionale,
naturalmente. Non è per questo che rischiamo, ad esempio, il posto di lavoro e
che il lavoro viene pagato, in genere, sempre meno. E non è per questo che le
risorse per i servizi sociali, ad esempio per l’istruzione o la sanità,
appaiono sempre eccessive, troppo onerose, mentre quei servizi hanno crescenti
difficoltà appunto per mancanza di risorse sufficienti. L’economia ha prodotto
crescenti diseguaglianze sociali. E si vogliono spendere meno soldi per i
servizi sociali, pubblici, che contribuiscono ad aumentare il benessere di
tutti, correggendo quelle diseguaglianze in fondo ingiuste, quelle che il Papa chiama inequità. Il tenore di vita di chi sta
peggio è attualmente sostenuto dal
vantaggio di poter ancora acquistare a basso la gran parte dei prodotti di uso
comune, perché vengono prodotti in Oriente, dove i lavoratori vengono pagati
meno che da noi. L’aver spostato in Oriente la produzione di questi beni è una
delle ragioni per cui ci sono meno posti di lavoro in Europa. Noi acquistiamo
senza tanti problemi quei prodotti, anche se sappiamo che incorporano uno
sfruttamento dei lavoratori delle industrie che li hanno realizzati. Come
lavoratori siamo danneggiati, ma come consumatori avvantaggiati. In generale è
il lavoro che, qui da noi e in Oriente, non è pagato il giusto. Bisognerebbe
mettere in questione il sistema economico che attribuisce questo valore
ingiusto al lavoro. E’ il mercato. Non è una potenza della natura.
Le forze del mercato hanno regole e non solo quelle economiche. Una serie di
trattati internazionali consente alle cose di andare come vanno, creando una
cornice giuridica in cui poi si realizza
questa ingiustizia per cui il lavoro non è pagato il giusto. Vi è chi si
avvantaggia. Per questo, appunto, in
Occidente come in Oriente sono aumentate fortemente le diseguaglianze sociali.
Sono una minoranza quelli che si trovano in una posizione privilegiata. E
quest’ultima dipende dalle politiche correnti, che creano la struttura
giuridica per mantenere un sistema economico che produce diseguaglianze e,
quindi, sofferenze sociali. Ma, alla fine e in particolare nei sistemi
democratici, non dovrebbero essere le maggioranze a prevalere? In astratto, sì.
Di fatto, paradossalmente, la maggioranza della gente rimane soggetta alle minoranze dei
privilegiati sociali e la situazione tende ad inasprirsi sempre più se i
correttivi sociali si fanno più deboli, ad esempio se si fa più debole la
resistenza dei sindacati nei rapporti di lavoro. Per mantenere il controllo dei
più, le minoranze dei privilegiati sviluppano politiche populistiche. Significa
che ancora la giustizia sociale non è di questo mondo? Ma potrebbe esserlo, si potrebbe tentare di fare in modo che lo sia, sarebbe interesse dei
più cercare di promuoverla. Questa è anche la posizione della dottrina sociale.
Ecco come inizia, ad esempio, la lettera apostolica Octogesima Adveniens -
Avvicinandosi l’ottantesimo anniversario (potete leggerla sul WEB a questo
indirizzo
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/apost_letters/documents/hf_p-vi_apl_19710514_octogesima-adveniens.html
diffusa nel 1971 dal papa Giovanni Battista
Montini, in religione Paolo 6°:
1. L'80° anniversario della
pubblicazione dell'enciclica Rerum novarum, il cui messaggio continua
a ispirare l'azione per la giustizia sociale, ci spinge a riprendere e a
prolungare l'insegnamento dei nostri predecessori, in risposta ai nuovi bisogni
di un mondo in trasformazione. La chiesa, infatti, cammina con l'umanità e ne
condivide la sorte nel corso della storia. Annunciando agli uomini la buona
novella dell'amore di Dio e della salvezza nel Cristo, essa illumina la loro
attività con la luce dell'evangelo, aiutandoli in tal modo a corrispondere al
divino disegno d'amore e a realizzare la pienezza delle loro aspirazioni.
Appello universale a maggiore giustizia
2. Con fiducia, noi vediamo
lo Spirito del Signore continuare la sua opera nel cuore degli uomini e
radunare dovunque comunità cristiane coscienti delle loro responsabilità nella
società. In tutti i continenti, tra tutte le razze, le nazioni, le culture, in
mezzo ad ogni sorta di condizioni, il Signore continua a suscitare autentici
apostoli dell'evangelo.
Ci è stato dato di
incontrarli, di ammirarli, di incoraggiarli durante i nostri recenti viaggi.
Abbiamo avvicinato le folle e ascoltato i loro appelli, grida di miseria e di
speranza al tempo stesso.
In queste circostanze, i
gravi problemi del nostro tempo ci sono apparsi con un nuovo rilievo, come
particolari, certo, a ciascuna regione, ma tuttavia comuni a una umanità che si
interroga sul suo avvenire, sull'orientamento e il significato dei mutamenti in
corso. Differenze evidenti sussistono nello sviluppo economico, culturale e
politico delle nazioni: accanto a regioni fortemente industrializzate, altre
sono ancora allo stadio agricolo; accanto a paesi che conoscono il benessere, altri
lottano contro la fame; accanto a popoli ad alto livello culturale, altri
continuano a occuparsi della eliminazione dell'analfabetismo. Da ogni parte
sale un'aspirazione a maggiore giustizia e si alza il desiderio di una pace
meglio assicurata, in un mutuo rispetto tra gli uomini e tra i popoli.
Il populista cerca di accattivarsi la fiducia
dei più promettendo di farli privilegiati o, comunque, di trattarli come tali.
Non ha di mira la giustizia sociale. Qualcuno ci rimetterà, ma, assicura, non
saranno quelli a cui promette un patto richiedendo fiducia incondizionata.
Siamo terrorizzati da chi ha la
pelle di un colore diverso dalla nostra, non si esprime (ancora) bene in
Italiano ed è povero. Sembra che finirà per sottrarci qualche cosa. Ma, se
consideriamo bene, non è vero che le principali sofferenze ci sono inflitte,
invece, da connazionali? Ad esempio da chi ci licenzia dall’oggi al domani e
magari era tanto tempo che lavoravamo per lui. Oggi le leggi danno più libertà
di licenziare. Nella maggior parte dei casi oggi è previsto solo un indennizzo
pecuniario. Fino a qualche anno fa era diverso: le cose, dunque, sono cambiate in peggio. Uno oggi può essere licenziato più facilmente, pagandogli qualcosa. Ma, perso il lavoro, e quindi poi anche la dignità, che se ne fa
uno di un gruzzoletto che presto finisce? Siamo disgustati se si spacciano
stupefacenti o ci si offre in prostituzione sotto casa nostra, ma chi sono i
clienti? Chi sta peggio cerca di imitare i costumi di vita di chi sta meglio,
ma essi sono costosi. Allora può accadere che si rubi o si rapini. Magari per
scoprire che quello che si è ottenuto non serve per una vita buona, non dà la
felicità e che si è sempre gli stessi, poveri in umanità e dunque infelici, pur in mezzo a case a volte trasformate in delle specie di magazzini in cui sono affastellate
alla rinfusa cose costose ma di cattivo gusto. E’ questa l’impressione che si
ricava, ad esempio, dalle foto, diffuse dai giornali e dalle televisioni, delle
perquisizioni nelle abitazioni di certi criminali che si sono arricchiti. Bisognerebbe
invece imparare la vita buona e la virtù, da qui viene la felicità: questo è
l’insegnamento della dottrina sociale.
Di fatto agli immigrati
africani si sono chiuse certe vie per raggiungere le nostre coste. Questo è
costato violenza. Avviene tutto lontano dai nostri occhi, così cerchiamo di dimenticarcene. Il populista ci rassicura: abbiamo ragione a non avere scrupoli di coscienza. Non si poteva fare diversamente. Il Papa, invece, ci ricorda il tremendo rimprovero biblico a Caino e ai suoi seguaci, "Dov'è il tuo fratello?". Gente viene ora
respinta in massa. Questi respingimenti collettivi non sarebbero consentiti
dalle norme internazionali in vigore, ad esempio dalla Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea.
Articolo 19
Protezione in caso di allontanamento, di
espulsione e di estradizione
1. Le espulsioni collettive
sono vietate.
2. Nessuno può essere
allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio
di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o
trattamenti inumani o degradanti.
Un divieto analogo è contenuto
nella Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata proprio a Roma nel
1950. Nel 2014 la Repubblica italiana è stata condannata con sentenza della
Corte Europea dei Diritti Umani per averli attuati. Ma ora tutto si svolge in
un’altra nazione, considerata insicura dalle autorità internazionali ma anche
dalle nostre autorità: e tutto si fa in base ad accordi che abbiamo concluso
laggiù, anche con autorità locali. Le nostre paure hanno trovato una specie di
conforto, effettivamente l’immigrazione africana si è ridotta, senza che ci tocchi la violenza che è stata necessaria per riuscirci, ma rimane la
gente che è già riuscita a giungere tra noi, anche quella ci fa paura. E quando
riuscissimo a sistemare anche quella, ma sarà più difficile farlo
perché certe soluzioni sbrigative non le possiamo proprio attuare sul nostro territorio nonostante tutte
le nostre cattive intenzioni, poi le cose andrebbero
veramente meglio? Alcuni sono convinti di sì e le politiche populiste li
incoraggiano, come appunto i populisti sono soliti fare. Ma poi, in genere, non
si soffre veramente a causa degli immigrati, che al più, se poveri, possono
essere un brutto spettacolo, come la povertà in genere è, ma null’altro. Si
soffre, ad esempio, per il taglio della spesa pubblica, che determina una riduzione delle spese sociali, di benessere di tutti, e consegue anche, ma
non solo, al proposito di tagliare le
tasse. Meno tasse, meno entrate fiscali, meno spesa pubblica: i conti così tornano. Il
populista, però, a chi è preoccupato per le tasse, promette di ridurle, e a chi è
preoccupato per la riduzione della spesa pubblica, promette di aumentarla. Come
farà? Di solito si tiene sul vago. Promette di colpire l’evasione fiscale, ma
allora poi protesteranno i suoi sostenitori che sono preoccupati per le tasse e forse hanno già
scelto quella via per proteggersene. O propone di liberarsi dai vincoli europei
e di uscire dall’area dell’Euro, la moneta comune della nostra Unione Europea, la nostra nuova Europa, riacquistando la sovranità monetaria, per
tornare così, rapidamente, all’inflazione a due cifre che chi ha la mia età ha sperimentato.
Negli anni ’70 arrivò, in concomitanza con la crisi energetica, quasi fino al 25% annuo e così stipendi e
risparmi della gente evaporavano. Una soluzione che, secondo molti studiosi,
ci manderebbe a sbattere. Non è stampando
più carta moneta che si risolvono i
problemi dell’economia, tanto più che è molto aumentata la nostra dipendenza
dall’estero, dove acquistiamo praticamente tutti i prodotti di uso comune. Che mercato potrebbe avere una moneta svalutata?
Perché il populismo ha preso
tanto piede, venendo utilizzato, in misura più o meno ampia, anche da forze che
non se ne servirono in passato? E’ appunto, come ho scritto, per la crisi di
legittimazione della politica, per cui la gente non ritiene più utile fare politica e non se ne vuole più occupare. Si è
stufata di discorsi politici ragionevoli, li ritiene più o meno degli imbrogli.
Tutti i politici sono uguali, pensa, e fanno solo i propri interessi. Servirebbe piuttosto
farsene dei complici. E' appunto questa la proposta del populista. Allora si finisce per dare ascolto ai tipi sbrigativi, anche se poco referenziati, che promettono di
esonerare la gente da tutte quelle preoccupazioni: faranno tutto loro, promettono,
anche il lavoro sporco, che poi potrebbe dare problemi di coscienza, e lo faranno anche
nel nostro interesse, ma sempre in danno di certi altri, quelli che di volta in
volta sono additati come responsabili del male che c’è, assicurandoci che noi non saremo tra quelli. Sono promesse che
assomigliano certe volte, appunto, ad un
arruolamento come complici. E può prevedersi che, quando le cose finiranno
male, i populisti con cui ci saremo federati ci chiameranno a correi: diranno
che noi siamo stati loro complici. Certe cose le avevamo chieste noi. Ma anche di più, storicamente è accaduto proprio questo: diranno che le cose sono
andate male non per colpa loro, che hanno tenuto fede ai patti, ma per colpa nostra, perché non siamo stati abbastanza determinati
nell'essere cattivi. Ci accuseranno di aver avuto troppi scrupoli, di aver guastato tutto per aver frenato mettendo di mezzo, ad un certo punto, la ragione e l'etica. Non si era concordato di non fare tanto gli schizzinosi? Ci troveremmo, allora, in questo caso, davanti al tribunale della storia, insieme a loro.
Non sarebbe meglio, invece, seguire la via della virtù indicata dalla
dottrina sociale?
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte
Sacro, Valli