Buon lavoro agli educatori dell'ACR riuniti nel campo scuola a Vitorchiano!
Dal 15 settembre, educatori dell'ACR partecipano al campo scuola diocesano a Vitorchiano. Ci saranno anche partecipanti della nostra parrocchia. Infatti da quest'anno si vuole far partire anche da noi l'ACR.
Buon lavoro a tutti!
Per alcuni può essere la prima volta che si accostano a questa
esperienza associativa. Altri l’hanno già fatta, ma possono sentire il bisogno
di approfondire le ragioni per proseguirla. Nei post
che ho pubblicato dal 1 settembre
possono trovare qualcosa di utile. E’ una minima parte di quello che si può
dire sull’Azione Cattolica, ma comunque forse si vorrebbe avere una visione
ancor più sintetica.
Cominciamo con il dire questo: l’Azione
Cattolica non è assimilabile ad alcuna delle altre aggregazioni ecclesiali
correnti in Italia. Questo significa anche che fa un lavoro che nessun altro
fa. Ma che dovrebbe fare?
Per capirlo occorre avere consapevolezza
della sua storia.
Tutto iniziò a metà Ottocento, quando il
Papato sentì la necessità di chiamare a raccolta il popolo a difesa della sua
missione. I moti nazionalistici italiani minacciavano il suo piccolo stato nell’Italia
centrale, con capitale Roma. Si voleva che fosse la capitale del nuovo stato
unitario e indipendente che si andava costituendo in quegli anni, con sommosse
popolari e guerre, sia tra stati e che
tra milizie popolari e stati. Il Papato riteneva di avere bisogno di quel suo
stato per essere indipendente dalla politica degli stati del mondo intorno ed
essere libero di svolgere la sua missione universale.
I moti nazionalistici italiani erano suscitati
da movimenti con ideologia liberale e democratica. Erano tali, in particolare,
i gruppi che si ispiravano al pensiero di Giuseppe Mazzini (1805-1872). Essi
non miravano solo all’unità nazionale e all’indipendenza, ma anche alla riforma sociale, in particolare all’affermazione
di regimi democratici, da conseguire con il coinvolgimento del popolo non più
solo come concessione delle dinastie sovrane, che all’epoca, dopo la caduta del
regime di Napoleone Bonaparte nel 1815, dominavano nuovamente l’Europa. Il
nazionalismo italiano di quell’epoca non era anti-cristiano: il motto di
Mazzini era “Dio e popolo”. Divenne anticlericale per il rifiuto del Papato di
consentire l’unità nazionale con capitale a Roma.
Perché i nazionalisti ritenevano
indispensabile Roma? Per il suo significato simbolico, derivante dalla sua
storia antica, per la civiltà unificante che dalla sua cultura era scaturita.
Si pensava che così si sarebbe potuta consolidare meglio un’unità politica
ottenuta militarmente tra popoli da molti secoli divisi, combattendo e
sopprimendo i vari stati che all’unificazione si opponevano. Il Papato non
credeva nel liberalismo: pensava che avrebbe condotto il popolo lontano dalla
fede. Non credeva nella democrazia, che non concepiva come un sistema di
valori, ma come politica basata sulla
forza del numero, non su quella della ragione. Intendeva il liberalismo come
dissoluzione dei valori e la democrazia come disordine tra il popolo che
avrebbe finito per darsi nelle mani di demagoghi, di agitatori sociali senza
valore e insofferenti dei veri valori (in linea con il giudizio che della democrazia avevano
dato grandi filosofi greci dell’antichità). E soprattutto, come detto, riteneva
l’indipendenza politica del Papato, da attuare con il possesso di un vero e
proprio regno territoriale, come indispensabile per sottrarsi all’arbitrio e alla volontà di
potenza degli altri capi di stato, quindi a tutela della sua missione
universale. Nei secoli precedenti il Papato, per garantire la sua indipendenza,
si era appoggiato alle dinastie sovrane europee. Da metà Ottocento ebbe sempre
più difficoltà a farlo. I nazionalisti italiani chiamavano a raccolta i popoli
dell’Italia di allora, e così, ad un certo punto, lo fece anch’esso. Come i
nazionalisti parlavano di riforma sociale, di cambiare in meglio la società
civile, anche il Papato elaborò un suo progetto di riforma sociale, sulla base
delle esperienze di solidarietà sociale che a quell’epoca, in tutta Europa e
anche in Italia, si andavano costituendo a sostegno della parte meno ricca della
società. Questo programma fu espresso solennemente in un’enciclica, un atto con
forza di legge per la Chiesa cattolica, la prima di quelle dell’età moderna con
oggetto la riforma della società, che il papa Vincenzo Gioacchino
Pecci, regnante come Leone 13° (Papa dal 1873 al 1903), diffuse nel 1891 con il
nome di Rerum Novarum - Le novità, dalle sue prime parole. Fu il primo documento
di una lunga serie che, nel complesso, si indica con il nome di dottrina sociale. A quell’epoca il regno pontificio era stato
soppresso, all’esito di una breve guerra nel 1870. Ma il Papato lo rivoleva
indietro. Su questo era intransigente. Spingeva su questa
posizione intransigente anche il popolo che aveva chiamato a difesa
delle sue ragioni. Ora ci sembra strano, ma, a quei tempi, le formazioni
cattoliche subivano il rigore delle misure di polizia contro la sovversione
politica. Il prete giornalista Davide Albertario, direttore del quotidiano
milanese L’osservatore cattolico, fu
arrestato nel 1898 e condannato a tre anni di reclusione, per aver criticato
aspramente la sanguinosa repressione, da parte del generale Fiorenzo Bava
Beccaris, dei moti popolari di quell'anno, motivati dalle difficoltà di vita
della gente meno ricca e, in particolare, dall'aumento del prezzo del pane. La
figura di Albertario sintetizza bene le posizioni politiche dell’intransigentismo
cattolico di allora: opposizione
dura al nuovo Regno d’Italia motivata con esigenze di riforma sociale nell'interesse anzitutto del popolo.
E’ molto importante capire questo: mentre gli altri sovrani degli stati che nella prima metà dell’Ottocento
dominavano l’Italia opponevano alle pretese di unificazione nazionale la legittimità storica e giuridica del loro dominio politico,
in sostanza l’assetto politico che, dopo la caduta dell’imperatore francese
Napoleone Bonaparte, era stata data all’Europa nel Congresso di Vienna
(tenutosi a Vienna tra il 1814 e il 1815) dalle potenze vincitrici, il Papato
volle giustificare davanti ai popoli le proprie pretese di un regno in Italia
innanzi tutto sia con esigenze di tutela
dell’indipendenza della sua missione universale, ma anche con la critica della
nuova civiltà che i nazionalisti liberali e democratici volevano attuare in
Italia e la necessità di indipendenza politica per contrastarla, questa seconda esigenza come
parte della prima, della sua missione civilizzatrice. Sostenne che questa nuova civiltà non era per il bene del
popolo, che avrebbe richiesto altri provvedimenti. Questa esigenza di riforma
sociale, nel periodo dell’intransigentismo,
durato fino al 1909, quando il Papato consentì ai cattolici italiani di
partecipare alle elezioni politiche nazionali (era stato loro vietato dal 1864
con una serie di provvedimenti dell’autorità religiosa che vanno sotto il nome
di non expedit - non conviene [partecipare
alle elezioni), era in fondo strumentale alle pretese del Papato riguardanti la
restaurazione del suo regno con capitale a Roma, ma successivamente, in particolare in prospettiva delle elezioni politiche del 1913, le prime a suffragio universale maschile (prima vi erano state limitazioni relative al reddito e all'istruzione) e, ancor più durante la Prima Guerra
Mondiale (1914-1918), divenne assolutamente prioritaria, finendo addirittura per
essere inquadrata dal Papato nel dovere religioso di carità, a cominciare da un discorso tenuto agli universitari della FUCI - gli universitari cattolici - il 18 dicembre 1927
dal papa Achille Ratti, regnante in religione come Pio 11°, di cui trascrivo il brano fondamentale per il tema che sto trattando:
I giovani talora si
chiedono se, cattolici come sono, non debbano fare alcuna politica. Ed ecco
che, dedicando il loro studio ai suddetti argomenti, vengono a porre in se
stessi le basi della buona, della vera, della grande politica, quella che è
diretta al bene sommo e al bene comune, quello della polis, della civitas, a quel pubblico bene, che è
la suprema lex a cui
devono esser rivolte le attività sociali. E così facendo essi comprenderanno e
compieranno uno dei più grandi doveri cristiani, giacché quanto più vasto e
importante è il campo nel quale si può lavorare, tanto più doveroso è il
lavoro. E tale è il campo della
politica, che riguarda gli interessi di tutta la società, e che sotto questo
riguardo è il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si
potrebbe dire null'altro, all'infuori della religione, essere superiore. È
con questo intendimento che i cattolici e la Chiesa debbono considerare la
politica; poiché la Chiesa e i suoi rappresentanti, in tutti i gradi di tal
rappresentanza, non possono essere un partito politico, né fare la politica di
un partito, il quale per natura sua attende a particolari interessi, o se pur
mira al bene comune, sempre vi mira dietro il prisma di sue vedute particolari.
Atteggiamento questo tanto più raccomandabile a giovani universitari che devono
consacrarsi alla propria preparazione, senza la quale la loro futura attività
non può essere né illuminata, né benefica. Come nel loro presente periodo essi
attendono allo studio delle future professioni e non le esercitano, così anche
per ciò che riguarda il viver sociale; essi devono ora attenersi al loro
programma di preparazione, perché, quando prenderanno il loro posto nella
società, possano poi dare a questa anche il contributo della buona, cristiana
politica.
E’ per compiere questo
lavoro di carità sociale che il papa Giuseppe Sarto, regnante come Pio
10° dal 1903 al 1914, decise, nel 1905
con l’enciclica Fermo proposito - Il
fermo proposito [“che fin dai primordi del Nostro Pontificato
abbiamo concepito, di voler consacrare tutte le forze che la benignità del
Signore si degna concederCi alla restaurazione di ogni cosa in Cristo”], di
ridisegnare l’azione sociale dei cattolici con una nuova organizzazione, che è
poi, in sostanza, la nostra Azione Cattolica, formalmente costituita l’anno
seguente con l’approvazione dei suoi statuti. Essa sostituì una precedente
organizzazione con scopi simili che i laici cattolici avevano costituito di
propria iniziativa nel 1874 e che venne sciolta dal Papato nel 1904, a seguito
di dissidi insanabili tra la componente intransigente
e quella democratica, la quale intendeva iniziare a
partecipare alla politica nazionale democratica del Regno con un proprio
progetto politico di democrazia ispirata ai valori di fede, una democrazia cristiana, come la definivano.
Carità è la parola italiana con
la quale, insieme al termine “amore”, si traduce quella del greco antico agàpe,
che richiama l’idea di un lieto convito in cui ce n’è per tutti. Agàpe ha un significato teologico molto importante,
su base evangelica. Collegare l’azione sociale all’agàpe significò farne un
valore di grande rilievo e, in
particolare, riempirla di tanti valori religiosi. E’ appunto questo che
hanno fatto i laici cattolici di Azione Cattolica nell’accostare i problemi
della democrazia. La democrazia, come
oggi la si intende, e non la si è sempre intesa in questo modo, è frutto anche
del loro lavoro e comprende molti più valori che alle origini e, ad esempio quello della pace, che non è sempre stata un valore democratico.
Le democrazie, storicamente, non sono state sempre pacifiche. Oggi si dà per scontato che lo
siano. E’ una conquista cultura che è stata mediata nelle culture contemporanee anche con la collaborazione dei laici di
Azione Cattolica.
Man mano che la democrazia si riempiva di
valori, in particolare di quelli che rientrano nel concetto di giustizia sociale e di tutela della persona umana, cominciarono a
cadere le riserve che storicamente il Papato aveva avuto verso quel regime
politico. Si imparò molto dall’esperienza, in particolare da quella dei
totalitarismi europei del secolo scorso. Il lavoro culturale del pensiero sociale cristiano, e in particolare cattolico, precedette le modifiche della
dottrina, dell’insegnamento impartito con autorità dal magistero, innanzi tutto
dal Papa. Anche in seguito fu così. La prima grande svolta verso una democrazia piena di valori umanitari
si ebbe con una serie di importantissimi radiomessaggi natalizi, rilevanti
quanto un’enciclica sociale, diffusi dal papa Eugenio Pacelli,
Pio 12°, regnante dal 1939 al 1958, durante la Seconda Guerra Mondiale, tra
il 1941
e il 1944.
In Italia laici di fede in gran parte provenienti dall'Azione
Cattolica si riunirono nel 1943 nella foresteria di Camaldoli dei monaci
camaldolesi, in provincia di Arezzo, sull’Appennino Tosco - Romagnolo, per
scrivere un progetto di nuova costituzione, denominato Codice di Camaldoli. Tra il
1946 e il 1947 laici dell'Azione Cattolica furono tra i protagonisti della
scrittura della nuova Costituzione repubblicana, entrata in vigore il 1 gennaio
1948, che disegnava una democrazia di popolo piena di valori, tra i quali
quello della pace. Leggiamo infatti nell’art.11:
L'Italia ripudia la guerra come strumento di
offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri
Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri
la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni
internazionali rivolte a tale scopo.
L’idea della democrazia come strumento per l’affermazione
dei valori, in primo luogo quello della persona, ebbe sempre più credito nella
dottrina sociale, il complesso delle pronunce del magistero per organizzare la
società secondo i valori indicati dalla fede, attraverso le norme contenute nei
documenti del Concilio Vaticano 2° (1962-1965) e molti altri documenti del
Papato, fino ad arrivare, a cento anni dalla prima enciclica sociale, all’enciclica Centesimus
annus - Il centenario, diffusa nel
1991 dal papa Karol Wojtyla, regnante
come Giovanni Paolo 2°, in cui troviamo l’affermazione del valore di una democrazia
piena di valori:
45. La cultura e la prassi
del totalitarismo comportano anche la negazione della Chiesa. Lo Stato, oppure
il partito, che ritiene di poter realizzare nella storia il bene assoluto e si
erge al di sopra di tutti i valori, non può tollerare che sia affermato
un criterio oggettivo del bene e
del male oltre la volontà dei governanti, il quale, in determinate
circostanze, può servire a giudicare il loro comportamento. Ciò spiega perché
il totalitarismo cerca di distruggere la Chiesa o, almeno, di assoggettarla,
facendola strumento del proprio apparato ideologico.
Lo Stato totalitario, inoltre, tende ad assorbire in se stesso la
Nazione, la società, la famiglia, le comunità religiose e le stesse persone.
Difendendo la propria libertà, la Chiesa difende la persona, che deve obbedire
a Dio piuttosto che agli uomini (cf At 5,29),
la famiglia, le diverse organizzazioni sociali e le Nazioni, realtà tutte che
godono di una propria sfera di autonomia e di sovranità.
46. La Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto
assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai
governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia
di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno.93 Essa,
pertanto, non può favorire la formazione di gruppi dirigenti ristretti, i quali
per interessi particolari o per fini ideologici usurpano il potere dello Stato.
[…]
un'autentica democrazia è possibile solo in uno
Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana.
[…]
Una democrazia senza valori si converte
facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia.
[…]
47. Dopo il crollo del
totalitarismo comunista e di molti altri regimi totalitari e «di sicurezza
nazionale», si assiste oggi al prevalere, non senza contrasti, dell'ideale
democratico, unitamente ad una viva attenzione e preoccupazione per i diritti
umani. Ma proprio per questo è necessario che i popoli che stanno riformando i
loro ordinamenti diano alla democrazia un autentico e solido fondamento
mediante l'esplicito riconoscimento di questi diritti. Tra i principali
sono da ricordare: il diritto alla vita, di cui è parte integrante il diritto a
crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; il diritto a
vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo
della propria personalità; il diritto a maturare la propria intelligenza e la
propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità; il diritto a
partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra ed a ricavare da esso
il sostentamento proprio e dei propri cari; il diritto a fondare liberamente
una famiglia ed a accogliere e educare i figli, esercitando responsabilmente la
propria sessualità. Fonte e sintesi di questi diritti è, in un certo senso, la
libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede
ed in conformità alla trascendente dignità della propria persona.
Anche nei Paesi dove vigono forme di governo democratico non
sempre questi diritti sono del tutto rispettati.
[…]
La Chiesa
rispetta la legittima
autonomia dell'ordine democratico e non ha titolo per esprimere preferenze per l'una o l'altra
soluzione istituzionale o costituzionale. Il contributo, che essa offre a tale
ordine, è proprio quella visione della dignità della persona, la quale si
manifesta in tutta la sua pienezza nel mistero del Verbo incarnato.
Nel 1969 l’Azione Cattolica, con il suo nuovo
statuto elaborato sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet
(1926-1980), fece dell’attuazione dei principi deliberati dai saggi del
Concilio Vaticano 2° uno dei suoi principali campi di azione sociale e si
propose come palestra di democrazia
per l’attuazione sociale dei valori nel quadro di una democrazia piena di
valori, per riempire sempre meglio la democrazia di valori e per salvaguardare
il valore di quel tipo di democrazia.
Fin dal suo sorgere, perché negarlo?, l’Azione
Cattolica ebbe struttura organizzativa simile a quella di un partito politico.
Del resto essa, storicamente, difese, più o meno al modo di un partito, posizioni politiche del Papato, in primo
luogo, alle origini, quelle relative alla questione di Roma, la questione romana, la quale fu chiusa, in
modo che molti criticarono nel mondo cattolico, con i Patti Lateranensi, conclusi nel 1929 con il Regno d’Italia rappresentato
in quella occasione del Capo del governo di allora Benito Mussolini, fondatore
e capo del fascismo. L’Azione Cattolica, ad esempio, ogni anno distribuisce
delle tessere. Oggi non sempre i
partiti lo fanno. Ha un’organizzazione democratica, e non tutti i partiti
politici l’hanno avuta e l’hanno. In Azione Cattolica si tengono elezioni per
nominare le cariche associative. Si deliberano documenti in varie assemblee,
come si fa nei parlamenti. E diversi laici di Azione Cattolica hanno rivestito
importanti cariche istituzionali in Italia. Ricordo per tutti il Presidente
della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro (1918-2012), che tenne sempre al bavero
il distintivo dell’Azione Cattolica. Che cosa differenzia, però, l’Azione Cattolica da
un partito?
L’obiettivo dell’Azione Cattolica è molto più
vasto di quello di un partito, che serve per concorrere all’esercizio dell’autorità
pubblica, nello Stato, nelle Regioni, nei Comuni e via dicendo. Lo scopo dell’Azione
Cattolica è quello stesso della dottrina
sociale: la riforma sociale dell'intera società secondo valori, per
riempire la società e la democrazia di valori. L’Azione Cattolica è pensiero, innanzi tutto formazione, e, appunto,
azione, che significa azione sociale, in ogni ambito in cui la persona è
inserita, a partire dalla famiglia e fin da molto piccoli. Per trasformare secondo valori ogni società, lì dove le persone si organizzano, e allora c'è chi comanda e chi segue, e quindi anche la possibilità di agire per il bene comune, la felicità di tutti, o approfittandosi a danno degli altri, facendoli soffrire. Famiglia, scuola,
lavoro, economia, politica istituzionale, solidarietà, arte, sport, cultura…
sono tutti campi di azione sociale di un laico di Azione Cattolica per l’affermazione
dei valori, per organizzare tutte le società in cui è inserito, collaborando
con tutti democraticamente, secondo i valori. Ora il compito che ci è assegnato
è molto più vasto di un tempo, non riguarda più la sola Italia o l’Europa, ma
il mondo intero: è questa la prospettiva dell’enciclica Laudato si’, diffusa nel 2015 dal papa Jorge Mario Bergoglio,
regnante come Francesco dal 2013. Non è
un lavoro che si può affrontare da soli. Serve essere in tanti per fare azione sociale, e innanzi tutto
per capire realisticamente il proprio tempo. Ma occorre essere in
tanti per persuadere tanta altra gente dei valori che occorre realizzare e,
innanzi tutto, per mediare i valori di fede in modo che possano essere
condivisi da quante più persone possibile. Bisogna prepararsi bene e fare tirocinio di azione, come in tutte le attività umane. L’azione
sociale si impara, non è innata: anche a questo serve l’Azione Cattolica. Ma
poi c’è da agire insieme, ciascuno secondo quello che sa fare.
Io, ad esempio, agisco anche scrivendo cose come questa che state leggendo.
Confrontandosi però con gli altri, perché da soli spesso si smarrisce la
strada. E’ come quando si va in montagna in cordata, ciascuno legato ad altri: se si cade, gli altri fanno sicurezza. I più esperti indicano agli
altri come fare per non rischiare. Spesso sanno come fare perché hanno
sbagliato e si sono corretti. La saggezza dei più anziani non di rado si basa proprio su questo. Così
progredisce l’umanità. Senza questa azione collettiva i valori e la democrazia come
valore sono a rischio. Di certi valori ci si deve persuadere di generazione in
generazione. E’ da qui che, credo, cominci l’ACR. Parlare ai più giovani dei
grandi valori e iniziarli al tirocinio dell'azione sociale ad essi ispirata.
Mario Ardigò - Azione
Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli