INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

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Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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venerdì 16 gennaio 2015

Le vie della pace (8)

Le vie della pace (8)



 Dagli scorsi anni Cinquanta si è cominciato a prendere consapevolezza, anche in religione, della dimensione politica del problema della pace. La pace, quindi, non dipende solo da impostazioni etiche ma da assetti sociali che possono essere modificati e possono esserlo piuttosto velocemente con gli strumenti della democrazia. La svolta si era prodotta già nel corso dell’ultima guerra mondiale e trovò espressione in un famoso radiomessaggio del papa Pio 12° per il Natale del ’44, dedicato proprio al tema pace e democrazia. Ritengo necessario riportarne di seguito un ampio stralcio. Potete trovare il testo integrale all’indirizzo

I. CARATTERI PROPRI DEI CITTADINI
IN REGIME DEMOCRATICO
Esprimere il proprio parere sui doveri e i sacrifici, che gli vengono imposti; non essere costretto ad ubbidire senza essere stato ascoltato: ecco due diritti del cittadino, che trovano nella democrazia, come indica il suo nome stesso, la loro espressione. Dalla solidità, dall'armonia, dai buoni frutti di questo contatto tra i cittadini e il governo dello Stato, si può riconoscere se una democrazia è veramente sana ed equilibrata, e quale sia la sua forza di vita e di sviluppo. Per quello poi che tocca l'estensione e la natura dei sacrifici richiesti a tutti i cittadini, — al tempo nostro in cui così vasta e decisiva è l'attività dello Stato, la forma democratica di governo apparisce a molti come un postulato naturale imposto dalla stessa ragione. Quando però si reclama « più democrazia e migliore democrazia », una tale esigenza non può avere altro significato che di mettere il cittadino sempre più in condizione di avere la propria opinione personale, e di esprimerla e farla valere in una maniera confacente al bene comune.
Popolo e « massa »
Da ciò deriva una prima conclusione necessaria, con la sua conseguenza pratica. Lo Stato non contiene in sé e non aduna meccanicamente in un dato territorio un'agglomerazione amorfa d'individui. Esso è, e deve essere in realtà, l'unità organica e organizzatrice di un vero popolo.
Popolo e moltitudine amorfa o, come suol dirsi, « massa » sono due concetti diversi. Il popolo vive e si muove per vita propria; la massa è per sé inerte, e non può essere mossa che dal di fuori. Il popolo vive della pienezza della vita degli uomini che lo compongono, ciascuno dei quali — al proprio posto e nel proprio modo — è una persona consapevole delle proprie responsabilità e delle proprie convinzioni. La massa, invece, aspetta l'impulso dal di fuori, facile trastullo nelle mani di chiunque ne sfrutti gl'istinti o le impressioni, pronta a seguire, a volta a volta, oggi questa, domani quell'altra bandiera. Dalla esuberanza di vita d'un vero popolo la vita si effonde, abbondante, ricca, nello Stato e in tutti i suoi organi, infondendo in essi, con vigore incessantemente rinnovato, la consapevolezza della propria responsabilità, il vero senso del bene comune. Della forza elementare della massa, abilmente maneggiata ed usata, può pure servirsi lo Stato: nelle mani ambiziose d'un solo o di più, che le tendenze egoistiche abbiano artificialmente raggruppati, lo Stato stesso può, con l'appoggio della massa, ridotta a non essere più che una semplice macchina, imporre il suo arbitrio alla parte migliore del vero popolo: l'interesse comune ne resta gravemente e per lungo tempo colpito e la ferita è bene spesso difficilmente guaribile.
Da ciò appare chiara un'altra conclusione : la massa — quale Noi abbiamo or ora definita — è la nemica capitale della vera democrazia e del suo ideale di libertà e di uguaglianza.
In un popolo degno di tal nome, il cittadino sente in se stesso la coscienza della sua personalità, dei suoi doveri e dei suoi diritti, della propria libertà congiunta col rispetto della libertà e della dignità altrui. In un popolo degno di tal nome, tutte le ineguaglianze, derivanti non dall'arbitrio, ma dalla natura stessa delle cose, ineguaglianze di cultura, di averi, di posizione sociale — senza pregiudizio, ben inteso, della giustizia e della mutua carità — non sono affatto un ostacolo all'esistenza ed al predominio di un autentico spirito di comunità e di fratellanza. Che anzi esse, lungi dal ledere in alcun modo l'uguaglianza civile, le conferiscono il suo legittimo significato, che cioè, di fronte allo Stato, ciascuno ha il diritto di vivere onoratamente la propria vita personale, nel posto e nelle condizioni in cui i disegni e le disposizioni della Provvidenza l'hanno collocato.
In contrasto con questo quadro dell'ideale democratico di libertà e d'uguaglianza in un popolo governato da mani oneste e provvide, quale spettacolo offre uno Stato democratico lasciato all'arbitrio della massa! La libertà, in quanto dovere morale della persona, si trasforma in una pretensione tirannica di dare libero sfogo agl'impulsi e agli appetiti umani a danno degli altri. L'uguaglianza degenera in un livellamento meccanico, in una uniformità monocroma: sentimento del vero onore, attività personale, rispetto della tradizione, dignità, in una parola, tutto quanto dà alla vita il suo valore, a poco a poco, sprofonda e dispare. E sopravvivono soltanto, da una parte, le vittime illuse del fascino appariscente della democrazia, confuso ingenuamente con lo spirito stesso della democrazia, con la libertà e l'uguaglianza; e, dall'altra parte, i profittatori più o meno numerosi che hanno saputo, mediante la forza del danaro o quella dell'organizzazione, assicurarsi sugli altri una condizione privilegiata e lo stesso potere.
II. CARATTERI DEGLI UOMINI
CHE NELLA DEMOCRAZIA TENGONO IL PUBBLICO POTERE
Lo Stato democratico, sia esso monarchico o repubblicano, deve, come qualsiasi altra forma di governo, essere investito del potere di comandare con una autorità vera ed effettiva. Lo stesso ordine assoluto degli esseri e dei fini, che mostra l'uomo come persona autonoma, vale a dire soggetto di doveri e di diritti inviolabili, radice e termine della sua vita sociale, abbraccia anche lo Stato come società necessaria, rivestita dell'autorità, senza la quale non potrebbe né esistere né vivere. Che se gli uomini, prevalendosi della libertà personale, negassero ogni dipendenza da una superiore autorità munita del diritto di coazione, essi scalzerebbero con ciò stesso il fondamento della loro propria dignità e libertà, vale a dire quell'ordine assoluto degli esseri e dei fini.
Stabiliti su questa medesima base, la persona, lo Stato, il pubblico potere, con i loro rispettivi diritti, sono stretti e connessi in tal modo che o stanno o rovinano insieme.
E poiché quell'ordine assoluto, alla luce della sana ragione, e segnatamente della fede cristiana, non può avere altra origine che in un Dio personale, nostro Creatore, consegue che la dignità dell'uomo è la dignità dell'immagine di Dio, la dignità, dello Stato è la dignità della comunità morale voluta da Dio, la dignità dell'autorità politica la dignità della sua partecipazione all'autorità di Dio.
Nessuna forma di Stato può non tener conto di questa intima e indissolubile connessione; meno di ogni altra la democrazia. Pertanto, se chi ha il pubblico potere non la vede o più o meno la trascura, scuote nelle sue basi la sua propria autorità. Parimente, se egli non terrà abbastanza in conto questa relazione, e non vedrà nella sua carica la missione di attuare l'ordine voluto da Dio, sorgerà il pericolo che l'egoismo del dominio o degli interessi prevalga sulle esigenze essenziali della morale politica e sociale, e che le vane apparenze di una democrazia di pura forma servano spesso come di maschera a quanto vi è in realtà di meno democratico.
Soltanto la chiara intelligenza dei fini assegnati da Dio ad ogni società umana, congiunta col sentimento profondo dei sublimi doveri dell'opera sociale, può mettere quelli, a cui è affidato il potere, in condizione di adempire i propri obblighi di ordine sia legislativo, sia giudiziario od esecutivo, con quella coscienza della propria responsabilità., con quella oggettività, con quella imparzialità, con quella lealtà, con quella generosità, con quella incorruttibilità, senza le quali un governo democratico difficilmente riuscirebbe ad ottenere il rispetto, la fiducia e l'adesione della parte migliore del popolo.
Il sentimento profondo dei principi di un ordine politico e sociale, sano e conforme alle norme del diritto e della giustizia, è di particolare importanza in coloro che, in qualsiasi forma di regime democratico, hanno come rappresentanti del popolo, in tutto o in parte, il potere legislativo. E poiché il centro di gravità di una democrazia normalmente costituita risiede in questa rappresentanza popolare, da cui le correnti politiche s'irradiano in tutti i campi della vita pubblica — così per il bene come per il male —, la questione della elevatezza morale, della idoneità pratica, della capacità intellettuale dei deputati al parlamento, è per ogni popolo in regime democratico una questione di vita o di morte, di prosperità o di decadenza, di risanamento o di perpetuo malessere.
Per compiere un'azione feconda, per conciliare la stima e la fiducia, qualsiasi corpo legislativo deve - come attestano indubitabili esperienze - raccogliere nel suo seno una eletta di uomini, spiritualmente eminenti e di fermo carattere, che si considerino come i rappresentanti dell'intero popolo e non già come i mandatari di una folla, ai cui particolari interessi spesso purtroppo sono sacrificati i veri bisogni e le vere esigenze del bene comune. Una eletta di uomini, che non sia ristretta ad alcuna professione o condizione, bensì che sia l'immagine della molteplice vita di tutto il popolo. Una eletta di uomini di solida convinzione cristiana, di giudizio giusto e sicuro, di senso pratico ed equo, coerente con se stesso in tutte le circostanze; uomini di dottrina chiara e sana, di propositi saldi e rettilinei, uomini soprattutto capaci, in virtù dell'autorità che emana dalla loro pura coscienza e largamente s'irradia intorno ad essi, di essere guide e capi specialmente nei tempi in cui le incalzanti necessità sovreccitano la impressionabilità del popolo, e lo rendono più facile ad essere traviato e a smarrirsi; uomini che nei periodi di transizione, generalmente travagliati e lacerati dalle passioni, dalle divergenze delle opinioni e dalle opposizioni dei programmi, si sentono doppiamente in dovere di far circolare nelle vene del popolo e dello Stato, arse da mille febbri, l'antidoto spirituale delle vedute chiare, della bontà premurosa, della giustizia ugualmente favorevole a tutti, e la tendenza della volontà verso l'unione e la concordia nazionale in uno spirito di sincera fratellanza.
I popoli, il cui temperamento spirituale e morale è bastantemente sano e fecondo, trovano in se stessi e possono dare al mondo gli araldi e gli strumenti della democrazia, che vivono in quelle disposizioni e le sanno mettere realmente in atto. Dove invece mancano tali uomini, altri vengono ad occupare il loro posto, per far dell'attività politica l'arena della loro ambizione, una corsa ai guadagni per se stessi, per la loro casta o per la loro classe, mentre la caccia agl'interessi particolari fa perdere di vista e mette in pericolo il vero bene comune.
L'assolutismo di Stato
Una sana democrazia, fondata sugl'immutabili principi della legge naturale e delle verità rivelate, sarà risolutamente contraria a quella corruzione, che attribuisce alla legislazione dello Stato un potere senza freni né limiti, e che fa anche del regime democratico, nonostante le contrarie ma vane apparenze, un puro e semplice sistema di assolutismo.
L'assolutismo di Stato (da non confondersi, in quanto tale, con la monarchia assoluta, di cui qui non si tratta) consiste infatti nell'erroneo principio che l'autorità dello Stato è illimitata, e che di fronte ad essa — anche quando dà libero corso alle sue mire dispotiche, oltrepassando i confini del bene e del male, — non è ammesso alcun appello ad una legge superiore e moralmente obbligante.
Un uomo compreso da rette idee intorno allo Stato e all'autorità e al potere di cui è rivestito, in quanto custode dell'ordine sociale, non penserà mai di offendere la maestà della legge positiva nell'ambito della sua naturale competenza. Ma questa maestà del diritto positivo umano allora soltanto è inappellabile, se si conforma — o almeno non si oppone — all'ordine assoluto, stabilito dal Creatore e messo in una nuova luce dalla rivelazione del Vangelo. Essa non può sussistere, se non in quanto rispetta il fondamento, sul quale si appoggia la persona umana, non meno che lo Stato e il pubblico potere. È questo il criterio fondamentale di ogni sana forma di governo, compresa la democrazia; criterio col quale deve essere giudicato il valore morale di ogni legge particolare.
III. NATURA E CONDIZIONI
DI UNA EFFICACE ORGANIZZAZIONE PER LA PACE
La unità del genere umano e la società dei popoli
Noi abbiamo voluto, diletti figli e figlie, cogliere l'occasione della festa natalizia per indicare su quali vie una democrazia, che corrisponda alla dignità umana, possa, in armonia con la legge naturale e coi disegni di Dio manifestati nella rivelazione, pervenire a benefici risultati. Noi infatti profondamente sentiamo la somma importanza di questo problema per il pacifico progresso della famiglia umana; ma al tempo stesso siamo consapevoli delle alte esigenze che questa forma di governo impone alla maturità morale dei singoli cittadini; una maturità morale, alla quale invano si potrebbe sperar di giungere pienamente e sicuramente, se la luce della grotta di Betlemme non rischiarasse l'oscuro sentiero, per il quale i popoli dal tempestoso presente s'incamminano verso un avvenire che sperano più sereno.
Fino a qual punto però i rappresentanti e i pionieri della democrazia saranno compresi nelle loro deliberazioni dalla convinzione che l'ordine assoluto degli esseri e dei fini, da Noi ripetutamente ricordato, include anche, come esigenza morale e quale coronamento dello sviluppo sociale, la unità del genere umano e della famiglia dei popoli? Dal riconoscimento di questo principio dipende l'avvenire della pace. Nessuna riforma mondiale, nessuna garanzia di pace può fare da esso astrazione, senza indebolirsi e rinnegare se stessa. Se invece quella medesima esigenza morale trovasse la sua attuazione in una società dei popoli, che sapesse evitare i difetti di struttura e le manchevolezze di precedenti soluzioni, allora la maestà di quell'ordine regolerebbe e dominerebbe egualmente le deliberazioni di questa società e l'applicazione dei suoi mezzi di sanzione.
Per lo stesso motivo si comprende come l'autorità di una tale società dei popoli dovrà essere vera ed effettiva sugli Stati, che ne sono membri, in guisa però che ognuno di essi conservi un eguale diritto alla sua relativa sovranità. Soltanto in tal modo lo spirito di una sana democrazia potrà penetrare anche nel vasto e scabroso campo della politica estera.
Contro la guerra di aggressione come soluzione delle controversie internazionali
Un dovere, del resto, obbliga tutti, un dovere che non tollera alcun ritardo, alcun differimento, alcuna esitazione, alcuna tergiversazione: di fare cioè tutto quanto possibile per proscrivere e bandire una volta per sempre la guerra di aggressione come soluzione legittima delle controversie internazionali e come strumento di aspirazioni nazionali. Si son veduti nel passato molti tentativi intrapresi a tale scopo. Tutti sono falliti. E falliranno tutti sempre, fino a quando la parte più sana del genere umano non avrà volontà ferma, santamente ostinata, come un obbligo di coscienza, di compire la missione che i tempi passati avevano iniziata con non sufficiente serietà e risolutezza.
Se mai una generazione ha dovuto sentire nel fondo della coscienza il grido: « Guerra alla guerra! », essa certamente la presente. Passata com'è attraverso un oceano di sangue e di lagrime, quale forse i tempi passati mai non conobbero, essa ne ha vissuto le indicibili atrocità cosi intensamente, che il ricordo di tanti orrori dovrà restarle impresso nella memoria e fino nel più profondo dell'anima, come l'immagine di un inferno, in cui chiunque nutre nel cuore sentimenti di umanità non potrà mai avere più ardente brama che di chiudere per sempre le porte.
Formazione di un organo comune per il mantenimento della pace
Le risoluzioni finora note delle Commissioni internazionali permettono di concludere che un punto essenziale d'ogni futuro assetto mondiale sarebbe la formazione di un organo per il mantenimento della pace, organo investito per comune consenso di suprema autorità., e il cui ufficio dovrebbe essere anche quello di soffocare in germe qualsiasi minaccia di aggressione isolata o collettiva. Nessuno potrebbe salutare questa evoluzione con maggior gaudio di chi già da lungo tempo ha difeso il principio che la teoria della guerra, come mezzo adatto e proporzionato per risolvere i conflitti internazionali, è ormai sorpassata. Nessuno potrebbe augurare a questa comune collaborazione, da attuare con una serietà d'intenti prima non conosciuta, pieno e felice successo con maggior ardore di chi si è coscienziosamente adoperato per condurre la mentalità cristiana e religiosa a riprovare la guerra moderna coi suoi mostruosi mezzi di lotta.
Mostruosi mezzi di lotta! Senza dubbio il progresso delle umane invenzioni, che doveva segnare l'avveramento di un maggiore benessere per tutta l'umanità, è stato invece volto a distruggere ciò che i secoli avevano edificato. Ma con ciò stesso, si è resa sempre più evidente l'immoralità di quella guerra di aggressione. E se ora al riconoscimento di questa immoralità si aggiungerà la minaccia di un intervento giuridico delle Nazioni e di un castigo inflitto all'aggressore dalla società degli Stati, cosicché la guerra si senta sempre sotto il colpo della proscrizione, sempre sorvegliata da un'azione preventiva; allora l'umanità, uscendo dalla notte oscura in cui è stata per tanto tempo sommersa, potrà salutare l'aurora di una nuova e migliore epoca della sua storia.
Suo statuto escludente ogni ingiusta imposizione
A una condizione però : e cioè che l'organizzazione della pace, cui le mutue garanzie, e ove occorre le sanzioni economiche e perfino l'intervento armato dovrebbero dare vigore e stabilità, non consacri definitivamente alcuna ingiustizia, non comporti alcuna lesione di alcun diritto a detrimento di alcun popolo (sia che appartenga al gruppo dei vincitori, o dei vinti o dei neutrali), non perpetui alcuna imposizione o gravezza, che può essere permessa soltanto temporaneamente come riparazione dei danni di guerra.
Che alcuni popoli, ai cui governi — o forse anche in parte a loro stessi — si attribuisce la responsabilità della guerra, abbiano a sopportare per qualche tempo i rigori dei provvedimenti di sicurezza, fino a quando i vincoli di mutua fiducia violentemente infranti non siano a poco a poco riannodati, cosa, per quanto gravosa, altrettanto difficilmente evitabile. Nondimeno, questi stessi popoli dovranno avere anch'essi la ben fondata speranza — nella misura della loro leale ed effettiva cooperazione agli sforzi per la futura restaurazione — di poter essere, insieme con gli altri Stati e con la medesima considerazione e i medesimi diritti, associati alla grande comunità delle nazioni. Rifiutare loro questa speranza sarebbe il contrario di una previdente saggezza, sarebbe assumere la grave responsabilità di sbarrare il sentiero ad una liberazione generale da tutte le disastrose conseguenze materiali, morali, politiche del gigantesco cataclisma, che ha scosso fin nelle ultime profondità la povera famiglia umana, ma che le ha al tempo stesso additata la via verso nuove mète.
Le austere lezioni del dolore
Noi non vogliamo rinunziare alla fiducia che i popoli, i quali tutti sono passati per la scuola del dolore, avranno saputo ritenerne le austere lezioni. E in questa speranza Ci confortano le parole di uomini che hanno maggiormente provato le sofferenze della guerra e hanno trovato accenti generosi, per esprimere, insieme con l'affermazione delle proprie esigenze di sicurezza contro ogni futura aggressione, il loro rispetto dei diritti vitali degli altri popoli e la loro avversione contro ogni usurpazione dei diritti medesimi. Sarebbe vano l'attendere che questo saggio giudizio, dettato dall'esperienza della storia e da un alto senso politico, venga — mentre gli animi sono ancora incandescenti — generalmente accettato dalla pubblica opinione, od anche soltanto dalla maggioranza. L'odio, l'incapacità di comprendersi vicendevolmente, ha fatto sorgere, tra i popoli che hanno combattuto gli uni contro gli altri, una nebbia troppo densa da poter sperare che l'ora sia già venuta in cui un fascio di luce spunti a rischiarare il tragico panorama ai due lati dell'oscura muraglia. Ma una cosa sappiamo: ed è che il momento verrà, forse prima che non si pensi, quando gli uni e gli altri riconosceranno come, tutto considerato, non vi è che una via per uscire dall'irretimento, in cui la lotta e l'odio hanno avvolto il mondo, vale a dire il ritorno a una solidarietà da troppo tempo dimenticata, solidarietà non ristretta a questi o a quei popoli, ma universale, fondata sulla intima connessione delle loro sorti e sui diritti in egual modo loro spettanti.
La punizione dei delitti
Nessuno certamente pensa di disarmare la giustizia nei riguardi di chi ha profittato della guerra per commettere veri e provati delitti di diritto comune, ai quali le supposte necessità militari potevano al più offrire un pretesto, non mai una giustificazione. Ma se essa presumesse di giudicare e punire, non più singoli individui, bensì collettivamente intere comunità, chi potrebbe non vedere in simile procedimento una violazione delle norme, che presiedono a qualsiasi giudizio umano?

  Quanta strada si era percorsa da quando, nel 1902, il papa Leone XIII aveva, come dire, scomunicato  la democrazia nell’enciclica Graves de communi re (=le dure divergenze sulle questioni sociali), reagendo all’idea, proposta da Romolo Murri,  che ci potesse essere una democrazia cristiana, quindi un’azione politica ispirata ai valori di fede!

Nella nazioni più coinvolte in questa materia  [la questione sociale] ci sono alcuni noti come «cristiani sociali». Il movimento è anche descritto come «democrazia cristiana»  e i suoi fautori  «democratici   cristiani», in opposizione a quella che i socialisti chiamano democrazia sociale. Non ci sono obiezioni alla prima di queste denominazioni,  quella di «cristiani sociali», mentre molte persone eccellenti ne trovano sul termine  «democrazia cristiana». Lo trovano molto ambiguo per due ragioni. Sembra loro che esso implica un cedimento all’idea di favorire un governo del popolo, a scapito di altri metodi di governo. In secondo luogo sembra loro che implichi una umiliazione della religione restringendo le sue finalità alla lotta alle povertà, di cui altre componenti sociali non si occupano.
[traduzione mia, dal testo inglese, l’unico che ho trovato pubblicata su vatican.va

  Con il senno del poi, dobbiamo riconoscere che la dura opposizione del nostro massimo magistero alla democrazia politica è stata in Italia una tragedia che ha, nel primo dopoguerra, aperto le porte al fascismo storico, con cui il papato concluse, nel 1929, in compromesso da molti, cattolici e non, ritenuto disonorevole.
  Il mutamento culturale che in religione si ebbe sul tema della democrazia fu indotto, come scritto molto bene nel radiomessaggio del papa Pio 12°, dalla  austere lezioni del dolore  ricevute durante la Seconda guerra mondiale.
 Esso fu sviluppato durante il Concilio Vaticano 2° (1962-1965) e negli anni successivi, dell’attuazione dei  principi conciliari, fino al suo sviluppo più avanzato, costituito dagli argomenti contenuti nell’enciclica Centesimus Annus (=il centesimo anno), diffusa nel 1991 da san Karol Wojtyla, all’epoca regnante come Giovanni Paolo 2°) in occasione del centenario dell’enciclica Rerum Novarum (=sulle novità) del papa Leone 13°. Come nel 1944, anche nel 1991 la svolta venne indotta da eventi storici drammatici, che alla metà degli anni Quaranta del secolo scorso erano costituiti dal crollo dei regimi nazifascisti e dalla necessità di ricostruire l’Europa, e negli scorsi anni Novanta dal crollo dei regimi comunisti europei e dalla necessità di dare un volto nuovo ad un’Europa unita.
 Collegare il tema della pace a quello della democrazia significa non farne un compito solo per i governanti, ma  di tutti. Infatti, nella concezione contemporanea della democrazia di popolo contemporanea (che differisce in questo da ogni altra concezione democratica del passato), democrazia è un lavoro che coinvolge tutti, senza alcuna discriminazione sociale. Se poi a questo lavoro si dà anche un significato propriamente religioso, come si è cominciato a fare dagli scorsi anni Cinquanta e come confermato anche dal nostro magistero, e lo si ritiene qualcosa in cui i laici di fede devono sentirsi profondamente coinvolti, ne consegue che una parte importante della formazione religiosa dovrebbe occuparsi di quel tema, dando gli strumenti culturale religiosi per influire democraticamente nella società per realizzare la pace anche secondo principi di fede, i cosiddetti valori.
 Da noi, in Italia e in particolare nella nostra parrocchia, si è particolarmente carenti in questo campo. Nel nostro quartiere è un lavoro che semplicemente non viene fatto. Allora poi la gente, e in particolare i più giovani, non vede come la fede possa cambiare effettivamente la sua vita e il mondo in cui vive. Se si ritiene che al laico competa solo di assoggettarsi a un’incredibile serie di bigotterie sessuali, venendo addirittura portati ad esempio gli adepti di altre fedi che appaiono ossessionati da questi problemi, ho l’impressione che poi la presa sociale della religione in società venga molto a diminuire. Ma è proprio questa la radicalità evangelica che ancora può infiammare il cuore della gente? In realtà però, mi pare che si continui a centrare tutta la formazione religiosa degli adolescenti su quei temi lì. E, a seguire, si passa poi ad analogo orientamento quando si tratta di impartire un’ulteriore formazione religiosa alle coppie che vogliono sposarsi, che, come francamente riconosciuto durante l’ultimo incontro con il vescovo di settore, poi scappano a gambe levate, rinunciando a sposarsi in chiesa, o, per lo meno, nella  nostra chiesa.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli