Democrazia da cristiani - Democrazia
e Chiesa: perché la gerarchia ecclesiastica rifiuta i limiti
Nell’Unione Europea la politica è
organizzata democraticamente. Questo significa che non esistono, perché non li
si ammettono, poteri pubblici o privati senza limiti: in ciò sta, appunto, l’essenza
della democrazia, non in altro. I limiti costituiscono un sistema legale, non
dipendono dall’equilibrio di forze in un certo momento o dall’arbitrio di un qualche
centro di potere. L’organizzazione del potere ecclesiastico, nella nostra Chiesa,
è strutturata su un principio opposto: il potere della gerarchia ecclesiastica
ha scarsi limiti e, al vertice, nessuno, perché lassù ci si ritiene infallibili, e lo si è scritto in una legge. Un sistema di
limiti lascia spazio: la democrazia è un sistema di potere che lascia spazio. Come
è stato giustamente osservato, non è connotato tanto dalle elezioni, ma da
questo lasciar spazio, e anche le maggioranze si devono rassegnare a questo: anch’esse
devono accettare limiti.
La politica
ecclesiastica è obsoleta: si è strutturata nel Secondo Millennio sulla base di
principi correnti nel Medioevo. Non è evangelica: non può essere dimostrato che
il Maestro la volle così com’è. Tutto accadde molto tempo dopo la sua morte. E la
costruzione dei miti religiosi correnti andò di pari passo.
Certamente si può
essere persone pie sulla base delle antiche pratiche devozionali basati su quei
miti, ma non intervenire efficacemente sulla società civili solo essendo così. La
nostra gerarchia ecclesiastica, il clero e i religiosi hanno avuto una grande
influenza nello sviluppo della civiltà europea e, per quanto riguarda la
politica, inducendovi incredibili violenze, delle quali nella formazione
religiosa di base in genere si preferisce tacere, non solo sorvolare, ma
proprio tacere. Nel marzo 2000, durante l’Anno Santo che si celebrò quell’anno,
nella giornata del perdono (sarebbe
meglio dire della richiesta di perdono), si sono francamente, ma troppo
sbrigativamente, riconosciute le atrocità commesse dalle autorità
ecclesiastiche, per proteggere, si è detto, la verità. Metodi sbagliati,
dunque, da parte di persone che non avevano capito il vangelo (però si trattava
dei più alti gerarchi!). Lo storico Harari, nel libro Nexus, Bompiani
2024, che ho citato ieri, ha osservato che questa prospettazione non è
convincente, appunto perché a sbagliare erano stati i capi, l’autorità ai
più alti vertici, dunque l’istituzione. Quella verità, poi, non preesisteva,
era stata enunciata di pari passo allo sviluppo del sistema gerarchico che poi
si era reso responsabile di tutta quella plurisecolare brutalità, che va oltre
ogni capacità di immaginazione di una persona di fede di oggi e che, pertanto,
deve essere studiata, appresa, perché ci fu, realmente ci fu.
I miti, anche quelli
religiosi, vengono costruiti per dare ordine alla società e quindi al servizio degli
strati della popolazione che in un certo contesto storico hanno la capacità di
imporre il proprio potere. E’ certamente
accaduto anche per ciò che oggi nel Magistero e nella teologia si definisce verità.
Quest’ultima, poi, è stata cambiata nel tempo, a seconda delle esigenze
politiche, quindi di governo nella società. La pratica realistica della
storiografia non può dimostrare che esista un deposito di fede che,
immutato, è passato di generazione in generazione, fin da quando venne insegnato
dal Maestro: questo è solo un postulato della teologia controllata dal Magistero.
Oggi, in Europa occidentale, non si è religiosi come lo si fu nei gruppi che,
nella prima metà del Primo secolo, seguivano il Maestro e neppure come si fu nelle
varie epoche successive. Per alcuni è un
male, ma in realtà si è diventati migliori rispetto a come si fu nella gran parte dei due millenni
passati di storia cristiana. Molto meno violenti, in particolare.
La nostra gerarchia
religiosa ha organizzato un sistema legale per impedire di mettere
esplicitamente in discussione le verità che di volta in volta impone alla gente. In gran
parte sono le stesse verità che
hanno sorretto e legittimato le atrocità del passato. Però ora le si vive in
modo diverso: lo possiamo constatare. Gli usi democratici hanno privato la
gerarchia del potere di imporsi con la brutalità del passato: le ha posto dei
limiti, ai quali essa si manifesta piuttosto insofferente.
Il nuovo Papa ha
scelto di essere il quattordicesimo di una serie di Leone nella quale ve
ne sono diversi di veramente discutibili. Ci vuole invitare a conformarsi a quella
storia? A non separarsene? Personalmente la ripudio e non voglio che si ripeta.
Sono un democratico, come lo si è oggi nell’Unione Europea. Ma posso anche essere
un cristiano pensandola così? Io ritengo
di sì, perché al centro del cristianesimo vi è il vangelo del Cristo, non quel
sistema di cosiddette verità e tantomeno un certo assetto gerarchico. E
al centro del Vangelo c’è l’agàpe, che traduciamo male in italiano con amore
e così lo fraintendiamo, mentre richiama proprio l’idea del fare spazio,
come quando si invita gente a un lieto convito e si accoglie cordialmente nella
propria casa il pellegrino.
Non si tratta però di
costruire altre verità, ma di affrancarsene come tali, recependole in
modo che non siano letali. E’ ciò che, in pratica, si fa nell’attuale pratica
ecclesiale. Non ammazziamo più per motivi di fede, come cristiani. Ma rimane
ancora molto da fare. Non si uccide, ma si emargina. Non si fa spazio. Papa
Francesco, nel tentare una riforma sinodale della sua Chiesa, ci esortò a
lasciarlo, a rimuovere le “dogane” all’accesso degli spazi religiosi, ma finora
non ci si è riusciti. Tutto è continuato
come prima. Egli tentò di essere un Papa che viveva il suo ministero in maniera
diverso, emancipandosi da certi costumi da imperatore. Ora, con il suo
successore, sembra che si torni indietro.
Vedremo.
La gerarchia non ci
farà spazio, teme (del tutto a ragione) di perdere il controllo. Quello spazio
dovremo conquistarcelo, a partire dagli ambienti comunitari dove realmente si
vive la Chiesa, che non sono quelli della burocrazia ecclesiastica, ma, ad esempio,
nelle parrocchie, nei gruppi come il nostro di Azione cattolica parrocchiale, e
in altre aggregazioni, non necessariamente ricomprese nella struttura ecclesiastica
formale.
Dove e come imparare
a farlo? Questo blog si propone di aiutare su questa via.
Si tratta di saperne
di più, certamente, ma anche di fare un particolare tirocinio comunitario:
provare ad ascoltare, oltre che a proporre le proprie idee. E soprattutto
riconoscersi persone fallibili. Questo predispone all’autocorrezione. Ci
si confronta con le altre persone proprio a questo fine. Perché da persone sole
non si ha una visuale sufficientemente chiara e, per provare ad ampliarla,
occorre prendere in considerazione anche ciò che non corrisponde ai nostri
attuali orientamenti. Questo implica, trattando con le altre persone, di lasciar
loro spazio. E’ la base della pratica democratica.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma,
Monte Sacro, Valli