Costruire l’agàpe. Si può imporre la
pace? Il dilemma dell’agàpe nel mondo moderno
Negli insegnamenti sull’agàpe il Maestro non disse di
attenderla dal Cielo. “Fate agàpe” è il comandamento nuovo. Agàpe è un modello di relazioni sociali, agapiche
appunto. Bisogna interagire con le altre persone intorno a noi, le quali,
magari, non sono tanto dell’idea di fare agàpe con noi. Nei secoli passati, a questo punto, si passava direttamente alla
violenza: agàpe con le buone o
con le cattive. Ma che agàpe è
quella ottenuta con le cattive?
Il Maestro esortò alla
conversione, a cambiare modo di vivere e di relazionarsi in società. Ma
quanto al concreto modo di realizzare l’agàpe non ci ha dato dettagli,
se non quegli esempi contenuti nelle parabole, e, naturalmente, con la sua vita.
Quanto a quest’ultima è evidente che non usò mai violenza per far cambiare idea
alla gente. E’ piuttosto sorprendente, allora, la tanta, estesa ed efferata
violenza realizzata dai suoi seguaci fino ad epoca molto recente.
Turbò, rovesciando i
banchi e rincorrendo i venditori con una frusta fatta di cordicelle, il piccolo
commercio che veniva svolto nel complesso del Tempio di Gerusalemme, ai margini
delle liturgie, come accade da noi intorno
a tanti santuari. Lì, effettivamente, ci venne presentato adirato e violento,
anche se non ho mai ben capito perché abbia agito così. I biblisti si affannano
a spiegarlo, ma rimane sempre un episodio che appare sproporzionato. Comunque,
a ciò che è scritto, nessuno si fece male, anche se bisogna immaginare che
qualche frustata abbia raggiunto il segno. Penso che poi si sia ripreso a
vendere e comprare: non è scritto che queste consuetudini cambiarono in seguito
al suo intervento. Fu uno sfogo di un momento: non ce ne vengono narrati altri
simili nei giorni seguenti. Tutto rimase come prima. Nello spirito dell’agàpe
si vorrebbe invece che qualcosa
cambiasse in società. Ma per ottenere questo, o si usa molta più violenza, e
questa fu la via seguita in genere dalle Chiese cristiane fin dalle origini, o
si avvia una interlocuzione.
Ma che fare e come?
Di solito l’agàpe,
assolutamente centrale nella fede cristiana, non viene presentata come
indispensabile. Si può realizzare o non.
Rientra un po’ in quei consigli evangelici che si pensa siano alla
portata solo di fasce ristrette, tra gente che si impegna a seguire più da
vicino la via del Maestro.
Nella predicazione, in genere, le cose presentate come indispensabili
sono, in ordine di rilevanza: mantenersi sottomessi ai preti, non commettere
(troppi) atti impuri, sposarsi in chiesa, accostarsi ogni tanto agli altri
sacramenti, venire a messa di quando in quando, ricordare alcune delle
preghiere più comuni. Ma, se una persona rimane
sottomessa ai preti, poi tutto si fa più facile perché loro assolvono dal resto,
che viene messo in conto tra la gente comune.
E’ curiosa questa precettistica,
perché corrisponde poco agli insegnamenti del Maestro, salvo che per gli atti
impuri, sui quali, però egli si limitò a confermare le regole del giudaismo del
suo tempo, senza calcarci sopra più di tanto. Non istituì un clero (tali non erano gli apostoli e gli altri discepoli),
il matrimonio come sacramento era molto di là da venire, così come gli altri
sacramenti, intesi come atti liturgici di particolare forza ecclesiale. E,
quanto alle preghiere, si sa come la pensava.
Il Maestro insegnò la
conversione, ma non organizzò la società dei convertiti secondo la sua
predicazione. Girava per la Palestina ed anche un po’ più in là, ma nei posti
dove andò non istituì comunità, dando ad esse dei capi e accreditandovi suoi
delegati. Avvenne tutto dopo la sua morte. Questa mancanza di un suo modello di
organizzazione agapica ci ha creato problemi, perché quando si diventa collettività
molto numerose è indispensabile darsi delle regole. Ci ha esortato a fare agàpe
anche con chi ci vuol male, anche se non si spinse mai a esortare a non fare
guerra. Certo, dichiarò beati i costruttori di pace, ma, una volta che
viene ordinata la guerra, che si fa? Ci si è dovuto pensare dopo e, in genere,
si è deciso che la guerra, date certe condizioni, si poteva fare, anzi si doveva
fare, e che, addirittura potesse essere santa. Solo dagli ultimi
anni Cinquanta, in particolare nell’Europa occidentale, si è cominciato a pensarla
diversamente, anche in religione. Ora l’obiettivo della pace rientra nella dottrina sociale. Si pensa che,
per realizzarla, si debba istituire un’autorità mondiale capace di imporla. Ma,
così, il problema non viene risolto perché l’imposizione non è agapica.
E’ stato osservato (Hannah Arendt) che un’autorità mondiale così potente,
inevitabilmente abuserebbe di questo potere, perché è legge del potere sociale
che non ci si arresta se non di fronte a una valida resistenza (Montesquieu).
Sì certo: dar da
mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi ecc.
Ma se poi gli assistiti, nonostante quello
che si fa per loro, non cambiano
mentalità e continuano ad avercela con noi?
La predicazione su
questi temi dice poco o nulla. Esorta
alla pace, certo, ma poi non dà indicazioni su come costruirla in
concreto.
D’altra parte clero e
religiosi sono incapsulati nella gerarchia ecclesiastica e si sono impegnati a sottomettersi ai
superiori: quando sgarrano vengono sanzionati e al limite espulsi. La gerarchia ecclesiastica è un sistema sociale molto semplificato,
basato sull’idea dell’ordine mediante l’obbedienza ai superiori. Ma che
garanzia c’è che questi ultimi ci prendano, che decidano per il giusto? Io non
farei tanto conto sull’ausilio soprannaturale, perché la storia disillude.
Comunque la società
di uno stato contemporaneo è un ordinamento
molto più complesso, più conflittuale e non c’è verso di darle un ordine stabile:
mediante il diritto si cerca di renderla coerente, ma si tratta di un ordine
sempre precario. Se non ci si dà continuamente da fare si è esposti al dissesto
sociale, che è quando, come oggi accade ad Haiti, i gruppi sociali si affidano alla
forza e cercano di prevaricarsi, non riconoscendo altro ordine.
Psicologia,
antropologia e sociologia cercano di
spiegare i movimenti della società e nella società, a partire dalle persone
singole.
L’ordine si ottiene prevaricando
o accordandosi. Si accetta di accordarsi
solo quando si ha convenienza a farlo e, in particolare, quando non si ha la
forza sufficienza per prevaricare o prevaricando si otterrebbe di meno.
Un accordo è possibile
quando si accetta di conoscersi e parlare. Le narrazioni evangeliche sono piene
di questo. Di questo conoscersi e parlare si dovrebbe far tirocinio fin da
quando si è nell’infanzia e si è appena usciti dal nido della famiglia di
origine. E’ un’esperienza di umanità che fa crescere come persone e fa crescere
la società in cui si è inseriti. Appunto perché è la via per l’agàpe. Ma quando
e dove si può fare questo tirocinio negli ambienti ecclesiali? Ad esempio nella
nostra Azione cattolica, e in non molti
altri ambienti.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma,
Monte Sacro, Valli