Agàpe è il centro del Vangelo. Alla ricerca del suo significato
L’Agàpe è il centro del vangelo cristiano.
Scrivo e pronuncio agàpe, come suona
nel greco evangelico.
Nell’uso ecclesiastico è divenuto comune pronunciare
àgape. Come in moltissime altre cose ci si è così distanziati dalle origini.
ChatGPT ci può aiutare a capire ciò che è avvenuto.
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[ChatGPT ricerca del 10-7-25.
Prompt (quesito): Nel greco antico si pronuncia agàpe. Perché in Italiano c'è
l'uso di dire àgape? ]
In greco antico, come dici
correttamente, la parola ἀγάπη (agápē) porta l'accento sulla penultima sillaba:
agápē (con accento acuto sulla a
e vocale finale ē lunga). La pronuncia sarebbe dunque simile a agàpe, con l’accento grave che in
italiano indica un tono discendente sulla penultima sillaba.
Tuttavia, in italiano ecclesiastico o letterario, è
diffusa la pronuncia àgape, con
accento sulla prima a. Questo fenomeno ha una spiegazione legata più
all’uso tradizionale che alla fedele traslitterazione fonologica dal
greco.
Le ragioni principali:
1.
Influenza della prosodia latina ed ecclesiastica
In latino ecclesiastico (dove il greco fu mediato per secoli), la parola venne
adattata come agape con una pronuncia latina, e spesso con accento sulla
prima sillaba (Àgape), anche per motivi metrici e stilistici.
2.
Tradizione liturgica e cristiana
L’uso di àgape nella lingua della Chiesa cattolica — in riferimento ai
pasti comunitari dei primi cristiani — ha consolidato questa pronuncia. Era più
importante l'associazione con il concetto che non la correttezza etimologica.
3.
Italianizzazione fonologica
In italiano, quando si importano parole da lingue classiche, spesso l’accento
si sposta per adattarsi alla prosodia italiana. Agape è trisillabica,
terminante in -e: una forma inusuale nel parlato comune, e così si è accentata
sulla prima per comodità.
4.
Ambiguità fonetica risolta per distinzione semantica
A volte, la pronuncia àgape viene
usata anche per distinguere il significato cristiano della parola da
un’eventuale lettura più greca, accademica o neutra. Lo stesso accade con altri
termini: ad esempio, “sòter” e “sotér” possono avere connotazioni diverse.
Conclusione:
In greco antico si dice agápē, ma in italiano si dice àgape perché:
·
è
passata attraverso il latino ecclesiastico;
·
l’uso
liturgico ha stabilito quella pronuncia;
·
l’adattamento
alla fonetica italiana l’ha consolidata.
Se parlassi in un contesto
accademico classico, useresti agàpe;
in un’omelia o in un testo teologico italiano, sarebbe più naturale àgape.
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Il comandamento
nuovo non è amare, come comunemente
viene detto e predicato, ma fate agàpe. Così è scritto nei Vangeli, dove
figurano parole che vengono presentante come dette dal Maestro. Egli sapeva il
greco antico? Non è scritto, non lo sappiamo con sicurezza, possiamo solo fare
congetture. Si pensa che potesse conoscerlo a livello colloquiale perché era
parlato nella regione della Palestina, la Galilea, di cui era originario. Difficile
che lo parlasse al livello molto sofisticato espresso nei quattro Vangeli ritenuti normativi per la fede
cristiana. Solo apparentemente sono testi semplici. Si pensa che siano stati scritti, sulla base di precedenti
tradizioni orali, vari decenni dopo la sua morte.
Che voleva intendere il Maestro quando comandava
ciò che nel greco evangelico viene espresso con la parola agàpe?
Ne scrive il biblista Gerhard Lohfink in Gesù
come voleva la sua comunità? La chiesa quale dovrebbe essere, Edizioni San
Paolo 1987, ancora disponibile in commercio.
Il Maestro con le persone che lo seguivano
nelle sue peregrinazioni per la Palestina, uomini e donne, arrivava nei
villaggi e veniva accolto nella casa di persona amiche. Questo accogliere
sollecito è l’agàpe evangelica. Il comando evangelico è di praticarla universalmente,
perfino con chi ci vuole male (e noi a lui).
Si tratta di fare posto e di instaurare relazioni
agapiche, durature, che cambino l’assetto sociale. Non si tratta solo di sfamare,
dissetare, rivestire, come in un centro di soccorso per le persone in
difficoltà, in cui rimane la distinzione tra chi assiste e chi è assistito, la persona
povera. Azioni meritorie, certo, ma che sono solo modalità di costruzione dell’agàpe
e, se rimangono a quel livello, non adempiono il comando evangelico dell’agàpe.
Negli anni passati si è detto che la chiesa
dovrebbe essere un ospedale da campo. Ma, in realtà, prendendo come
riferimento il comando agapico, dovrebbe essere molto di più.
Dovrebbe
cambiare profondamente le relazioni tra le persone.
Si dice che si dovrebbe essere fratelli e
sorelle e certo c’è anche questo nelle esortazioni evangeliche. Ma, spesso, non
c’è peggior nemico del fratello e le Scritture iniziano appunto con il mito di un omicidio del fratello contro il fratello. “Vi
ho chiamati amici”: sono parole che nei Vangeli vengono presentate come
dette dal Maestro. Φίλοι – fìloi, nel greco evangelico, è la parola che
traduciamo con amici in quel
detto «οὐκέτι λέγω ὑμᾶς
δούλους… ὑμᾶς δὲ εἴρηκα φίλους – ukèti lego umàs dùlus … umàs de èireka fìlus»
"Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamati amici"
(dal Vangelo secondo Giovanni capitolo 15 versetto 15 – Gv 15,15).
Biologicamente c’è una certa aria di famiglia
tra tutti noi: ci possiamo pensare a ragione fratelli e sorelle, anche se in
genere alla lontana. Discendiamo da progenitori comuni. Ma è l’amicizia
agàpica che ci costituisce persone cristiane. Lo si diventa seguendo il comando
evangelico dell’agàpe, che ci costituisce amici.
Di solito nella predicazione e nella pratica
religiosa si dà importanza ad altre cose, miti, concetti teologici, precetti
morali su questioni particolari. E, su tutto, alla sottomissione alla gerarchia
ecclesiastica. Se c’è questa, viene perdonato tutto. Curioso, perché il comando
di sottomissione gerarchica non è evangelico. Il Maestro se ne dimostrò
insofferente e anche i suoi primi discepoli seguirono quella via ed ebbero per
questo i guai loro, del resto come il capo.
Nella mia esperienza religiosa quando si
accennava al fare agàpe lo si faceva in toni scherzosi, per dire che si
pranzava insieme in allegria.
Solo più tardi, da adulto, ho capito quanto l’agàpe
sia importante nella fede cristiana.
Dicono però che prima viene la
teologia costruita razionalmente sulla mitologia biblica e poi l’agàpe
e che la prima è la misura della
secondo, e non viceversa. Joseph Ratzinger da papa ci scrisse una enciclica
sopra, la Carità nella verità, del 2009, in cui polemizzò espressamente
con le idee espresse nell’enciclica Lo sviluppo dei popoli promulgata
nel 1967 dal suo predecessore Giovanni Battista Montini, un documento di
straordinaria portata agàpica, che risentiva della gioia e della speranza
ancora vivissime a quell’epoca dopo il Concilio Vaticano 2°.
Naturalmente nella Verità nella carità si scrive di voler correggere fraintendimenti
della precedente enciclica, che non voleva insegnare che l’agàpe era la misura
della verità e che, insomma, la verità del vangelo stesse nell’agape evangelica
invece che nella logica ferrea (e spietata) della teologia dogmatica. Insomma,
non ci sarebbe stata differenza tra il pensiero dei due papi. Giudicate voi.
https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_26031967_populorum.html
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli