Rammendare la società: una via
spirituale oltre la crisi della Chiesa
Lo scrivo spesso: quello che di solito si predica
nelle parrocchie è inutile per la maggior parte delle persone e, in
particolare, per quelle più giovani. Non sto, però, a rigirare il coltello
nella piaga: basta che si abbia la consapevolezza che è così, ed è evidente che
è così, perché tanta gente non ci frequenta più e non è perché è cattiva, è che
il tempo che si passa in chiesa e dintorni è inutile per molte persone. Non è
colpa dei nostri preti, naturalmente: fanno tanto e con molta buona volontà e
anche con competenza. Sono gente che studia o ha studiato. Dipende dal fatto che
si vuole che tutto faccia capo o esca da loro e questo non va bene, perché la
società di oggi è troppo complessa perché loro arrivino a tutto. Se ne
manifestò consapevolezza durante il Concilio Vaticano 2°, negli scorsi anni
Sessanta, ma poi se ne fece poco o nulla e tutto continuò più o meno come
prima.
Allora è colpa dei vescovi o addirittura del
Papa? Poveretti, anche loro fanno quello che possono. Sono incastrati in un
ingranaggio burocratico\teologico micidiale che ci deriva dai secoli passati e,
in particolare, quanto all’assolutismo papale, dal tremendo Ottocento europeo, nel corso del quale furono poste le fondamenta
delle atrocità della prima metà del secolo seguente. Come si è visto chiaramente,
anche un Papa, e anche uno molto volenteroso, ben disposto e volitivo, può fare
poco e, alla fine, finisce per ricadere nelle consuetudini dalle quali
progettava di staccarsi. Al dunque, le modifiche più significative si sono rivelate
la dismissione della pesantissima corona tre strati da imperatore del mondo e della
cosiddetta sedia gestatoria, portata a spalla da appositi addetti detti sediari.
Nelle occasioni solenni si vedono un po’ meno pennacchi e patacche brillanti, la
corte è stata ridenominata famiglia
e la nobiltà pontificia, detta
nera e si capisce perché, ne è
stata tenuta ai margini.
Nelle Diocesi è più o meno lo stesso. Naturalmente un vescovo non
è del tutto prigioniero del suo ruolo come un Papa. Ma comunque mi pare che abbia
scarso spazio di manovra, tra le calunnie che, secondo antiche consuetudini,
gli vengono scagliate contro (e questa è cosa che riguarda tutto il clero) e l’inquisizione
organizzata nella Santa Sede, che a quelle calunnie si appiglia. Non importa in
quale parte del mondo si è vescovo, da una denuncia ti si può rovesciare il
mondo addosso e ti puoi trovare costretto a giustificarti con gli inquisitori
romani, eredi di un triste e tremendo passato.
Così i suggerimenti per le virtù sociali che
si danno nella predicazione lasciano il tempo che trovano. C’è una vera
ossessione sulle questioni riproduttive, che veramente non si spiega tenuto
conto della scarsissima importanza che ad esse viene data nei Vangeli. Questo
già rovina i rapporti con le persone adolescenti. Una grande anima come Carlo Maria
Martini consigliava di non insistervi troppo, di lasciare certe cose alla
coscienza: ma in questo, come in molto altro, rimase inascoltato.
Sembra che i predicatori ritengano che, se si
è buoni, secondo i canoni ecclesiastici, la società non può che migliorare,
ma una consapevolezza realistica della società non conforta questa
opinione. C’è chi dice di attendere un
intervento celeste, nel frattempo cercando di propiziarselo pregando, pregando
e pregando. Ma anche su questo l’esperienza non conforta. Non basta essere buoni
al modo in cui i predicatori, in genere
(ci sono eccezioni), insegnano ad esserlo.
Bisogna
interagire in società con le altre persone. Ma sembra che questo non debba
rientrare nella formazione religiosa per la maggior parte della gente. Anzi, si
consiglia spesso di separarsi, di stare tra noi, perché poi le altre persone,
vedendo come sappiamo volerci bene, si aggregheranno. Ma questo non succede.
E non ci vogliamo nemmeno tanto bene, anzi c’è il costume di sparlarsi sempre
addosso. Tutti poi sparlano dei preti e scrivono al vescovo. Non sappiamo
vivere bene tra noi e la religione in sé non aiuta, anzi le Scritture che narrano
delle collettività cristiane delle origini
ci attestano chiaramente che nemmeno allora ci si riusciva.
Non bisogna però perdersi d’animo. In realtà viviamo
in società estremamente complesse, che legano ormai tutta l’umanità a livello
globale, e, nonostante quello che di solito si dice e si pensa, molto meno
bellicose del passato, a partire dalla nostra Chiesa, che non è più quel mostro
stragista e genocida che la storia ci rimanda in diverse epoche. Come si è riusciti a questo? Ecco questa è la domanda
fondamentale.
Se vogliamo fare un lavoro in società che sia
di una qualche efficacia, bisogna capire come ci si è riusciti, e ancora ci si
riesce, e questo nonostante che gente malvagia ci sia ancora e anche ai supremi
vertici politici.
E’ stato un lavoro che ha coinvolto, non del
tutto consapevolmente, praticamente tutta l’umanità, che sembra non
appassionarsi più all’ammazzare, come avveniva un tempo. In questo il pensiero
sociale cristiano dagli scorsi anni ’30 ha avuto un ruolo importante: la nostra
democrazia europea ne è il frutto, come anche di altre componenti, certo, ma
tra le quali quella cristiana è stata fondamentale.
In tanti anni di professione nel foro, so
bene che, individualmente, un certo gusto nel massacrare gli altri rimane
sempre. Del resto discendiamo da antiche belve e l’hardware fisiologico
e mentale non è poi tanto mutato. Ma non ci si appassiona più tanto alla guerra,
se non al cinema e ai videogiochi. Ad esempio, agli inizi del Novecento, quando
in Italia si dovette decidere se aggregarsi al massacro europeo che era
iniziato nel 1914, molta gente reclamò gioiosamente la guerra e tanti partirono
volontari. La cultura popolare spinse in quel senso. Anche nel secolo
precedente era andata così, anche se ad infiammarsi erano stati prevalentemente
i ceti colti e abbienti, mentre contadini e operai mica tanto. Il nostro
cosiddetto Risorgimento, dal quale scaturì l’unità nazionale, fu un
seguito impressionante di guerre, nelle quale finì in mezzo anche il Papato (del
resto secondo i costumi di sempre).
Su questa nuova sensibilità popolare si può
costruire. Occorre darle voce, sorreggerla, crearvi una cultura intorno.
La predicazione su questo è molto cauta, e come
potrebbe non esserlo? E’ tutta una tradizione fin dalle origini che spinge a
non contrastare le guerre se non quelle sgradite alla gerarchia ecclesiastica, dette
ingiuste. Non furono molti i
pacifisti a sfondo cristiano prima degli anni Cinquanta e sicuramente non lo furono
né il Papato romano né il resto della gerarchia. Ancor oggi negano alle singole
persone la libertà di determinarsi in coscienza se obbedire o non ad un ordine
di mobilitazione bellica, per decidere se la guerra che viene ordinata è giusta
o non, secondo la propria
fede. Secondo la dottrina corrente solo un governo legittimo può deciderlo, ma
negli ultimi decenni è andata maturando una sensibilità che resiste a questa
idea. Questo, ad esempio, nella grande epopea che dagli anni Sessanta portò, spinta
da un movimento popolare in cui tanti giovani furono protagonisti, alla legge
italiana sull’obiezione di coscienza, del 1972. Ora il servizio militare maschile
obbligatorio non c’è nemmeno più, dal 2005. Dal 1991 era finita la cosiddetta guerra fredda.
Creare una società è come tessere una tela. E’
un’idea che ci viene dalla filosofia antica. Ma non si parte mai da zero. Si
interviene sempre su una storia che è in corso, così quel lavoro assomiglia più
a un rammendo.
E come la mettiamo con il detto evangelico che
fa così:
Nessuno mette una pezza
di stoffa nuova sopra un vestito vecchio: perché il tessuto nuovo strappa il
vecchio, e il danno diventa peggiore. [Dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 9,
versetto 16 – Mt 9, 16 – versione in italiano TILC Traduzione interconfessionale
in lingua corrente]
e
che sembra scoraggiare dal rammendo?
Lascio a voi ragionarci sopra.
Ci sono state, nella storia, delle fasi in
cui si è preferito tentare di ripartire da capo (anche se nelle culture umane
non è mai possibile farlo del tutto su grande scala), ma bisogna essere
consapevoli che da ciò inevitabilmente scaturisce la violenza. Successe, nel giro di pochi decenni, nei rapporti tra i seguaci degli insegnamenti
del Maestro e il coevo giudaismo e poi in quelli con le altre tradizioni religiose.
Ai tempi del Maestro, dunque nel primo secolo
della nostra era, si stima che, in tutto il mondo, ci fossero non più di
trecento milioni di persone, divise in società che, in diversi casi, nemmeno si
conoscevano. Tra un insediamento abitativo e un altro c’era tanto territorio
disabitato, in cui regnavano le fiere. Ogni città poteva fare da sé, anche se
si praticava il commercio, e la potenza della tecnologia era assai limitata.
Oggi la situazione è totalmente diversa.
Siamo oltre otto miliardi, nonostante tutte le lamentele europee sulla denatalità,
non c’è mai stata tanta gente sulla Terra, e le organizzazioni politiche che regolano
il vivere civile in modo da consentire la pace sociale sono strettamente interconnesse.
Ad esempio, praticamente tutti gli oggetti di nostro uso quotidiano, compreso
il pc su cui sto scrivendo e i vestiti che sto indossando ci vengono dall’Asia,
da molto lontano. Non è più possibile ripartire da capo. Bisogna allora impratichirsi
del rammendo sociale e conoscere le altre persone e le loro culture.
Ne sono
ora convinti anche i nostri gerarchi religiosi, che ad esempio non
ordinano più di sterminare le collettività che non seguono la nostra religione,
o almeno di discriminarle, come a lungo ordinarono che si facesse con le
popolazioni ebraiche.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli