INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

*************************

L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

**********************************

  Questo blog è un'iniziativa di laici aderenti all'Azione Cattolica della parrocchia di San Clemente papa e manifesta idee ed opinioni espresse sotto la personale responsabilità di chi scrive. Esso non è un organo informativo della parrocchia né dell'Azione Cattolica e, in particolare, non è espressione delle opinioni del parroco e dei sacerdoti suoi collaboratori, anche se i laici di Azione Cattolica che lo animano le tengono in grande considerazione.

  Chi voglia pubblicare un contenuto (al di là dei semplici commenti ai "post", che possono essere lasciati cliccando su "commenti" ma solo da chi abbia un’identità Google), può inviarlo a Mario Ardigò all'indirizzo di posta elettronica marioardigo@acsanclemente.net all'interno di una e-mail o come allegato Word a una e-email.

  I contenuti pubblicati su questo blog possono essere visualizzati senza restrizioni da utenti di tutto il mondo e possono essere elaborati da motori di ricerca; dato il tema del blog essi potrebbero anche rivelare un'appartenenza religiosa. Nel richiederne e autorizzarne la pubblicazione si rifletta bene se inserirvi dati che consentano un'identificazione personale o, comunque, dati di contatto, come indirizzo email o numeri telefonici.

  Non è necessario, per leggere i contenuti pubblicati sul blog, iscriversi ai "lettori fissi".

  L'elenco dei contenuti pubblicati si trova sulla destra dello schermo, nel settore archivio blog, in ordine cronologico. Per visualizzare un contenuto pubblicato basta cliccare sul titolo del contenuto. Per visualizzare i post archiviati nelle cartelle per mese o per anno, si deve cliccare prima sul triangolino a sinistra dell'indicazione del mese o dell'anno.

  Dal gennaio del 2012, su questo blog sono stati pubblicati oltre 3.200 interventi (post) su vari argomenti. Per ricercare quelli su un determinato tema, impostare su GOOGLE una ricerca inserendo "acvivearomavalli.blogspot.it" + una parola chiave che riguarda il tema di interesse (ad esempio "democrazia").

GOOGLE INSERISCE DEI COOKIE NEL CORSO DELLA VISUALIZZAZIONE DEL BLOG. SI TRATTA DI PROGRAMMI COMUNEMENTE UTILIZZATI PER MIGLIORARE E RENDERE PIU' VELOCE LA LETTURA. INTERAGENDO CON IL BLOG LI SI ACCETTA. I BROWSER DI NAVIGAZIONE SUL WEB POSSONO ESSERE IMPOSTATI PER NON AMMETTERLI: IN TAL CASO, PERO', POTREBBE ESSERE IMPOSSIBILE VISUALIZZARE I CONTENUTI DEL BLOG.

  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

ON THE WEBSITE www.bibbiaedu.it THE ITALIAN TRANSLATIONS OF THE BIBLE CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONAL IN CURRENT LANGUAGE AND THE BIBLICAL TEXTS IN ANCIENT GREEK AND ANCIENT JEWISH MAY BE CONSULTED. WITH A FUNCTIONALITY OF THE WEBSITE THE VARIOUS TEXTS MAY BE COMPARED.

martedì 15 luglio 2025

Numi. Cristianesimi tra il numinoso e l’agàpe

 

Numi. Cristianesimi tra il numinoso e l’agàpe

 

  Per tradizione familiare mi mandarono al liceo classico e vi studiai un po’ di greco, che poi mi è sempre tornato utile. Entrai in contatto con la religiosità di quel popolo, che era molto profonda e alla quale la nostra, di gente cristiana, è tuttora molto legata. Le idee della nostra fede furono organizzate, alle origini, in comunità che si esprimevano in greco.  Gesù il Nazareno, i suoi primi discepoli e i suoi apostoli appartenevano ad un’altra cultura.

  Le immagini correnti sulla divinità e il mondo superno sono modellate sulla religiosità degli antichi greci, che concepivano l’azione e la presenza di molti dei, nessuno dei quali onnipotente. In questa prospettiva, anche un sovrano terreno poteva essere visto come un dio, quindi come un personaggio straordinario, capace di modellare la storia. Idee più realistiche sul mondo rispetto a quelle, fondamentaliste, del giudaismo del Primo secolo, e degli ebraismi di ogni tempo.  In questi ultimi prese piede l’idea che il favore divino dipenda dall’agire morale. Molto più che da solenni azioni liturgiche accompagnate da sacrifici rituali. Anche noi la pensiamo così. In questo i cristianesimi sono uno sviluppo del giudaismo del Primo secolo, una cultura non limitata alla Palestina, ma già molto diffusa nel Vicino Oriente. Dalla comunità dei giudei stanziati ad Alessandria d’Egitto, uno dei più importanti centri culturali del mondo antico, avemmo la versione della Bibbia ebraica detta Settanta, elaborata, tra il Terzo e il Secondo secolo dell’era antica, da giudei che non erano stati cacciati dalla Palestina, ma che erano migrati in Egitto volontariamente, attirati dalla sua civiltà e prosperità, insediandovisi. Le citazioni  dei Vangeli dai testi della Bibbia giudaica, che nella cultura cristiana vengono indicati come Antico Testamento, sono in genere fatte secondo la versione in greco Settanta, anche se con una certa libertà.

  Definiamo numinosa  una concezione o un’immagine della divinità che  incorpora elementi degli antichi culti politeisti diffusi nelle culture greco-romane.  Ad esempio, il crocifisso non lo è. La statua della  madonna di Fatima che teniamo nella chiesa parrocchiale invece lo è.

 In una visione numinosa si è nelle mani di divinità che chiedono sottomissione e sacrifici per accordarci il loro favore prodigioso. Gli antichi dei venivano immaginati come persone bizzarre e volubili, con tutti i difetti e i vizi dei potenti umani. Capaci di innamorarsi di noi, ma anche veloci all’ira, a mutare idea, e allora erano dolori. Qual era il modello di divinità insegnato dal Maestro? E’ un argomento vastissimo, che richiederebbe una sapienza biblica  e teologica molto superiore alle mie povere competenze in materia. C’è la complicazione che nei Vangeli c’è traccia di diverse concezioni in materia. Al fondo c’è l’idea di una divinità che vuole fare agàpe con noi, in una relazione viva in cui si è solleciti perché si tiene all’altro e si è pronti anche a passar sopra ai torti. Un po’ come avviene in famiglia, quando le cose vanno bene.

  Una concezione numinosa c’è nelle cosiddette apocalissi, cioè di quei brani in cui si parla della fine della storia e del giudizio sul mondo che verrà celebrato in quel momento. In certi tempi sono state prese molto alla lettera, oggi di solito nella predicazione si avverte che si tratta di narrazioni mitiche ed evocative e che non sappiamo precisamente come andrà, anche se il senso sarà quello: la pietà verso i sofferenti avrà grande valore. E, per quanto si inorgogliscano, le potenze della storia saranno ridotte a nulla. Questo ha un riscontro nell’esperienza concreta: le società umane cambiano costantemente e le potenze che esprimono sono sostituite da altre.

  Far tornare i conti con le immaginazioni numinose è facile, appunto perché sono immaginazioni e l’immaginario è nelle nostre mani. Si possono rigirare le cose come si crede, a seconda delle esigenze del momento. La storia dei cristianesimi è piena di questo.

 Quando ci si confronta con il centro del messaggio cristiano, con l’agàpe, è diverso. Perché l’agàpe  è collocata interamente nel mondo reale, così o si realizza o non si realizza, e allora ci si divide e ci si allontana e chi ha la meglio ad un certo punto respinge chi ha avuto la peggio e preme. E’ quello che accade nelle faccende che riguardano l’immigrazione verso di noi.

 Quanto di numinoso si può tollerare a scapito dell’agàpe senza che non ci si possa più dire persone cristiane, vale a dire seguaci di Gesù il Cristo dei cristianesimi? In alcune religiosità, molto, veramente molto. Praticamente tutto, allora, è numinosità. Non  mi scandalizzo, perché siamo povere creature, deboli, e affidarsi al nume consola. Ma non è la mia via. Non mi appassiona.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

 

 

domenica 13 luglio 2025

Buon Samaritano e agàpe: come farsi vicini a Dio e alle altre persone

 

Buon Samaritano e agàpe: come farsi vicini a Dio e alle altre persone

ὁ δὲ ἀποκριθεὶς εἶπεν· Ἀγαπήσεις κύριον τὸν θεόν σου ἐξ ὅλης τῆς καρδίας σου καὶ ἐν ὅλῃ τῇ ψυχῇ σου καὶ ἐν ὅλῃ τῇ ἰσχύϊ σου καὶ ἐν ὅλῃ τῇ διανοίᾳ σου, καὶ τὸν πλησίον σου ὡς σεαυτόν

 

o [egli] de apocrithèis [risposto] èipen [disse] [: agapèseis [farai agàpe con il] kùrion [Signore] ton theòn [il Dio] su ex òles [tutto] tes kardìas [cuore] sou [tua] kài [e]  òle ten psuchè [soffio di vita] sou kài en ole tè ischùi [forza] sou kài en òle te dianòia [mente] sou, kài ton plesìon [colui che è vicino] sou òs seautòn [te stesso]

 

Egli  per rispondere disse: “Farai agàpe con il Signore il  Dio con tutto il tuo cuore, con tutta il tuo soffio vitale, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e colui che ti è vicino come te stesso". 

 

 Nella messa di oggi, domenica 13 luglio 2025 si è proclamato questo brano evangelico, tratto dal Vangelo secondo Luca, capitolo 10, versetti da 25 a 37 – Lc 10, 25-37, che qui sotto trascrivo nella versione in italiano secondo Cei 2008

 

  In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». [27] Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

  Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

 

  All’inizio ho trascritto il testo nel greco evangelico del versetto 27, la pronuncia in italiano e una mia traduzione testuale. Vorrei richiamare la vostra attenzione sul verbo Ἀγαπήσεις  - agapèseis. E’ la seconda persona singolare dell’indicativo futuro del verbo ἀγαπάω – agapào  - faccio agàpe. E’ l’esortazione a fare agàpe  con Dio: Ἀγαπήσεις κύριον τὸν θεόν σου - agapèseis [amerai] kùrion [Signore] ton theòn [il Dio].

  Il brano evangelico prosegue con la parabola del Samaritano compassionevole.

 I predicatori fanno di solito notare che venne narrata per rispondere alla domanda “chi è  colui che mi sta vicino? - τίς ἐστίν μου πλησίον;” , ma che spiega come ci si deve far vicini  alle altre persone, in modo compassionevole e sollecito. Questo è il centro dell’agàpe cristiana.

  Ma, e questo è sorprendente, dobbiamo fare agàpe  anche con Dio:  Ἀγαπήσεις κύριον τὸν θεόν σου - agapèseis [farai agàpe con il] kùrion [Signore] ton theòn [il Dio], in definitiva facendoci vicini a lui. Nel brano evangelico, importantissimo per la vita di fede [Papa Francesco nel 2020 ci ha costruito sopra l’enciclica Fratelli tutti] c’è un parallelismo tra il fare agàpe  con Dio e con le altre persone intorno a noi, facendoci vicini in modo sollecito e compassionevole.

  La parabola scombina il discorso delle priorità nelle  cerchie dell’agàpe, prima la famiglia, poi la comunità di prossimità, la nazione e più in là, il mondo, secondo la predicazione di qualche tempo fa del vicepresidente degli Stati Uniti d’America  James David Vance. Il Samaritano si fa vicino agàpico  di uno sconosciuto incontrato ferito per la via di Gerico, uno non solo non della sua cerchia di immediata prossimità ma probabilmente addirittura un nemico, come Samaritani e Giudei di quel tempo si consideravano reciprocamente,  e questo farsi vicini  universale è la legge dell’agàpe cristiana.

 Vance ha fatto un azzardato riferimento all’ordo amoris menzionato da Agostino d’Ippona nell’opera Della Città di Dio – De Civitate Dei, libro 15°, in cui si legge, al paragrafo 22: «Ordo est amoris, ut diligantur homines: alii plus, alii minus; sed omnes diligendi»,  che viene tradotto con «Vi è un ordine nell'amore: gli uomini devono essere amati, alcuni più, altri meno, ma tutti devono essere amati». Nel latino di Agostino, l’agàpe diventa amore  e prediligere. Si perde molto, perché amore  e prediligere  evocano un sentimento, come anche nell’italiano. Non è questo il senso dell’agàpe evangelica. Certo che il sentimento personale è più forte in famiglia che verso gente di altre nazioni, ma anche di altre parti della stessa città in cui viviamo. Ma la legge evangelica è farsi vicini agapici  con tutte le persone che di questo hanno bisogno.

  Il detto riportato nel versetto 27 fu tratto dalle Scritture sacre dell’antico giudaismo. Rispetto ad esso la predicazione evangelica basata sulla parabola del Samaritano compassionevole inserisce un apporto notevole.

  Nel film Crimini e Misfatti,  del regista Woody Allen,  del 1989, in cui, nonostante il tono da commedia scherzosa si fa riferimento a temi spirituali della letteratura del grande scrittore russo  Dostoevskij,  il protagonista è Cliff Stern, un regista che sta realizzando un documentario su un filosofo esistenzialista immaginario, il professor Louis Levy. In una sequenza, Stern presenta a  una produttrice di un altro documentario che sta girando alcune riprese in cui Levy parla dell’amore di Dio.

  Ecco le battute di Levy:

La cosa straordinaria che accadde agli antichi israeliti fu che concepirono un Dio sollecito. Lo è, però nel medesimo tempo egli pretende che ti comporti moralmente. Ma qui viene il paradosso. Qual è la prima cosa che quel Dio chiede? Dio chiede ad Abramo di sacrificare il suo unico figlio, il suo figlio diletto, a lui. In altre parole, a dispetto dei millenni di sforzi, noi non siamo riusciti a creare l’immagine di un Dio che fosse veramente mite ed amoroso. Questo ha trasceso la nostra capacità di immaginazione.

  Ebbene nell’agàpe evangelica si coglie qualcosa di nuovo su questo tema.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

sabato 12 luglio 2025

Rammendare la società: una via spirituale oltre la crisi della Chiesa

 

Rammendare la società: una via spirituale oltre la crisi della Chiesa

 

  Lo scrivo spesso: quello che di solito si predica nelle parrocchie è inutile per la maggior parte delle persone e, in particolare, per quelle più giovani. Non sto, però, a rigirare il coltello nella piaga: basta che si abbia la consapevolezza che è così, ed è evidente che è così, perché tanta gente non ci frequenta più e non è perché è cattiva, è che il tempo che si passa in chiesa e dintorni è inutile per molte persone. Non è colpa dei nostri preti, naturalmente: fanno tanto e con molta buona volontà e anche con competenza. Sono gente che studia o ha studiato. Dipende dal fatto che si vuole che tutto faccia capo o esca da loro e questo non va bene, perché la società di oggi è troppo complessa perché loro arrivino a tutto. Se ne manifestò consapevolezza durante il Concilio Vaticano 2°, negli scorsi anni Sessanta, ma poi se ne fece poco o nulla e tutto continuò più o meno come prima.

  Allora è colpa dei vescovi o addirittura del Papa? Poveretti, anche loro fanno quello che possono. Sono incastrati in un ingranaggio burocratico\teologico micidiale che ci deriva dai secoli passati e, in particolare, quanto all’assolutismo papale, dal tremendo Ottocento europeo,  nel corso del quale furono poste le fondamenta delle atrocità della prima metà del secolo seguente. Come si è visto chiaramente, anche un Papa, e anche uno molto volenteroso, ben disposto e volitivo, può fare poco e, alla fine, finisce per ricadere nelle consuetudini dalle quali progettava di staccarsi. Al dunque, le modifiche più significative si sono rivelate la dismissione della pesantissima corona tre strati da imperatore del mondo e della cosiddetta sedia gestatoria, portata a spalla da appositi addetti detti sediari. Nelle occasioni solenni si vedono un po’ meno pennacchi e patacche brillanti, la corte  è stata ridenominata famiglia  e la nobiltà pontificia, detta nera  e si capisce perché, ne è stata tenuta ai margini.

  Nelle Diocesi è più  o meno lo stesso. Naturalmente un vescovo non è del tutto prigioniero del suo ruolo come un Papa. Ma comunque mi pare che abbia scarso spazio di manovra, tra le calunnie che, secondo antiche consuetudini, gli vengono scagliate contro (e questa è cosa che riguarda tutto il clero) e l’inquisizione organizzata nella Santa Sede, che a quelle calunnie si appiglia. Non importa in quale parte del mondo si è vescovo, da una denuncia ti si può rovesciare il mondo addosso e ti puoi trovare  costretto a giustificarti con gli inquisitori romani, eredi di un triste e tremendo passato.

  Così i suggerimenti per le virtù sociali che si danno nella predicazione lasciano il tempo che trovano. C’è una vera ossessione sulle questioni riproduttive, che veramente non si spiega tenuto conto della scarsissima importanza che ad esse viene data nei Vangeli. Questo già rovina i rapporti con le persone adolescenti. Una grande anima come Carlo Maria Martini consigliava di non insistervi troppo, di lasciare certe cose alla coscienza: ma in questo, come in molto altro, rimase inascoltato.

  Sembra che i predicatori ritengano che, se si è buoni, secondo i canoni ecclesiastici, la società non può che migliorare, ma una consapevolezza realistica della società non conforta questa opinione.  C’è chi dice di attendere un intervento celeste, nel frattempo cercando di propiziarselo pregando, pregando e pregando. Ma anche su questo l’esperienza non conforta. Non basta essere buoni  al modo in cui i predicatori, in genere (ci sono eccezioni),  insegnano ad esserlo.

  Bisogna  interagire in società con le altre persone. Ma sembra che questo non debba rientrare nella formazione religiosa per la maggior parte della gente. Anzi, si consiglia spesso di separarsi, di stare tra noi, perché poi le altre persone, vedendo come sappiamo volerci bene, si aggregheranno. Ma questo non succede. E non ci vogliamo nemmeno tanto bene, anzi c’è il costume di sparlarsi sempre addosso. Tutti poi sparlano dei preti e scrivono al vescovo. Non sappiamo vivere bene tra noi e la religione in sé non aiuta, anzi le Scritture che narrano delle collettività cristiane delle origini  ci attestano chiaramente che nemmeno allora ci si riusciva.

  Non bisogna però perdersi d’animo. In realtà viviamo in società estremamente complesse, che legano ormai tutta l’umanità a livello globale, e, nonostante quello che di solito si dice e si pensa, molto meno bellicose del passato, a partire dalla nostra Chiesa, che non è più quel mostro stragista e genocida che la storia ci rimanda in diverse epoche. Come si  è riusciti a questo? Ecco questa è la domanda fondamentale.

  Se vogliamo fare un lavoro in società che sia di una qualche efficacia, bisogna capire come ci si è riusciti, e ancora ci si riesce, e questo nonostante che gente malvagia ci sia ancora e anche ai supremi vertici politici.

 E’ stato un lavoro che ha coinvolto, non del tutto consapevolmente, praticamente tutta l’umanità, che sembra non appassionarsi più all’ammazzare, come avveniva un tempo. In questo il pensiero sociale cristiano dagli scorsi anni ’30 ha avuto un ruolo importante: la nostra democrazia europea ne è il frutto, come anche di altre componenti, certo, ma tra le quali quella cristiana è stata fondamentale.

  In tanti anni di professione nel foro, so bene che, individualmente, un certo gusto nel massacrare gli altri rimane sempre. Del resto discendiamo da antiche belve e l’hardware fisiologico e mentale non è poi tanto mutato. Ma non ci si appassiona più tanto alla guerra, se non al cinema e ai videogiochi. Ad esempio, agli inizi del Novecento, quando in Italia si dovette decidere se aggregarsi al massacro europeo che era iniziato nel 1914, molta gente reclamò gioiosamente la guerra e tanti partirono volontari. La cultura popolare spinse in quel senso. Anche nel secolo precedente era andata così, anche se ad infiammarsi erano stati prevalentemente i ceti colti e abbienti, mentre contadini e operai mica tanto. Il nostro cosiddetto Risorgimento, dal quale scaturì l’unità nazionale, fu un seguito impressionante di guerre, nelle quale finì in mezzo anche il Papato (del resto secondo i costumi di sempre).

  Su questa nuova sensibilità popolare si può costruire. Occorre darle voce, sorreggerla, crearvi una cultura intorno.

  La predicazione su questo è molto cauta, e come potrebbe non esserlo? E’ tutta una tradizione fin dalle origini che spinge a non contrastare le guerre se non quelle sgradite alla gerarchia ecclesiastica, dette  ingiuste. Non furono molti i pacifisti a sfondo cristiano prima degli anni Cinquanta e sicuramente non lo furono né il Papato romano né il resto della gerarchia. Ancor oggi negano alle singole persone la libertà di determinarsi in coscienza se obbedire o non ad un ordine di mobilitazione bellica, per decidere se la guerra che viene ordinata è giusta  o non, secondo la propria fede. Secondo la dottrina corrente solo un governo legittimo può deciderlo, ma negli ultimi decenni è andata maturando una sensibilità che resiste a questa idea. Questo, ad esempio, nella grande epopea che dagli anni Sessanta portò, spinta da un movimento popolare in cui tanti giovani furono protagonisti, alla legge italiana sull’obiezione di coscienza, del 1972. Ora il servizio militare maschile obbligatorio non c’è nemmeno più, dal 2005. Dal  1991 era finita la cosiddetta guerra fredda.

 Creare una società è come tessere una tela. E’ un’idea che ci viene dalla filosofia antica. Ma non si parte mai da zero. Si interviene sempre su una storia che è in corso, così quel lavoro assomiglia più a un rammendo.

 E come la mettiamo con il detto evangelico che fa così:

 

Nessuno mette una pezza di stoffa nuova sopra un vestito vecchio: perché il tessuto nuovo strappa il vecchio, e il danno diventa peggiore. [Dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 9, versetto 16 – Mt 9, 16 – versione in italiano TILC Traduzione interconfessionale in lingua corrente]

 

e che sembra scoraggiare dal rammendo?

  Lascio a voi ragionarci sopra.

  Ci sono state, nella storia, delle fasi in cui si è preferito tentare di ripartire da capo (anche se nelle culture umane non è mai possibile farlo del tutto su grande scala), ma bisogna essere consapevoli che da ciò inevitabilmente  scaturisce la violenza. Successe,  nel giro di pochi decenni,  nei rapporti tra i seguaci degli insegnamenti del Maestro e il coevo giudaismo e poi in quelli con le altre tradizioni religiose.

  Ai tempi del Maestro, dunque nel primo secolo della nostra era, si stima che, in tutto il mondo, ci fossero non più di trecento milioni di persone, divise in società che, in diversi casi, nemmeno si conoscevano. Tra un insediamento abitativo e un altro c’era tanto territorio disabitato, in cui regnavano le fiere. Ogni città poteva fare da sé, anche se si praticava il commercio, e la potenza della tecnologia era assai limitata. Oggi la situazione  è totalmente diversa. Siamo oltre otto miliardi, nonostante tutte le lamentele europee sulla denatalità, non c’è mai stata tanta gente sulla Terra, e le organizzazioni politiche che regolano il vivere civile in modo da consentire la pace sociale sono strettamente interconnesse. Ad esempio, praticamente tutti gli oggetti di nostro uso quotidiano, compreso il pc su cui sto scrivendo e i vestiti che sto indossando ci vengono dall’Asia, da molto lontano. Non è più possibile ripartire da capo. Bisogna allora impratichirsi del rammendo sociale e conoscere le altre persone e le loro culture.

  Ne sono  ora convinti anche i nostri gerarchi religiosi, che ad esempio non ordinano più di sterminare le collettività che non seguono la nostra religione, o almeno di discriminarle, come a lungo ordinarono che si facesse con le popolazioni ebraiche.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

venerdì 11 luglio 2025

Costruire l’agàpe. Si può imporre la pace? Il dilemma dell’agàpe nel mondo moderno

 

Costruire l’agàpe. Si può imporre la pace? Il dilemma dell’agàpe nel mondo moderno

 

Negli insegnamenti sull’agàpe il Maestro non disse di attenderla dal Cielo. “Fate agàpe” è il comandamento nuovo. Agàpe  è un modello di relazioni sociali, agapiche appunto. Bisogna interagire con le altre persone intorno a noi, le quali, magari, non sono tanto dell’idea di fare agàpe  con noi. Nei secoli passati,  a questo punto, si passava direttamente alla violenza: agàpe  con le buone o con le cattive. Ma che agàpe  è quella ottenuta con le cattive?

 Il Maestro esortò alla conversione, a cambiare modo di vivere e di relazionarsi in società. Ma quanto al concreto modo di realizzare l’agàpe non ci ha dato dettagli, se non quegli esempi contenuti nelle parabole, e, naturalmente, con la sua vita. Quanto a quest’ultima è evidente che non usò mai violenza per far cambiare idea alla gente. E’ piuttosto sorprendente, allora, la tanta, estesa ed efferata violenza realizzata dai suoi seguaci fino ad epoca molto recente.

   Turbò, rovesciando i banchi e rincorrendo i venditori con una frusta fatta di cordicelle, il piccolo commercio che veniva svolto nel complesso del Tempio di Gerusalemme, ai margini delle liturgie, come accade da  noi intorno a tanti santuari. Lì, effettivamente, ci venne presentato adirato e violento, anche se non ho mai ben capito perché abbia agito così. I biblisti si affannano a spiegarlo, ma rimane sempre un episodio che appare sproporzionato. Comunque, a ciò che è scritto, nessuno si fece male, anche se bisogna immaginare che qualche frustata abbia raggiunto il segno. Penso che poi si sia ripreso a vendere e comprare: non è scritto che queste consuetudini cambiarono in seguito al suo intervento. Fu uno sfogo di un momento: non ce ne vengono narrati altri simili nei giorni seguenti. Tutto rimase come prima. Nello spirito dell’agàpe  si vorrebbe invece che qualcosa cambiasse in società. Ma per ottenere questo, o si usa molta più violenza, e questa fu la via seguita in genere dalle Chiese cristiane fin dalle origini, o si avvia una interlocuzione.

  Ma che fare e come?

  Di solito l’agàpe, assolutamente centrale nella fede cristiana, non viene presentata come indispensabile.  Si può realizzare o non. Rientra un po’ in quei consigli evangelici che si pensa siano alla portata solo di fasce ristrette, tra gente che si impegna a seguire più da vicino  la via del Maestro.

  Nella predicazione, in genere, le cose presentate come indispensabili sono, in ordine di rilevanza: mantenersi sottomessi ai preti, non commettere (troppi) atti impuri, sposarsi in chiesa, accostarsi ogni tanto agli altri sacramenti, venire a messa di quando in quando, ricordare alcune delle preghiere più comuni.  Ma, se una persona rimane sottomessa ai preti, poi tutto si fa più facile perché loro assolvono dal resto, che viene messo in conto tra la gente comune.

  E’ curiosa questa precettistica, perché corrisponde poco agli insegnamenti del Maestro, salvo che per gli atti impuri, sui quali, però egli si limitò a confermare le regole del giudaismo del suo tempo, senza calcarci sopra più di tanto. Non istituì un clero (tali non erano gli apostoli e gli altri discepoli), il matrimonio come sacramento era molto di là da venire, così come gli altri sacramenti, intesi come atti liturgici di particolare forza ecclesiale. E, quanto alle preghiere, si sa come la pensava.

  Il Maestro insegnò la conversione, ma non organizzò la società dei convertiti secondo la sua predicazione. Girava per la Palestina ed anche un po’ più in là, ma nei posti dove andò non istituì comunità, dando ad esse dei capi e accreditandovi suoi delegati. Avvenne tutto dopo la sua morte. Questa mancanza di un suo modello di organizzazione agapica ci ha creato problemi, perché quando si diventa collettività molto numerose è indispensabile darsi delle regole. Ci ha esortato a fare agàpe anche con chi ci vuol male, anche se non si spinse mai a esortare a non fare guerra.  Certo, dichiarò beati  i costruttori di pace, ma, una volta che viene ordinata la guerra, che si fa? Ci si è dovuto pensare dopo e, in genere, si è deciso che la guerra, date certe condizioni, si poteva fare, anzi si doveva fare, e che, addirittura potesse essere santa. Solo dagli ultimi anni Cinquanta, in particolare nell’Europa occidentale, si è cominciato a pensarla diversamente, anche in religione. Ora l’obiettivo della pace  rientra nella dottrina sociale. Si pensa che, per realizzarla, si debba istituire un’autorità mondiale capace di imporla. Ma, così, il problema non viene risolto perché l’imposizione non è agapica. E’ stato osservato (Hannah Arendt) che un’autorità mondiale così potente, inevitabilmente abuserebbe di questo potere, perché è legge del potere sociale che non ci si arresta se non di fronte a una valida resistenza (Montesquieu).

 Sì certo: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi ecc. Ma se  poi gli assistiti, nonostante quello che si fa per loro,  non cambiano mentalità e continuano ad avercela con noi?

 La predicazione su questi temi dice poco  o nulla. Esorta alla pace, certo, ma poi non dà indicazioni su come costruirla in concreto.

  D’altra parte clero e religiosi sono incapsulati nella gerarchia ecclesiastica  e si sono impegnati a sottomettersi ai superiori: quando sgarrano vengono sanzionati e al limite espulsi.  La gerarchia ecclesiastica  è un sistema sociale molto semplificato, basato sull’idea dell’ordine mediante l’obbedienza ai superiori. Ma che garanzia c’è che questi ultimi ci prendano, che decidano per il giusto? Io non farei tanto conto sull’ausilio soprannaturale, perché la storia disillude.

  Comunque la società di uno stato contemporaneo  è un ordinamento molto più complesso, più conflittuale e non c’è verso di darle un ordine stabile: mediante il diritto si cerca di renderla coerente, ma si tratta di un ordine sempre precario. Se non ci si dà continuamente da fare si è esposti al dissesto sociale, che è quando, come oggi accade  ad Haiti, i gruppi sociali si affidano alla forza e cercano di prevaricarsi, non riconoscendo altro ordine.

 Psicologia, antropologia e sociologia  cercano di spiegare i movimenti della società e nella società, a partire dalle persone singole.

  L’ordine si ottiene prevaricando o accordandosi.  Si accetta di accordarsi solo quando si ha convenienza a farlo e, in particolare, quando non si ha la forza sufficienza per prevaricare o prevaricando si otterrebbe di meno.

  Un accordo è possibile quando si accetta di conoscersi e parlare. Le narrazioni evangeliche sono piene di questo. Di questo conoscersi e parlare si dovrebbe far tirocinio fin da quando si è nell’infanzia e si è appena usciti dal nido della famiglia di origine. E’ un’esperienza di umanità che fa crescere come persone e fa crescere la società in cui si è inseriti. Appunto perché è la via per l’agàpe. Ma quando e dove si può fare questo tirocinio negli ambienti ecclesiali? Ad esempio nella nostra Azione cattolica,  e in non molti altri ambienti.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

giovedì 10 luglio 2025

Agàpe è il centro del Vangelo. Alla ricerca del suo significato

 

  Agàpe è il centro del Vangelo. Alla ricerca del suo significato

 

 L’Agàpe  è il centro del vangelo cristiano.

  Scrivo e pronuncio agàpe, come suona nel greco evangelico.

  Nell’uso ecclesiastico è divenuto comune pronunciare àgape. Come in moltissime altre cose ci si è così distanziati dalle origini.

 ChatGPT ci può aiutare a capire ciò che è avvenuto.

**************************

[ChatGPT ricerca del 10-7-25. Prompt (quesito): Nel greco antico si pronuncia agàpe. Perché in Italiano c'è l'uso di dire àgape? ]

In greco antico, come dici correttamente, la parola ἀγάπη (agápē) porta l'accento sulla penultima sillaba: agápē (con accento acuto sulla a e vocale finale ē lunga). La pronuncia sarebbe dunque simile a agàpe, con l’accento grave che in italiano indica un tono discendente sulla penultima sillaba.

Tuttavia, in italiano ecclesiastico o letterario, è diffusa la pronuncia àgape, con accento sulla prima a. Questo fenomeno ha una spiegazione legata più all’uso tradizionale che alla fedele traslitterazione fonologica dal greco.

Le ragioni principali:

1.      Influenza della prosodia latina ed ecclesiastica
In latino ecclesiastico (dove il greco fu mediato per secoli), la parola venne adattata come agape con una pronuncia latina, e spesso con accento sulla prima sillaba (Àgape), anche per motivi metrici e stilistici.

2.      Tradizione liturgica e cristiana
L’uso di àgape nella lingua della Chiesa cattolica — in riferimento ai pasti comunitari dei primi cristiani — ha consolidato questa pronuncia. Era più importante l'associazione con il concetto che non la correttezza etimologica.

3.      Italianizzazione fonologica
In italiano, quando si importano parole da lingue classiche, spesso l’accento si sposta per adattarsi alla prosodia italiana. Agape è trisillabica, terminante in -e: una forma inusuale nel parlato comune, e così si è accentata sulla prima per comodità.

4.      Ambiguità fonetica risolta per distinzione semantica
A volte, la pronuncia àgape viene usata anche per distinguere il significato cristiano della parola da un’eventuale lettura più greca, accademica o neutra. Lo stesso accade con altri termini: ad esempio, “sòter” e “sotér” possono avere connotazioni diverse.


Conclusione:

In greco antico si dice agápē, ma in italiano si dice àgape perché:

·         è passata attraverso il latino ecclesiastico;

·         l’uso liturgico ha stabilito quella pronuncia;

·         l’adattamento alla fonetica italiana l’ha consolidata.

Se parlassi in un contesto accademico classico, useresti agàpe; in un’omelia o in un testo teologico italiano, sarebbe più naturale àgape.

 

 

**************************

  Il comandamento nuovo  non è amare, come comunemente viene detto e predicato, ma fate agàpe. Così è scritto nei Vangeli, dove figurano parole che vengono presentante come dette dal Maestro. Egli sapeva il greco antico? Non è scritto, non lo sappiamo con sicurezza, possiamo solo fare congetture. Si pensa che potesse conoscerlo a livello colloquiale perché era parlato nella regione della Palestina, la Galilea, di cui era originario. Difficile che lo parlasse al livello molto sofisticato espresso nei  quattro Vangeli ritenuti normativi per la fede cristiana. Solo apparentemente sono testi semplici. Si pensa che  siano stati scritti, sulla base di precedenti tradizioni orali, vari decenni dopo la sua morte.

  Che voleva intendere il Maestro quando comandava ciò che nel greco evangelico viene espresso con la parola agàpe?

  Ne scrive il biblista Gerhard Lohfink in Gesù come voleva la sua comunità? La chiesa quale dovrebbe essere, Edizioni San Paolo 1987, ancora disponibile in commercio.

  Il Maestro con le persone che lo seguivano nelle sue peregrinazioni per la Palestina, uomini e donne, arrivava nei villaggi e veniva accolto nella casa di persona amiche. Questo accogliere sollecito è l’agàpe evangelica. Il comando evangelico è di praticarla universalmente, perfino con chi ci vuole male (e noi a lui).

  Si tratta di fare posto e di instaurare relazioni agapiche, durature, che cambino l’assetto sociale. Non si tratta solo di sfamare, dissetare, rivestire, come in un centro di soccorso per le persone in difficoltà, in cui rimane la distinzione tra chi assiste e chi è assistito, la persona povera. Azioni meritorie, certo, ma che sono solo modalità di costruzione dell’agàpe e, se rimangono a quel livello, non adempiono il comando evangelico dell’agàpe.

  Negli anni passati si è detto che la chiesa dovrebbe essere un ospedale da campo. Ma, in realtà, prendendo come riferimento il comando agapico, dovrebbe essere molto di più.

  Dovrebbe cambiare profondamente le relazioni tra le persone.

 Si dice che si dovrebbe essere fratelli e sorelle e certo c’è anche questo nelle esortazioni evangeliche. Ma, spesso, non c’è peggior nemico del fratello e le Scritture iniziano appunto con il mito di  un omicidio del fratello contro il fratello. “Vi ho chiamati amici”: sono parole che nei Vangeli vengono presentate come dette dal Maestro. Φίλοι – fìloi, nel greco evangelico, è la parola che traduciamo con amici  in quel detto «οὐκέτι λέγω ὑμᾶς δούλους… ὑμᾶς δὲ εἴρηκα φίλους – ukèti lego umàs dùlus … umàs de èireka fìlus»
"Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamati amici"
(dal Vangelo secondo Giovanni capitolo 15 versetto 15 – Gv 15,15).

  Biologicamente c’è una certa aria di famiglia tra tutti noi: ci possiamo pensare a ragione fratelli e sorelle, anche se in genere alla lontana. Discendiamo da progenitori comuni. Ma è l’amicizia agàpica che ci costituisce persone cristiane. Lo si diventa seguendo il comando evangelico dell’agàpe, che ci costituisce amici.

 Di solito nella predicazione e nella pratica religiosa si dà importanza ad altre cose, miti, concetti teologici, precetti morali su questioni particolari. E, su tutto, alla sottomissione alla gerarchia ecclesiastica. Se c’è questa, viene perdonato tutto. Curioso, perché il comando di sottomissione gerarchica non è evangelico. Il Maestro se ne dimostrò insofferente e anche i suoi primi discepoli seguirono quella via ed ebbero per questo i guai loro, del resto come il capo.

  Nella mia esperienza religiosa quando si accennava al fare agàpe lo si faceva in toni scherzosi, per dire che si pranzava insieme in allegria.

 Solo più tardi, da adulto, ho capito quanto l’agàpe sia importante nella fede cristiana.

  Dicono però che prima viene la teologia costruita razionalmente sulla mitologia biblica e poi l’agàpe  e che la prima è la misura della secondo, e non viceversa. Joseph Ratzinger da papa ci scrisse una enciclica sopra, la Carità nella verità, del 2009, in cui polemizzò espressamente con le idee espresse nell’enciclica Lo sviluppo dei popoli promulgata nel 1967 dal suo predecessore Giovanni Battista Montini, un documento di straordinaria portata agàpica, che risentiva della gioia e della speranza ancora vivissime a quell’epoca dopo il Concilio Vaticano 2°.  

 Naturalmente nella Verità nella carità  si scrive di voler correggere fraintendimenti della precedente enciclica, che non voleva insegnare che l’agàpe era la misura della verità e che, insomma, la verità del vangelo stesse nell’agape evangelica invece che nella logica ferrea (e spietata) della teologia dogmatica. Insomma, non ci sarebbe stata differenza tra il pensiero dei due papi. Giudicate voi.

 

https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_26031967_populorum.html

 

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

mercoledì 9 luglio 2025

Santi e potere

 

Santi e potere

 

  Quando, durante il Concilio Vaticano 2° (1962-1965), si parlò di santità come di una condizione alla portata di ogni persona, si cercò di distaccarsi da com’era stata concepita fino ad allora, vale a dire  come manifestazione di virtù straordinarie prevalentemente tra chierici e religiosi narrate in leggende accreditate dalla gerarchia ecclesiastica. Il prodigioso si accompagnava a queste storie e la gente si rivolgeva alle figure che ne erano oggetto un po’ come a personaggi celesti, con poteri soprannaturali. Vi si costruirono intorno grandi santuari. La religione dei santuari è molto viva a livello popolare e connota potentemente la fede.

  Se tutte le persone potevano mirare alla propria santità, allora tutto quel sistema, un sistema di potere ecclesiastico, perdeva di presa. Di fatto ciò non è accaduto e la fabbrica dei santi vaticana ha continuato a lavorare come e più di prima.

  Il connotato principale dei santi proclamati dalla gerarchia ecclesiastica è la sottomissione a quest’ultima. In un processo che dura da circa un secolo e mezzo la gerarchia è diventata un sistema totalitario e assolutistico dedito a mantenere l’ordine sotto di sé anche creando leggende di santi. E’ un modo per sacralizzarsi.

  La gerarchia ecclesiastica è una burocrazia, vale a dire un sistema legale di potere, con uffici e funzionari disciplinati da norme. Essa molto difficilmente riesce ad appassionare la gente, anche perché non si sa bene che cosa fa e come lo fa. Amministra tenendo l’ordine al proprio interno e verso le popolazioni che le sono sottomesse, stabilendo chi può fare o ordinare che cosa e che si deve fare dei beni ecclesiastici. Ma tutto questo senza preoccuparsi del rendiconto verso la gente che governa, che quindi ne sa poco o nulla. Le leggende sulla santità prodigiosa servono a radicarla tra la gente, a suscitarle intorno una emotività fedele, così come le pittoresche liturgie che inscena.

  Dal punto di vista antropologico, l’idea di santità, come quella del sacro, è in genere legata a un rapporto con la divinità che la rende inviolabile, sotto pena di sanzione.  E’ quindi strettamente connessa a un sistema di potere che si sacralizza per consolidarsi. Nell’ottica del vangelo cristiano, tuttavia, assume connotati completamente diversi. Il vangelo stesso è la fonte della santità, che si manifesta nell’obbedire al comandamento nuovo, il quale consiste nel costruire l’agàpe. Dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi e via dicendo non sono l’agàpe, ma mezzi per costruirla. L’agàpe è la pace, sollecita, solidale, inclusiva,  misericordiosa, non violenta: in natura non c’è e in questo senso è soprannaturale. E’ però alla portata di tutte le persone e non dipende dall’obbedire ad una qualche gerarchia. Anzi, ogni potere gerarchico vede da essa misurata la sua  santità. In questo senso è anarchica. Non meraviglia che storicamente furono spietatamente perseguitate con una incredibile violenza dai poteri ecclesiastici le genti che vollero provare a organizzarla da sé.

  E’ stato osservato che, grazie ai moderni mezzi di comunicazione di massa, il Papato romano ha un potere immenso, come mai ha avuto, anche perché non ci sono mai state tante persone cattoliche come adesso, stimate in oltre un miliardo, su otto miliardi in totale qual è la popolazione della Terra oggi. Non è stato ancora trovato un modo diverso dalle leggende, dai miti, per dare coerenza a tutto ciò. Per questo vi si continua a ricorrere. La nuova sinodalità  pensata da papa Francesco voleva provare una via diversa, in linea con l’idea evangelica e conciliare di santità,  ma, in fin dei conti  si è gettata la spugna. Non si è avuto cuore di proseguire.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

 

 

martedì 8 luglio 2025

La pace impossibile. La guerra in Ucraina e il silenzio della religione: che cosa ci insegna la storia

 

La pace impossibile. La guerra in Ucraina e il silenzio della religione: che cosa ci insegna la storia

 

  Negli anni ’70 si pensava che una guerra tra Stati Uniti d’America e i russi dell’Unione Sovietica avrebbe portato ad una guerra nucleare totale, con conseguente annientamento dell’umanità, e che il timore del fare del male a sé stessi oltre che ai nemici avrebbe trattenuto dall’iniziarla.

  Così andò effettivamente, a lungo.

  La tensione rimaneva, ma non scoppiava un conflitto aperto. Si parlava di guerra fredda.

  Negli anni ’90 in Europa Occidentale e Orientale cessò il conflitto ideologico tra capitalisti e comunisti e le popolazioni un tempo soggette all’Unione sovietica lo divennero a regimi capitalisti. Gli occidentali cercarono di assumere il controllo dei sistemi politici usciti dal comunismo, ma vi riuscirono solo in parte. Molti vennero assimilati nell’Unione Europea e nella NATO, l’alleanza militare dominata dagli Stati Uniti d’America che, un tempo centrata sulle questioni Europee, prese a intervenire anche in Asia. Altri gravitarono comunque intorno agli Stati Uniti d’America. La Bielorussia e l’immensa Federazione russa no.

  Fino agli anni ’90 l’ordine europeo fu determinato dagli accordi che le potenze vincitrici conclusero al termine della Seconda guerra mondiale, finita nel 1945 con la sconfitta del regime nazista tedesco e dei suoi alleati fascisti, tra i quali anche l’Italia.

  Nel 1991 il papa Karol Wojtyla, nell’enciclica Il Centenario, nei cent’anni dal primo documento della dottrina sociale contemporanea, l’enciclica Delle novità – Rerum novarum  del 1891, sostenne che si sarebbe dovuto negoziare un nuovo ordine. Ciò non fu possibile.

 Un negoziato è possibile solo quando parti in conflitto ritengono di non poter prevalere con la violenza, e gli occidentali ritenevano di aver vinto la guerra fredda.

  Negli anni Dieci del nuovo millennio si progettò di nuovo una guerra europea, confidando che nessuno l’avrebbe portata alle estreme conseguenze ma reputandola utile per arrivare a negoziare un nuovo ordine europeo. C’era chi pensava di finire gli avversari e quest’ultimi vollero prendersi una rivincita.

  Da qui la guerra in Ucraina che, iniziata nel 2014, in varie fasi continua tuttora. Nessuno ha utilizzato l’arma nucleare: Stati Uniti d’America e Federazione russa hanno arsenali simili, di diverse migliaia di bombe montate su missili di varia portata. Non si è passati alla guerra totale. Si combatte come nelle due guerre mondiali del Novecento prima del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, in Giappone.

  Si combatte tra genti cristianizzate e le rispettive gerarchie si sono schierate con i governi in lotta.

   Il Papato di Roma parla di pace e di negoziati, ma tiene toni diplomatici, quindi senza attaccare i signori della guerra, secondo una tradizione che risale al Seicento.

 Alle comunità cattoliche viene predicata la pace, ma le si spinge a pregare e a obbedire ai rispettivi governi, che sono gli artefici della guerra che si sta combattendo. Naturalmente ognuno sostiene di farlo a ragione, per difendersi, e certamente c’è anche questo. In guerra c’è anche questo. Ma le ragioni della guerra stanno in quel conflitto tra potenze, che ha preceduto la fase della difesa e  in cui tutte le potenze hanno fatto la loro parte per accenderlo e ravvivarlo.

 A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta le agitazioni pacifiste negli Stati Uniti d’America, in particolare animate dai giovani, furono cruciali per spingere il governo statunitense a porre fine alla guerra che aveva iniziato in Vietnam, naturalmente, anche lì, sostenendo di averlo fatto per difendere il loro alleato. Oggi non ci si pensa più, in Europa.

  La dottrina sociale in materia di guerra spinge a negoziati per arrivare a una pace giusta. Proporsi una pace giusta  è però la via per sicura per continuare la guerra all’infinito, perché le parti si determinano  alla pace solo quando vedono che è impossibile raggiungere quella a loro avviso giusta, prevalendo sugli avversari.

 Negli anni ’90, durante le guerre americane in Iraq ci furono  grandi manifestazioni in Europa contro quei conflitti, che talvolta, come accadde in Italia, furono efficaci per determinare i propri governi a non intervenire o  a non intervenire massicciamente. Mi pare che ai tempi nostri il mondo cattolico abbia preso un’altra strada.

  La pace è giusta  in sé. E’ un diritto umano fondamentale, in primo luogo verso i propri governi, gli unici nei confronti dei quali una popolazione può essere efficace agitandosi. Perché verso il nemico ci si può agitare solo facendogli guerra, ma, a quel punto, la pace è persa. Ogni popolazione, per contrastare la guerra, deve contrastare il proprio governo.

 Una volta instaurata la pace, le relazioni sociali tra le genti non più in contrasto combattuto creano contaminazioni culturali che avvicinano le popolazioni. E’ sempre accaduto così. E, avvicinandosi, si è poi meno disposti ad ammazzarsi, almeno sul larga scala, come in guerra. Un esempio eclatante è ciò che accadde tra le potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale e quelle che, entrate in guerra per ordine dei rispettivi regimi fascisti, l’avevano poi persa. Ma anche quello che accadde, per oltre vent’anni, tra il 1991 e il 2014, in Europa.

  Le popolazioni, dall’una e dall’altra parte della linea del fronte, dovrebbero tentare di intendersi dando contro ai governi che hanno ordinato la guerra. La religione può essere un buon movente, anche se tra cristiani ci si è sempre combattuti in modo feroci, e anche per ragioni propriamente religiose. Dagli anni Sessanta l’idea della pace come parte del vangelo ha però fatto molta strada. Ora mi pare che si stia prendendo un’altra strada. E l’aver scelto per il ruolo di Papa uno statunitense, che proviene dai dominatori del  mondo, probabilmente non è stata una buona idea sotto questa prospettiva. Molto difficilmente egli si metterà contro il suo Presidente: fin da bambini laggiù si è educati a non farlo.

  E’ vero che le parti belligeranti confidano che gli avversari non useranno la bomba anche se attaccati. Ma un incidente può sempre succedere e, allora, nel caso di stragi su larga scala, si potrebbe mettere molto male.

  Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

   

sabato 5 luglio 2025

Mai tanti come ora. Cristianesimo oggi: numeri da record, meno imposizioni, ma più ipocrisia?

 

Mai tanti come ora. Cristianesimo oggi: numeri da record, meno imposizioni, ma più ipocrisia?

 

 

 Nel mondo non ci sono mai state tante persone cristiane come ora. E non c’è stato di far guerra per ottenere questo risultato. Di più: il risultato si  è prodotto  nonostante che le Chiesa cristiane per lo più abbiano rinunciato ad altre forme di violenza per evangelizzare e che i poteri delle rispettive gerarchie siano stati piuttosto limitati nei contesti democratici, vale a dire in tutto il mondo salvo che negli assolutismi islamizzati e nei comunismi assolutistici. Vorrà pur dire qualche cosa!

  Allora si è diventati tutte e tutti persone cristiane perfette? Certamente no, ma questo si può dire anche di ogni epoca del passato e, anzi, per il passato con maggior forza di oggi.

  L’aver rinunciato alla sconvolgente violenza del passato costituisce tuttavia una bella novità, a fronte della quale non farei  un dramma, ad esempio,  del maggior pluralismo di modelli matrimoniali e di una certa maggiore libertà nei costumi sessuali. Nel matrimonio a lungo si sono seguite le consuetudini dei popoli in cui ci si trovava: la gerarchia cattolica ne fece un “sacramento”, impartendo la relativa normativa giuridica,  solo nel Quattrocento, anche se prima si riconosceva il valore spirituale dell’unione matrimoniale e dell’impegno alla sua indissolubilità. Invece, mi pare che a questi temi si dia un’importanza esagerata, mentre si sorvoli superficialmente sulla violenza, in particolare quella ordinata da organismi pubblici, come quella organizzata nelle guerre.

 E questo nonostante la scarsa importanza che ad essi viene data nei Vangeli.

  Invece, nella predicazione, spesso veniamo dipinti come un piccolo resto. Nonostante la grandissima influenza che ancora abbiamo in società  e che, in virtù del nostro numero, anche la gerarchia ecclesiastica e il clero hanno, in particolare nell’Italia di oggi, che si manifesta, a mio modo di vedere, come il Paese più clericale del mondo, dove anche a quelli che si definiscono non credenti piace praticare  i luoghi e le persone del potere ecclesiastico.

  Ogni sussurro e ogni gesto, anche banale, del Papa di Roma ha un’eco enorme da noi. Negli anni ’70, ai tempi della mia adolescenza, non era così.

  Ci danno tutti per papisti, come sul colle  Vaticano piacerebbe che fossimo, anche se le nostre comunità sono divenute fortemente pluralistiche e anche più libere da imposizioni clericali. Purtroppo tutto ciò è in qualche modo nascosto dietro un velo di ipocrisia, per cui, per quieto vivere, facciamo finta di obbedire e i gerarchi fanno finta che lo facciamo. Si potrebbe dire le cose come stanno? Si può, ma poi si finisce emarginati: l’intesa è, come in altre cose della vita, “tu non me ne parli, io non te lo chiedo”. Questa è l’armonia  secondo i costumi clericali. Questo ha portato al fallimento del processo sinodale, partito con tante speranze nell’ottobre 2021 e proseguito burocratizzandosi sempre più.

  Non bisogna illudersi di poter cambiare la situazione tanto presto, ma qualcosa si può fare. Si può cominciare ad essere persona diverse nelle realtà di prossimità, senza affannarsi nel vano tentativo di far tornare i conti nella teologia. E’ impossibile.  Ma possiamo relativizzarne un po’ le pretese, dove fa soffrire, e spesso fa soffrire senza vera necessità.

  Ad esempio sarebbe importante accordarsi per dire la propria collettivamente nelle faccende che ci riguardano più da vicino come comunità, in modo che ci si senta a disagio nel fare come ora decidendo tutto a prescindere da noi. Ci si può riuscire prendendo l’abitudine di incontrarsi e di discutere, e non solo per partecipare a liturgie e paraliturgie in cui si è come comparse.

  Una esigenza che viene sottolineata con forza nel Documento sinodale dell’Assemblea sinodale del Sinodo dei vescovi e altri sulla sinodalità è quella del rendiconto, di spiegare alla comunità di riferimento che cosa e come s’è fatto. Ad esempio, pubblicando il conto economico, con dare  e avere  della gestione, che si fa anche utilizzando non tanto e non solo le offerte date durante le messe domenicali e in altro modo, ma sulla base della ripartizione dell’Otto per mille, vale a dire distribuendo risorse che la Repubblica ha riscosso dalle persone contribuenti come tributi.

  Per parlare e ascoltare occorre però informarsi: in genere si sa troppo poco e in modo approssimativo. Un gruppo sinodale potrebbe decidere di programmare delle attività per saperne di più.

  Chi non sa è nelle mani di chi sa, mi ripeteva sempre mia nonna materna, e non sbagliava.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli