Pellegrinaggio del 25 maggio 2024
Ieri,
con la parrocchia, siamo stati in pellegrinaggio all’Abbazia cistercense di Casamari, in comune di Veroli, in provincia
di Frosinone, edificata nel Duecento dove sorgevano le rovine di Ceretae (si
legge Cerete), luogo di nascita del tribuno della plebe sette volte
console e comandante militare Gaio Mario, di orientamento popolare, vissuto tra
Secondo e il Primo secolo dell’era antica, protagonista in quest’ultimo della
guerra civile con Lucio Cornelio Silla, capo del partito del patriziato. In epoca precristiana nella zona si adoravano
Cerere(da cui Ceretae), dea del frumento e adorata in special modo dalla
plebe, (da cui Ceretae) e il dio
della guerra Marte.
Nel
pomeriggio siamo stati al santuario della Madre del Buon Consiglio a Genazzano,
edificato nel Quattrocento su una precedente chiesa molto più piccola, in
particolare a seguito dell’affermarsi del culto per propiziarsi grazie praticate
intorno ad un affresco rappresentante
Maria, madre del Buon Consiglio, che si ritenne apparso prodigiosamente
durante il lavori di costruzione Successivamente
gli albanesi della città di Scutari, nell’Albania Settentrionale, credettero di
riconoscere in quell’immagine della Madonna quella di un affresco che era
scomparso da un santuario di Scutari al tempo dell’invasione dei turchi
musulmani. Si diffuse la leggenda che l’immagine fosse giunta prodigiosamente a
Genazzano da Scutari. Sviluppatasi rapidamente la devozione, venne inviata a
Genazzano una commissione di due vescovi per valutare il caso e, in definitiva,
le autorità ecclesiastiche non smentirono l’origine prodigiosa dell’affresco.
Da ciò un gran flusso di pellegrini e anche di risorse, utilizzate per
completare la costruzione del santuario, che è officiato dai monaci agostiniani.
Oggi non sono tanto quei prodigi al centro di
predicazione e liturgie, ma il culto mariano, rafforzato dalla leggenda.
L’abbazia è costruita nel gotico “cistercense”,
che rifugge dal decorazioni, pitture e sculture. Da qui un’impressione di estrema
severità e di concentrazione spirituale che corrisponde alla mentalità di quell’ordine di monaci. L’organismo
fa ancora pare di una federazione di monaci che fu molto potente e ricca nel
Medioevo. Fu organizzata a partire dal monastero di Citeaux, Borgogna, dall’Undicesimo
secolo, quando la nostra Chiesa prese ad assumere il volto che ancor oggi ha
nella maggior parte. In questo processo i monaci benedettini, in particolare i
cluniacensi, della federazione di monasteri costruita a partire da quello di
Cluny, sempre in Borgogna dall’Undicesimo secolo, ebbero un ruolo culturale e teologico fondamentale. Cluniacensi e Cistercensi seguono
la regola di vita spirituale di
San Benedetto, sintetizzate nel motto “Prega e fatica – ora et labora”.
A Casamari si insediarono i trappisti,
cistercensi che seguono regole di vita più severe: partecipano alle liturgie,
pregano e meditano da soli, lavorano nei campi; una volta si dedicavano anche
alla ricopiatura dei testi sacri, quando non c’era ancora la stampa.
Le decisioni collettive tra i cistercensi
vengono prese in un’assemblea detta “capitolo”.
Potete
trovare ulteriori notizie sul Web a questo indirizzo
https://www.cistercensi.info/storia/storia17.htm#:~:text=Momento%20importante%20della%20vita%20quotidiana,del%20chiostro%20rivolta%20ad%20est.
Di seguito trascrivo la parte sul capitolo.
Momento
importante della vita quotidiana di una abbazia cistercense era il
“capitolo” (capitulum), che si teneva abitualmente dopo l’Ora di
Prima, nella sala capitolare, situata accanto alla sagrestia, nell’ala del
chiostro rivolta ad est. Vi partecipavano tutti i membri della comunità che
avevano pronunciato i voti; novizi e fratèlli conversi avevano capitoli
separati. Lo scopo della riunione era quello di procurare una formazione
spirituale o occasione per prendere decisioni di carattere amministrativo.
Si leggeva
dapprima il rnartirologio, cioè la memoria di tutti i santi che, si celebravano
in quel giorno. Seguiva poi Pretiosa, una breve orazione
monastica mattutina, e quindi la lettura di un brano della Regola di san
Benedetto, con la spiegazione o l’attualizzazione data da chi presiedeva,
l’abate o il priore. La domenica e i giorni festivi si leggeva e si commentava
il Libro degli Usi e gli Statuti del Capitolo generale.
Una parte meno
formale ma più drammatica del capitolo era l’invito del superiore a tutti i
partecipanti di presentarsi per accusarsi delle proprie mancanze pubbliche e
delle trasgressioni in cui erano incorsi nei confronti delle molteplici norme o
regolamenti dell’Ordine. In casi di evidente riluttanza, era concesso ad altri
monaci di accusare i fratelli sospetti. Si dava poi ad ogni colpevole una
penitenza, che consisteva di solito in gesti di umiliazione, digiuno,
deposizione da un ufficio o punizioni corporali, date sul posto. Per colpe
gravi, erano previste la scomunica, l’espulsione o la prigione, ma spesso si
permetteva di fare ricorso, per queste sentenze, alle autorità superiori.
Benché non
menzionati dalla Regola, i periodi di reclusione in carcere costituivano una
forma di punizione usata in altri ordini monastici, per esempio a Cluny; a
Cîteaux vengono nominati per la prima volta negli atti del Capitolo generale
dei 1206, dove si dava la facoltà che in ogni abbazia venissero costruite delle
prigioni. Queste venivano prescritte nel 1230, e lo statuto che ne trattava
sottolineò che dovevano essere “forti e sicure”. La data corrisponde al periodo
in cui si verificarono casi di indisciplina, aggressività e ribellione tra i
fratelli; si può supporre allora che queste tetre vestigia della giustizia del
braccio secolare furono adottate dai monaci per arginare i crimini di violenza.
I documenti del Capitolo generale forniscono ampie prove che, dalla seconda
metà del tredicesimo secolo in poi, condanne di incarcerazione, spesso a vita,
venivano pronunciate con prodigalità contro “criminali incalliti e
incorreggibili, ladri, incendiari, falsari e assassini”. Dato che questi
problemi venivano trattati nel capitolo giornaliero i monaci erano tenuti
rigorosamente al segreto.
La preghiera e meditazione personali dei monaci
avvenivano camminando lungo il chiostro a pianta quadrata, con al centro un
giardino con un pozzo, attorno al quale ruota la vita monacale.
La spiritualità dei trappisti esige una forte
limitazione dei discorsi tra i monaci, che ai tempi nostri è un po’ meno severa che anticamente. Insomma,
ci si parla poco.
Federico II di Svevia, dalla fine
del Dodicesimo secolo re di Sicilia e dal Tredicesimo imperatore del
Sacro Romano Impero, fu un grande benefattore dell’Abbazia di Casamari, nella
quale però, secondo i rigidi costumi dei monaci che l’animavano, fu commemorato
inserendo una sua minuscola testa tra i decori floreali di un capitello del
chiostro, come vedete qui sopra.
A volte si dice che la procedura decisionale
del capitolo cistercense è una specie di democrazia, ma non sono d’accordo. Si può
parlare di democrazia non solo se si instaurano procedure assembleari egualitarie,
ma quando il diritto a parteciparvi della popolazione residente soggetta ad un
potere non sia condizionato ad investiture dall’alto. Altrimenti si ha il
modello della Tavola rotonda delle leggende su re Artù. Il vertice della
nostra Chiesa mi appare come una riproposizione del modello capitolare benedettino.
Nel medioevo abati e abbazie ebbero un notevole
rilievo politico, con un potere assimilabile a quello di feudatari. Anche
quando esso si fece meno sensibile, rimase quello economico, perché le abbazie
comprendevano vaste aree agricole loro donate. La gente che in vario modo era
soggetta al potere dei monaci si trovava quasi nella stessa condizione in cui ancor
oggi si trova la persona libera da particolari discipline di vita, diciamo, riprendendo
un termine che oggi si preferisce non usare, laica. La condizione del laicato,
sicuramente non evangelica, venne costruita proprio estendendo a tutto il clero
le consuetudini monastiche e segregando tutt’altra l’altra gente in quella
posizione deteriore.
Nelle consuetudini dal santuario della Madre
del Buon Consiglio vediamo rappresentato un altro modello di organizzazione
ecclesiale, anch’esso basato su una condizione di soggezione della gran parte
della gente.
Il “Buon Consiglio” è Cristo, come ci ha
spiegato il padre agostiniano che ci ha accolti ieri. L’attributo deriva da
quello di Consigliere ammirabile dato dal profeta Isaia al bambino nel quale i cristianesimi videro la
prefigurazione di Gesù il Cristo.
Perché
un bambino è nato per noi,
ci
è stato dato un figlio.
Sulle
sue spalle è il potere
e
il suo nome sarà:
Consigliere mirabile, Dio potente,
Padre
per sempre, Principe della pace.
[dal
libro del profeta Isaia, capitolo 9, versetto 5 – Is 9,5 – versione in italiano
CEI 2008]
Madre
del Buon Consiglio, significa quindi
madre di Cristo e, quindi, Madre di Dio. Ma le persone di fede vengono
al santuario a lei dedicato anche per ricevere ispirazione sulle decisioni
difficili da prendere nella vita. Ma soprattutto per invocare grazie,
vale a dire la risoluzione prodigiosa dei loro problemi.
In realtà i due aspetti si mescolano: si
viene per approfondire la propria spiritualità per trovarvi risorse per negli
eventi difficili, sperando nel soccorso superno.
Mia madre fu molto devota al santuario. Da bambini
andavamo in vacanza in campagna a Genazzano. Tutte le mattine portava me e mio fratello, a piedi, fino a quella chiesa, in paese, per poi
proseguire fin al parco pubblico poco distante, al quale si accedeva attraverso
uno spettacolare ponte ad un’unica arcata che lo unisce al castello medievale dei
Colonna.
Di fronte al prodigioso la gente sta in
venerazione, pregando e contemplando, mentre clero e religiosi officiano liturgie.
Tutto è avvolto dall’alone di mistero e anche timore suscitato dalle manifestazioni
soprannaturali, quando si pensa di esserci davanti. Questo divide il popolo dei fedeli in due classi, e i più appartengono a quella che ha ruoli meno attivi.
Da qui al pensare che clero e religiosi siano
più vicini al Fondamento il passo è breve. Sono proprio le cerimonie
liturgiche, che tanto impressionano superficialmente, a manifestarlo. Una rendita di posizione della
quale in passato mi pare che non si sia fatto sempre un buon governo, tutt’altro.
La spiritualità del santuario della Madre del
Buon Consigli è profondamente legata, per me, a quella di mia madre, e l’autentico prodigio mi risulta questo
legame con lei, la quale riguardo al culto mariano svolse nei miei confronti un
ruolo propriamente sacerdotale, superando la storica umiliazione delle donne riguardo
ad esso.
Quanto all’abbazia e alla sua spiritualità, capisco
bene che quest’ultima possa essere molto coinvolgente, per aver avuto modo di
sperimentarla fin da giovane, quando in FUCI frequentai d’estate un altro
monastero benedettino, quello di Camaldoli, in provincia di Arezzo. L’architettura
dei monasteri è progettata in modo da assimilarvi i ben predisposti. E anche
ieri ho fatto nuovamente l’esperienza di quell’emozione camminando anch’io per
una mezzora lungo i portici del
chiostro, mentre gli altri visitavano l’interessante museo (vi sono anche le zanne
di un giovane mammut, che viveva in zona). E tuttavia i monaci sono rimasti solo
15. La mattina del nostro arrivo si erano appena concluse le esequie del
sedicesimo, purtroppo morto nella notte.
Probabilmente è quella condizione di dura separazione dal resto della gente di
fede che oggi, almeno in Europa occidentale, non è più capita. Anche se, di quando in quando, un’esperienza
di quel genere può essere ancora rigenerante, come accade durante gli Esercizi
spirituali ignaziani.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli