INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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venerdì 31 maggio 2024

Cristianesimi fatti da cristiani

Cristianesimi fatti dai cristiani

  Quand’è che bisognerebbe cominciare ad andare oltre i primi rudimenti di religione imparati da bambini al catechismo per la Prima Comunione? Direi all’età in cui si frequenta il primo anno della scuola secondaria di primo grado, delle medie come si diceva una volta, quando si inizia ad avere tra le mani il primo vero libro di storia. Oggi questi testi scolastici sono molto più ricchi di notizie, figure, schemi, piantine, rispetto a quelli dei miei tempi. Bisognerebbe tenerli sempre con sé, come la Bibbia.

  La Bibbia non è un libro di storia, ma di narrazioni mitologiche, anche se, soprattutto in quelle parti che ricevemmo dal più antico giudaismo, contiene molta storia, tanto che non si riesce a capirla senza riferimenti storici, che quindi vengono inseriti nelle note. Un’edizione della Bibbia è tanto più preziosa quanto è più ricca di note.

  I Vangeli sono tra i libri biblici che contengono meno storia, ma, comunque, la storia c’è, perché i loro redattori tennero a non farli considerare e leggere come raccolte di racconti mitologici.

  La differenza tra storia e mito sta nella adesione a fonti degne di fede. La prima informazione importante per valutare il carattere storico o mitologico di un racconto e l’identificazione  del suo autore con un nome preciso. Qui, per i Vangeli, cominciano i problemi, perché non sappiamo con certezza chi li abbia scritti. Ma ci sono altri dubbi. Senza considerare che si riferiscono a stessi eventi descrivendoli in modo diverso e non si può essere certi di com’è andata.

  Il mito ha una sua verità che è diversa da quella storica e riguarda il senso della vita sociale. Le società umane, tutte, sono costruite come tali su basi mitologiche.

  La verità storica consiste in una narrazione alla quale si attribuisce una particolare affidabilità, nel senso che descrive come sono andati realmente i fatti e quello che ci si è comunicati mentre accadevano e dopo. Se più fonti note e degne di fede convergono su una narrazione, questo ne aumenta la forza di,persuasione. I Vangeli si avvalorano l’un l’altro ma non hanno conferme esterne da fonti non cristiane.

  Si pensa che derivino da tradizioni orali, che, ad un certo punto e a partire da circa   più di quarant’anni dalla Passione, si decise di mettere per iscritto. A tramandarsi quei racconti furono le prime comunità cristiane, ai tempi in cui iniziarono a staccarsi dal giudaismo delle origini. Su di essi iniziò a basarsi l’identità religiosa e comunitaria dei primi gruppi cristiani. Da qui poi la costruzione di nuove religioni, i cristianesimi. Uso il plurale perché ve ne furono di diversi, come accade ancor oggi. Lo scopo dei Vangeli è di consolidarli dando argomenti per persuadere che Gesù di Nazaret sia stato l’inviato dal Cielo per la nostra salvezza, vale a dire il Messia, parola che ricevemmo dal greco antico e che è la trascrizione di un termine ebraico che significa unto, vale a dire consacrato per una certa missione. La traduzione in greco antico di Messia è Cristo. Che cosa dovesse intendersi per Messia e Cristo, quindi anche il senso della sua missione, scaturì dal parlarne nelle nostre prime comunità e poi anche nello scriverci sopra.

  In questo senso è bene convincersi che i cristianesimi sono stati  opera delle persone cristiane.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa, Roma, Monte Sacro, Valli.

 


giovedì 30 maggio 2024

Trasmettere la fede

Trasmettere la fede

  La fede religiosa di trasmette da persona a persona e di generazione in generazione. Chi sa di teologia ci mette di mezzo altro, ma preferisco parlare di ciò che ho potuto constatare. Come genitore, ho fatto esperienza di trasmissione della fede alle mie figlie. Ma ciò che in loro è stato suscitato non è uguale alla mia fede. E va sempre così in queste cose. Ogni persona non esprime esattamente ciò che ha ricevuto e la sua fede è veramente sua.

  Non va diversamente da analoghi processi di tradizione culturale.

  Cultura  è l’insieme di costumi, concezioni, credenze, riti, consuetudini, atteggiamenti, riti, modi di esprimersi e di interagire che servono all’integrazione sociale. La cultura è un prodotto sociale e anche le religioni sono tali.

  La tradizione culturale serve a mantenere vitale una società.

  Le società cambiano nel tempo, a causa di vari fattori, i più importanti dei quali sono l’espansione e le mescolanze demografiche e l’innovazione tecnologica. Le mescolanze demografiche producono contaminazione e, alla lunga, nuove integrazioni culturali. È ciò che balza agli occhi nello studio della storia dei cristianesimi.

  I tempi nostri sono caratterizzati, a livello globale, dallo sviluppo eclatante di tutti quei fattori di cambiamento. Non c’è mai stata tanta gente al mondo, ormai oltre 8 miliardi di persone si stima, non ci si è mai spostati tanto velocemente e l’evoluzione tecnologica non è mai stata veloce come ora.

  Non dobbiamo meravigliarci, quindi, che le società, e anche la nostra, in essa compresa la nostra Chiesa, cambino.

  Se ne è preso atto anche nella nostra catechesi, che è l’insegnamento della religione, fatta di credenze, narrazioni, riti e norme morali. Ma mi pare che non si sappia ancora bene come fare per la tradizione della fede in questa nuova condizione, e infatti non ci si riesce tanto bene. Così si finisce a fare un po’ come s’è sempre fatto:  così le persone più giovani, verso le quali ci si è tanto spesi, ad un certo punto, di solito coincidente con l’avanzata della pubertà, se ne vanno altrove. Mi pare di capire che nel primo anno delle scuole superiori il processo sia per i più già compiuto.

  Anche quando fui di quell’età si viveva qualcosa di simile, ma il distacco mi pare fosse meno profondo di ora. Adesso molte persone non tornano più e cominciano ad allontanarsi in massa anche le donne.

  Non ci vuole molto a individuare le carenze del catechismo a cui dovrebbe porsi rimedio, ma, quanto a quest’ultimo, le cose si fanno difficili, molto difficili.

  Fondamentalmente la religione viene insegnata in modi che appaiono una inutile perdita di tempo a chi dovrebbe imparare.

  La popolazione giovanile è altamente scolarizzata e in questo lavoro vengono impiegate ingenti risorse pubbliche, ma al catechismo è come se l’altra scuola non esistesse. Non si tiene conto della storia e si narrano solo delle mitologie sacre che troviamo nelle Scritture.

  In realtà i libri di testo di storia delle medie e delle superiori dovrebbero essere considerati più importanti dei testi di sussidio per il catechismo. La religione è così com’è, infatti, per ragioni storiche. Temo però che non si sappia bene come integrare catechismo e storia. Bisognerebbe formare i formatori, ma non lo si fa, forse perché non si sa bene, poi, come s’andrebbe a finire.

  Si potrebbe, però, iniziare con qualche laboratorio, per vedere come va. Si potrebbe farlo anche verso le persone adulte, le quali, oggi, sono ancora lasciate al devozionalismo.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente – Roma, Monte Sacro, Valli

 


mercoledì 29 maggio 2024

Pietro Scoppola: il crollo dei "tre archi" e la fede conservata

Dal libro "Un cattolico a modo suo" di Pietro Scoppola, cristiano, grande anima, storico, politico, edito postumo da Morcelliana nel 2008 (è ancora disponibile, usato, sulle piattaforme di commercio telematico)

 Quando ero giovane, ragazzo, sono stato educato in un'eccellente scuola romana tenuta dai gesuiti, l'Istituto Massimo. Lì la fede era qualcosa di solidissimo e indiscutibile, era presentata come un ponte a tre archi. Il primo arco era la dimostrazione razionale dell'esistenza di Dio, una dimostrazione inconfutabile, le cinque prove di Tommaso variamente rielaborate, ma la sostanza era quella, il secondo  arco era la dimostrazione storica dell'esistenza e della divinità di Crisfo, per i miracoli e per la sostanza stessa del suo insegnamento. Il terzo arco del ponte era la Chiesa voluta da Cristo, indefettibile, dotata di pieni poteri diremmo oggi.
  Bene, quel ponte per me è crollato. È crollato il ponte ma non è crollata la fede, nella quale ho continuato a vivere.
   Ed ecco la domanda: perchè il crollo del ponte, la crisi di quella dimostrazione fondata sui tre archi, non ha comportato il crollo della fede? Evidentemente c'erano altre ragioni, altri motivi per credere, motivi vitali, magari non espressi, dei quali io stesso non ero pienamente consapevole. Credo che questi motivi, per credere o non credere, vadano cercati per ogni persona nelle radici familiari, negli anni dell'infanzia e della prima giovinezza.

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  Nel libro, Scoppola descrisse il quadro della situazione nella quale si trovano molte persone di fede.
  Nella formazione religiosa di base, quella per Comunione e Cresima, che per molte persone rimane l'unica della vita, si pensa di poter ricostruire, in qualche modo, e anche se non saldo proprio come un tempo, quel "ponte a tre archi" descritto nel brano che ho citato, salvo accorgersi che esso crolla molto presto, dopo appena pochi anni,già prima che l'adolescenza finisca. 
  Poiché però si sa, in fondo, che non è indispensabile per la fede, forse ci si potrebbe risparmiare quella fatica inutile, per concentrarsi su altro. Probabilmente questo è difficile da farsi nella catechesi in senso proprio, visto il poco tempo che si ha, ma si potrebbe tentare di lavorarci sopra dopo, nel tempo del post Cresima, ma al di fuori del catechismo, e, naturalmente per le persone adulte, delle quali, purtroppo, nelle parrocchie non ci si riesce ad occupare, lasciandole al devozionalismo.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
  

domenica 26 maggio 2024

Pellegrinaggio del 25 maggio 2024

 

Pellegrinaggio del 25 maggio 2024




  Ieri, con la parrocchia, siamo stati in pellegrinaggio all’Abbazia cistercense  di Casamari, in comune di Veroli, in provincia di Frosinone, edificata nel Duecento dove sorgevano le rovine di Ceretae (si legge Cerete), luogo di nascita del tribuno della plebe sette volte console e comandante militare Gaio Mario, di orientamento popolare, vissuto tra Secondo e il Primo secolo dell’era antica, protagonista in quest’ultimo della guerra civile con Lucio Cornelio Silla, capo del partito del patriziato.  In epoca precristiana nella zona si adoravano Cerere(da cui Ceretae), dea del frumento e adorata in special modo dalla plebe, (da cui Ceretae)  e il dio della guerra Marte.

  Nel pomeriggio siamo stati al santuario della Madre del Buon Consiglio a Genazzano, edificato nel Quattrocento su una precedente chiesa molto più piccola, in particolare a seguito dell’affermarsi del culto per propiziarsi grazie praticate intorno ad  un affresco rappresentante Maria, madre del Buon Consiglio, che si ritenne apparso prodigiosamente durante il lavori di costruzione  Successivamente gli albanesi della città di Scutari, nell’Albania Settentrionale, credettero di riconoscere in quell’immagine della Madonna quella di un affresco che era scomparso da un santuario di Scutari al tempo dell’invasione dei turchi musulmani. Si diffuse la leggenda che l’immagine fosse giunta prodigiosamente a Genazzano da Scutari. Sviluppatasi rapidamente la devozione, venne inviata a Genazzano una commissione di due vescovi per valutare il caso e, in definitiva, le autorità ecclesiastiche non smentirono l’origine prodigiosa dell’affresco. Da ciò un gran flusso di pellegrini e anche di risorse, utilizzate per completare la costruzione del santuario, che è officiato dai monaci agostiniani.

  Oggi non sono tanto quei prodigi al centro di predicazione e liturgie, ma il culto mariano, rafforzato dalla  leggenda.

  L’abbazia è costruita nel gotico “cistercense”, che rifugge dal decorazioni, pitture e sculture. Da qui un’impressione di estrema severità e di concentrazione spirituale che corrisponde alla  mentalità di quell’ordine di monaci. L’organismo fa ancora pare di una federazione di monaci che fu molto potente e ricca nel Medioevo. Fu organizzata a partire dal monastero di Citeaux, Borgogna, dall’Undicesimo secolo, quando la nostra Chiesa prese ad assumere il volto che ancor oggi ha nella maggior parte. In questo processo i monaci benedettini, in particolare i cluniacensi, della federazione di monasteri costruita a partire da quello di Cluny, sempre in Borgogna dall’Undicesimo secolo, ebbero un ruolo culturale e teologico fondamentale. Cluniacensi e Cistercensi seguono la regola  di vita spirituale di San Benedetto, sintetizzate nel motto “Prega e fatica – ora et labora”.

  A Casamari si insediarono i trappisti, cistercensi che seguono regole di vita più severe: partecipano alle liturgie, pregano e meditano da soli, lavorano nei campi; una volta si dedicavano anche alla ricopiatura dei testi sacri, quando non c’era ancora la stampa.

  Le decisioni collettive tra i cistercensi vengono prese in un’assemblea detta “capitolo”.

  Potete trovare ulteriori notizie sul Web a questo indirizzo

https://www.cistercensi.info/storia/storia17.htm#:~:text=Momento%20importante%20della%20vita%20quotidiana,del%20chiostro%20rivolta%20ad%20est.

Di seguito trascrivo la parte sul capitolo.

Momento importante della vita quotidiana di una abbazia cistercense era il “capitolo” (capitulum), che si teneva abitualmente dopo l’Ora di Prima, nella sala capitolare, situata accanto alla sagrestia, nell’ala del chiostro rivolta ad est. Vi partecipavano tutti i membri della comunità che avevano pronunciato i voti; novizi e fratèlli conversi avevano capitoli separati. Lo scopo della riunione era quello di procurare una formazione spirituale o occasione per prendere decisioni di carattere amministrativo.

Si leggeva dapprima il rnartirologio, cioè la memoria di tutti i santi che, si celebravano in quel giorno. Seguiva poi Pretiosa, una breve orazione monastica mattutina, e quindi la lettura di un brano della Regola di san Benedetto, con la spiegazione o l’attualizzazione data da chi presiedeva, l’abate o il priore. La domenica e i giorni festivi si leggeva e si commentava il Libro degli Usi e gli Statuti del Capitolo generale.

Una parte meno formale ma più drammatica del capitolo era l’invito del superiore a tutti i partecipanti di presentarsi per accusarsi delle proprie mancanze pubbliche e delle trasgressioni in cui erano incorsi nei confronti delle molteplici norme o regolamenti dell’Ordine. In casi di evidente riluttanza, era concesso ad altri monaci di accusare i fratelli sospetti. Si dava poi ad ogni colpevole una penitenza, che consisteva di solito in gesti di umiliazione, digiuno, deposizione da un ufficio o punizioni corporali, date sul posto. Per colpe gravi, erano previste la scomunica, l’espulsione o la prigione, ma spesso si permetteva di fare ricorso, per queste sentenze, alle autorità superiori.

Benché non menzionati dalla Regola, i periodi di reclusione in carcere costituivano una forma di punizione usata in altri ordini monastici, per esempio a Cluny; a Cîteaux vengono nominati per la prima volta negli atti del Capitolo generale dei 1206, dove si dava la facoltà che in ogni abbazia venissero costruite delle prigioni. Queste venivano prescritte nel 1230, e lo statuto che ne trattava sottolineò che dovevano essere “forti e sicure”. La data corrisponde al periodo in cui si verificarono casi di indisciplina, aggressività e ribellione tra i fratelli; si può supporre allora che queste tetre vestigia della giustizia del braccio secolare furono adottate dai monaci per arginare i crimini di violenza. I documenti del Capitolo generale forniscono ampie prove che, dalla seconda metà del tredicesimo secolo in poi, condanne di incarcerazione, spesso a vita, venivano pronunciate con prodigalità contro “criminali incalliti e incorreggibili, ladri, incendiari, falsari e assassini”. Dato che questi problemi venivano trattati nel capitolo giornaliero i monaci erano tenuti rigorosamente al segreto.


  La preghiera e meditazione personali dei monaci avvenivano camminando lungo il chiostro a pianta quadrata, con al centro un giardino con un pozzo, attorno al quale ruota la vita monacale.

  La spiritualità dei trappisti esige una forte limitazione dei discorsi tra i monaci, che ai tempi nostri  è un po’ meno severa che anticamente. Insomma, ci si parla poco.

  Federico II di Svevia,  dalla fine  del Dodicesimo secolo re di Sicilia e dal Tredicesimo imperatore del Sacro Romano Impero, fu un grande benefattore dell’Abbazia di Casamari, nella quale però, secondo i rigidi costumi dei monaci che l’animavano, fu commemorato inserendo una sua minuscola testa tra i decori floreali di un capitello del chiostro, come vedete qui sopra.

  A volte si dice che la procedura decisionale del capitolo cistercense è una specie di democrazia, ma non sono d’accordo. Si può parlare di democrazia non solo se si instaurano procedure assembleari egualitarie, ma quando il diritto a parteciparvi della popolazione residente soggetta ad un potere non sia condizionato ad investiture dall’alto. Altrimenti si ha il modello della Tavola rotonda delle leggende su re Artù. Il vertice della nostra Chiesa mi appare come una riproposizione del modello capitolare benedettino.

  Nel medioevo abati e abbazie ebbero un notevole rilievo politico, con un potere assimilabile a quello di feudatari. Anche quando esso si fece meno sensibile, rimase quello economico, perché le abbazie comprendevano vaste aree agricole loro donate. La gente che in vario modo era soggetta al potere dei monaci si trovava quasi nella stessa condizione in cui ancor oggi si trova la persona libera da particolari discipline di vita, diciamo, riprendendo un termine che oggi si preferisce non usare, laica. La condizione del laicato, sicuramente non evangelica, venne costruita proprio estendendo a tutto il clero le consuetudini monastiche e segregando tutt’altra l’altra gente in quella posizione deteriore.  

  Nelle consuetudini dal santuario della Madre del Buon Consiglio vediamo rappresentato un altro modello di organizzazione ecclesiale, anch’esso basato su una condizione di soggezione della gran parte della gente.

  Il “Buon Consiglio” è Cristo, come ci ha spiegato il padre agostiniano che ci ha accolti ieri. L’attributo deriva da quello di Consigliere ammirabile  dato dal profeta Isaia al bambino  nel quale i cristianesimi videro la prefigurazione di Gesù il Cristo.

 

Perché un bambino è nato per noi,

ci è stato dato un figlio.

Sulle sue spalle è il potere

e il suo nome sarà:

Consigliere mirabile, Dio potente,

Padre per sempre, Principe della pace.

[dal libro del profeta Isaia, capitolo 9, versetto 5 – Is 9,5 – versione in italiano CEI 2008]

 

Madre del Buon Consiglio, significa quindi madre di Cristo e, quindi, Madre di Dio. Ma le persone di fede vengono al santuario a lei dedicato anche per ricevere ispirazione sulle decisioni difficili da prendere nella vita. Ma soprattutto per invocare grazie, vale a dire la risoluzione prodigiosa dei loro problemi.

  In realtà i due aspetti si mescolano: si viene per approfondire la propria spiritualità per trovarvi risorse per negli eventi difficili, sperando nel soccorso superno.

  Mia madre  fu molto devota al santuario. Da bambini andavamo in vacanza in campagna a Genazzano. Tutte le mattine portava me e  mio fratello, a piedi,  fino a quella chiesa, in paese, per poi proseguire fin al parco pubblico poco distante, al quale si accedeva attraverso uno spettacolare ponte ad un’unica arcata che lo unisce al castello medievale dei Colonna.

  Di fronte al prodigioso la gente sta in venerazione, pregando e contemplando, mentre clero e religiosi officiano liturgie. Tutto è avvolto dall’alone di mistero e anche timore suscitato dalle manifestazioni soprannaturali, quando si pensa di esserci davanti. Questo divide  il popolo dei fedeli in due classi, e i più appartengono  a quella che ha ruoli meno attivi.

  Da qui al pensare che clero e religiosi siano più vicini al Fondamento il passo è breve. Sono proprio le cerimonie liturgiche, che tanto impressionano superficialmente,  a manifestarlo. Una rendita di posizione della quale in passato mi pare che non si sia fatto sempre un buon governo, tutt’altro.

  La spiritualità del santuario della Madre del Buon Consigli è profondamente legata, per me, a quella di  mia madre, e l’autentico prodigio mi risulta questo legame con lei, la quale riguardo al culto mariano svolse nei miei confronti un ruolo propriamente sacerdotale, superando la storica umiliazione delle donne riguardo ad esso.

  Quanto all’abbazia e alla sua spiritualità, capisco bene che quest’ultima possa essere molto coinvolgente, per aver avuto modo di sperimentarla fin da giovane, quando in FUCI frequentai d’estate un altro monastero benedettino, quello di Camaldoli, in provincia di Arezzo. L’architettura dei monasteri è progettata in modo da assimilarvi i ben predisposti. E anche ieri ho fatto nuovamente l’esperienza di quell’emozione camminando anch’io per una  mezzora lungo i portici del chiostro, mentre gli altri visitavano l’interessante museo (vi sono anche le zanne di un giovane mammut, che viveva in zona). E tuttavia i monaci sono rimasti solo 15. La mattina del nostro arrivo si erano appena concluse le esequie del sedicesimo, purtroppo  morto nella notte. Probabilmente è quella condizione di dura separazione dal resto della gente di fede che oggi, almeno in Europa occidentale, non è più capita.  Anche se, di quando in quando, un’esperienza di quel genere può essere ancora rigenerante, come accade durante gli Esercizi spirituali ignaziani.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

sabato 25 maggio 2024

Capire religiosamente

Capire religiosamente

  Ciò che è più importante per noi lo viviamo in società e quindi ci interessa capire che accade. I più mi sembrano convinti che, però, in questo la religione sia inutile, anche quelle espresse dai nostri cristianesimi, che si svilupparono praticamente solo per quello. Al massimo sembra che si ritenga che servano ad esprimere  un sommario orientamento etico, utile quando ci si presenta in società come abbellimento personale, ma con l’intesa che, al dunque, nei cosiddetti dilemmi morali ci si adeguerà a quello che c’è e a come si fa di solito, salvo quando in questo si ha la peggio, ad esempio nell’età anziana quando le forze cedono, e allora si utilizza il lessico dell’etica religiosa per maledire chi prevale, invocando la rivalsa in suo danno in un aldilà.

  È l’ipocrisia sociale duramente condannata nei Vangeli. A quello che raccontano le cronache, viene ampiamente praticata negli ambiti ecclesiali, e anche dagli ecclesiastici.

  Stando così le cose, non mi meraviglia che le persone nelle fasce d’età attive e fertili abbandonino la pratica religiosa,  che non significa tanto e solo non accostarsi ai sacramenti, ma nel non fare più Chiesa, in chiesa, in cui si va sempre meno, e altrove. E non so nemmeno dar loro torto.

  Del resto, in genere, la formazione religiosa somministrata ai più non va molto oltre il catechismo dell’infanzia, che spesso rimane l’unico della vita. Da qui un certo atteggiamento bambinesco che si nota in chi continua a praticare. E una connotazione “spiritistica” nell’esprimere atteggiamenti religiosi, del resto ripetendo confusamente le parole e le idee trasmesse da una predicazione che praticamente solo a quell’aspetto si riferisce. Per finire, un ingenuo papismo sacrale per il quale, in particolare, l’Italia appare (ma solo a uno sguardo superficiale) il Paese più clericale dell’universo. Non è nemmeno più tanto di far mostra di apprezzare i sermoni papali pur continuando a fare il contrario, come si diceva ai tempi del Papa Wojtyla, ma di mostrarsi affascinati più che altro dall’apparenza di sovranità sacrale della persona, immersa in certe spettacolari liturgie, nonostante il virtuoso intento di quel sovrano di mantenere un profilo basso.

  Sono consapevole, tuttavia, che si può essere persone religiose in tantissimi modi: lo si è sempre, in qualche modo, a modo proprio, e non ci vedo nulla di male. In particolare, in un cristianesimo non si tratta tanto di adeguarsi a un modello, ma di lasciarsi trasformare, in un processo  con molte analogie con la biologia della vita per cui, proseguendo, si diventa una persona unica, come mai c’era stata prima e mai ci sarà dopo. Agli inizi si è molto simili, come per i neonati, ma verso la fine le diversità prevalgono.

  In genere, però, negli ambienti ecclesiali è più utile far mostra di uniformità, perché l’originalità viene vista con sospetto. Tuttavia questo è umiliante, fa male all’anima e non ci si abitua  mai.

  Lo storico Pietro Scoppola,  che ci ha lasciati nel 2007, fu una grande anima e un protagonista del cattolicesimo democratico italiano, un sapiente e affascinante formatore di persone giovani. I clericali ne diffidavano in quanto democratico e quindi coscienza critica. Negli anni Settanta, nella fase preparatoria del primo Convegno ecclesiale nazionale “Evangelizzazione e promozione umana”, che poi si svolse nel ’76 a Roma, venne proposto a far parte del comitato organizzatore. Fu sconsigliato al Papa, che era Giovanni Battista Montini, in quanto cattolico del dissenso, come si diceva allora (ai tempi nostri il dissenso non si pratica quasi più), ma Montini approvò la nomina, osservando che Scoppola era un cattolico a modo suo, ed evidentemente per lui andava bene così. Con quel titolo, Un cattolico a modo suo, Morcelliana publicò un suo libretto, scritto al tempo della malattia che poi gli risultò fatale,  con la storia della sua vita (si trova ancora in commercio, ma solo usato).

  Ebbene, lo scopo di una vita cristiana mi pare proprio quello di essere una persona cristiana a modo proprio.

  Quindi, in definitiva, assolutamente non dico che chi esprime una religiosità in modo diverso dal mio sbagli. Faccio solo osservare che, nei cristianesimi, e in particolare nella nostra  Chiesa, non si è  obbligati allo spiritismo e al papismo, come anche all’uniformità.

  La mia fede, ad esempio, non è legata allo spiritismo né al  papismo, e nemmeno al prodigioso, diciamo agli effetti speciali, ad eccezione della Resurrezione.

  L’unico prodigio che mi riluce è quello dell’essere umano che vive, secondo la celebre frase che scrisse Ireneo di Lione «la gloria di Dio è l’uomo che vive» [Contro le eresie, 4, 20,5-7 - https://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20030314_ireneo-lione_it.html ]. In base ad esso riesco a riporre la speranza nella Resurrezione, l’unico prodigio che nella nostra fede ci è essenziale pur senza aver visto.

  Ma tolte quelle altre cose, spiritismo, papismo, effetti speciali, che rimane?

  Rimane la società. La religione è una via molto potente per capirla, orientarsi in essa e progettarne la costruzione e il cambiamento. Nonostante quello che si pensa, i cristianesimi si sono occupati quasi del tutto di questo, e fin dalle origini.

  Per convincersene è utile studiarne (realisticamente) la storia.

  Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

 

 


giovedì 23 maggio 2024

Ragioni per continuare. La 50° Settimana sociale delle persone cattoliche in Italia, a Trieste, dal 3 al 7 luglio 2024

 

Ragioni per continuare. La 50° Settimana sociale delle persone cattoliche in Italia, a Trieste, dal 3 al 7 luglio 2024

 

  Ogni persona esprime una sua religiosità. E’ sempre andata così, fin dai primi tempi, e andrà sempre così. La storia ce lo conferma. Ma ai predicatori questo spesso non sta tanto bene: si vorrebbe che facessimo e pensassimo come a loro sembra giusto  e diffamano una religione che a loro sembra arbitrariamente costruita come  si fa al ristorante scegliendo che cosa si preferisce che ti portino.

 Ci mancherebbe altro che popolazioni di fedeli che si stima ammontino ad oltre un miliardo facessero così!

  Le religioni sono elementi culturali e quindi cambiano tanto più profondamente e tanto più velocemente quanto più circolano tra la gente. Quando il cambiamento rallenta, significa che stanno esaurendosi.

  Le religioni possono finire? La storia ci dice che senz’altro è possibile, anche se è più frequente che subiscano metamorfosi, come appunto è accaduto alle antiche religioni precristiane, molti elementi dei quali sono confluiti nei cristianesimi, come nella nostra biologia è accaduto per i mitocondri delle nostre cellule, che si ritiene siano derivati da antichi batteri.

  E’ più frequente che finiscano cicli culturali di una religione, come in tutto il  mondo sta accadendo ai cristianesimi, che sono segnalati in ripresa dovunque, salvo che in Europa occidentale. Da noi, tuttavia, questo non significa necessariamente la fine della nostra religione, ma probabilmente che suoi elementi sono confluiti in altre forme culturali, ad esempio nella dottrina ideologica dei diritti umani fondamentali. Così si sente meno il bisogno di ricorrere alla simbologia del pensiero e della liturgia di un tempo. Del resto, quando si parla di un diritto fondamentale, vale a dire irrinunciabile e, come si dice a volte, non negoziabile, si fa religione. Hanno natura religiosa concetti come popolo, nazione,  stato, democrazia, sovranità e molti altri.

  E’ religiosa ogni idea che prescinde da come vanno effettivamente le cose, nella natura o nelle società. Non si potrebbe, invece, tenerne conto? In realtà non servirebbe, perché solo dopo che qualcosa è accaduto si può sapere come è andata in quel caso, ma noi per sapere cosa fare dobbiamo decidere prima. E, soprattutto, non sarà mai possibile sapere tutto ciò che bisognerebbe sapere per indovinare  come andrà. Lo possiamo prevedere, in una certa misura, solo statisticamente.

  Le religioni, per quella proprietà di orientare anche prima di sapere, sono state e sono ancora elementi sociali fondamentali della costruzione sociale. E quando parlo di religioni non mi riferisco solo a quando si mette esplicitamente di mezzo il divino.

  Quando si sostiene che tutti gli esseri umani sono uguali in dignità, ci si esprime in termini religiosi. Così come quando di parla di popolo: un elemento che non esiste in natura, e dunque in questo senso è soprannaturale. In nature, ce lo dicono antropologia e sociologia, esistono solo popolazioni.

  Senza interiorizzare religione e diritto, gli elementi fondamentali della costruzione sociale tra gli esseri umani, ci si lascia semplicemente trascinare dalla corrente. Per gran parte della nostra vita è proprio questo che facciamo, ma ci sono momenti in cui, per uscire da una condizione di sofferenza personale e sociale, bisogna prendere l’iniziativa di un moto collettivo per influire su come si è trascinati.

  Tra gli altri primati la violenza basta. E anche tra gli umani la violenza è spesso una componente importante del cambiamento sociale, finora lo è stata sempre  per produrre innovazioni importanti nel governo sociale. E lo è ancora. Tuttavia non basta, perché le nostre società sono organizzate in modi estremamente complessi e integrano ormai oltre otto  miliardi di persone, per cui le ragioni di conflitto si sono moltiplicate. Nessun sistema politico ha più la forza per imporsi solo con la violenza bruta. Le istituzioni che lo manifestano devono radicarsi tra la gente inizialmente su base religiosa, costruendo una mitologia che spinga la gente a mantenere i ruoli che a ciascuna persona vengono assegnati, e poi su base giuridica, creando un sistema formalizzato di rapporti sociali dotato di effettività mediante la giurisdizione.

   Ci sono certamente molto meno persone adulte nelle età attive e fertili, diciamo dai ventenni ai sessantenni che vengono  in chiesa per partecipare a liturgie ormai piuttosto obsolete. Ma la religione, anche in questa situazione, non  è una cosa da bambini e vecchi.

  Ad esempio, di questi tempi si parla di crisi della democrazia e i discorsi che si fanno hanno riferimenti religiosi che sono molto chiari a chi sia stato educato alla sensibilità necessaria a coglierli. E, questo, lo sottolineo, anche a prescindere dalla terminologia esplicitamente religiose che a volte strumentalmente si usa.

  Se ne discuterà dal 3 al 7 luglio prossimi a Trieste nel corso della 50° Settimana sociale delle persone cattoliche in Italia sul tema Al cuore della democrazia.

 Il MEIC – Movimento ecclesiale di impegno culturale del Lazio ha programmato una serie di incontri, nei prossimi mesi, per fornirvi un proprio contributo.

  Nell’ultima riunione, martedì scorso, sono stati formulati rilievi critici su come nel Documento preparatorio  si definisce il concetto di democrazia, centrato su “un desiderio profondamente umano, quello di vivere insieme volentieri e non perché costretti, sperimentando la comunità come luogo della libertà, in cui tutti sono custoditi, tutti sono protagonisti, tutti sono impegnati in favore degli altri”. Infatti questo non è l’essenziale della democrazia, che invece è fondamentalmente una forma di lotta collettiva  contro l’accentramento arbitrario del potere in un centro insofferente di limiti. E infatti tutte  le democrazie, a parte quelle integrate nella nostra Unione Europea, si sono manifestate estremamente bellicose, sia all’interno che verso l’esterno delle società di riferimento, in questo non differendo dai costumi usati dai poteri non democratici per conquistare e mantenere il potere.

  La lotta  esprime una resistenza e all’origine della crisi delle nostre democrazie può appunto essere vista come una diminuzione della forza sociale di resistenza  ai processi antidemocratici.

  Va evidenziato che la nostra  gerarchia ecclesiastica è essa stessa un centro di potere non solo non democratico, ma anche pervicacemente antidemocratico. Essa si manifesta quindi profondamente sospettosa dei processi democratici, temendo, del tutto a ragione, che finiscano per investirla e delegittimarla.  E per questo che, anche nei più recenti documenti del magistero sociale tiene a distinguere sinodalità, il modo partecipato di decidere in ambito ecclesiale, da democrazia.

  Si ha l’attivazione di processi democratici quando, in una situazione di dominio sociale sequestrato da un certo strato della società, si inizia a lottare per istituirvi dei limiti, innanzi tutto temporali e poi anche nell’estensione dei poteri esercitati, in modo che possano influirvi altri strati sociali fino a quel  momento subalterni. Si limita da una parte per allargare dall’altra. Le istituzioni democratiche, poi, non sono fatte per sopire e silenziare i conflitti, ma per consentirne la manifestazione in forme non distruttive per l’ordinamento sociale.

   Con l’istituzione del suffragio universale, che in Italia si ebbe solo dal 1946 e per l’azione determinante dei cattolicesimo democratico (fino ad allora le donne non votavano, anche se già partecipavano ai processi democratici), una democrazia diventa popolare, la sua forma più partecipata e quindi, necessariamente, più conflittuale. Infatti più gente ha voce, più emergono ragioni di conflitto. Il superamento dei conflitti richiede la costruzione di una cultura con caratteristiche religiose e di una specifica mitologia, nella quale le persone possano riflettersi, relativizzando, senza negarle, le ragioni dei conflitti sociali.

  E’ ciò che si è fatto nella costruzione politica e sociale della nostra Unione Europea sulla base dell’ideologia dei diritti umani fondamentali, non solo di libertà, ma anche sociali, espressi dal detto, del cattolico democratico Giorgio La Pira, uno dei principali costituenti, “Il pane è sacro, la casa è sacra, il lavoro è sacro”.

  In una democrazia popolare l’azione sociale contro le oligarchie  rivendicanti sovranità, quindi la libertà da limiti, si fa dando anche alle gente che dipende da altre persone per vivere, coloro che nella terminologia della prima dottrina sociale moderna vennero definiti proletari, riprendendo un terminologia socialista nel mentre si criticava aspramente i socialismi, la possibilità di resistere collettivamente.

 In Europa occidentale le politiche e le istituzioni di Welfare state, vale a dire volte a dare attuazione ai diritti umani sociali fondamentali promuovendo il benessere (in inglese: welfare), hanno creato la convinzione nelle persone di poter fare da sé, prescindendo dalla lotta sociale. Però dagli scorsi anni ’90 la situazione è andata progressivamente mutando: la diminuita resistenza democratica nella popolazione ha indotto alla decostruzione dell’ordinamento del Welfare state, lasciando progressivamente i proletari esposti agli effetti delle dinamiche contrattuali, secondo le quali, diciamo, pesce grosso  mangia pesce piccolo. Questo significa che c’è stato meno pane, meno case, meno lavoro. C’è questo dietro l’evidente ed effettiva denatalità che si vive in Italia, e non l’egoismo di chi si ama, secondo la detestabile diffamazione che spesso si sente nella predicazione.

  Ma come si passa da quello che si è sentito nell’infanzia a catechismo e oggi viene in genere stancamente ripetuto nella predicazione a questo lavoro sulla società, in particolare per il suo assetto democratico? E’ appunto per questo che ci si riunisce in Azione Cattolica. E’ cosa che va studiata e appresa, aiutandosi reciprocamente nell’autoformazione, in un contesto in cui i preti e i religiosi in genere non possono più essere d’aiuto (questo nonostante il ruolo importantissimo che, fin dal Risorgimento italiano, ebbero in questo campo), e soprattutto praticata  nella lotta sociale, senza la quale non v’è democrazia.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

 

   

 

lunedì 20 maggio 2024

Domani come oggi

Domani come oggi

  C’è chi prende sottogamba la religione. La considera adatta per l’infanzia e la vecchiaia e sorride delle nostre liturgie, non avendo più i codici culturali per comprenderne il sofisticato significato, in molta parte espresso mediante la comunicazione simbolica.

  Questo può dipendere da una certa insufficienza della predicazione, nella quale a volte si preferirebbe che si tagliasse corto. Eppure essa è uno strumento essenziale per spiegare il senso di ciò che ci si propone e la visione delle cose che c’è dietro.

  Probabilmente quando essa potrà essere più partecipata, da persone alle quali si riconosca un’adeguata preparazione e non solo da clero e religiosə, le cose cominceranno a cambiare.

  La religione è, anche oggi,  un fattore determinante nella costruzione sociale e non è necessariamente legata ad un certo immaginario mitologico e, in particolare, ad un qualche soprannaturale.

  È religiosa, ad esempio, l’aspettativa che all’alba di domani la società e la natura funzioneranno più o meno come oggi. Così come quella che in società ci si attenga alla parola data. A ben vedere, secondo una visione realistica, quella fiducia dovrebbe essere considerata mal riposta.

  È religiosa ogni visione della vita che prescinde in tutto o in parte da come vanno realmente le cose.

  Ma non ci si potrebbe attenere ai fatti? Il problema è che solo a posteriori si può sapere come vanno. Quindi, a pensare così, non si potrebbe organizzare nulla.

  Per tirare avanti ci dobbiamo necessariamente affidare a una visione religiosa della vita. È da lì che parte l’edificazione delle nostre complesse società.

  Naturalmente  seguire un certo cristianesimo è solo uno dei tanti modi per farlo. Infatti ci sono molte religioni e alcune di esse nemmeno vengono considerate tali perché prescindono dal soprannaturale. Ma lo sono.

  L’ordinamento giuridico di una società, ad esempio, si basa su un atteggiamento religioso anche dove si vorrebbe ragionare di diritto in modo razionale. In questo campo conta molto l’aspettativa del rispetto della parola data, degli impegni presi. Certo, dietro i fatti giuridici vi è una pressione sociale, anche nella forma di costrizione pubblica mediante l’esercizio della forza, ma chi pratica la materia sa che essa da sola non basterebbe ad ottenere quell’ampio riconoscimento dei diritti e dei doveri sul quale la società si regge.

  Hanno natura religiosa i concetti di popolo, nazione, uguaglianza, democrazia, stato,  che fanno riferimento ad elementi che non esistono in natura. Quest’ultima è tutto ciò che non è cultura, vale a dire l’interpretazione sociale di ciò che accade e deve essere in società, compresi i fenomeni psichici. E la religione, ogni religione, è cultura.

  Chi pensa che la religione sia per le persone incolte dovrebbe spiegare perché ha espresso tanta sapienza. Naturalmente  non è sempre così perché anche l’umanità fatta di persone semplici la  esprime come può. Ma è stato ed è anche così. Addirittura le discipline teologiche cristiane fin dal Duecento si sono organizzate propriamente  come scienze.

  La liturgia è sempre stata, nei cristianesimi, strumento essenziale di divulgazione religiosa e quindi di costruzione sociale. Ma lo è in tutti gli ambiti sociali: sono liturgie i processi giudiziari che si celebrano, così come, ad esempio, le elezioni. Hanno natura religiosa le deposizioni di corone di fiori che si fanno all’Altare della Patria, qui Roma, a piazza Venezia, e quel grande monumento, che celebra l’unità nazionale, è un altare in senso proprio.

  Una volta acquisita consapevolezza che la religione è indispensabile alle società umane, bisogna capire anche che non tutte le religioni producono gli stessi risultati, in società e nell’interiorità. Ad ogni modello religioso corrispondono un certo assetto sociale e un modello di integrità personale. Ma anche una certa forza di integrazione sociale.

   Ora che dobbiamo tenere insieme un’umanità di circa otto miliardi di persone, e non c’è mai stata tanta gente al mondo (alla faccia delle preoccupazioni sulla denatalità), ci servono visioni religiose capaci di sorreggere società immense, liberandole dalla violenza di massa, anzi, in prospettiva, un’unica enorme società globale, nella quale a nessuna persona venga negata cittadinanza, indipendentemente dal posto in cui è nata.

  Ma le religioni non sono volute fin dall’inizio come devono essere, per cui, in caso di problemi, la soluzione sia guardare indietro? No, non è così che funzionano. Le religioni sono un fenomeno culturale e seguono l’evoluzione delle società di riferimento. Così è accaduto anche per i cristianesimi.

  Così è un fatto di facile constatazione  che ogni società nella quale si manifestino fatti religiosi  incide su come la rispettiva religione è vissuta e pensata. I cristianesimi non hanno fatto e non fanno eccezione. Ciascuna persona religiosa dà il suo contributo a renderli come sono, in particolare nella tradizione intergenerazionale. Ed è in questo aspetto che ai tempi nostri e in Italia si stanno creando problemi. Perché ci sono meno persone in grado di tramandare efficacemente, vale a dire dell’età giusta per farlo, che situerei tra i trenta e i cinquanta, quando la biologia, nella nostra civiltà, ci spinge a generare e a occuparci della prole. Ma ci sono anche meno persone dell’età giusta per ricevere la tradizione viva, quindi come orientamento di vita e non solo come memoria storica. Qui senz’altro la denatalità incide negativamente.

  Non dimentichiamo che la società è anche un fatto biologico, perché noi che la componiamo e animiamo siamo organismi.

 Come andrà nei sistemi di intelligenze non umane che sempre  più saranno integrati nella gestione delle nostre società? Ci si sta pensando.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa- Roma, Monte Sacro, Valli