Domani come oggi
C’è chi prende sottogamba la religione. La considera adatta per l’infanzia e la vecchiaia e sorride delle nostre liturgie, non avendo più i codici culturali per comprenderne il sofisticato significato, in molta parte espresso mediante la comunicazione simbolica.
Questo può dipendere da una certa insufficienza della predicazione, nella quale a volte si preferirebbe che si tagliasse corto. Eppure essa è uno strumento essenziale per spiegare il senso di ciò che ci si propone e la visione delle cose che c’è dietro.
Probabilmente quando essa potrà essere più partecipata, da persone alle quali si riconosca un’adeguata preparazione e non solo da clero e religiosə, le cose cominceranno a cambiare.
La religione è, anche oggi, un fattore determinante nella costruzione sociale e non è necessariamente legata ad un certo immaginario mitologico e, in particolare, ad un qualche soprannaturale.
È religiosa, ad esempio, l’aspettativa che all’alba di domani la società e la natura funzioneranno più o meno come oggi. Così come quella che in società ci si attenga alla parola data. A ben vedere, secondo una visione realistica, quella fiducia dovrebbe essere considerata mal riposta.
È religiosa ogni visione della vita che prescinde in tutto o in parte da come vanno realmente le cose.
Ma non ci si potrebbe attenere ai fatti? Il problema è che solo a posteriori si può sapere come vanno. Quindi, a pensare così, non si potrebbe organizzare nulla.
Per tirare avanti ci dobbiamo necessariamente affidare a una visione religiosa della vita. È da lì che parte l’edificazione delle nostre complesse società.
Naturalmente seguire un certo cristianesimo è solo uno dei tanti modi per farlo. Infatti ci sono molte religioni e alcune di esse nemmeno vengono considerate tali perché prescindono dal soprannaturale. Ma lo sono.
L’ordinamento giuridico di una società, ad esempio, si basa su un atteggiamento religioso anche dove si vorrebbe ragionare di diritto in modo razionale. In questo campo conta molto l’aspettativa del rispetto della parola data, degli impegni presi. Certo, dietro i fatti giuridici vi è una pressione sociale, anche nella forma di costrizione pubblica mediante l’esercizio della forza, ma chi pratica la materia sa che essa da sola non basterebbe ad ottenere quell’ampio riconoscimento dei diritti e dei doveri sul quale la società si regge.
Hanno natura religiosa i concetti di popolo, nazione, uguaglianza, democrazia, stato, che fanno riferimento ad elementi che non esistono in natura. Quest’ultima è tutto ciò che non è cultura, vale a dire l’interpretazione sociale di ciò che accade e deve essere in società, compresi i fenomeni psichici. E la religione, ogni religione, è cultura.
Chi pensa che la religione sia per le persone incolte dovrebbe spiegare perché ha espresso tanta sapienza. Naturalmente non è sempre così perché anche l’umanità fatta di persone semplici la esprime come può. Ma è stato ed è anche così. Addirittura le discipline teologiche cristiane fin dal Duecento si sono organizzate propriamente come scienze.
La liturgia è sempre stata, nei cristianesimi, strumento essenziale di divulgazione religiosa e quindi di costruzione sociale. Ma lo è in tutti gli ambiti sociali: sono liturgie i processi giudiziari che si celebrano, così come, ad esempio, le elezioni. Hanno natura religiosa le deposizioni di corone di fiori che si fanno all’Altare della Patria, qui Roma, a piazza Venezia, e quel grande monumento, che celebra l’unità nazionale, è un altare in senso proprio.
Una volta acquisita consapevolezza che la religione è indispensabile alle società umane, bisogna capire anche che non tutte le religioni producono gli stessi risultati, in società e nell’interiorità. Ad ogni modello religioso corrispondono un certo assetto sociale e un modello di integrità personale. Ma anche una certa forza di integrazione sociale.
Ora che dobbiamo tenere insieme un’umanità di circa otto miliardi di persone, e non c’è mai stata tanta gente al mondo (alla faccia delle preoccupazioni sulla denatalità), ci servono visioni religiose capaci di sorreggere società immense, liberandole dalla violenza di massa, anzi, in prospettiva, un’unica enorme società globale, nella quale a nessuna persona venga negata cittadinanza, indipendentemente dal posto in cui è nata.
Ma le religioni non sono volute fin dall’inizio come devono essere, per cui, in caso di problemi, la soluzione sia guardare indietro? No, non è così che funzionano. Le religioni sono un fenomeno culturale e seguono l’evoluzione delle società di riferimento. Così è accaduto anche per i cristianesimi.
Così è un fatto di facile constatazione che ogni società nella quale si manifestino fatti religiosi incide su come la rispettiva religione è vissuta e pensata. I cristianesimi non hanno fatto e non fanno eccezione. Ciascuna persona religiosa dà il suo contributo a renderli come sono, in particolare nella tradizione intergenerazionale. Ed è in questo aspetto che ai tempi nostri e in Italia si stanno creando problemi. Perché ci sono meno persone in grado di tramandare efficacemente, vale a dire dell’età giusta per farlo, che situerei tra i trenta e i cinquanta, quando la biologia, nella nostra civiltà, ci spinge a generare e a occuparci della prole. Ma ci sono anche meno persone dell’età giusta per ricevere la tradizione viva, quindi come orientamento di vita e non solo come memoria storica. Qui senz’altro la denatalità incide negativamente.
Non dimentichiamo che la società è anche un fatto biologico, perché noi che la componiamo e animiamo siamo organismi.
Come andrà nei sistemi di intelligenze non umane che sempre più saranno integrati nella gestione delle nostre società? Ci si sta pensando.
Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa- Roma, Monte Sacro, Valli