Ragioni per continuare. La 50° Settimana
sociale delle persone cattoliche in Italia, a Trieste, dal 3 al 7 luglio 2024
Ogni persona esprime una sua religiosità. E’ sempre andata
così, fin dai primi tempi, e andrà sempre così. La storia ce lo conferma. Ma ai
predicatori questo spesso non sta tanto bene: si vorrebbe che facessimo e
pensassimo come a loro sembra giusto e
diffamano una religione che a loro sembra arbitrariamente costruita come si fa al ristorante scegliendo che cosa si
preferisce che ti portino.
Ci mancherebbe altro che popolazioni di fedeli
che si stima ammontino ad oltre un miliardo facessero così!
Le religioni sono elementi culturali e quindi
cambiano tanto più profondamente e tanto più velocemente quanto più circolano tra
la gente. Quando il cambiamento rallenta, significa che stanno esaurendosi.
Le religioni possono finire? La storia ci
dice che senz’altro è possibile, anche se è più frequente che subiscano
metamorfosi, come appunto è accaduto alle antiche religioni precristiane, molti
elementi dei quali sono confluiti nei cristianesimi, come nella nostra biologia
è accaduto per i mitocondri delle nostre cellule, che si ritiene siano derivati
da antichi batteri.
E’ più frequente che finiscano cicli culturali
di una religione, come in tutto il mondo
sta accadendo ai cristianesimi, che sono segnalati in ripresa dovunque, salvo
che in Europa occidentale. Da noi, tuttavia, questo non significa necessariamente
la fine della nostra religione, ma probabilmente che suoi elementi sono confluiti
in altre forme culturali, ad esempio nella dottrina ideologica dei diritti umani
fondamentali. Così si sente meno il bisogno di ricorrere alla simbologia del
pensiero e della liturgia di un tempo. Del resto, quando si parla di un diritto
fondamentale, vale a dire irrinunciabile e, come si dice a volte, non
negoziabile, si fa religione. Hanno natura religiosa concetti come popolo,
nazione, stato, democrazia,
sovranità e molti altri.
E’ religiosa ogni idea che prescinde da come vanno
effettivamente le cose, nella natura o nelle società. Non si potrebbe, invece, tenerne
conto? In realtà non servirebbe, perché solo dopo che qualcosa è accaduto
si può sapere come è andata in quel caso, ma noi per sapere cosa fare dobbiamo
decidere prima. E, soprattutto, non sarà mai possibile sapere tutto ciò
che bisognerebbe sapere per indovinare come andrà. Lo possiamo prevedere, in una certa
misura, solo statisticamente.
Le religioni, per quella proprietà di orientare
anche prima di sapere, sono state e sono ancora elementi sociali fondamentali
della costruzione sociale. E quando parlo di religioni non mi riferisco
solo a quando si mette esplicitamente di mezzo il divino.
Quando
si sostiene che tutti gli esseri umani sono uguali in dignità, ci si esprime
in termini religiosi. Così come quando di parla di popolo: un elemento
che non esiste in natura, e dunque in questo senso è soprannaturale. In
nature, ce lo dicono antropologia e sociologia, esistono solo popolazioni.
Senza
interiorizzare religione e diritto, gli elementi fondamentali
della costruzione sociale tra gli esseri umani, ci si lascia semplicemente trascinare
dalla corrente. Per gran parte della nostra vita è proprio questo che
facciamo, ma ci sono momenti in cui, per uscire da una condizione di sofferenza
personale e sociale, bisogna prendere l’iniziativa di un moto collettivo per
influire su come si è trascinati.
Tra gli altri primati la violenza basta. E
anche tra gli umani la violenza è spesso una componente importante del cambiamento
sociale, finora lo è stata sempre per produrre innovazioni importanti nel
governo sociale. E lo è ancora. Tuttavia non basta, perché le nostre società sono
organizzate in modi estremamente complessi e integrano ormai oltre otto miliardi di persone, per cui le ragioni di
conflitto si sono moltiplicate. Nessun sistema politico ha più la forza per imporsi
solo con la violenza bruta. Le istituzioni che lo manifestano devono radicarsi
tra la gente inizialmente su base religiosa, costruendo una mitologia che
spinga la gente a mantenere i ruoli che a ciascuna persona vengono assegnati, e
poi su base giuridica, creando un sistema formalizzato di rapporti sociali
dotato di effettività mediante la giurisdizione.
Ci
sono certamente molto meno persone adulte nelle età attive e fertili, diciamo dai
ventenni ai sessantenni che vengono in
chiesa per partecipare a liturgie ormai piuttosto obsolete. Ma la religione,
anche in questa situazione, non è una
cosa da bambini e vecchi.
Ad esempio, di questi tempi si parla di crisi
della democrazia e i discorsi che si fanno hanno riferimenti religiosi che
sono molto chiari a chi sia stato educato alla sensibilità necessaria a
coglierli. E, questo, lo sottolineo, anche a prescindere dalla terminologia
esplicitamente religiose che a volte strumentalmente si usa.
Se ne discuterà dal 3 al 7 luglio prossimi a Trieste
nel corso della 50° Settimana sociale delle persone cattoliche in Italia
sul tema Al cuore della democrazia.
Il MEIC – Movimento ecclesiale di impegno
culturale del Lazio ha programmato una serie di incontri, nei prossimi
mesi, per fornirvi un proprio contributo.
Nell’ultima riunione, martedì scorso, sono
stati formulati rilievi critici su come nel Documento preparatorio si definisce il concetto di democrazia, centrato
su “un desiderio profondamente umano, quello di vivere insieme volentieri e
non perché costretti, sperimentando la comunità come luogo della libertà, in
cui tutti sono custoditi, tutti sono protagonisti, tutti sono impegnati in
favore degli altri”. Infatti questo non è l’essenziale della democrazia,
che invece è fondamentalmente una forma di lotta collettiva contro l’accentramento arbitrario del potere in
un centro insofferente di limiti. E infatti tutte le democrazie, a parte quelle integrate nella
nostra Unione Europea, si sono manifestate estremamente bellicose, sia all’interno
che verso l’esterno delle società di riferimento, in questo non differendo dai
costumi usati dai poteri non democratici per conquistare e mantenere il potere.
La lotta esprime una resistenza e all’origine della
crisi delle nostre democrazie può appunto essere vista come una diminuzione della
forza sociale di resistenza ai processi
antidemocratici.
Va evidenziato che la nostra gerarchia ecclesiastica è essa stessa un
centro di potere non solo non democratico, ma anche pervicacemente antidemocratico.
Essa si manifesta quindi profondamente sospettosa dei processi democratici,
temendo, del tutto a ragione, che finiscano per investirla e delegittimarla. E per questo che, anche nei più recenti
documenti del magistero sociale tiene a distinguere sinodalità, il modo
partecipato di decidere in ambito ecclesiale, da democrazia.
Si ha l’attivazione di processi democratici
quando, in una situazione di dominio sociale sequestrato da un certo strato
della società, si inizia a lottare per istituirvi dei limiti, innanzi tutto
temporali e poi anche nell’estensione dei poteri esercitati, in modo che possano
influirvi altri strati sociali fino a quel
momento subalterni. Si limita da una parte per allargare dall’altra. Le istituzioni
democratiche, poi, non sono fatte per sopire e silenziare i conflitti, ma per consentirne
la manifestazione in forme non distruttive per l’ordinamento sociale.
Con l’istituzione
del suffragio universale, che in Italia si ebbe solo dal 1946 e per l’azione determinante
dei cattolicesimo democratico (fino ad allora le donne non votavano, anche se
già partecipavano ai processi democratici), una democrazia diventa popolare,
la sua forma più partecipata e quindi, necessariamente, più conflittuale. Infatti
più gente ha voce, più emergono ragioni di conflitto. Il superamento dei
conflitti richiede la costruzione di una cultura con caratteristiche religiose
e di una specifica mitologia, nella quale le persone possano riflettersi, relativizzando,
senza negarle, le ragioni dei conflitti sociali.
E’ ciò che si è fatto nella costruzione
politica e sociale della nostra Unione Europea sulla base dell’ideologia dei
diritti umani fondamentali, non solo di libertà, ma anche sociali, espressi dal
detto, del cattolico democratico Giorgio La Pira, uno dei principali costituenti,
“Il pane è sacro, la casa è sacra, il lavoro è sacro”.
In
una democrazia popolare l’azione sociale contro le oligarchie rivendicanti sovranità, quindi la libertà
da limiti, si fa dando anche alle gente che dipende da altre persone per
vivere, coloro che nella terminologia della prima dottrina sociale moderna
vennero definiti proletari, riprendendo un terminologia socialista nel
mentre si criticava aspramente i socialismi, la possibilità di resistere collettivamente.
In Europa occidentale le politiche e le istituzioni
di Welfare state, vale a dire volte a dare attuazione ai diritti umani
sociali fondamentali promuovendo il benessere (in inglese: welfare),
hanno creato la convinzione nelle persone di poter fare da sé, prescindendo
dalla lotta sociale. Però dagli scorsi anni ’90 la situazione è andata progressivamente
mutando: la diminuita resistenza democratica nella popolazione ha indotto alla
decostruzione dell’ordinamento del Welfare state, lasciando
progressivamente i proletari esposti agli effetti delle dinamiche contrattuali,
secondo le quali, diciamo, pesce grosso
mangia pesce piccolo. Questo significa che c’è stato meno pane,
meno case, meno lavoro. C’è questo dietro l’evidente ed effettiva
denatalità che si vive in Italia, e non l’egoismo di chi si ama, secondo
la detestabile diffamazione che spesso si sente nella predicazione.
Ma come si passa da quello che si è sentito
nell’infanzia a catechismo e oggi viene in genere stancamente ripetuto nella
predicazione a questo lavoro sulla società, in particolare per il suo assetto
democratico? E’ appunto per questo che ci si riunisce in Azione Cattolica. E’
cosa che va studiata e appresa, aiutandosi reciprocamente nell’autoformazione,
in un contesto in cui i preti e i religiosi in genere non possono più essere d’aiuto
(questo nonostante il ruolo importantissimo che, fin dal Risorgimento italiano,
ebbero in questo campo), e soprattutto praticata nella lotta sociale, senza la quale non v’è
democrazia.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli