Un
problema di civiltà
C’è un
problema di civiltà che coinvolge tutto il quartiere. Per contribuire alla sua
soluzione non va bene un metodo di perfezionamento religioso centrato su
neo-comunità tendenzialmente segregate dal contesto civile intorno, visto come
contaminante in quanto inquinato moralmente. In questo modo si tende a
perfezionarsi separandosi, e in questo ci si richiama agli ideali religiosi del
più antico ebraismo, espressi nelle varie tradizioni delle Scritture da esso suscitate. In particolare ci si ispira a quelle che furono più in polemica con
l’ellenismo, la cultura e la civiltà dell’antica Grecia nella sua massima
espansione. E invece la cultura
dell’ellenismo ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione della civiltà
europea, ma anche nell'elaborazione delle nostre prime teologie. Tutti i grandi
concili ecumenici svolti nel primo millennio della nostra era, dal quarto
secolo, quelli fondamentali per le
verità di fede, furono convocati in ambiente culturale greco, dagli imperatori
bizantini.
L’esigenza di separazione dal male e dalle
sue opere è sicuramente fondamentale in una visione di fede. Essa però va
distinta dalla separazione culturale dall'ambiente civile in cui si è immersi,
in particolare dal lavoro di organizzazione della società, nelle sue istituzioni,
nelle sue norme, nella sua economia, nella sua urbanistica, nelle sue forme di
relazioni tra le comunità politiche ed etniche, nelle sue forme di istruzione
delle popolazioni e, insomma, in tutto ciò che si comprende nel termine “civiltà”. E’ la distinzione tra errore ed errante
che iniziò ad avere corso negli scorsi anni Sessanta, con il magistero di
Angelo Roncalli. Ma c’è anche l’esigenza, riproposta con forza da Jorge Mario
Bergoglio nel suo ultimo lavoro, Laudato
si’, di partecipare collettivamente alla soluzione di problemi che solo in
questo modo possono essere affrontati, in particolare alla creazione di un nuovo modello di
sviluppo.
La predicazione della nostra fede richiede un
ambiente sociale favorevole che va costruito, indotto, sperimentato, praticato
su scala sempre più vasta. Per funzionare, essa deve essere radicata nel
quartiere dove è immersa. Quest’ultimo non le può essere indifferente, perché di
fatto ne è condizionata. La parrocchia e il quartiere sono fatti della medesima
gente, non dimentichiamocelo mai!
L’altro giorno ho visto in televisione una
bella intervista al grande architetto Renzo Piano, senatore a vita, sui
problemi della ricostruzione urbanistica dopo il recente terremoto. Non si può
separare l’urbanistica dalla gente, dal contesto civile, ha detto. Non si tratta solo di
ricostruire edifici: decidere come ricostruirli sarà condizionato dalla
decisione fondamentale di come ricostruire la civiltà urbana che aveva abitato quelli distrutti o danneggiati e abiterà quelli ricostruiti o restaurati. I due
aspetti vanno insieme. E’ un discorso che vale più in generale per ogni
quartiere civile. Si lavora sulle cose, ma anche sulle persone. Ecco che l’aspetto
diruto del nostro quartiere, privo di occasioni sociali, con le sue strade sempre
più disastrate e attraversate da correnti di traffico indifferenti alla gente
del posto, deve essere visto come l’espressione di un contesto civile
sofferente.
Nell’esperienza
civica della fede possiamo divenire nuovamente l’anima del quartiere, il motore
del cambiamento, l’origine di una rivoluzione culturale, secondo gli auspici
espressi nella Laudato si’, che
significhi anche un recupero di spiritualità nella sua civiltà urbana. Da questo
potrà scaturire un nuovo impegno civile per risanare ciò che non va, nelle cose
e tra le persone. Un disegno che era
molto chiaro, dal secondo dopoguerra, a un imprenditore filosofo come Adriano
Olivetti, che fece dell’industria di famiglia, ad alta tecnologia, operante nel
settore delle macchine per scrivere e poi di quelle per l'elaborazione dati, il motore di una
rivoluzione civile, ispirata anche alla nostra fede, nel Canavese, la zona
intorno a Ivrea, nel Piemonte settentrionale, al confine con la Valle d’Aosta.
Ecco quello che scrisse tanti anni fa in
merito (si tratta di testi compresi nel suo libro Città dell’uomo, pubblicato nel 1960, l’anno della sua morte, e
ancora in commercio, anche in e-book, edito da Il Saggiatore:
“Abbiamo scritto nelle proposizioni
fondamentali del Movimento Comunità [il movimento indotto da Olivetti] che il nuovo Stato sarebbe organizzato secondo leggi spirituali, e la
nostra affermazione non è rimasta cosa astratta.
Per la prima volta nella storia dei programmi politici si fa un
riferimento preciso non solo ai valori spirituali e alla loro potenza, ma al
modo stesso, alla forma, alle forze in cui questi si esplicano nella società
terrena anzitutto, e nell’amministrazione delle cose pubbliche in particolare.
Giacché nella nostra visione il problema centrale della politica
consiste nel creare uno speciale rapporto fra la società e lo Stato, rapporta
che tenga conto e sviluppi le forze e le forme dello spirito.
Quando l’azione politica cristiana è legata solo apparentemente alle
forme spirituali e non si risolve in un corpo organizzato, in una Comunità
concreta, nel suo ordinamento che si svolge in ordini spirituali, a nulla
valgono gli sforzi isolati degli uomini di buona volontà.
Noi tutti crediamo nel potere illimitato delle
forze spirituali e crediamo che la sola soluzione alla presente crisi politica
e sociale del mondo occidentale consista nel dare alle forze spirituali la
possibilità di sviluppare il loro genio creativo.
Parlando di forze spirituali, cerco di essere chiaro con me stesso e di
riassumere con un semplice formula le quattro forze essenziali dello spirito:
Verità, Giustizia, Bellezza e, soprattutto, Amore. Cerco di ricordarmi che il
nostro obiettivo finale, che in senso storico deve essere l’affermazione della
civiltà cristiana, consiste nel materializzare in equilibrio ciascuno di questi
quattro punti. Non si può parlare di civiltà se uno solo di quegli elementi, Verità, Giustizia,
Bellezza e Amore, è assente. E’ facile
riconoscere come alcuni individui, gruppi, nazioni e regimi politici siano
contro uno o più di questi fattori spirituali.
Si potrà pensare che tutto ciò non sia di ordine pratico; mi sforzerò di
dimostrare in quale maniera noi potremmo essere guidati in uno sforzo comune
nel nostro paese. Ho parlato di verità per prima. Verità in una società umana
significa cultura libera, indipendenza di ricerche e conoscenze scientifiche.
[…]
Nessuno tornerebbe indietro, non dico di secoli, ma nemmeno di
cinquant’anni. Mancava la luce elettrica, le malattie infettive mietevano le
giovani vite, la chirurgia e gli anestetici erano primitivi, nelle fabbriche il
lavoro era assai più penoso di oggi, insomma la condizione umana era
estremamente più dura di oggi. E il mondo va verso giorni più radiosi e più
felici, ma a una sola condizione: che le immense forze materiali messe oggi a
disposizioni dell’uomo siano rivolte a finalità, a mete spirituali.
[…]
lo spirito della Verità ha dunque lavorato in
silenzio per lunghi secoli, perché un’umanità più felice fosse resa possibile.
[…]
Un Parlamento e un governo, secondo l’ordine e
il metodo della scienza, dovrebbero essere composti da educatori, economisti,
urbanisti, igienisti, giuristi e via dicendo, cioè da veri studiosi, nella
teoria e nella pratica, delle funzioni sociali, e invece vediamo nel Parlamento
e nel governo nove decimi di uomini impreparati che non riconoscono seriamente
i valori scientifici.
[…]
Una
società che non crede nei valori spirituali, non crede nemmeno nel proprio
avvenire e non potrà mai avviarsi verso un meta comune e affogherà la comunità
nazionale in una vita limitata, meschina e corrotta. Senza questa comprensione
dei valori scientifici e spirituali vediamo l’attività dello Stato disperdersi,
disintegrarsi, sconnettersi in mille provvedimenti caotici, dispersivi, che non
conducono ad alcun fine organizzato e consapevole, se non a quello fraudolento
di ingrandire la potenza del proprio partito, favorendo clientele e interessi
particolari. Troviamo così innanzi a noi gli antipodi dell’atteso splendido
regno della giustizia, della cultura e della verità.
E’ soprattutto nella Verità che troveremo la
vera rivoluzione, il vero rinnovamento morale e materiale di ogni cosa. Poiché
la Verità è il tutto: scienza, sapienza carità.
La Giustizia, la seconda della forze spirituali,
è a sua volta illuminata dalla Verità.
[…]
Troppi lavoratori si chiedono se c’è qualcosa
di fondamentalmente ingiusto e tragico nel fatto che la ricchezza che essi
creano non venga utilizzata per meglio soddisfare i bisogni e risolvere i
problemi della loro comunità.
[…]
Infine è superfluo per me l’insistere sulla influenza spirituale della
Bellezza. Certamente esiste ovunque in Europa una grande vocazione e capacità
artistica, ma questa sembra avulsa dalla vita delle comunità nazionali, giacché
la comprensione artistica sembra essere il privilegio di una piccola classe. […] E’
sufficiente ricordare che i tesori artistici, che sono oggi una ricchezza
concreta dell’Italia, nacquero come opera della fede, della cultura, del
disinteresse.
[…]
E questa ricerca del Regno di Dio e della sua
Giustizia non può essere attuata senza mezzi adeguati, senza sacrifici, senza
uno strumento preciso, una Comunità concreta, fondata su leggi umane e
naturali, fondata sulla ricerca integrale della verità e un’applicazione
altrettanto integrale della giustizia.
[…]
La
civiltà occidentale si trova oggi, nel mezzo di un lungo e profondo travaglio,
alla sua scelta definitiva. Giacché le straordinarie forze materiali che la
scienza e la tecnica moderna hanno posto a disposizione dell’uomo possono
essere consegnate ai nostri figli, per la loro liberazione, soltanto in un
ordine sostanzialmente nuovo, sottomesso ad autentiche forze spirituali le
quali rimangono eterne nel tempo e immutabili nello spazio da Platone a Gesù:
l’Amore, la Verità, la Giustizia, la Bellezza. Gli uomini, le ideologie, gli
Stati che dimenticheranno una sola di queste forze creatrici non potranno
indicare a nessuno il cammino di civiltà.
[…]
Noi sogniamo una Comunità libera, ove la
dimora dell’uomo non sia in conflitto né con la natura, né con la bellezza, e
ove ognuno possa andare incontro con gioia al suo lavoro e alla sua missione.
[…]
Nella
nuova società personalista e comunitaria la persona potrà finalmente
realizzarsi in una libera Comunità.
Tecniche perfezionate e nuovi simboli si impongono per difendere e
realizzare con rinnovato slancio i valori democratici e soprattutto la libertà
umana: per dare crescente impulso alo spirito democratico e rendergli tutto il
suo splendore e le sue forze.
E’ d’uopo preparare uno Stato organizzato
secondo precisi criteri, ma a un unico
fine: affinché la società sia libera e si affermi un nuovo tipo di civiltà che,
lungi dall’esser schiava della tecnica, sia al servizio dei fini ultimi e
superiori dell’umanità.
Lo Stato sarà dunque un mezzo perché la città
si esprima liberamente.
[…]
Per
rafforzare i vincoli di solidarietà tra i contadini e gli operati nacquero
verso il 1949 i primi Centri Comunitari. Essi si dimostrarono essenziali
strumenti nel faticoso cammino della Comunità.
Gradualmente, come una macchia di olio, crebbero: tre nel 1950, sette
nel 1951, venticinque nel 1952, trentadue nel 1953 e saranno cinquanta alla
fine di quest’anno [1955]; i Centri Comunitari promossi dal Comitato
per la Comunità del Canavese formano ora una particolare esperienza.
Cosa sono, cosa rappresentano i Centri Comunitari?
Essi prendono forma, consistenza, attività
dalle particolari condizioni in cui nacquero, talché i Centri Comunitari
del nostro Movimento hanno una fisionomia
che li distingue dai Centri Comunitari esistenti in quegli altri paesi, in
America, in Canada, in India, in Israele, dove furono già attuati. Essi
nacquero attraverso un lavoro paziente, tenace, di alcuni pionieri e attraverso
il loro sacrificio personale. I nostri amici si recavano la sera nelle piccole
e primitive comunità di operai e parlavano per primi della necessità di trovare
nelle loro forze, nelle loro menti, nel loro animo la strada per la
resurrezione, la strada per un principio di solidarietà, e di vera democrazia,
che si attua non già attraverso la propaganda, gli obblighi, le costrizioni,
gli indirizzi, il conformismo insomma, ma attraverso la lenta formazione di una
coscienza personalista e comunitaria.
Affinché questo fosse possibile era necessario
elevare il grado di cultura di quegli uomini sperduti che, dopo il fugace
contatto della giovinezza con il maestro elementare e più tardi le avventure
dei giornali a fumetti, avevano completamente perduto il contatto con la forza
liberatrice della cultura.
Perciò, il primo passo del lavoro sociale
intrapreso dai Centri Comunitari fu la istituzione di biblioteche e la notevole
circolazione di riviste tecniche e
culturali, completamente mancanti in quei villaggi sperduti.
[…]
Il
lavoro non fu semplice […] Ma poco a
poco i Centri si organizzarono, le
biblioteche si arricchirono, si dette vita a corsi di cultura popolare, a
manifestazioni sportive, ricreative; si iniziò il servizio sociale, si diede
mano al servizio di assistenza tecnica nel campo dell’agricoltura e dell’industria.
Si trattava in sostanza di portare gradatamente in tutti i piccoli
villaggi -cioè nell’intera Comunità- il piano di assistenza sociale, culturale,
educativa, ricreativa, più completo, quale si trova nelle nazioni più progredite.
Nel contempo, attraverso elezioni, dibattiti e
numerose esperienza, rafforzare nelle loro radici i valori democratici che si
fondano nei singoli Centri sulla collaborazione di molteplici persone,
investite dai loro compagni di fiducia e di responsabilità.
Perché in ogni Centro si procede a libere
elezioni di un presidente, di un addetto culturale, di un addetto ai servizi
sociali, di un addetto ai servizi sportivi”.
La
partecipazione civile, che è la via per cambiare la situazione del quartiere,
si fa con metodo democratico, del quale però abbiamo poche occasioni di fare
esperienza, in particolare in parrocchia. Nell’organizzazione religiosa il
Consiglio pastorale dovrebbe essere una delle sedi per farla, ma da noi
da molti anni non è più così. Quando mai si è riunita l’Assemblea parrocchiale
per eleggerne dei membri? Io non ne ho memoria, eppure abito da molti anni nel quartiere. Così non
possiamo essere sicuri che il Consiglio pastorale, nella sua attuale
composizione, renda effettivamente presente la gente di fede del quartiere. Quel Consiglio è diventato sostanzialmente una emanazione del parroco, che, credo (non ho visto documenti sulla legittimazione dei consiglieri, ne abbia designato la gran
parte dei componenti non di diritto. I gruppi, con i loro rappresentanti, non eletti dai parrocchiani né scelti dal parroco, vi fanno la parte maggiore, in particolare il gruppo che ha espresso l'ideologia religiosa che è apparsa prevalere nel corso che dovrebbe essersi chiuso lo scorso anno. Il nuovo parroco ha trovato questa situazione. Cambiarla
non è facile perché abbiamo perso la gran parte delle relazioni vitali con le altre persone del quartiere. La parrocchia è vissuta dai più essenzialmente come centro liturgico e come scuola di formazione
etica dei più piccoli. Ci si va per assistere a liturgie, come spettatori religiosi, e vi si portano i
bimbi per la prima iniziazione religiosa. La partecipazione non è sentita come
necessaria e tanto meno quella democratica. E nella formazione religiosa, in
passato, si sono organizzate le cose in modo che, talvolta, mi è sembrato che
si invitassero le persone a partecipare a una specie di gioco di ruolo a tema, in un
immaginario contesto neo-ebraico, in cui ci si figurava di essere il popolo in
fuga dall'Egitto del Faraone. Certi
costumi mi sono parsi veramente irrispettosi verso l’autentico ebraismo
contemporaneo, come la rivisitazione fantasiosa di certi simboli dell’ebraismo di sempre e ancora molto cari a quello contemporaneo, ad esempio del candelabro a nove braccia, usato nella
liturgia ebraica nella festa di Hanukka. Noi non siamo in fuga dalla civiltà
contemporanea che la nostra fede ha tanto contribuito a plasmare. Del resto la
nostra esperienza religiosa non ha mai temuto le città e la multiculturalità
che le caratterizza, anzi proprio nelle città ha prosperato alle origini, e
questo a differenza dell’antico ebraismo che nelle città, in particolare in quelle delle genti, vale a dire abitate anche da persone di altre culture e religioni, vedeva il luogo della
contaminazione culturale. Bisogna dire
che le nostre collettività di fede, e l’ebraismo che è stato loro contemporaneo fino
ad oggi, sono diventati cosmopoliti nell'esperienza della diaspore, che li ha
portati, veramente, fino agli estremi confini della terra, immersi in ogni cultura del globo. E da ogni cultura in
cui si sono trovati inseriti hanno imparato, pur continuando a mantenere una
tradizione di fede in continuità con le origini. Per quanto riguarda il valore
della cultura e della teologia dell’antico ebraismo, espresse nelle Scritture,
bisogna dire che esse sono indispensabili per capire il nuovo contesto creato dall'insegnamento del nostro primo Maestro, che nacque e visse da ebreo antico,
ma che nella nostra fede ciò che ci fu prima va interpretato alla luce del
nuovo, e non viceversa. E poi: la nostra fede e l’ebraismo sono due religioni
diverse, che devono rispettarsi reciprocamente, rispettando anche i rispettivi simboli sacri e le altre consuetudini ritenute sacre. Non mi sembra utile l’ebraismo
immaginario che talvolta viene predicato tra noi. Soprattutto quando ci spinge
a separarci dal contesto civile in cui, invece, siamo chiamati ad operare, per
indurvi i valori di fede.
Anche da noi, come nel Canavese di Adriano
Olivetti, c’è l’esigenza di rifondare, su
valori insieme spirituali, democratici e civili, e di praticare un’esperienza
comunitaria aperta alla realtà territoriale in cui la parrocchia è immersa. Il
degrado civile e urbanistico del quartiere fa tutt’uno. Quando, con il Comitato
per il Pratone e il conseguente impegno civile, migliorammo l’urbanistica del
quartiere, conquistando finalmente il Pratone, anche l’esperienza civile fece
un salto di qualità. E’ quello che si dovrebbe nuovamente ottenere. Ma per
riuscirci occorre innestarvi un’esperienza spirituale che oggi è ancora come
reclusa negli spazi liturgici.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli