INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Questo blog è un'iniziativa di laici aderenti all'Azione Cattolica della parrocchia di San Clemente papa e manifesta idee ed opinioni espresse sotto la personale responsabilità di chi scrive. Esso non è un organo informativo della parrocchia né dell'Azione Cattolica e, in particolare, non è espressione delle opinioni del parroco e dei sacerdoti suoi collaboratori, anche se i laici di Azione Cattolica che lo animano le tengono in grande considerazione.

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  Dal gennaio del 2012, su questo blog sono stati pubblicati oltre 3.200 interventi (post) su vari argomenti. Per ricercare quelli su un determinato tema, impostare su GOOGLE una ricerca inserendo "acvivearomavalli.blogspot.it" + una parola chiave che riguarda il tema di interesse (ad esempio "democrazia").

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

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martedì 27 ottobre 2015

Dinamica dei gruppi

Dinamica dei gruppi

  Dunque, cari amici, si riparte.
  Quando, aderendo all’AC parrocchiale, iniziai a scrivere su questo blog, era a qualcosa del genere che pensavo, insieme agli amici del gruppo.
 Trascrivo di seguito a questo post il primo intervento che pubblicai, esattamente il 1 gennaio 2012, riportando un mio intervento in AC di qualche giorno prima. Mi pare che, nei quasi mille contributi che poi sono seguiti,  si è proseguito, più o meno, a trattare, sviluppandoli, degli argomenti affrontati in quel testo. Rileggendolo mi pare di cogliere anche una certa continuità di linea di pensiero su quei temi. Sono io che sono uno noioso o sono certe cose che mi frullano sempre per la testa?  Oppure ora come allora c’erano un po’ le stesse necessità?
  Dunque: vogliamo collegare nuovamente le masse del quartiere alla parrocchia. Ci aspettiamo quindi che venga gente nuova, e molta. Allora occorre prepararsi.
 Viviamo in una società in cui si è persa l’abitudine all’agire politico, vale a dire a riunirsi in molti e a produrre qualcosa di comune nel dialogo fattivo  con gli altri. Accade quindi che ci si ritrovi e poi che ce se ne vada insoddisfatti, con la sensazione di una gran confusione. Ma l’umanità ha trovato diversi rimedi. A lavorare insieme si impara.
 Una delle possibilità è di fare come l’orchestra sinfonica o il coro, che si affidano all’orecchio e alla sensibilità di un direttore. Questa strategia si basa quindi su una gerarchia, sul seguire un capo. Se uno suona o canta sotto la direzione altrui come forma di lavoro, di solito non si occupa di scegliere il direttore. Fa quello per cui lo pagano, anche se sa che la direzione è necessaria. Nel mondo di quelli che fanno arte per il proprio piacere, l’arte per l’arte, come si legge nel simbolo della casa cinematografica  Metro Goldwyn Mayer  intorno alla testa del leone che ruggisce, ars gratia artis  che in latino significa appunto l’arte per l’arte,  è diverso. Di solito gli artisti che suonano o cantano in gruppo vogliono mettere bocca nella scelta del direttore. Però lo fanno da competenti, da persone che conoscono e amano la musica. Se non possono farlo, lasciano. Chi glielo fa fare, infatti, di mettersi sotto un capo che non stimano?
  Anche le masse che inviteremo in parrocchia non sono fatte da gente pagata e per lasciarsi dirigere devono avere fiducia e stima in chi lo fa, altrimenti presto si disamorano.
 Bisogna fare molta attenzione a questo, a non trasformarle in gente pagata, quindi  a non promettere mai, in cambio della loro adesione, ciò che non possiamo mantenere e soprattutto che non siamo autorizzati a promettere. Ad esempio che venendo tra noi la gente avrà risolti  i suoi problemi di famiglia, di lavoro, di integrazione sociale, di malattia, di infelicità. Da noi potrà trovare solidarietà e condivisione, ed anche un aiuto, questo senz’altro. Questa attività fa parte della vita collettiva di fede fin dalle origini. Ma i  guai degli altri non saranno magicamente cancellati. Neanche se la gente si sforzerà di credere molto intensamente. E neanche se accetterà di annullarsi mettendosi totalmente nelle nostre mani, a fare acriticamente tutto ciò che ordiniamo. Questa del resto una cosa che noi non siamo autorizzati ad accettare e nemmeno a pretendere. E, allora, che cosa ne ricava uno, venendo tra noi? Venite e vedete, dobbiamo dire. La salvezza non è nelle nostre povere mani. Non ci viene come corrispettivo, come retribuzione, non ce la meritiamo; in religione si sostiene che ci venga donata. Agli altri non abbiamo altro da offrire che la nostra fragile e povera umanità. Ma proprio di essa è fatto il nostro cercare di radunarci a convito e il di più, l’aggiunta, ciò che la trasforma in agàpe viene dal Cielo, non è in nostro potere.  A volte esso ci illumina ed è in  questi sprazzi di luce che, come è stato talvolta descritto molto efficacemente, in qualche modo consiste la nostra esperienza di fede. Nella fede noi siamo amanti  di quella luce, che è soprannaturale perché non illumina l’ambiente in cui viviamo, ma le nostre stesse vite, le nostre stesse esistenze. L’ha detto benissimo la sociologa e antropologa Claudia Giaccardi, nel pensiero del giorno che ho pubblicato lo scorso 4 ottobre e che trascrivo nuovamente  di seguito.

“Come ogni mattino è la luce che ci fa rinascere,  dopo il buio della notte veniamo ancora alla luce, torniamo alla vita. Il buio separa, la luce ci richiama all’esistenza; ci unisce nello slancio comune per affrontare il nuovo giorno e tutto ciò che ci verrà incontro”. Lo scrive Emily Dickinson [poetessa statunitense, 1830-1886], in una sua bella poesia, perché la separazione quella è notte, e la presenza semplicemente alba. Lei, la luce purpurea lassù chiamata mattino: una luce che sembra sempre un miracolo, “stupore di ultramattutina luce”, per il poeta Mario Luzi [poeta italiano, 1914-2005]. La luce, come una lama, taglia l’oscurità. Non si può parlare di luce senza alludere a questo dialogo con le tenebre, così come la parola si staglia sempre sullo sfondo del silenzio.
 Se però ci abituiamo a stare al buio, la luce ci punge, ci ferisce e alla fine preferiamo evitarla. A volte abbiamo paura  di guardarla, nel timore che ci spinga fuori delle nostra comode certezze, dalle abitudini che rassicurano.
 “La luce è venuta, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce”, leggiamo nel Vangelo di Giovanni [Gv, 3,19]. Eppure è lei ad avere l’ultima parola.
“Con angoscia ti fuggo, o luce, ma sulla stessa via sempre ti incontro”, recita un verso di padre Turoldo [poeta e frate dell’Ordine dei Servi di Maria italiano, 1916-1992].
 E anche Nelson Mandela [politico sudafricano, premio Nobel per la pace nel 1993;  1918-2013]  diceva: “E’ la nostra luce, non la nostra ombra, a spaventarci di più.” E quando permettiamo alla nostra luce di risplendere, inconsapevolmente diamo agli altri la possibilità di fare lo stesso. La luce infatti accende il nostro desiderio. “Se non avessi visto il sole, avrei sopportato l’ombra, ma la luce ha reso il mio deserto ancora più selvaggio”, scriveva Emily Dickinson. Un desiderio che sempre ci spinge oltre, verso quell’infinito che ci rende liberi perché nessun idolo lo può saturare.
 Persino uno spirito inquieto come Pessoa [Fernando António Nogueira Pessoa, poeta e scrittore portoghese, 1988-1935] riconosce che questo movimento verso la luce, e grazie ad essa, è ciò che ci rende veramente umani: “In me esiste, al fondo di un pozzo, un pertugio di luce verso Dio. Là, molto in fondo, alla fine, un occhio fabbricato nei Cieli”.

  Ma questi amanti della luce soprannaturale  che vengono tra noi  a volte hanno perso familiarità con essa. Devono essere aiutati a riscoprirla. Però, ed molto importante tenerne conto, bisogna capire che ne sono anche portatori. Vengono tra noi a cercare la luce, ma anche ce la portano. Quindi bisogna anzitutto condurli a riscoprirla in loro stessi. E’ questo appunto che si vuole intendere quando si dice, in religione, che nell’altro vediamo il volto del fondamento beato. Ogni incontro con l’altro è illuminato di luce soprannaturale. E’ per questo che, nella fede,  attribuiamo alla vita umana, ad ogni vita umana, un infinito valore. E perché, lo dico con il filosofo Aldo Capitini, non vorremmo rinunciare a nessuno. Lo si può realizzare mettendosi a scuola di dialogo.  Nel brano che ho trascritto di seguito, Giuseppe Lazzati diede alcune importanti indicazioni in merito.
 Fondamentalmente, noi non ci dobbiamo proporre di costruire una comunità, ma di suscitarla, che significa far emergere dagli altri quella luce  di cui dicevo. Questo rende molto importante il ruolo di coloro che accoglieranno la gente nuova e inizieranno a guidarla su quella via. Si tratterà di presiedere della assemblee per fare emergere da esse la comunità e la sua luce. Occorreranno che questi primi direttori di orchestra abbiano la capacità di capire gli altri e di orientare il lavoro comune in modo che ognuno abbia un suo spazio, senza essere tiranneggiato né da chi dirige, né dal gruppo nel suo insieme, né da altri che vi partecipano. Questi primi animatori vanno considerati un po’ come i sostegni che si mettono ai giovani alberi quando sono ancora troppo giovani per resistere al vento e alle intemperie. Lo si fece per i pini di via Val Padana, io lo ricordo e ne ho anche le fotografie. Ora non ne hanno più bisogno. Così deve accadere nel processo di suscitazione di una comunità da una collettività. Si suscitano anche nuove persone che poi la presiederanno con la piena fiducia delle assemblee. Esse emergono dall’assemblea comunitaria. In qualche modo quindi i primi animatori devono essere pronti a mettersi in secondo piano nel momento in cui ne emergeranno altri dall’assemblea. E, innanzi tutto, devono individuarli nell’assemblea. Non è detto che ve ne sia uno solamente. Anzi, per stabilire una continuità di tradizione, si ritiene preferibile quella che viene definita una leadership comunitaria che è l’insieme di tutte le persone che in un qualche gruppo si occupano di proporre obiettivi, di proporre vie per realizzarli, di contribuire al mantenimento del gruppo, di rendere equilibrate le diverse funzioni della vita di gruppo  evitando estremismi fatali, di far superare atteggiamenti passivi o rassegnati.
  Ecco come vengono riassunte le qualità di chi svolge la funzione di presiedere nel libro di Gennaro Luce, Dinamica di Gruppo, Edizione LMS, 1977:
-un grande spirito di sacrificio per dimenticare se stessi e donarsi agli altri;
-il “leader” dev’essere un vero “testimone” di ciò che annuncia e profondo conoscitore dell’ambiente dove lavora;
-egli deve avere un grande dominio delle proprie reazioni per poter capire gli altri;
-egli deve sintetizzare in sé  i valori egli obiettivi del gruppo.
  Un’ultima considerazione.
   Per fare spazio a tutti è necessario imparare il metodo democratico. Che implica l’accettare alcuni valori, come il rispetto della dignità e della personalità degli altri. Il fare spazio  agli altri. Ma anche saper praticare una certa  tecnica per discutere e  prendere decisioni collettive, individuando le questioni importanti sulla base degli obiettivi che l'assemblea si propone di raggiungere, formulandole in modo comprensibile e organico e mettendole in votazione in modo che ne risulti una volontà collettiva coerente. E' il lavoro delle assemblee legislative. Io queste cose le appresi per la prima volta nella mia vita in FUCI, che sostanzialmente seguiva, come anche oggi, la linea dell’Azione Cattolica, pur nella reciproca autonomia, ai tempi nostri più marcata di allora. Alcuni di coloro che all'epoca presiedevano le nostre assemblee di universitari oggi sono parlamentari e hanno contribuito a riscrivere parti importanti della nostra Costituzione. Ancora una volta, come nel secondo dopoguerra, sono il frutto maturo del nostro laicato di fede.

Mario Ardigò  - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli



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post  pubblicato il 1 gennaio 2012 con il titolo “AC S.Clemente 29-11-11 – L’affermazione dei  principi nella società è compito di tutti

  Il testo che vi presento questa sera è un’opera collettiva. Alla fine ne dirò il titolo e l’epoca di pubblicazione. Riguarda l’affermazione dei principi di fede nella società. Li apprendiamo in una collettività nella quale siamo educati. Essa, fin dalle origini, si raccoglie intorno a maestri, che si impegnano a tramandare fedelmente  quei principi di generazione in generazione. Non agisce solo per il bene dei propri membri.  Ritiene di poter venire in aiuto delle società in cui vive. In questo c’è un compito che può essere svolto anche da coloro che non hanno specificamente il compito di organizzare e formare ai principi quella collettività. Nessuno in essa deve essere solamente passivo. E’ la stessa complessità dell’organizzazione delle società umane a richiedere che il lavoro di influire per l’affermazione dei principi sia svolto anche da coloro che, nei vari ambiti sociali, hanno modo di operare. Esso, quindi, non è estraneo alla vita di fede: ne è invece una delle finalità.
  La famiglia, la cultura, l’economia, le arti e le professioni, la politica, le relazioni internazionali non sono solo vie, strumenti, per il perfezionamento personale, ma hanno un valore loro proprio, per il loro particolare rapporto con la persona umana al servizio della quale sono state create, per migliorare la società secondo i principi di fede.
 Benché nella fede si confidi che tutto ciò che esiste possa, al termine della storia, essere ricondotto ad unità, ogni realtà sociale ha suoi propri fini, sue proprie leggi, suoi propri mezzi, una sua specifica importanza per la persona umana: si parla in proposito di una sua autonomia.   
 Conoscere i principi  di fede tramandati e sforzarsi di conformare la propria vita ad essi, sotto la guida di maestri stimati e degni di fiducia, non sono sufficienti ad influire sulla società intorno a noi. La collettività di fede è vista come un corpo umano, in cui ogni parte deve esercitare la funzione sua propria, per il bene di tutti. Sono gli stessi nostri maestri ad esortare vivamente tutte le persone di fede a fare la loro parte per difendere e applicare i principi ai problemi attuali, cooperando anche con persone di altre fedi e convinzioni, secondo la specifica competenza di ciascuno e sotto la propria personale responsabilità.  Un lavoro che, comportando lo sforzo di adeguare le società in cui si vive a principi supremi, universali, che richiedono di dare a ciascuno il suo, ciò che gli compete in ragione della comune umanità, deve essere vista come azione di giustizia. Quest’ultima è anche considerata una manifestazione di “amore”. Nel greco antico, la lingua in cui furono scritti i libri che caratterizzano specificamente la nostra fede, ciò che si traduce in genere con la parola italiana “amore” è espresso con vari termini: agàpe, filìa, coinonìa, èros. C’è una frase di quei libri che ci coinvolge sempre emotivamente: ò Teòs agàpe estìn (così è scritto nella prima lettera di Giovanni, al capitolo quarto, versetto 8. Significa: il fondamento beato di tutto, il Creatore, è agàpe). Indica ciò che è al fondo di molte altre nostre convinzioni comuni. Uno dei suoi sensi profondi può essere spiegato così: nella nostra fede vorremmo arrivare a raccogliere tutti gli umani, nessuno escluso, a mangiare insieme da amici, una bella cena, con vino buono, che rallegra ma non fa male, e buon cibo, l’agàpe appunto.  La nostra giustizia può quindi anche essere considerata come un cercare di instaurare questa agàpe nelle società in cui viviamo. Nonostante le difficoltà e i dolori della vita comune.
 Rese così questa idea, nel 1980, il giornalista Paolo Giuntella:
“Non bisogna infatti smettere di essere poeti per costruire la nuova città della giustizia. Bisogna smettere di essere istrioni. E diventare per la prima volta poeti. Cioè trasformatori. ‘Poièsis’ del resto significa produzione, costruzione, prodotto. Il prodotto della pràxis. La bellezza , compimento della poesia, senza slabbrature, non è infatti languore e malinconia. Anche la nostalgia più cruda e inguaribile deve trasformarsi in poesia, in energia e superare l’adolescenza attraverso l’esperienza del dolore e divenire adulta. Incontrerà, allora, senza dubbio la Bellezza, vincerà l’impossibile, ricongiungerà le carni e le anime divise.
Signore, non allontanare da me questo calice. D’accordo, Ma fa che si trasformi in Marzemìno, in Teroldègo [due tipi di vino pregiato] generoso. Che io possa ritrovare la tenerezza tua Immagine, tuo Senso, tuo Seno, e possa tornare a danzare sulla piazza del mercato al suono del flauto e poi sedere sotto la pergola dell’osteria di Cana a bere quel mosto che non ubriaca mai.”
 Un’azione di giustizia che si basa su convinzioni di fede è religiosa. Questo significa che l’agire individuale e comune scaturisce da forti interiorità e che, per questo motivo, non ci si arrende  mai, per quanto le società in cui si vive resistano al cambiamento. La meditazione personale, lo studio dei libri fondativi del nostro vivere insieme da persone di fede, la partecipazione alle celebrazioni comuni ci fortificano contro ogni disillusione e ogni difficoltà.
 Ci sono molte vie per l’impegno, non una sola. Sempre bisogna aver presenti quelli che stanno peggio, coloro che mancano di cibo, vestiti, casa, medicine, lavoro, istruzione, di un livello minimo di benessere, Un altro campo di azione è quello che riguarda la vita nelle famiglie. In esse può essere iniziato un dialogo amichevole con i più giovani, che può proseguire anche in altre occasioni. Anche la partecipazione alla società civile e a quella politica può essere occasione di operare per l’affermazione dei principi di giustizia. Storicamente si è anche affermato un tipo di impegno che caratterizza le organizzazioni dette “di azione cattolica”. In esse, con un più stretto legame con chi ha il compito di organizzare le collettività religiose, ci si forma e si collabora alla diffusione dei principi di fede in vari ambienti sociali.
 La formazione che si richiede a chi voglia operare religiosamente per l’affermazione dei principi di fede nelle società in cui vive è sia spirituale che culturale. Bisogna conoscere bene il mondo in cui ci si trova inseriti, essere inseriti nelle proprie società, al livello con la loro cultura.
  L’arte del convivere e cooperare fraternamente, al fini di stabilire un dialogo con gli altri, con credenti e non credenti, con prudenza e gentilezza, per “promuovere tutto ciò che è vero, tutto ciò che è giusto, tutto ciò che è santo, tutto ciò che è amabile”, si apprende. C’è in questo un tirocinio da compiere, non si tratta solo di imparare una teoria.
 Associandosi ad altri che condividono certi obiettivi  concreti, ci si può sostenere l’un l’altro in questo. Ma le varie idee che ci si propone di attuare nella società, i metodi seguiti e i risultati ottenuti devono essere discussi e vagliati, in spirito di fraternità  e cooperazione, al cospetto dei capi della collettività religiosa, che hanno il compito di mantenere l’unione di tutte le forze che, nei vari ambiti, operano per l’affermazione dei principi di fede nella società. Questa è una parte importante di quel tirocinio di cui si è detto. Siamo esortati ad eliminare, a partire dalle relazioni con coloro che condividono la nostra fede, ogni malizia e ogni inganno, le ipocrisie e le invidie e tutte le maldicenze. A coltivare l’amicizia, per offrirci vicendevolmente aiuto. Quando parliamo di “dialogo” che cosa dobbiamo intendere?
 Ci ragionò molto su Giuseppe Lazzati (1909-1986), che a lungo lavorò in Azione Cattolica:
Suoi caratteri sono i seguenti: 1) la chiarezza innanzi tutto; il dialogo è un travaso di pensiero …basta questa iniziale esigenza per sollecitare … a rivedere ogni forma del nostro linguaggio; 2)altro carattere è poi la mitezza…il dialogo non è orgoglioso, non è pungente, non è offensivo…non comando, non è imposizione. E’ pacifico, evita i modi violenti; è paziente; è generoso; 3) la fiducia … promuove la confidenza e l’amicizia…esclude ogni scopo egoistico; 4) la prudenza pedagogica, la quale fa grande conto delle condizioni psicologiche e morali di chi ascolta. Nel dialogo, così condotto, si realizza l’unione della verità e della carità, dell’intelligenza e dell’amore.
            (da una lezione tenuta nel 1984)
  Nei secoli passati si cercò di stabilire una forte continuità tra le convinzioni di fede e quelle, di diversa natura, diffuse nelle varie società, ad esempio quelle che riguardavano gli ordinamenti politici e il funzionamento della natura, gli astri, la Terra, i viventi,  compresi gli esseri umani.  
 Ai nostri tempi si ritiene che l’unità, tra l’ordine spirituale e quello del mondo in cui si vive, si attui in primo luogo ed essenzialmente nelle coscienze delle persone di fede. Nella convinzione, comunque, che  si stia formando come una nuova creazione, in modo iniziale qui ed ora, in modo perfetto in un tempo a venire, alla fine. La realtà presente, nella quale siamo inseriti, non è per questo privata di autonomia e valore, ma ne è come perfezionata. Ciò significa che le società in cui viviamo, con le loro difficoltà, i loro dolori, i loro problemi, non sono mai, nella visione di fede, l’ultima parola sugli esseri umani. E, nella fedeltà ai principi religiosi, riteniamo obbligo di giustizia di agire in esse per soccorrere le persone che in esse vivono, avendo “riguardo, con estrema delicatezza, alla libertà e alla dignità della persona che riceve l’aiuto”, senza desiderio di dominio,  nell’intento di eliminare “non solo gli effetti, ma anche le cause dei maliin modo che coloro i quali [ricevono l’aiuto] vengano a poco a poco, liberati dalla dipendenza altrui e diventino sufficienti a se stessi.
 Ho riassunto e commentato il decreto Apostolicam Actuositatem (=l’apostolato), sull’apostolato dei laici,  del 18 novembre 1963,  approvato e diffuso durante il Concilio Vaticano 2°.    
                                                                       Mario Ardigò dell'AC S.Clemente