L’incubo
del gender
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Un tentativo di raffigurare il malvagio gender |
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Nazioni europee che hanno introdotto il matrimonio fra persone omosessuali |
Come molti altri in società non riesco a
individuare le fonti dell’ideologia gender
che vorrebbe corrompere i nostri figli, insegnando loro ad andare contro natura costruendosi a piacimento
la propria identità sessuale. Ne ho sentito parlare e ne ho letto solo da parte
degli attivisti anti-gender. I nostri
capi religiosi danno loro credito. Fatto sta che la nostra scuola pubblica,
secondo loro, ne sarebbe stata asservita. Giungono lettere ultimative ai
dirigenti scolastici di genitori che non vogliono che i loro figli vi siano
esposti. Sul banco degli accusati, in questa sorta di neo-inquisizione, ci sono
quindi anche la Ministra della pubblica istruzione e gli insegnanti statali.
Insieme a una parlamentare che ha proposto un disegno di legge per riconoscere
le unioni civili tra persone omosessuali. Sullo sfondo, gran parte delle
nazioni dell’Europa Occidentale, l’Unione Europea, le Nazioni Unite e gli Stati
Uniti d’America, antesignani della lotta contro le discriminazioni a sfondo
sessuale e la cui Corte Suprema il 26
giugno scorso ha dichiarato incostituzionale il divieto di matrimoni fra persone
omosessuali.
Il giudice della Corte Suprema statunitense Anthony
Kennedy, di orientamento conservatore, ha sintetizzato così le motivazioni di
quella sentenza:
“Non
abbiamo creato un nuovo diritto, ma garantito un diritto già sancito nella
Costituzione e non praticato per diversa cultura della società.
Sotto la Costituzione le coppie dello stesso
sesso cercano nel matrimonio le stesse condizioni legali delle coppie
eterosessuali. Sarebbe discriminatorio per le loro scelte, e umiliante per la
loro personalità, negare questi diritti.”
Il medesimo argomento può valere nel nostro
regime costituzionale. La nostra Costituzione e la Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea sono ispirate ai medesimi principi. E’ per
questo che sono convinto che anche la Repubblica Italiana seguirà la medesima
via, prima o poi.
Qui però si è in un contesto diverso da quello
prospettato dagli attivisti anti-gender:
ci sono persone ingiustamente discriminate, in particolare una minoranza di
persone discriminate, e una legge suprema di civiltà che entra in azione contro
maggioranze discriminanti. Va anche notato che non è nemmeno più sicuro che,
anche da noi, quelle maggioranze siano tali. Secondo statistiche affidabili gli
italiani si dividono più o meno a metà. Se però consideriamo le opinioni di chi
ha meno di trentacinque anni e delle persone con istruzione più elevata, circa due
terzi sono a favore dell’istituzione del matrimonio fra persone omosessuali. La situazione è opposta tra gli
ultrasessantenni, l’età della gran parte dei nostri capi religiosi.
Anche le Linee di
orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto del bullismo e del
cyberbullismo, della Ministro
dell’Istruzione, dell’aprile 2015, si muovono nella stessa ottica, vanno
nella medesima direzione, del contrasto contro discriminazioni ingiuste e
dolorose:
“Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca è impegnato da anni sul fronte della prevenzione del fenomeno del
bullismo e, più in generale, di ogni forma di violenza, e ha messo a
disposizione delle scuole varie risorse per contrastare questo fenomeno ma
soprattutto ha attivato strategie di intervento utili ad arginare comportamenti
a rischio determinati, in molti casi, da condizioni di disagio sociale non
ascrivibili al solo contesto educativo scolastico.
Gli atti di bullismo e di cyberbullismo si configurano sempre di più
come l’espressione di scarsa tolleranza e della non accettazione verso chi è
diverso per etnia, per religione, per caratteristiche psico-fisiche, per
genere, per identità di genere, per orientamento sessuale e per particolari
realtà familiari: vittime del bullismo sono sempre più spesso, infatti,
adolescenti su cui gravano stereotipi che scaturiscono da pregiudizi
discriminatori. E’ nella disinformazione e nel pregiudizio che si annidano
fenomeni di devianza giovanile che possono scaturire in violenza generica o in
più strutturate azioni di bullismo.
Interventi mirati vanno, dunque, attuati da un lato sui compagni più
sensibili per renderli consapevoli da aver in classe un soggetto
particolarmente vulnerabile e bisognoso di protezione; dall’altro sugli
insegnanti affinché acquisiscano consapevolezza di questa situazione come di
altre “diversità”.
Il considerare, per esempio, “diverso” un compagno di classe perché
ha un orientamento sessuale o un’identità di genere reale o percepita
differente dalla propria poggia le sue basi sulla disinformazione e su
pregiudizi molto diffusi che possono portare a non comprendere la gravità dei
casi, a sottostimare gli eventi e a manifestare maggiore preoccupazione per
l’orientamento della vittima che per l’episodio di violenza in sé. Nel caso
specifico, infatti, la vittima del bullismo omofobico molto spesso si rifugia
nell’isolamento non avendo adulti di riferimento che possano comprendere la
condizione oggetto dell’offesa.
A tal proposito, Scuola e Famiglia possono essere determinanti nella
diffusione di un atteggiamento mentale e culturale che consideri la diversità
come una ricchezza e che educhi all’accettazione, alla consapevolezza
dell’altro, al senso della comunità e della responsabilità collettiva. Occorre,
pertanto, valorizzare i Patto di corresponsabilità educativa previsto dallo
Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria: la scuola è
chiamata ad adottare misure atte a prevenire e contrastare ogni forma di
violenza e di prevaricazione; la famiglia è chiamata a collaborare, non solo
educando i propri figli ma anche vigilando sui loro comportamenti.
Per definire una strategia ottimale di prevenzione e di contrasto, le
esperienze acquisite e le conoscenze prodotte vanno contestualizzate alla luce
dei cambiamenti che hanno profondamente modificato le società sul piano etico,
sociale e culturale e ciò comporta una valutazione ponderata delle procedure da
adottare per riadattarle in ragione di nuove variabili, assicurandone in tal
modo l’efficacia.”
Gli attivisti anti-gender parlano invece, con tono accorato, di un’aggressione perversa dei pro-gender per corrompere i nostri figli fin dalla
scuola.
Avendo sposato un’insegnante statale e conoscendo
quindi piuttosto bene il mondo della scuola pubblica, posso testimoniare e
garantire che nulla di simile si sta progettando nella scuola statale. Educare a non discriminare gli altri su base sessuale è un altro discorso, è la Costituzione della Repubblica, la legge suprema dello stato, alla quale gli insegnanti statali, come anche tutti gli insegnanti delle scuole paritarie, anche quelle gestite da enti religiosi, come, infine, tutti i cittadini, devono obbedienza. Ci mancherebbe altro che un genitore potesse opporsi all'insegnamento ai suoi figli dei principi fondamentali di cui all'art.3 della Costituzione, secondo il quale:
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando difatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."
L’idea,
attribuita all’ideologia gender, che
ognuno possa riuscire effettivamente a costruirsi
a piacimento, secondo il suo capriccio, la propria identità sessuale è
piuttosto bislacca. Ma in effetti non è
questo, se ho ben capito, che sostengono i movimenti per i diritti civili delle
persone omosessuali. Ognuno, comprese le persone omosessuali, ha l’identità
sessuale che si ritrova al termine di un processo fisiologico e psicologico su
cui in genere si ha poca possibilità di influire e che, quindi, in questo
senso, è naturale. Il problema sorge
quando a una persona viene negato di manifestare ed esprimere, anche in una
relazione umana adeguata e corrispondente, l’identità sessuale che si ritrova.
Quando una persona, per l’identità sessuale che si ritrova, è presa in giro,
offesa, colpita, emarginata o esclusa in società, considerata dannosa, fin da
molto piccola, fin dalle scuole. E questo solo perché la sua identità sessuale non
corrisponde a determinati modelli ritenuti
normativi in società, non perché sia realmente dannosa per la società, o pericolosa per il benessere fisico o psicologico, l'incolumità, la vita e la sicurezza delle altre persone con cui entra in relazione. Posta così la questione, l’evoluzione storica sul tema
mostra una sua coerenza: in Occidente si va dalla discriminazione all’integrazione.
Questa dinamica riguarda anche l’integrazione razziale e delle donne ed è in
corso nel mondo Occidentale dall’Ottocento. Corrisponde ad una conquista
culturale faticosa ma ormai molto radicata nei nostri popoli, anche tra le
persone evangelizzate e ancora religiose. I tentativi di contrastarla sono
destinati al fallimento, a meno di una improbabile ripresa di regimi di tipo
fascista, che storicamente, ultimi in Europa il franchismo spagnolo e il
salazarismo portoghese, veicolarono la discriminazione su base sessuale,
appoggiati in ciò da correnti clericali o, comunque, proponendo anche
motivazioni di tipo religioso. Se però c’è effettivamente un complotto gender la cosa prende un
aspetto diverso. La situazione si
rovescia: invece di maggioranze che aggrediscono
minoranze per discriminarle, come
avvenne storicamente con gli ebrei europei e i neri nel Continente americano,
ci sarebbe una minoranza perversa che aggredisce per
corromperla la nostra società.
Quella che diversamente sarebbe violenza discriminatoria sessista, un'aggressione discriminatoria contro una minoranza sociale appunto, prende, in questa particolare prospettiva, l’aspetto
di una difesa contro un’aggressione di una minoranza guidata da un'ideologia perversa, il malvagio gender, per di più portata
contro persone in formazione, contro i fanciulli e gli adolescenti affidati
alla scuola pubblica, meno capaci di difendersi, di reagire. Ecco dunque la
necessità di una reazione dei loro genitori.
I
reazionari di ogni epoca hanno storicamente motivato le peggiori nefandezze con
l’esigenza di difesa sociale. La nostra gerarchia religiosa, nei secoli
passati, è stata sempre in prima fila in questo, fino ad epoca molto recente,
quando le democrazie occidentali le hanno sottratto il potere di vita e di
morte sulla gente. I nostri capi religiosi ci hanno infine guidati a
pentircene, a promettere di non ricaderci. Ma sembra che, al dunque, non sia
sempre così facile tenere fede ai solenni impegni presi.
Per contrastare le istanze di integrazione sociale e di libertà, si è sempre sostenuta l'esigenza di evitare la contaminazione, l'inquinamento, del popolo da parte di genti di razze e culture diverse, per proteggerlo da loro. Imbastardimento, lo ha chiamato un politico del Nord Italia, l'altro giorno. Questa idea era parte dell’ideologia sudista nella guerra di secessione dagli
Stati Uniti d’America nell’Ottocento, ma anche del razzismo nazifascista e lo è delle ideologie che oppongono indù e islamici nel Continente indiano. Nella stessa ottica si muovevano
la millenaria Inquisizione cattolica e il sistema sovietico di polizia
ideologica. Argomenti simili furono e sono portati contro i progressi nell’integrazione
egualitaria delle donne nelle nostre società. E fondamentalmente stanno anche,
non vi pare?, alla base dell’ideologia
anti-gender. Con la differenza che, in quest’ultimo caso, l’ideologia gender
non si sa bene dove stia e chi la stia inoculando in società. Nemmeno gli antigender sanno dircelo chiaramente. “Quelle visioni e intenzioni che vengono chiamate
«ideologia gender», ahinoi, anche in Europa non sono un’illusione, ma una
pretesa sempre più assillante”, ha scritto su Avvenire di ieri Marco Tarquinio, ma mi sarebbe
piaciuto che avesse precisato in che cosa l’ideologia
geneder differisce dalla mera
pretesa di non subire discriminazioni sociali su base sessista con il divieto
di manifestare ed esprimere l’identità sessuale che una persona si
ritrova e dove la possiamo
trovare esposta programmaticamente (io non lo so).
Propongo l'ipotesi che ci si stia scagliando contro quella che, a questo
punto, non emergendo indizi affidabili della sua reale esistenza, andrebbe
definita la fantomatica ideologia gender, in quanto, giustamente, ci si vergogna di chiamare il nemico con il suo vero nome:
le
persone omosessuali. Dopo averle tanto a lungo oppresse come malvagie, perverse,
peccatrici irredimibili e, più di
recente, malate, ora di questo abbiamo iniziato
a vergognarci. Riteniamo sconveniente manifestare in pubblico l’idea che queste
persone inquinino veramente la nostra
società, anche quando, in fondo, lo pensiamo. Lo sappiamo bene (e questa è una nostra recente conquista culturale) che quella è una
cosa ingiusta e quindi, ora, sosteniamo di voler accettare e accogliere di buon grado le persone omosessuali nelle
nostre collettività religiose, purché però reprimano e nascondano la loro identità sessuale e vivano quindi in una specie di stato di penitenza permanente. Neghiamo loro quel diritto alla ricerca della felicità che fu considerato tanto importante dai padri
fondatori della grande democrazia statunitense da inserirlo nella loro Dichiarazione di Indipendenza. Quel diritto alla ricerca della felicità che invece rivendichiamo per noi. I nostri
capi religiosi sembrano pensarla ancora così. Non riescono ad andare oltre,
sostengono. La loro teologia, un sistema concettuale da loro stessi ideato,
sembra frenarli. Vorrebbero e non
vorrebbero. Vorrebbero che si diventasse diversi, ma il peso del passato, di tutto ciò che ora
andrebbe ripudiato ma che pesa come un magigno nelle loro biblioteche, e la paura di non riuscire a governare il cambiamento, li atterra. Io, che non sono un teologo e
che non ho avuto in sorte di essere un capo religioso, non so come aiutarli a
uscirne. Osservo però che bisogna uscirne. Non c’è dubbio. E non lo faremo insistendo su questa storia del gender. Perché la sostanza della discriminazione sociale contro le persone omosessuali non cambia. Urliamo contro il gender, ma è contro di loro che ce l'abbiamo. E sarebbe già molto grave che lo facessimo solo in religione, in tal modo allontanando dalla fede le persone discriminate. Ma pretendiamo di farlo imponendo la nostra volontà anche nel fare le leggi della Repubblica. Ci mettiamo di traverso, facciamo lobby. Cerchiamo di far concordare la Costituzione con le nostre idee discriminanti, mentre essa le condanna apertamente, chiaramente. Ci inventiamo di sana pianta la famiglia costituzionale, che sarebbe quella come la vogliamo noi in religione. E la laicità dello Stato, principio costituzionale supremo del nostro ordinamento civile? A tutte le altre famiglie, che ci sono, che chiedono di essere riconosciute come famiglie, sbattiamo la porta in faccia. Che si arrangino. Facciano da sé, si organizzino. Per noi non sono famiglie. Sosteniamo sempre di essere in minoranza nella società italiana, ma, se questo è vero, bisogna riconoscere che siamo una minoranza veramente molto combattiva, tanto che finora siamo riusciti a imporre la nostra volontà, di minoranza, alla maggioranza dei concittadini su tante questioni, sulle unioni civili, sui diritti delle persone omosessuali, sulle faccende procreative, sulla scuola privata, sul finanziamento pubblico alle nostre organizzazioni religiose, sulla tassazione dei proventi delle attività degli enti religiosi e su altro ancora.
Infine c’è un aspetto della polemica anti-gender che mi preoccupa molto: il regolamento di conti nelle nostre collettività religiose con il pretesto della lotta al malvagio gender. L’ideologia anti-gender si avvia ad
essere un fattore di discriminazione anche al loro interno, volendosene fare, detto in ecclesialese, una specie di nuovo criterio di ecclesialità e di comunione.
Certo, ad esempio, io e la piazza di San Giovanni di sabato scorso la pensiamo
molto diversamente e, aggiungo, non c’è effettivamente alcuna possibilità di
intesa tra me e quelle persone là che si basi sul mantenimento di discriminazioni ingiuste contro
le persone omosessuali. Ma non sono papa e non mi permetto di scomunicarli, né pretendo che lo siano, quelli di quella piazza là, anche se da quel palco ho sentito dire cose che mi
hanno veramente indignato. Critico le loro idee ma continuo a rimanere insieme a loro nel gregge. Ma respingerei al mittente le scomuniche che mi
venissero da loro o su loro sollecitazione o addirittura pretesa per il mio dissenso sulla questione gender e, più in genere, sui temi della famiglia. Non è infatti, quello loro, l’unico modo di essere persone di
fede nella nostra società. Di questo sono fermamente convinto.
Da cittadino della Repubblica e credente mi
dichiaro, sul tema dei diritti civili delle persone omosessuali, dalla parte
della nostra Costituzione, nella cui
stesura i cattolici ebbero un ruolo tanto importante, della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea, della Convenzione Europea per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo, della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle
Nazioni Unite, della nostra Ministra dell’Istruzione e anche, lasciatemelo
dire, della Corte Suprema degli Stati
Uniti d’America. E in questo non vedo nulla che contrasti con la mia fede
religiosa.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli