Fede, miti, neuroscienze
A metà
maggio concluderemo le riunioni infrasettimanali del nostro gruppo parrocchiale
di Azione Cattolica, fino alla ripresa a ottobre. Questo però non significherà la cessazione di
tutte le altre attività.
Ma quali sono?
C’è chi pensa che se un gruppo non si riunisce
cessa di esistere. E’ come quando si valutava la fede di una popolazione
parrocchiale dal numero delle particole distribuite alla Comunione nelle messe domenicali.
E’ un criterio superficiale.
La fede è una manifestazione della vita di
una persona ed è sempre un fatto sociale, oltre che interiore. Quindi è costante,
non viene mai meno finché c’è vita cosciente. Non ne parlo qui come fanno i
teologi, con le loro particolari categorie. Mi limito a constatare ciò che di
fatto di essa si può percepire, dentro di sé e nelle proprie relazioni. Non
dipende da quanto spesso ci si incontra, anche se non si manifesta se non nelle
relazioni. Tuttavia queste non necessariamente devono essere attuali.
Rimaniamo persone di fede anche quando non ci
si incontra il martedì e il sabato e lo rimaniamo con quelle particolari
caratteristiche che si acquisiscono progressivamente in Azione Cattolica.
Il sociologo austriaco Peter Ludwig Berger (1929-2017),
il quale si dedicò molto allo studio scientifico del fatto religioso, ne parlò
come di un brusio.
Molte persone fanno ormai riferimento, ad esempio,
a questo blog, che è uno dei modi in cui continuiamo a esercitare relazioni
nel tempo in cui non ci riuniamo in parrocchia. Sono disponibili oltre 3.000 post,
il primo pubblicato il 1 gennaio 2012. Forniscono una guida elementare per
conquistare, negli affari sociali, vale a dire nel campo d’elezione dell’Azione
Cattolica, una mentalità e costumi che consentano
di esprimere i valori cristiani con metodi e secondo principi democratici, in
una democrazia avanzata come quella italiana. E’ una parte di quel brusio.
Il cristianesimo democratico è cosa
che non rientra in genere nella formazione religiosa di base. I preti, con qualche
eccezione, non l’hanno nel proprio curriculum di studi, sebbene molto lungo, impegnativo,
vasto. Una formazione in questo campo la si fa solo in alcuni ambienti, come l’Azione Cattolica, gli universitari
cattolici, il MEIC e pochi altri. Altrove prevale lo spiritualismo devozionale
o colto, che in società lascia il tempo che trova.
Ciò che consente quel brusio di cui scriveva Berger è il mito.
Una definizione di mito che ho trovato molto
completa è questa, che si trova in Esodo
dello storico ed egittologo tedesco Jan Assman, Adelphi 2023 (l’originale
in tedesco è del 2015), anche in e-book e Kindle, ed è la seguente:
“E’
proprio dei miti essere raccontati di continuo e in sempre nuove versioni. Essi
hanno la capacità di fondare e di spiegare la vita, e gettano luce su
situazioni ed esperienze cui conferiscono
senso e orientamento.
I miti sono nuclei narrativi, la cui multiforme
elaborazioni aiuta le società, i gruppi e anche i singoli individui a costruirsi
un’identità, ossia a capire chi sono e qual è il loro mondo, così come a
dominare situazioni complesse e crisi esistenziali”.
[dall’Introduzione]
Le religioni, anche la nostra come l’antico
giudaismo da cui prese origine, sono sostanzialmente complessi di miti, e di
riti su di essi organizzati. Nei cristianesimi, su di quei miti e connessi riti
si sono costruite complesse architetture culturali a sfondo filosofico e
giuridico nelle quali consistono le loro teologie. Di natura diversa sono fatte
le discipline che si occupano di esegesi biblica e che sono lo strumento più affidabile
per decrittare quei miti, insieme all’antropologia.
Non dobbiamo confondere il mito con la favola,
l’illusione, nel senso di racconti di pura fantasia, quindi sostanzialmente irreali.
Se fossero tali, non ci servirebbero. E invece servono: ci sono indispensabili per
spiegare il senso di ciò che ci
accade. Per questo la creazione di miti e la modificazione di quelli correnti,
e qualche volta il loro abbandono, sono continui in ogni ambito del pensiero
umano.
I miti, tuttavia, non descrivono
realisticamente le relazioni di causa ed effetto. Definisco realistico
ciò che può essere osservato
criticamente nella natura intorno e, se possibile, replicato. I miti vengono,
però, organizzati sulla base dell’esperienza di vita, per darle senso. Finché
riescono a svolgere questa funzione non vengono abbandonati. Corrispondono
anche a percezioni interiori. In questo campo le neuroscienze procedono
rapidamente dandoci spiegazioni sorprendenti.
Recentemente è stato pubblicato anche in italiano
un libro in cui se ne parla: di Anil Seth, Come il cervello crea la nostra
coscienza, Raffaello Cortina editore 2023, anche in e-book e Kindle.
Secondo questa prospettiva, ciò che definiamo
coscienza è un prodotto della nostra fisiologia. Ma è più del senso del
sé, quale tutti noi percepiamo. Tutta la realtà come ci appare è una
creazione della nostra fisiologia, una interpretazione dei segnali sensoriali
che i nostri neuroni, confinati nella scatola cranica, ricevono dall’esterno. Una
interpretazione che è costantemente corretta alla luce di quei segnali
sensoriali. Sotto questo punto di vista, il mito non ha consistenza diversa da
ogni altra percezione, ma variano i criteri per correggerne l’interpretazione. Questo
spiega la persistenza di miti antichissimi, come quelli relativi alla Creazione,
anche se le spiegazioni correnti sui rapporti di causa/effetto non sono più compatibili con quelle che vennero
impiegate per costruirli. Si tratta di concetti controintuitivi, come, osserva
Seth, è diventata ad esempio molta parte della fisica contemporanea più
avanzata.
Ecco come Seth prova a renderne un’idea accessibile al largo
pubblico:
“Immaginate, per un momento, di essere il
vostro cervello.
Provate, davvero, a pensare com’è lassù,
sigillati dentro la volta ossea del cranio, cercando di capire cosa vi sia all’esterno,
nel mondo. Non vi è luce, né suono, niente – è completamente buio e vi è un
assoluto silenzio. Quando tenta di dar forma alle percezioni, tutto quello che
il cervello ha a disposizione è il continuo fuoco di fila dei segnali elettrici
che solo indirettamente si riferiscono alle cose che si trovano fuori, nel
mondo, quali che siano. Gli input sensoriali non arrivano con sopra etichette
del tipo: ‘vengo da una tazza di caffè’, ‘vengo da un albero’. E neppure si
presentano con etichette che specificano di che modalità sono – se sono visivi,
uditivi, tattili o di altre modalità sensoriali meno familiari come la
termocezione (il senso della temperatura) o la propriopercezione (il senso
della posizione del corpo).
Com’è che il cervello trasforma questi
segnali sensoriali, che sono intrinsecamente ambigui, in un mondo percettivo
coerente, ricco di oggetti, persone e luoghi? In questa seconda parte del libro
esploreremo l’idea che il cervello sia una ‘macchina predittiva’ e che quello
che vediamo, sentiamo, proviamo altro non è che la ‘migliore ipotesi’ che il
cervello fa circa le cause dei suoi input sensoriali. Seguendo questa idea sino
in fondo, vedremo che i contenuti di coscienza sono una sorta di sogno a occhi
aperti -un’allucinazione controllata- che è al contempo di più e di meno di
qualunque cosa il mondo reale davvero sia.”
Ogni persona si interroga costantemente sul senso
della propria vita. In questo si relaziona costantemente con quella parte
di società in cui è immerso e alla quale è collegato e che costituisce il suo
criterio di controllo delle proprie percezioni. In questo lavoro, assumendo la terminologia
di Seth, formula delle predizioni e così facendo agisce sui miti e produce
percezioni. Lo fa dal momento in cui si sveglia a quello in cui si addormenta e
anche quando, nel sonno, sogna. E sappiamo bene l’importanza che hanno, nei
miti religiosi, i sogni.
In
religione ci diamo molta importanza, a motivo della coscienza che percepiamo in noi stessi. Seth, tuttavia, non
è convinto della nostra eccezionalità in questo. Del resto usa una definizione
di coscienza che è molto diversa da quella corrente nel senso comune. Ma,
a prescindere da ciò, ritiene che stati propriamente di coscienza si manifestino
anche in altri viventi, e, in particolare, in quelli che biologicamente ci sono
più vicini, come gli altri mammiferi.
Tuttavia la fisiologia della nostra mente ci
consente relazioni sociali particolarmente complesse, e anche l’organizzazione
dei miti, che non si manifesta nei gruppi degli altri animali sociali, neanche quelli geneticamente più vicini a noi, vale a
dire i gorilla e gli scimpanzé.
E’ in questo continuo ragionare sul senso
della vita attraverso i miti religiosi che consiste ciò che chiamiamo spiritualità:
persiste anche se non ci si incontra purché ci si riesca a percepire ancora in relazione, così come in genere ci si
pensa riguardo ai propri cari che non sono più.
Questo blog vorrebbe costituire un aiuto in questo.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli