Primo
Maggio 2023
Il
Primo Maggio è la Festa dei lavoratori, non del lavoro. E’ una festa
socialista.
Così
ne ricorda l’istituzione l’Enciclopedia Treccani on line:
L'origine di questa ricorrenza proviene dagli Stati Uniti ed è legata
alle lotte sindacali per il diritto alla giornata lavorativa di 8
ore. Il 1° maggio del 1886, in occasione del 19° anniversario
dell'ottenimento di una legge sulle 8 ore istituita
nello Stato dell'Illinois, fu indetto, da parte dei sindacati
americani dei lavoratori, uno sciopero generale. A Chicago si tenne una grande
manifestazione per celebrare questo importante risultato conseguito in materia
di diritti dei lavoratori. Durante questa manifestazione avvennero dei
violenti scontri di piazza con morti e feriti sia tra i manifestanti sia tra le
forze dell'ordine. La notizia di quei sanguinosi eventi scosse il mondo
intero e in molti paesi, negli anni successivi, si tennero manifestazioni per
ricordare le vittime e per rivendicare i diritti dei lavoratori.
Al Congresso internazionale di Parigi del 1889, dove fu istituita la Seconda internazionale socialista, venne
scelta quella data come Festa internazionale dei lavoratori e, da allora,
questa ricorrenza fu celebrata in molti paesi.
In Italia le manifestazioni dedicate a tale festa cominciarono
l'anno successivo e continuarono fino al 1923, anno in cui le 8 ore lavorative
diventarono legge con un regio decreto. Durante il ventennio fascista la
festività venne anticipata al 21 aprile con la denominazione Natale di Roma -
Festa del lavoro, per essere poi ripristinata alla fine
della guerra come giornata festiva.
Da allora, ogni anno, si svolgono grandi manifestazioni pubbliche, in
particolare a Roma, a piazza S. Giovanni in Laterano, con un concerto,
organizzato dai sindacati e trasmesso in diretta televisiva.
Data l’origine socialista della ricorrenza,
per lavoratori dobbiamo intendere
ciò che i socialisti chiamavano proletari, che sono coloro che dipendono
da altri per lavorare, vale a dire i lavoratori dipendenti.
Verso la fine del Settecento, in
Europa si cominciarono ad organizzare intorno alle città i primi complessi
industriali in cui la produzione avveniva mediante lavoratori addetti a
macchine. La gente iniziò quindi a concentrarsi nei centri industriali dove
viveva miseramente e in ambienti malsani. Proprietari delle fabbriche erano i
capitalisti, vale a dire coloro che vi avevano investito risorse proprie
comprando le macchine, le materie prime, assumendo i lavoratori, organizzando
la produzione e il commercio dei prodotti, e lucrando gran parte dei ricavi
che, al netto delle spese, costituivano
i loro profitti. Tra le spese vi erano anche i salari dei lavoratori. Questi
ultimi vennero trattati al pari degli altri fattori del processo produttivo,
quindi si cercò di comprimerne il costo e di estenderne l’attività in fabbrica.
Ciò significò ridurre i salari e prolungare l’orario di lavoro. Dall’Ottocento
in Inghilterra e poi nel corso del secolo e successivamente anche nell’Europa
continentale vennero promosse legislazioni che limitavano lo sfruttamento del
lavoratori. Elemento essenziale di questo processo fu la pressione politica
degli stessi lavoratori, che presto seguì
quella economica organizzata dai sindacati dei lavoratori. Principale
strumento di pressione dei sindacati fu lo sciopero, l’astensione
volontaria e collettiva dal lavoro. I
capitalisti reagivano alle pretese di miglioramento delle condizioni di lavoro
con i licenziamenti. La solidarietà tra i lavoratori consentiva di resistervi,
convincendo i capitalisti a cedere pur di ritornare a produrre. Il Primo Maggio
si festeggia appunto quella solidarietà. La corrispondente pressione politica è
il socialismo. Il socialismo si sviluppò da quel sindacalismo.
La prima enciclica della
dottrina sociale contemporanea cattolica, la Le novità – Rerum novarum deliberata
nel 1891 dal papa Gioacchino Pecci, regnante in religione come Leone 13°, di
tutto ciò ebbe piena consapevolezza. Vi leggiamo, proprio all’inizio:
Comunque sia, è chiaro, ed in ciò si accordano tutti,
come sia di estrema necessità venir in aiuto senza indugio e con opportuni
provvedimenti ai proletari, che per la maggior parte si trovano in assai misere
condizioni, indegne dell'uomo. Poiché, soppresse nel secolo passato le corporazioni
di arti e mestieri, senza nulla sostituire in loro vece, nel tempo stesso che
le istituzioni e le leggi venivano allontanandosi dallo spirito cristiano,
avvenne che poco a poco gli operai rimanessero soli e indifesi in balda della
cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza. Accrebbe il male un'usura
divoratrice che, sebbene condannata tante volte dalla Chiesa, continua lo
stesso, sotto altro colore, a causa di ingordi speculatori. Si aggiunga il
monopolio della produzione e del commercio, tanto che un piccolissimo numero di
straricchi hanno imposto all'infinita moltitudine dei proletari un gioco poco
meno che servile.
Quell’enciclica, tuttavia,
condannò duramente il socialismo. Fondamentalmente perché rifiutava la
dimensione della lotta per il progresso sociale delle masse che gli è
connaturata. Pur constatando realisticamente il conflitto di classe, vale a
dire la situazione per cui i capitalisti cercavano di comprimere i diritti dei
lavoratori per ridurre il costo del lavoro e i
lavoratori cercavano invece di organizzarsi per migliori condizioni di lavoro, dipendendo
ciò da come l’economia della produzione e del commercio era organizzata, in
particolare per essere nelle mani dei capitalisti, vale a dire dei proprietari
privati, riteneva possibile una composizione delle controversie facendo appello
ai sentimenti umanitari e religiosi dei capitalisti, senza che fosse toccata la
proprietà privata, vista come un diritto naturale voluto dal Cielo. Sotto
questo aspetto prendeva a modello il lavoro dell’artigiano e il tipo di
organizzazione dell’economia che si era praticato nel Medioevo europea, con le
corporazioni, così definite dal vocabolario
Treccani on line:
Nell’ordinamento medievale, e fino al secolo 18°,
complesso di persone che, svolgendo una comune attività economica, si univano
per la tutela degli interessi e per il conseguimento di fini comuni: corporazioni
di arti e mestieri; la corporazione dei mercanti, dei
professionisti.
All’epoca tra i cristiani
europei si erano sviluppate organizzazioni di solidarietà tra i lavoratori che
recepivano alcune pratiche del sindacalismo socialista, per assistere i
lavoratori e le loro famiglie nella malattia e nella disoccupazione, e, innanzi
tutto, il proposito di migliorare le condizioni di lavoro dei proletari. Un
movimento che si fece assai vasto, da cui poi si sviluppò ciò che chiamiamo cristianesimo
sociale e poi il cristianesimo
democratico, quest’ultimo scomunicato dallo stesso papa Pecci con
un’enciclica del 1901, la Delle gravi discussioni - Sulle questioni
economiche – Graves de communi re. Il testo è pubblicato sul portale
vatican.va solo in inglese e francese
ma con il traduttore automatico di Google potrete facilmente ottenere il
testo in italiano, così come ora faccio per rendervi il periodo iniziale di
quel documento:
Le gravi
discussioni su questioni economiche che da tempo hanno turbato la pace di
diversi paesi del mondo stanno crescendo in frequenza e intensità a tal punto
che le menti degli uomini riflessivi sono piene, giustamente, di preoccupazione
e allarme. Queste discussioni traggono origine dal cattivo insegnamento
filosofico ed etico che è ormai diffuso tra la gente. I cambiamenti, inoltre,
che le invenzioni meccaniche dell'epoca hanno introdotto, la rapidità della
comunicazione tra i luoghi e gli espedienti di ogni genere per diminuire il
lavoro e aumentare il guadagno, tutto aggiunge asprezza al conflitto; e,
infine, le cose sono state portate a tal punto dalla lotta tra capitale e
lavoro, fomentata com'è da agitatori professionisti.
Nella
considerazione degli autori di quell’enciclica (che, come tutte le encicliche
sociali contemporanee, fu un lavoro collettivo, diffuso sotto l’autorità
papale) i socialisti erano agitatori
professionisti, portatori di un cattivo insegnamento filosofico ed etico.
Certamente il socialismo marxista (dal pensiero del filosofo e rivoluzionario
tedesco Karl Marx -1818-1883), che nella seconda metà dell’Ottocento prevalse
su tutti gli altri orientamenti socialisti, aveva anche idee antireligiose ed
era fortemente anticlericale, considerando la religione un imbroglio per tenere
le masse lavoratrici sotto dominio capitalista e le Chiese come organizzazioni
schierate con quest’ultimo. Ma bisogna dire che a quell’epoca il Papato era
pervicacemente antidemocratico e assolutista, come in gran parte è tuttora, e
intendeva essere obbedito nel dettaglio anche negli affari della questione
sociale, vale a dire del conflitto tra le classi, tuttavia non disponendo
delle risorse culturali necessarie, in particolare di una comprensione
realistica dei fatti economici.
Può sembrare strano per noi
italiani, la cui politica per circa cinquant’anni è stata dominata da un partito democratico
cristiano, ma uno dei primi e maggiori ideatori del movimento della democrazia
cristiana, il prete marchigiano Romolo Murri, venne scomunicato nel 1909,
regnante il papa Giuseppe Sarto, Pio 10°.
Questo orientamento condusse
nel 1929 il Papato, regnante il papa Achille Ratti, Pio 11°, al disonorevole
compromesso con il Mussolini, Duce del fascismo italiano, concluso con i Patti
Lateranensi, da cui avemmo la Città del Vaticano, che tanti grattacapi ci sta
dando e nella quale i cattolici entrano da stranieri.
Va anche ricordato che,
nonostante le espropriazioni conseguite alla costituzione del Regno d’Italia,
ad orientamento liberale, nel 1861 e poi, nel 1870, alla soppressione del regno
dei Papi nell’Italia centrale, lo Stato Pontificio, la Chiesa era rimasta una
grande proprietaria immobiliare e terriera, e le riparazioni economiche
riconosciute con quel Patti incrementarono ulteriormente le sue ricchezze.
Era quindi fatale una certa consonanza con i capitalisti.
L’antisocialismo e anche
l’anticristianesimo democratico caratterizzò marcatamente la politica del
papa Karol Wojtyla, regnante dal 1978 al
2005 come Giovanni Paolo 2°. Il cristianesimo democratico fu invece
costantemente praticato e promosso dall’Azione Cattolica italiana fino ai
giorni nostri: esso tuttavia è divenuto praticamente ininfluente nella politica
italiana, seguendo in questo le sorti dei socialismi italiani. E tuttavia
personalità provenienti dal cristianesimo democratico rimangono ancora molto
considerate in Italia e occupano posti di responsabilità. La più nota e
autorevole è il Presidente dalla Repubblica Sergio Mattarella, che l’altro ieri
sul Primo Maggio ha tenuto un eccezionale discorso sul Primo Maggio,
spiegandone il vero senso.
Nel 1955 papa Eugenio Pacelli,
regnante come Pio 12°, volle istituire nel giorno del Primo Maggio la festa di
San Giuseppe artigiano, nel decennale dalla prima udienza accordata ai vertici delle ACLI –
Associazioni cristiane del lavoratori italiani, costituite l’anno precedente
(nel 1970 aderirono al movimento socialista). In un discorso tenuto il Primo
Maggio 1955, spiegò il senso della decisione.
Quante
volte Noi abbiamo affermato e spiegato l'amore della Chiesa verso gli operai!
Eppure si propaga largamente l'atroce calunnia che « la Chiesa è alleata del
capitalismo contro i lavoratori »! Essa, madre e maestra di tutti, è sempre particolarmente
sollecita verso i figli che si trovano in più difficili condizioni, e anche di
fatto ha validamente contribuito al conseguimento degli onesti progressi già
ottenuti da varie categorie di lavoratori. Noi stessi nel Radiomessaggio
natalizio del 1942 dicevamo: « Mossa sempre da motivi religiosi, la Chiesa
condannò i vari sistemi del socialismo marxista, e li condanna anche oggi,
com'è suo dovere e diritto permanente di preservare gli uomini da correnti e
influssi, che ne mettono a repentaglio la salvezza eterna. Ma la Chiesa non può
ignorare o non vedere che l'operaio, nello sforzo di migliorare la sua
condizione, si urta contro qualche congegno, che, lungi dall'essere conforme
alla natura, contrasta con l'ordine di Dio e con lo scopo che Egli ha assegnato
per i beni terreni. Per quanto fossero e siano false, condannabili e pericolose
le vie, che si seguirono; chi, e soprattutto qual sacerdote o cristiano,
potrebbe restar sordo al grido, che si solleva dal profondo, e il quale in un
inondo di un Dio giusto invoca giustizia e spirito di fratellanza? » (Discorsi
e Radiomessaggi, vol. IV pag. 336- 337).
[…]
Sì, diletti lavoratori; il Papa e la Chiesa non possono sottrarsi alla
divina missione di guidare, proteggere, amare soprattutto i sofferenti, tanto
più cari, quanto più bisognosi di difesa e di aiuto, siano essi operai o altri
figli del popolo.
Questo dovere ed Impegno Noi, Vicario di Cristo, desideriamo di
altamente riaffermare, qui, in questo giorno del 1° maggio, che il mondo del
lavoro ha aggiudicato a sé, come propria festa, con l'intento che da tutti si
riconosca la dignità del lavoro, e che questa ispiri la vita sociale e le
leggi, fondate sull'equa ripartizione di diritti e di doveri.
In tal modo accolto dai lavoratori cristiani, e quasi ricevendo il
crisma cristiano, il 1° maggio, ben lungi dall'essere risveglio di discordie,
di odio e di violenza, è e sarà un ricorrente invito alla moderna società per
compiere ciò che ancora manca alla pace sociale. Festa cristiana, dunque; cioè,
giorno di giubilo per il concreto e progressivo trionfo degli ideali cristiani
della grande famiglie del lavoro.
Affinché vi sia presente questo significato,
e in certo modo quale immediato contraccambio per i numerosi e preziosi doni,
arrecatici da ogni regione d'Italia, amiamo di annunziarvi la Nostra
determinazione d'istituire — come di fatto istituiamo — la festa liturgica di
S. Giuseppe artigiano, assegnando ad essa precisamente il giorno 1° maggio.
Gradite, diletti lavoratori e lavoratrici, questo Nostro dono? Siamo certi che
sì, perché l'umile artigiano di Nazareth non solo impersona presso Dio e la S.
Chiesa la dignità del lavoratore del braccio, ma è anche sempre il provvido
custode vostro e delle vostre famiglie.
Si volle,
sostanzialmente, cristianizzare una festa che, per altro, essendo festa della
solidarietà tra i miseri per l’agàpe, era già sostanzialmente cristiana all’origine. La si
pose sotto l’insegna di una figura tutto sommato marginale per il vangelo, vale a dire quella
di san Giuseppe, che nelle narrazioni evangeliche viene indicato come carpentiere,
vale a dire un artigiano, uno che si procurava da vivere con l’arte delle sue
mani, non sfruttando il lavoro altrui, né proprie rendite. Però nel Primo
secolo il fenomeno del proletariato, al quale la Festa dei Lavoratori è legata,
era molto di là da venire. E non consta
che il santo abbia manifestato una qualche solidarietà, salvo che verso la
propria famiglia. E’ invece proprio nel vangelo che possono essere rintracciate
le origini etiche della solidarietà tra i lavoratori.
Ne fu
consapevole quello che viene spesso considerato come il più grande teologo del
Novecento, il pastore e professore protestante riformato Karl Barth (1886-1968)
che esercitò una notevole influenza anche tra i cattolici.
Di
Barth vi segnalo un libretto che potrebbe esservi d’ispirazione nella giornata
del Primo Maggio: è pubblicato con il titolo Poveri diavoli da Marietti
1820 nel 2019 , anche in e-book e Kindle. E’ il testo di una conferenza che
Barth tenne il 17 dicembre 1911 a Safenwilnell’Argovia svizzera, dove era
giovane pastore, al locale circolo operaio.
Barth
nel 1915 si iscrisse al Partito socialdemocratico svizzero e nel 1931 al
Partito socialista svizzero.
Leggiamo in quel testo:
«Il socialismo è un
movimento dal basso verso l’alto. Durante la discussione che è seguita alla mia
ultima conferenza, qualcuno ha detto “Noi siamo il partito dei poveri
diavoli”. Se guardo a voi qui davanti a me, questa affermazione mi sembra
un tantino esagerata; voi stessi non la prenderete troppo alla lettera. Ma sia
io che voi ne comprendiamo il senso. Il socialismo è il movimento di coloro che
non sono indipendenti sul piano economico, di colore che in cambio di un
salario lavorano per un altro, un estraneo; è il movimento del proletariato,
come lo si chiama nei libri. Il proletario non è necessariamente povero, ma
nella sua esistenza è necessariamente dipendente dalle possibilità economiche e
dalla buona volontà di colui che gli dà il pane, il padrone della fabbrica. E’
qui che interviene il socialismo: esso è e vuole essere un movimento
proletario. Esso vuol rendere indipendenti coloro che non lo sono, con tutte le
conseguenze che ciò può comportare per la loro esistenza materiale, morale e
spirituale. Non possiamo sostenere che anche Gesù si sia impegnato precisamente
su questo punto, già semplicemente per il fatto che duemila anni fa non
esisteva ancora un proletariato nel senso moderno del termine, non essendovi
ancora le fabbriche. Tuttavia chiunque legga senza pregiudizi il Nuovo
Testamento, dovrebbe restare colpito che ciò che Gesù è stato, ha voluto, e ha
ottenuto, considerato da un punto di vista umano, era esattamente un movimento
dal basso. Egli stesso proveniva da uno dei ceti più umili del popolo
ebraico di quel tempo. Vi ricorderete certamente del racconto di Natale e della
mangiatoia di Betlemme. Suo padre faceva il carpentiere in un angolo sperduto
della Galilea, e lo stesso mestiere ha fatto anche Gesù stesso, tranne che nei
suoi ultimi anni di vita. Gesù non era un pastore, non era un parroco, era un
operaio. Giunto al trentesimo anno di età, ha appeso al chiodo i suoi arnesi e
ha cominciato a girovagare da una località all’altra perché aveva qualcosa da
dire agli uomini. Ma anche allora la sua posizione è stata completamente
diversa da quella di un pastore dei nostri giorni. Noi pastori dobbiamo essere
a disposizione di tutti, di chi sta in alto e di chi sta in basso, dei ricchi e
dei poveri, e la nostra personalità spesso soffre di questa duplice faccia
della nostra professione. Gesù si sentiva inviato ai poveri, agli umili, questo
è uno dei dati più indiscutibili che ricaviamo dalla storia del vangelo. Il
senso della sua attività si riassume in una frase, nella quale sentiamo ancora
oggi ardere il fuoco di un’autentica sensibilità sociale: “Vedendo il popolo si
commosse, perché erano come pecore senza pastore” (Mc 6,34) Talvolta leggiamo
anche che gli si sono accompagnati dei ricchi, ma se pure non si sono tirati
indietro, dopo un breve momento di entusiasmo, come il giovane ricco (Mt
19,16-22) – e aveva le sue buone ragioni per farlo - costoro facevano parte della sua cerchia come
ospiti, piuttosto che essere veramente legati a lui. […] Quello di cui era
portatore era un lieto annuncio ai poveri, al popolo dei dipendenti e degli
incolti: “Beati voi poveri, perché vostro è il regno dei cieli” (Lc 6,20). “Il
più piccolo fra voi tutti diventerà il più grande” (Lc 9,48). “Guardatevi dal disprezzare uno
solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono
sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli” (Mt 18,10). Queste parole non
possono essere interpretate come parole consolatorie pronunciate da un
filantropo con tono di condiscendenza. […] Gesù stesso si è comportato in
questo modo: egli ha scelto i suoi amici tra i pescatori del lato di Galilea,
tra i pubblicani al servizio dei romani, sospettati da tutti, addirittura tra
le prostitute delle città di mare. Nella scelta dei propri compagni non si può
scendere verso il fondo della scala sociale più di quanto abbia fatto Gesù. Per
lui, nessuno si trovava troppo in basso o contava troppo poco. Lo ripeto: non
si trattava di una sussiegosa compassione dall’alto verso il basso, ma
dall’esplosione di un vulcano dal basso verso l’alto. Non sono i poveri ad
avere bisogno di compassione, ma i ricchi, non i cosiddetti “senza Dio”, ma gli
uomini pii.
[…]
Il cristianesimo forse in nessun suo aspetto
si allontanato tanto dallo spirito del suo signore e maestro come appunto in questa valutazione
del rapporto tra spirito e materia, tra esteriorità e interiorità, tra cielo e
terra. Si può dire a buon diritto: per 1.800 anni, di fronte alla miseria
sociale, la Chiesa ha costantemente rinviato allo spirito, alla vita interiore,
al cielo. Essa ha predicato, convertito, consolato, ma non è stata d’aiuto. In ogni tempo di fronte alla miseria sociale
essa ha raccomandato l’aiuto, quale opera buona dell’amore cristiano, ma non ha
osato dire che questo aiuto è la buona opera, non ha detto che la miseria
sociale non deve esistere; né ha conseguentemente impegnato tutta la sua forza su questo non deve esistere; essa si è trincerata
dietro a una parola di Gesù male interpretata ed estrapolata dal suo contesto:
“I poveri li avrete sempre con voi” (Gv 12,8), ha accettato la miseria sociale
come un semplice dato di fatto, parlando in compenso dello spirito, coltivando
la vita interiore e preparando candidati per il Regno dei cieli. Questa è la
grande, grave defezione della Chiesa cristiana, la defezione dal Cristo. Quando
poi è arrivata la socialdemocrazia col suo vangelo del paradiso in terra,
questa Chiesa ha osato ergersene a giudice, accusando di disprezzare lo
spirito.»
In
America Latina, a partire dall’assemblea di Medellin (Colombia), nell’agosto –
settembre 1968, del Consiglio Episcopale Latinoamericano si manifestò un’altra
linea per affrontare con spirito religioso la questione sociale, senza negare
il conflitto di classe, che è nelle cose, dipende dall’organizzazione della
produzione e del commercio nell’economia capitalista, e cercando di dare una giustificazione evangelica
all’impegno sociale e politico nelle organizzazioni dei lavoratori per il miglioramento
delle condizioni di lavoro e, più in generale, per un riequilibrio delle
disparità sociali in modo da consentire una più larga condivisione del
benessere. Venne descritta come opzione preferenziale [della Chiesa]
per i poveri, espressione che, a prescindere da come venne interpretata e
vissuta, è criticabile sotto più punti di vista e, in particolare, perché presuppone
che possa esistere una Chiesa cristiana che debba scegliere di schierarsi per i poveri, nel senso di
prendere parte per chi ha la peggio nel conflitto sociale, e che, quindi, possa
essere realmente Chiesa fondata sul vangelo anche quella che una scelta simile
non faccia. Inoltre vi era un qualche paternalismo nell'idea di una Chiesa che patrocina la causa dei poveri; del resto la cosa venne teorizzata in ambito episcopale. Di fatto questo orientamento, praticato nelle comunità di base come esperienza di lavoratori che si liberano dall'oppressione economica e politica attivandosi come collettività protagonista della storia, portò verso posizioni socialiste e,
per questo, venne duramente combattuto durante il lungo regno del papa Karol Wojtyla,
Giovanni Paolo 2°. Da quell’esperienza ecclesiale viene l’attuale papa, il papa
Francesco. Si tratta di una visione che è molto lontana da quella del cristianesimo
democratico europeo, in particolare proprio nell’affrontare il tema della
democrazia, vissuta con sospetto nella Chiesa dell’opzione preferenziale per i
poveri. D’altronde, in America latina i regimi democratici insediati ad imitazione
di quello statunitense ebbero spesso carattere antipopolare.
Dunque:
la Festa dei lavoratori come celebrazione della solidarietà sindacale e
politica dei lavoratori, intesi come quelli che dipendono economicamente da
altri nel loro lavoro.
A che punto è la forza solidale dei movimenti
dei lavoratori? Ecco qui abbiamo molti problemi.
Molte
delle funzioni previdenziali che furono esercitate da metà Ottocento dal
sindacalismo socialista e cristiano ora sono svolte da istituzioni pubbliche, ad
esempio le assicurazioni per le malattie e gli infortuni sul lavoro e le
pensioni. Ancora vigono in tutta Europa leggi che limitano lo sfruttamento dei
lavoratori, con particolare riguardo alle lavoratrici e ai più giovani e
impongo cautele per limitare gli infortuni sul lavoro. Ma negli ultimi decenni
lo sfruttamento illegale di ampi settori dei lavoratori è ripreso imponente e
la disciplina antinfortunistica è ampiamente disattesa in alcuni comparti di
produzione, come nell’edilizia. Così come si è registrata una costante
diminuzione del potere d’acquisto delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti
a fronte di un parimenti costante incremento dei profitti d’impresa, anche nei
periodi di crisi economica. In questi ultimi la legislazione vigente consente
ai capitalisti di sganciarsi rapidamente dalle fabbriche, lasciandone solo lo
spoglie sul terreno. Il sistema della finanza globale consente ai capitalisti
di trasferire rapidamente le proprie risorse, anche in sistemi politici che
negano assistenza alle autorità nazionali che vogliano inseguirli per ottenere
il pagamento dei tributi e di ciò che spetta a chi è rimasto senza lavoro.
E’ un
fenomeno che è con tutta evidenza legato alla crisi del socialismo europeo prodottasi a cavallo tra gli anni ’80 e
’90. Ne ha scritto in modo molto convincente il sociologo polacco Zygmunt
Bauman, che a lungo insegnò in un’università inglese [consiglio il suo Modernità
liquida, edito in italiano da Laterza, anche in e-book e Kindle]: si è
accreditata in tutto l’Occidente la mentalità secondo la quale ogni persona
deve salvarsi da sé e, se non ci riesce, non merita e quindi se si trova
in miseria ha ciò che gli spetta. In questo contesto la solidarietà è vista con
sospetto, come un voler barare facendosi forza con il numero. E’
progressivamente venuta meno la solidarietà nel mondo dei lavoratori. Anche
perché le lavorazioni più usuranti sono state in gran parte trasferite in Asia,
per risparmiare sul costo del lavoro. Gran parte dei beni di uso comune anche
tra i nostri lavoratori vengono da laggiù e costano meno. Così i lavoratori
europei lucrano anche loro sui bassi salari in Oriente e i loro salari
mantengono un certo potere d’acquisto a spese dei lavoratori di laggiù. Alla
lunga, però, l’ingiustizia della cosa rifluirà anche su di loro. In particolare
per l’affermarsi di macchine operatrici intelligenti, vale a dire
controllate da sistemi computazionali basati sulle reti neurali, nell’industri.
Così nella fabbriche ci saranno sempre più macchine e sempre meno lavoratori, sostituiti dalle prime, le
quali, a differenza delle persone, sono di proprietà dei capitalisti. Così,
sembra che ci siano meno motivi di far festa, per i lavoratori, ai tempi
nostri. Averli disuniti conviene sempre
al capitalista. Il forte prevale sempre sul debole: è la crudele legge di
natura, che il socialismo volle bilanciare contrapponendo alla forza del
capitale la forza del numero.
Che
faranno allora per vivere tutti i proletari? E come si sostenterà il
sistema capitalista quando ci sarà molto meno gente che potrà comprare? Un
problema politico. E influenzare la politica richiede pur sempre quel movimento
dal basso del quale scrisse Barth.
Nelle
economie capitaliste avanzate contemporanee i lavoratori sono anche i consumatori
e senza questi ultimi il capitalismo non può esistere. Oggi l’economia è
controllata dal ceto dell’1% della popolazione mondiale che controlla i fattori
della produzione, ma i suoi profitti dipendono dal mantenimento di una larga
platea di consumatori. Il consumatore è tale perché ha mezzi economici per
comprare sul mercato dei beni di consumo e li ricava in gran parte dal lavoro
dipendente. La sostituzione delle persone nei processi produttivi ridurrà il
numero dei lavoratori e anche la loro capacità di consumo. Quindi è da
prevedersi, in mancanza di misure di riorganizzazione politica dell’economia,
una grave crisi dell’economia capitalista.
Fino
ad oggi e nell’economia capitalista globalizzata i risparmi sul costo del
lavoro sono stati realizzati trasferendo le produzioni dove i salari erano più
bassi. Questo processo tende fatalmente a uniformare i salari a livello
mondiale. E’ appunto ciò che è avvenuto anche in Italia dagli scorsi anni ’90: il
potere d’acquisto dei salari dei lavoratori si è costantemente ridotto. Oggi in
Italia il costo del lavoro è basso e, ciononostante, in Asia è ancora più basso,
e questo in un’epoca in cui i profitti d’impresa sono costantemente cresciuti.
Questo ha portato, lo segnalano da tempo economisti e sociologi, a una
eccezionale concentrazione della ricchezza in poche mani. E sembra che le
misure di benessere pubblico conquistate dagli scorsi anni Sessanta dagli Europei
occidentali, il cosiddetto Stato del benessere – Welfare state, siano
diventate un costo economicamente insostenibile, tanto che vengono ciclicamente
attenuate. Qualcosa di simile verrà deliberato proprio oggi dal Governo italiano,
nel giorno della Festa dei lavoratori.
Per
correggere questa situazione non basta più la solidarietà tra lavoratori a
livello nazionale, o anche europeo. Data la globalizzazione dell’economia
capitalista, servirebbe organizzare una solidarietà a livello mondiale: una
dimensione della solidarietà che non è mai stata attuata prima d’ora, anche se
fu teorizzata dai socialismi, con il motto “Lavoratori di tutto il mondo
unitevi!”.
Per
realizzarla occorre anche una nuova coscienza come consumatori, per contrastare
la diffusione di prodotti basati sullo sfruttamento intenso dei lavoratori in
regimi politici che ne bloccano l’azione politica.
Dunque, quando
ci si raduna nel giorno del Primo Maggio si fa festa innanzi tutto per
celebrare questo essere insieme con propositi solidali di iniziativa sindacale
e politica per il miglioramento delle condizioni di chi, isolato, avrebbe la
peggio nel conflitto sociale. E’ la festa dell’essere compagni, termine
che ci viene dal latino e che etimologicamente evoca l’idea di condividere il
pane. Un gesto che ha un significato molto forte anche per i cristiani, perché
è al centro del rito dell’Eucaristia. I primi cristiani si chiamavano tra loro
proprio così, compagni, in greco κοινωνόι,
che si legge koinonòi, quelli che mettono in comune qualcosa, come nella
Seconda lettera ai Corinti, capitolo 8, versetto 23: “Quanto a Tito,
egli è mio compagno e collaboratore presso di voi; quanto ai nostri fratelli,
essi sono delegati delle Chiese e gloria di Cristo.”
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San
Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli