Domenica delle Palme
La Domenica prima di quella di Pasqua la chiamiamo Domenica
delle Palme. Dà inizio alla Settimana Santa che si concluderà Sabato
prossimo, Sabato Santo. La liturgia venne riordinata nel 1955 sotto il
Papato di Pio 12°. Voleva indurre una più ampia partecipazione del popolo. Si
fa una processione che si vuole dedicata a Cristo re. La teologia del Cristo
re venne sviluppata e utilizzata durante il Papato di Pio 11° in polemica
contro tutti i movimenti che si opponevano all’assolutismo papale e anche contro
il cattolicesimo democratico, che all’inizio
del suo manifestarsi, a cavallo tra Ottocento e Novecento fu combattuto
addirittura come eretico.
Anche
da noi oggi si è fatta quella processione. Da circa trent’anni si seguono gli
usi del movimento fondamentalista che da allora si radicò nella parrocchia. Si fanno i loro canti e li si fanno ad alto
volume utilizzando amplificatori. Quindi certamente non si passa inosservati
nel quartiere. Non mi pare che questo abbia contribuito alla nostra popolarità.
Fino a quando, da scout, frequentai la vicina parrocchia degli Angeli Custodi,
a piazza Sempione, la si faceva diversamente, seguendo di più la tradizione che
in Italia si era formata in questa cosa.
Ci si richiama all’episodio evangelico dell’ultimo
arrivo del Maestro a Gerusalemme, quando si narra che fu acclamato da una folla
festante che usava fronde di alberi per fargli come un tappeto e sventolava
rami di palma. Viene narrato in tutti e
quattro i Vangeli (Mt 21,1-11; Marco 11,1-11; Lc 19,28-40; Gv 12,12-19). Lo sventolare
i rami di palma viene narrato però solo nel Vangelo secondo Giovanni.
Tutto quel clamore gli costò la vita. Per le
autorità romane che dominavano la Palestina dell’epoca era un agitatore sociale,
per le autorità religiose giudaiche un reo di blasfemia.
La gente che lo acclamava quel giorno aveva
delle aspettative su di lui, che però erano fondate sul messianismo che a quell’epoca pervadeva l’antico
giudaismo. In questa cultura il Messia, che significa unto, nel senso di investito
di una missione sacra, era pensato come un re straordinario, capace di dare
pace, prosperità, libertà agli israeliti. Tuttavia nei Vangeli si narrano
parole del Maestro dalle quali risulta che egli non volle essere questo.
Nel quadro della festa cristiana, a volte
pensiamo che il Maestro sia stato acclamato dalla gran parte della gente che si
trovava a Gerusalemme, e ce n’era anche molta che veniva da fuori per la vicina
festa della Pasqua giudaica, ma le Scritture non mi pare ci autorizzino a
farlo. Così come non ci autorizzano a pensare che, di li a poco, quando egli fu
condotto avanti a Ponzio Pilato, Procuratore romano che governava la Giudea per conto dell’imperatore,
il Cesare, per essere giudicato, la folla che i Vangeli narrano abbia
invocato la sua morte fosse composta da tutta o almeno dalla maggior parte degli ebrei della
città. In effetti tutti i primi
seguaci del Maestro rimasero giudei per diversi decenni e il distacco dei
cristiani dall’antico giudaismo fu drammatico.
Chi acclamiamo quando facciamo la processione
dalla Domenica della Palme? Acclamiamo il Figlio, secondo la nostra teologia, e
in questo non impersoniamo la gente che
sventolava le palme, acclamandolo come Messia, parole che nel greco
antico venne tradotta con Cristo, al suo arrivo in città. Ma, d’altra
parte, lo acclamiamo anche come
re universale in questo mondo. E’
la teologia del Cristo re. E in questo, effettivamente, facciamo un po’
come quella gente là. In questo, però, siamo destinati ad andare delusi. Perché
il suo regno non è di questo mondo, come ci disse. Dirlo ai tempi del
papa Pio 11° poteva costare caro, anche se è un detto evangelico. Essenzialmente
perché la questione implica anche l’estensione e l’effettività del potere del Papa, come Vicario. I Papi storicamente
vollero essere anche sovrani in grado
di comandare su tutte le potenze di questo mondo. Adesso è diverso, anche
se nel Codice di diritto canonico c’è ancora l’imposizione del potere papale
come assoluto e immediato. La realtà, lo sappiamo bene, è molto
diversa: i Papi sono come prigionieri nella fortezza vaticana che, alla fine di
una durissima controversia con gli italiani, ebbero dal fascismo mussoliniano
in loro dominio esclusivo e definitivo. Sono prigionieri del loro ruolo e della
corte che li attornia, specialmente poi quando si fanno molto vecchi. E la loro
è una sorta di condanna a vita, dalla quale finora nessuno di loro è mai
riuscito a liberarsi realmente, anche dopo aver rinunciato al loro potere. Così,
probabilmente, sarà anche per il nostro Francesco, e l’ha capito bene. Non
tornerà mai più nella sua Argentina, tra quella gente che è veramente sua, che
abbandonò dieci anni fa.
Ci si mise molto a mettersi in qualche modo d’accordo
su chi fosse realmente il Maestro, ma poi si continuò a discuterne. Oggi
le cose vanno meglio, almeno tra le grandi confessioni storiche. Ma le attese
della gente sono ancora le più varie.
Nella Settimana Santa ci si prova a
rifletterci sopra.
Il culmine della prova è il Venerdì santo,
che sarà venerdì prossimo, quando cerchiamo di rivivere lo sgomento dei suoi
seguaci quando lo videro ucciso e sepolto. Un mondo senza di lui. Naturalmente
è solo liturgia, e già si prevede di celebrare la Resurrezione, nel terzo
giorno.
Ma la morte non è solo liturgia, per ogni persona
è un’esperienza reale, che le sta intorno e davanti. La morte che priva tutto
di senso, a meno che non le si dia un senso.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli