Dov’è l’antifascismo nella nostra
Costituzione?
(21-4-23)
L’altro
ieri è stato autorevolmente detto che nella nostra Costituzione l’antifascismo
non c’è.
Non si può condividere questa idea.
La Costituzione entrò in vigore il 1 gennaio
1948 e fu deliberata il 22 dicembre 1947, dopo lavori iniziati il 25 giugno 1946,
da un organismo apposito, l’Assemblea
Costituente, eletto, per la prima volta con il voto delle donne italiane, il
2 giugno 1946. I suoi membri erano nella massima parte espressione dei partiti
politici che avevano combattuto nella guerra di Resistenza per abbattere il
regime fascista mussoliniano. Questa è la ragione per la quale quella
Costituzione fu disegnata per essere l’esatto contrario di quel regime, del
quale al 1° comma della 12° Disposizione finale vietò la ricostituzione.
Lo è fin dal primo articolo, che istituì una
repubblica democratica animata da
un popolo di eguali. Il fascismo mussoliniano era duramente contrario
alla democrazia e infatti, rapidamente, l’abbatté. Prima del 1946, le ultime
elezioni nazionali democratiche, sebbene pesantemente condizionate dalla violenza
dello squadrismo fascista, furono quelle del 1924.
Per il fascismo mussoliniano le persone non erano
uguali: propugnava infatti una concezione gerarchica della politica e dello Stato. Dello Stato
fascistizzato Benito Mussolini, il Duce, era il demiurgo autocrate, superiore a tutti
senza dipenderne. Nell’ideologia, si trattava di uno stato assolutista. Di
fatto il fascismo storico, quello sviluppatosi in Italia dopo la Prima guerra mondiale e
abbattuto il 25 aprile 1945, era molto meno coeso di come proclamava di essere,
e lo si vide nel modo in cui il suo Duce venne deposto, da un organismo
costituzionale fascista, il Gran Consiglio del Fascismo, il 25 luglio
1943.
La Repubblica post-fascista (anche il fascismo mussoliniano
ne aveva costituita una propria dal 22 settembre 1943 nel Centro e Nord Italia,
dopo che il Mussolini era stato liberato da dove era stato recluso a Campo
Imperatore, sul Gran Sasso) si distingueva dal Regno d’Italia fascistizzato e
dalla Repubblica fascista per non essere riservata alle persone di una delle
etnie storicamente stanziate in Italia. Vietò infatti di distinguerle secondo la
razza (oggi diciamo etnia, perché l’idea di razza non ha più corso nelle scienze e rimane
utilizzata solo in politica), la lingua, la religione. Il fascismo
mussoliniano fu invece geneticamente, quindi fin dalle origini, razzista, del razzismo che permeava anche molti
altri stati europei, che, con vari argomenti, consideravano le proprie etnie
nazionali superiori a tutte le altre. Anche i nazisti hitleriani lo furono
(disprezzavano su quella base anche gli italiani) ma basandosi molto più su una
mitologia organizzata sulla stirpe in senso naturalistico che sulla cultura etnica. I non tedeschi
di stirpe vennero considerati sub-umani da asservire ai tedeschi e, se
infestanti, da eliminare come parassiti. L’orrore della sostituzione etnica nasce fondamentalmente da lì.
La Costituzione volle anche persone libere,
vietando di discriminarle secondo le loro opinioni politiche o le loro condizioni
personali e sociali. Insomma vietò tutto ciò che il regime
fascista mussoliniano considerò essenziale per definire il proprio cittadino. Il
regime fascista condannava quel tipo di libertà perché la considerava un fattore
di debolezza nazionale. Vagheggiava la rigenerazione degli italiani riunendoli
in un fascio e scagliandoli in guerre
di rapine contro altri popoli, facendo conto del numero (ecco perché cercò di
incentivare le nascite, per altro ottenendo, dicono le statistiche dell’epoca,
scarsissimi risultati).
La Costituzione volle persone realmente partecipi
alla politica e impegnò, al secondo comma dell’art.3, le autorità della Repubblica a rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale che di fatto quella partecipazione ostacolano:
il regime fascista voleva invece che fossero solo ubbidienti al volere degli
autocrati, i gerarchi fascisti con a capo di tutti e di tutto il suo Duce.
Osservo incidentalmente che parlare di sostituzione etnica,
come anche si è fatto in questi giorni, nel senso di sentirsi tenuti a contrastare,
come regime istituzionale, l’integrazione
tra noi di gente di altre etnie, lingue e religioni, come se essa togliesse
alla Repubblica qualcosa di imprescindibile, è palesemente incostituzionale,
perché l’Italia disegnata dalla Costituzione non è fatta solo per le etnie storicamente
stanziate nel suo territorio. Tutt’altra
cosa sono le misure economiche e le altre provvidenze per agevolare la formazione
delle famiglie, con particolare riguardo alle famiglie numerose, e la protezione
della maternità, prevista dall’art. 31 della Costituzione: anche qui è vietata
la discriminazione per etnia, lingua, religione. Insomma, se si decide di
aiutare le famiglie, non può farsi questione del colore della pelle o della
lingua o della religione o di altri elementi culturali. In particolare poi dopo che l’Italia si è
integrata nell’Unione Europea.
Infine la questione della guerra. Obbedire
e combattere era uno dei principali motti del fascismo mussoliniano. La
guerra era, nella sua concezione, non solo fonte di arricchimento a spese di
altri popoli, rapinandoli con la violenza delle loro ricchezze, ma anche un
modo di rafforzare le stirpi italiche, costringendole ad assuefarsi alla
mentalità gerarchica e alla violenza e portando all’eliminazione fisica dei
deboli e degli inetti, secondo un brutale darwinismo sociale per il quale
solo i forti e i capaci avevano il diritto di sopravvivere. La Costituzione,
all’art.11, dichiara di ripudiare questa mentalità, che il fascismo
considerava essenziale nella propria visione e nei propri propositi.
Insomma, dobbiamo concludere che, piuttosto di
cercare il termine antifascista nella
Costituzione, bisogna prendere atto che la nostra Costituzione è l’antifascismo.
Non assume una posizione agnostica in merito.
Infatti vieta tutto ciò che per il fascismo
mussoliniano era fondamentale. E anche, e per sempre, la ricostituzione di quel
regime.
Purtroppo un residuo di quel regime è rimasto
anche nella nostra Costituzione ed è l’art.7, che fece salvi i disonorevoli Patti
Lateranensi conclusi l’11 ottobre 1929,
nel Palazzi del Laterano (da cui il nome), dal Papato romano con il Regno d’Italia ormai
interamente fascistizzato, rappresentato in quell’occasione personalmente dal
Capo del governo Mussolini.
A
seguito di quei Patti la nostra Azione Cattolica si fascistizzò quasi
integralmente, tranne i rami intellettuali degli universitari cattolici, la
FUCI, e del Movimento dei Laureati Cattolici. Si produsse il clerico-fascismo,
che, secondo gli auspici del Mussolini, cercò di combinare, in Italia, ideologia fascista e cattolicesimo.
A questo tentativo risale il motto fascista e blasfemo Dio-Patria-Famiglia.
Perché blasfemo? Perché mette sullo stesso piano il Dio cristiano, da un lato,
e la Patria e la Famiglia dall’altro. Il clerico-fascismo è un lascito del
fascismo mussoliniano che sopravvisse alla caduta di quest’ultimo e ciclicamente
si manifesta. Ricordo che i capi democristiani se ne lamentarono fino all’ultimo.
La responsabilità di avervi aperto la strada
grava sul papa Pio 11°, sotto il cui regno vennero conclusi i Patti Lateranensi.
A quel tempo la nostra Chiesa era molto più assolutista di adesso in Italia e
si faceva ciò che il Papa ordinava. Ed egli ordinò di collaborare con il
fascismo mussoliniano, in particolare con l’organizzazione corporativa dell’economia
che il regime stava costituendo allora e che distrusse la libertà sindacale. Egli
definì il Mussolini come l’uomo che la Provvidenza gli aveva fatto incontrare, e che con
quei Patti gli aveva consentito
di porre fine alla durissima controversia con il Regno d’Italia chiamata Questione
romana, perché apertasi quando le truppe italiane avevano posto fine allo
Stato Pontificio, il 20 settembre 1870, privando il Papato, in particolare,
della sovranità sulla città di Roma.
Faticosamente il papa Pio 12°, attivando anche
l’Azione cattolica, riuscì a liberarsi dalla morsa del clericofascismo, resosi
conto che, contrariamente alle aspettative del Papato nel concludere quei Patti,
il Mussolini non si sarebbe mai sottomesso al Papa e si attendeva invece la
fascistizzazione dei cattolici italiani (obiettivo che fu raggiunto in gran
parte). Il Papa allora ordinò all’Azione Cattolica di organizzare una nuova
democrazia, cosa che fu fatta, in collaborazione con il socialismo e il liberalismo
nazionali. Quel Papa stesso in un suo storico radiomessaggio approvò quella
collaborazione. La nostra Costituzione, piena di principi tratti direttamente
dalla dottrina sociale, ne è il risultato.
Il 25
aprile è una festa nella quale si festeggia anche la Costituzione, la
base della nostra libertà politica.
E’ una festa non una commemorazione di defunti, anche se si
deve fare memoria veritiera dei fatti dai quali originò: la degenerazione
fascista e il riscatto antifascista. E’ una festa dei vivi, se si può ancora
constatare che la libertà deliberata con la Costituzione vive tra noi. La Liberazione
è un lavoro che è sempre in corso. E’ una festa che certamente divide dal fascismo, da quello storico caduto il 25
aprile 1945 ma anche da quello che ancora ci pervade, in genere sotto specie di
clericofascismo. In questo senso, come scrisse il grande giurista Piero
Calamandrei, la nostra Costituzione è in polemica con la nostra società
contemporanea, in ciò che ancora in essa contrasta con l’idea di libertà che i costituenti,
e tra loro per la prima volta tante donne, nel 1947 deliberarono e promossero.
Poiché la nostra storia religiosa si
intrecciò così strettamente con il
regime fascista mussoliniano, è importante cercare di mantenere, e se possibile
di estendere, la consapevolezza di ciò che il fascismo fu e voleva.
In questi anni sono uscite molte opere
divulgative in merito, anche scritte da valenti e affermati storici.
Ho letto qualcosa e, un po’ di tempo
addietro, cercai di farne una sintesi per il nostro gruppo di AC. Ve la
ripropongo di seguito, sperando che possa ancora esservi utile.
Vi auguro un buon 25 aprile di libertà e dignità.
Ora e sempre Resistenza!, come scrisse Piero Calamandrei in questa
epigrafe:
Lo avrai/
camerata Kesserling/
il monumento che pretendi da noi italiani/
ma con che pietra si costruirà/
a deciderlo tocca a noi/
non coi sassi affumicati/
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio/
non colla terra dei cimiteri/
dove i nostri compagni giovinetti/
riposano in serenità/
non colla neve inviolata delle montagne/
che per due inverni ti sfidarono/
non colla primavera di queste valli/
che ti vide fuggire/
ma soltanto col silenzio dei torturati/
più duro d’ogni macigno/
soltanto con la roccia di questo patto/
giurato fra uomini liberi/
che volontari si adunarono/
per dignità non per odio/
decisi a riscattare/
la vergogna e il terrore del mondo/
su queste strade se vorrai tornare/
ai nostri posti ci ritroverai/
morti e vivi collo stesso impegno/
popolo serrato intorno a un monumento/
che si chiama/
ora e sempre/
resistenza.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli
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Fascismo storico e neofascismi
0. Poiché
l’argomento è tornato d’attualità in
questi giorni, ripubblico alcuni interventi sul tema del fascismo storico e
dei neofascismi. Il primo è quello che
visse nella società italiana, finendo per egemonizzarla a lungo, dal 1914 al
1945; i secondi sono i movimenti che in Italia attualmente al primo esplicitamente si richiamano,
adottandone in particolare i simboli e, in parte, la mentalità e proponendosi
di farne il proprio modello di azione politica. La differenza dal fascismo
storico è tuttavia molto rilevante e piuttosto evidente per chi abbia
sufficiente sensibilità storica. Il fascismo storico aveva una grande
considerazione per l’Italia e gli italiani, vi vedeva una civiltà superiore
destinata ad espandersi in Europa e intorno al bacino del Mediterraneo, ma
anche più in là. I neofascismi di oggi, in genere, pensano agli italiani come
ad un popolo da proteggere da influenze straniere, in una specie di riserva, un po’ come si fece, e ancora si
fa, per i nativi nord-americani. Chiunque arrivi tra noi, da dovunque arrivi,
fosse anche dalle regioni più depresse dell’Africa, è visto come in grado di
minacciare l’integrità della società italiana, che quindi è considerata come un
realtà debole, a carattere recessivo, un po’ come qui a Roma, nei nostri
parchi, le popolazioni degli scoiattoli rossi europei di fronte all’invasione
di quelli grigi di importazione americana. Solo che questi ultimi sono
effettivamente più forti, mentre per sconvolgere le etnie italiane basterebbe
anche gente che viene da noi spinta unicamente dalla propria disperazione.
1. In un programma di
formazione alla politica che si faccia in Italia occorre affrontare il tema del
fascismo storico, quello che iniziò a aggregarsi già nel 1914, per promuovere
l’entrata dell’Italia nella Prima guerra mondiale, esplosa in Europa nel luglio
di quell’anno tra Germania, Austria, Turchia, da una parte, e Francia,
Inghilterra, Russia e Serbia, dall’altra, quello che fu sconfitto come regime
politico nel 1945, prolungando il suo influsso ideologico anche in epoca
repubblicana in esperienze politiche e sindacali che in qualche modo vi si
richiamarono, sia pure in un contesto di accettazione del metodo democratico.
E’
però un tema difficile per un cattolico, perché il Papato, la Chiesa italiana,
che negli anni Venti e Trenta molto più di oggi era controllata dal Papato, e i
cattolici italiani vi furono molto coinvolti. Le relazioni con il fascismo
storico, la sua ideologia e le sue organizzazioni furono molto profonde.
Entrambe le parti ne uscirono in parte trasformate. L’integrazione tra
ideologia fascista e cultura religiosa diede vita ad un modo di pensare che fu
tramandato di generazione in generazione, come accade per i fatti religiosi,
sopravvisse alla fine del fascismo storico, e pervade tuttora la società
italiana, anche se non se ne è sempre consapevoli. Può essere questa la ragione
dell’interesse della gente per il fascismo?
Segnalo come fonti affidabili sul fascismo le voci dell’enciclopedia Treccani
on line
http://www.treccani.it/enciclopedia/fascismo/
e
http://www.treccani.it/enciclopedia/benito-mussolini/
L’ideologia del fascismo storico ebbe al suo centro l’idea della guerra come
mezzo per la rigenerazione della nazione italiana, vista come centro di una
grande civiltà destinata ad espandersi nel mondo. Dal punto di vista del
militante era molto importante il proposito di sacrificarsi per
la Patria. Si tratta di modi di pensare estranei, in genere, a quelli di oggi.
Anche tra i gruppi che al fascismo storico esplicitamente oggi si richiamano.
L’Africa fu molto importante per il fascismo storico, che vi guidò gli italiani
in una serie di conflitti sanguinosi e costosi per lo stato dal 1922 al 1932 in
Libia e dal 1935 al 1936 in Etiopia. Era assolutamente assente l’idea di usare
la violenza per impedire agli africani di venire in Italia. Il fascismo, anzi,
si propose di costruire un impero multinazionale esteso anche in Africa, sul
modello dell’antico impero romano, e ciò avrebbe comportato necessariamente
l’integrazione tra popoli e culture.
Era assente dall’ideologia del fascismo storico la paura dei migranti, per la
ragione che, quando conquistò il potere, gli italiani erano da tempo un popolo
di migranti, sia verso gli altri stati europei, sia verso posti molto più
lontani, come le Americhe o l’Australia.
Un elemento molto importante dell’ideologia fascista fu quello di proporsi di
pacificare d’autorità i conflitti sociali tra lavoratori dipendenti e
imprenditori, impegnando direttamente lo stato in questo e attuando un vasto
programma di provvidenze sociali. Pacificare con le buone o con le cattive,
anche con la violenza di piazza, attuata mediante apposite squadre di
combattenti che agivano nel contesto civile. Lo squadrismo degli
inizi fu poi trasformato in un'istituzione dello stato, in una vera
e propria milizia pubblica. Tutto questo, però,
non tanto avendo la giustizia sociale come obiettivo finale, ma per avere un
popolo di soldati, e di madri e spose di soldati, da scagliare nelle guerre di
conquista per realizzare un impero. Si pensava che le risorse per
sostenere questo programma sarebbero derivate da quelle conquiste, in
particolare colonizzando l’Africa, vale a dire
trasferendovi gli italiani lavoratori. Questo programma piacque agli
imprenditori italiani che temevano gli sviluppi del socialismo rivoluzionario,
che aveva conquistato la Russia con la rivoluzione bolscevica del 1917. Anche
in Italia, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, si erano manifestate
agitazioni di tipo rivoluzionario promosse da formazioni socialiste, che
avevano impaurito in particolare i grandi proprietari terrieri e i
maggiori industriali. Questi ultimi pensavano anche di beneficiare dalle guerre
progettate dal fascismo, che avrebbero richiesto ingenti mezzi da commissionare
all'industria nazionale.
Il programma di guerre del fascismo prometteva ricchezze a tutti, ai più ricchi
e ai più poveri. La pervasiva propaganda del regime convinse gli italiani. Il
fascismo generò un sistema politico-istituzionale totalitario, nel
senso che pretendeva di controllare tutte le manifestazioni della società
italiana. In questo poteva trovare un ostacolo nella Chiesa cattolica, che da
molti anni stava conducendo un programma di riforma sociale in Italia. Di
fatto, nella seconda metà degli anni ’20 si venne ad un’intesa, che si
manifestò, in particolare nella conclusione dei Patti Lateranensi nel
1929. In base ad essi la politica in Italia doveva essere riservata alle
istituzioni promosse dal regime. Nel 1931 per qualche mese si ebbero contrasti
tra le organizzazioni fasciste e quelle cattoliche, che presto furono risolti
nel senso indicato dal Concordato, quella parte dei Patti
Lateranensi che riguardava la condizione della Chiesa italiana
nello stato. Dai Patti Lateranensi il Papato ebbe di
nuovo un suo piccolo regno a Roma, denominato Città del Vaticano,
e ingenti pagamenti a titolo di risarcimenti per la guerra che gli era stata
mossa nel secolo precedente e che aveva portato alla fine dello Stato
pontificio.
Il
fascista cattolico divenne il modello del cittadino esemplare. Alcuni elementi
dell’ideologia fascista passarono nella cultura cattolica, ad esempio nel campo
della famiglia e della condizione della donna. Anche la Chiesa si presentava
come un faro di civiltà, ma, a differenza del fascismo, lo era veramente stata
storicamente. Il fascismo era invece un’esperienza culturale molto giovane: si
giovò sicuramente del lustro che gli derivava dal riconoscimento che
all’epoca fu fatto dal Papato del suo carattere provvidenziale nella
storia nazione.
Il documento che produsse maggiormente questo effetto fu, oltre ai Trattati
lateranensi, l’enciclica Quadragesimo Anno - Il Quarantennale, diffusa
nel 1931 dal papa Achille Ratti, Pio 11° in religione, nella quale leggiamo:
«92.
Recentemente, come tutti sanno, venne iniziata una speciale organizzazione
sindacale e corporativa, la quale, data la materia di questa Nostra Lettera
enciclica, richiede da Noi qualche cenno e anche qualche opportuna
considerazione.
93.
Lo Stato riconosce giuridicamente il sindacato e non senza carattere
monopolistico, in quanto che esso solo, così riconosciuto, può rappresentare
rispettivamente gli operai e i padroni, esso solo concludere contratti e patti
di lavoro. L'iscrizione al sindacato è facoltativa, ed è soltanto in questo
senso che l'organizzazione sindacale può dirsi libera; giacché la quota
sindacale e certe speciali tasse sono obbligatorie per tutti gli appartenenti a
una data categoria, siano essi operai o padroni, come per tutti sono
obbligatori i contratti di lavoro stipulati dal sindacato giuridico. Vero è che
venne autorevolmente dichiarato che il sindacato giuridico non escluse
l'esistenza di associazioni professionali di fatto.
94.
Le Corporazioni sono costituite dai rappresentanti dei sindacati degli operai e
dei padroni della medesima arte e professione, e, come veri e propri organi ed
istituzioni di Stato, dirigono e coordinano i sindacati nelle cose di interesse
comune.
95.
Lo sciopero è vietato; se le parti non si possono accordare, interviene il
Magistrato.
96.
Basta poca riflessione per vedere i vantaggi dell'ordinamento per quanto
sommariamente indicato; la pacifica collaborazione delle classi, la repressione
delle organizzazioni e dei conati socialisti, l'azione moderatrice di une
speciale magistratura. Per non trascurare nulla in argomento di tanta
importanza, ed in armonia con i principi generali qui sopra richiamati, e con
quello che inibito aggiungeremo, dobbiamo pur dire che vediamo non mancare chi
teme che lo Stato si sostituisca alle libere attività invece di limitarsi alla
necessaria e sufficiente assistenza ed aiuto, che il nuovo ordinamento
sindacale e corporativo abbia carattere eccessivamente burocratico e politico,
e che, nonostante gli accennati vantaggi generali, possa servire a particolari
intenti politici piuttosto che all'avviamento ed inizio di un migliore assetto
sociale.
97.
Noi crediamo che a raggiungere quest'altro nobilissimo intento, con vero e
stabile beneficio generale, sia necessaria innanzi e soprattutto la benedizione
di Dio e poi la collaborazione di tutte le buone volontà. Crediamo ancora e per
necessaria conseguenza che l'intento stesso sarà tanto più sicuramente
raggiunto quanta più largo sarà il contributo delle competenze tecniche, professionali
e sociali e più ancora dei principi cattolici e della loro pratica, da parte,
non dell'Azione Cattolica (che non intende svolgere attività strettamente
sindacali o politiche), ma da parte di quei figli Nostri che 1'Azione Cattolica
squisitamente forma a quei principi ed al loro apostolato sotto la guida ed il
Magistero della Chiesa; della Chiesa, la quale anche sul terreno più sopra
accennato, come dovunque si agitano e regolano questioni morali, non può
dimenticare o negligere il mandato di custodia e di magistero divinamente
conferitole.»
Il papa Ratti realizzò nel 1923 una riforma dell’Azione Cattolica che ne
accentuò il suo carattere religioso, a scapito di quello politico,
accentrandone ulteriormente nel Papato e nei vescovi la direzione. Questo
agevolò le relazioni con il fascismo, che puntava ad ottenere il
monopolio della politica. L’intesa con il fascismo si fece sentire anche nel
lavoro dell’associazione, che in gran parte si fascistizzò. Fecero eccezione la
FUCI, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana, il ramo degli
universitari, e, più tardi, quando venne costituito nel 1932, il Movimento
Laureati di Azione Cattolica. Fu la politica del regime di
discriminazione razziale verso gli ebrei italiani a
segnare un mutamento di orientamento nella Chiesa italiana. Da notare che la
discriminazione non aveva costituito un problema morale quando aveva colpito
gli africani conquistati nelle guerre coloniali. Il cambiamento di rotta
si manifestò a partire dal 1937, anno in cui fu diffusa un enciclica con
critiche sociali al nazismo tedesco. Nel 1939 il papa Ratti morì nella fase di
gestazione di un’enciclica critica contro il razzismo, alcuni elementi della
quale vennero ripresi della prima enciclica del suo successore, il papa Eugenio
Pacelli, Pio 12°, laSummi Pontificatus - Il Sommo Pontificato, in cui si
legge:
«Al lume di questa unità di diritto e di fatto
dell'umanità intera gli individui non ci appaiono slegati tra loro, quali
granelli di sabbia, bensì uniti in organiche, armoniche e mutue relazioni,
varie con il variar dei tempi, per naturale e soprannaturale destinazione e
impulso. E le genti, evolvendosi e differenziandosi secondo condizioni diverse
di vita e di cultura, non sono destinate a spezzare l'unità del genere umano, ma
ad arricchirlo e abbellirlo con la comunicazione delle loro peculiari doti e
con quel reciproco scambio dei beni, che può essere possibile e insieme
efficace, solo quando un amore mutuo e una carità vivamente sentita unisce
tutti i figli dello stesso Padre e tutti i redenti dal medesimo sangue divino.»
Il
fascismo fu rivoluzionario, come si presentò alle origini e alla fine, o
reazionario, come si presentò negli anni ’30, quelli dell’intesa con il Papato?
Mi pare che sia stato entrambe le cose, nel corso della sua lunga storia.
Il
Papato degli anni Venti, gli anni dell’affermazione del fascismo, era ancora
politicamente di tipo rivoluzionario, nel senso che era profondamente
insofferente del liberalismo democratico che fino ad allora aveva egemonizzato
il Regno d’Italia e voleva che la politica nazionale cambiasse orientamento. Su
questa esigenza di trasformazione sociale si basò l’intesa del Papato con il
fascismo mussoliniano che ne manifestava una analoga. Il Papato ritenne di
poter guidare l'evoluzione del fascismo. Non bisogna pensare ad un fatto
superficiale. Il fascismo ebbe aspetti culturali molto importanti, prova ne sia
che vi aderì uno dei maggiori filosofi italiani dell’epoca, Giovanni Gentile.
Fu un fatto sociale complesso, molto lontano dalle approssimazioni che ne fanno
certi suoi attuali estimatori. Non fu solo teppismo di strada. Anzi, abbastanza
presto tentò di correggerlo e contenerlo, per altro servendosene e
incoraggiandolo disinvoltamente all'occorrenza.
Non è fuor di luogo, mi pare, notare infine, a proposito delle relazioni
intense con la Chiesa italiana, che gli ultimi giorni del fascismo
storico e del suo capo trascorsero a Milano con i tentativi di ottenerne la
resa pacifica attuati dall’arcivescovo Alfredo Ildefonso Schuster. Benito
Mussolini nelle sue ultime ore disperate di relativa libertà (limitata dai
militari tedeschi che erano stati incaricati di seguirne i movimenti) salì e
scese le scale dell'Arcivescovato milanese.
2. Osservo che tra i giovani, anche quelli colti, gli studenti
universitari, si guarda al fascismo come a una possibile via della politica di
oggi. Ne circolano però versioni molto semplificate, come al tempo in cui
fui studente al liceo, negli scorsi anni ’70.
Il
giornalista Indro Montanelli sosteneva, lo potete vedere e ascoltare in
un’intervista caricata su YouTube
https://www.youtube.com/watch?v=5-1L5lH2urQ
che il
fascismo fu Mussolini, e solo di Mussolini e che la storia del
fascismo è la storia di Mussolini.
Benito
Mussolini, nato in Romagna nel 1883, da padre fabbro e madre maestra
elementare, anch’egli di professione maestro elementare, fu colui che, da un
magma sociale preesistente di rivoltosi, essenzialmente riconducibile al
socialismo rivoluzionario, catalizzò, quindi produsse l’aggregazione, del
fascismo come movimento, divenendone il Duce, il suo esponente
egemone dal potere indiscutibile, trasformando, e quindi segnando,
profondamente l’Italia negli anni, dal 1922 al 1943 come capo del Governo del
Regno d’Italia, e poi dal 1943 al 1945, come capo del Governo, con funzioni
sostanzialmente di capo di Stato, di una repubblica fascista denominata
Repubblica Sociale Italiana.
Uno
degli studiosi più noti tra quelli che si sono occupati ad alto livello del
fascismo italiano fu Renzo De Felice (1929-1996). Egli non condivideva
l’opinione di Montanelli. Condivideva invece la tesi, già proposta negli anni
’30, che fossero esistiti vari tipi di fascismi, compresenti in uno stesso
tempo e succedutisi in tempi diversi, e che il fascismo fosse stato un fatto
sociale molto complesso. Esso, durante la sua egemonia politica, coinvolse la
gran parte degli italiani e, in particolare, formò culturalmente le generazioni
dei nati dal 1914 al 1930, tra i quali mio padre, nato nel 1922, i quali, nella
gran parte, quando cominciarono a fare vita sociale fuori della famiglia
non conobbero altra politica che quella proposta dal fascismo, e dunque furono
inizialmente, con poche eccezioni, fascisti.
Fino al 1914 Benito Mussolini fu, un esponente di primo piano del Partito
Socialista Italiano, che comprendeva una componente di socialismo
rivoluzionario. Non se ne era ancora distaccato il Partito Comunista, che fu
fondato, per scissione da quello Socialista, nel 1921. La frattura di Mussolini
con i socialisti di allora avvenne sul tema della partecipazione dell’Italia
alla Prima guerra mondiale: Mussolini, inizialmente per la neutralità, maturò
ed espresse convinzioni interventiste.
Durante la sua militanza socialista, Mussolini diresse i giornali Lotta
di classe e Avanti!, il giornale del partito.
Espulso dal Partito Socialista Italiano per aver manifestato convinzioni
interventiste, fondò pochi giorni dopo, nel novembre 1914, a Milano, il
giornale Il Popolo d’Italia, che poi divenne quello del
Partito Nazionale Fascista, costituito nel novembre 1921.
Al
centro dell’ideologia fascista nel corso di tutta la storia del regime, dal
1922, quando Mussolini fu nominato capo del Governo del Regno d’Italia - carica
che mantenne ininterrottamente fino al 1943 -, all’aprile 1945, anno della
caduta di quel regime al termine della Seconda Guerra Mondiale in Italia, vi fu
l’idea della guerra come movimento di rigenerazione sociale. Ed effettivamente
il fascismo guidò gli italiani in una serie continua di guerre, fino alla sua
caduta come regime, a partire dalla guerra di Libia (1922-1932), poi nella
guerra in Etiopia (1935-1936, ma preparata fin dal 1933), poi con l’intervento
nella guerra civile spagnola (1936-1939), infine nell’ultima guerra mondiale
(1939-1945: l’Italia entrò in guerra nel 1940).
Quell’idea della guerra era piuttosto diffusa negli anni a ridosso dell’inizio
della Prima Guerra Mondiale. La proclamavano ad esempio i futuristi italiani,
che partecipavano ad un movimento culturale in gran voga. E’ da loro che viene lo
slogan Guerra, sola igiene del mondo (fu il titolo del
loro manifesto, pubblicato nel 1915).
La rivoluzione comunista bolscevica in Russia, nell’ottobre 1917, nelle ultime
fasi della guerra mondiale, fu vista come una sorta di esperimento sociale di
come potesse essere trasformata una società impegnata in un conflitto bellico.
Nel fascismo delle origini, al concetto di classe come
motore della trasformazione sociale, fu sostituito quello di nazione in
guerra. Esso sviluppò carattere antisocialista, in quanto i socialisti
vedevano nellanazione una finzione che nascondeva il dominio
di una classe di privilegiati su classi subalterne, e, contemporaneamente
anti-borghese, perché considerava la borghesia vile e corrotta, e per questo
timorosa della guerra.
Scrisse Renzo De Felice in Il
fascismo e i partiti politici italiani, Cappelli, 1956, pag.13-14:
“[…] Il
fascismo, quando arrivò al potere (con il consenso di gran parte della classe
politica liberale che - in quel momento - non solo vedeva in esso il minore dei
mali, ma si illudeva che esso potesse evolvere in un neoliberalismo dell’età di
massa in grado di ristabilire quei legami con il paese che essa aveva in
gran parte perduti), mantenne potenzialmente la sua duplice caratterizzazione
anticapitalista e antiproletaria, che però non poté prendere corpo in una
concreta azione politica, da un lato per l’estrema stratificazione e divisione
particolaristica della «piccola borghesia», socialmente troppo legata agli
altri strati della società, da un altro lato per l’essenza stessa
dell’ideologia fascista. Questa, se all’origine (sindacalismo rivoluzionario)
era nata come una sorta di «eresia» del socialismo che scopriva
sotto la realtà delle classi quella della Nazione (sotto questo profilo, più che
il nazionalismo a preparare il fascismo, fu il fascismo che assorbì il
nazionalismo) e ne aveva tentato la sintesi corporativa (che fallì perché il
padronato non collaborò che nei limiti dei propri interessi e la
collaborazione degli operai non andò oltre un inquadramento formale),
proprio per la sua necessità di adattarsi alla psicologia e alla realtà piccolo
borghesi finì per estrinsecarsi soprattutto attraverso la valorizzazione delle
elites, della «competenza», della«gerarchia», del «capo». Attraverso
una ideologia cioè che non solo era profondamente antidemocratica, ma
condannava in pratica il fascismo stesso (e gli strati sociali che lo
avevano espresso) poiché, mancando esso per la sua origine storica e
attivistica di una vera e propria elite, finì rapidamente assorbito nelle
strutture burocratiche ed economiche preesistenti, nelle quali si adattò come
gestore di un potere che in buona parte non era - come capacità
soprattutto di determinare lo sviluppo economico-sociale - nelle sue mani, e che
poteva detenere solo in virtù di un compromesso politico con la
preesistente classe dominante e con una parte di quelle forze portate alla
ribalta dalla crisi della guerra, con il ricorso ad un sistema di polizia e con
una serie di diversivi (spesso demagogici), fossero essi di politica
internazionale o di politica sociale (di tipo normativo-assistenziale).”
Nell’ordine
di idee esposto dal De Felice, della necessità per il fascismo, per poter
continuare, di assicurarsi la collaborazione di élite colte, si comprende bene
l’importantissimo apporto derivato al regime fascista a seguito del compromesso
con il Papato nei Patti Lateranensi nel 1929, che consentì al fascismo di
beneficiare dell’apporto di competenze intellettuali e in materia di animazione
della società molto superiori a quelle da esso possedute, quelle appunto
che gli furono portate dal mondo cattolico, indotto dal Papato a collaborare
con il regime, almeno fino al 1938. Gli anni tra il 1929 e il 1938 furono
quelli del fascismo trionfante in Italia, con un consenso popolare vastissimo.
Mussolini
aveva cultura da maestro elementare, fu un brillante giornalista e, in primo
luogo, un agitatore sociale al modo dei socialisti rivoluzionari.
All’origine si era manifestato violentemente anticlericale, come i socialisti
rivoluzionari. Eppure fu colui che, in rappresentanza del Regno d’Italia,
sottoscrisse i Patti Laterananensi con il Papato,
presentandoli come una grande vittoria politica e spirituale del
regime.
3. Ho cercato di riassumere in poche righe un
fenomeno sociale molto complesso, quale fu il fascismo storico, tra il
1922 e il 1945.
L’ho fatto per capire che cosa ancora affascina in esso ai nostri giorni,
perché dei giovani guardino ad esso come a un modello valido.
E’ un lavoro che ho cominciato a fare già al liceo, dove gran parte dei miei
compagni di classe maschi aderiva al Fronte della Gioventù,
l’organizzazione del partito Movimento Sociale Italiano, che si
allacciava ideologicamente, esplicitamente, all’ideologia fascista. Su questo
punto non ho dubbi, non solo perché quei compagni di classe chiamavano se
stessi fascisti, ma perché erano stati fascisti i fondatori del
partito, Giorgio Almirante e Pino Romualdi, quest’ultimo vicesegretario del
Partito Nazionale Fascista nella Repubblica Sociale Italiana.
Su YouTube potete vedere un’intervista ad Almirante, nel programmaMixer,
in qui egli spiega perché continuava a definirsi fascista:
https://www.youtube.com/watch?v=JL0nrJf1Tw4
In
un’altra intervista su YouTube
https://www.youtube.com/watch?v=ccP9lyosVlE
egli,
nato nel 1914, spiega che imparò il valore della libertà solo dopo la caduta
del fascismo, nella vita democratica della Repubblica italiana, perché
prima non gli era stata insegnata. Un’esperienza comune alle
generazioni formatesi durante il fascismo.
Tra
i cattolici italiani, la libertà cominciò ad essere nuovamente insegnata nel
corso degli anni ’30 in ambienti intellettuali molto limitati, ad esempio nel
Movimento Laureati di Azione Cattolica, fondato nel 1932.
Bene: come già osservai al liceo, rimane poco del fascismo storico in quelli
che oggi se ne proclamano aderenti. Prendono a modello losquadrismo delle
origini e si circondano di simboli del fascismo, ma non hanno i suoi stessi
nemici e i suoi obiettivi. Si vuole un certo benessere, come le classi più
benestanti che vengono prese a modello, non ci si vuole sacrificare per gli
altri o per la Nazione. In Italia non è incipiente una rivoluzione socialista e
la vita civile prosegue con ordine. Mi pare anche che manchi completamente un
progetto di riforma sociale analogo a quello fascista, da attuarsi
mediante la guerra di popolo, con una nazione in guerra. “Italia
agli Italiani” non era un problema del fascismo storico, perché, quando
prese il potere, l’Italia era già degli Italiani, a seguito della
vittoria bellica nella Prima Guerra Mondiale. Il suo problema fu semmai quello
di creare un impero per portare l’Italia anche molto fuori
d’Italia, a genti lontane, in particolare in Africa, alle quali, come faceva una
canzone molto popolare del regime, si voleva dare un'altra
legge e un altro Re e per bandiera quella italiana. Si
voleva, quindi, farne degli italiani.
Chi
oggi sarebbe disposto ad andare entusiasticamente in guerra, come veniva
proposto dai fascisti di un tempo? A morire per la Patria. Si fa il
soldato come lavoro, come professione. Si vorrebbe, terminato il lavoro,
tornare a casa. E la guerra viene considerata come è realmente, morte, corpi
lacerati e mutilati, tanti orfani e tanta altra gente che soffre, e
distruzione, un male sociale da superare prima possibile.
Molto di più del fascismo rimane negli ambienti cattolici conservatori. La loro
ideologia ingloba, ad esempio, l’idea del marito/padre comecapo della
famiglia e quella della donna come destinata essenzialmente a ruoli subordinati
di sposa e madre. Così come l’idea che la religione cristiana, nella versione
cattolica, rientri nei caratteri costitutivi della nazione italiana
(è l’ideologia che fu sviluppata a seguito dei Patti Lateranensi).
Aggiungo
un inciso: perché il Papato non fu travolto con il Mussolini e la monarchia
Savoia dopo il disastro dell’ultima Guerra Mondiale?
Una delle ragioni può essere che nel marzo del 1939 cambiò il Papa,
venendo eletto Eugenio Pacelli, regnante come Pio XII. Egli subito iniziò a
distanziarsi dall’ideologia del regime, in particolare nel radiomessaggio
diffuso il 24 agosto 1939, in cui così parlò della guerra (di cui si
avvertivano chiaramente le gravi minacce):
A
tutto il mondo.
Un’ora
grave suona nuovamente per la grande famiglia umana; ora di tremende
deliberazioni, delle quali non può disinteressarsi il Nostro cuore, non deve
disinteressarsi la Nostra Autorità spirituale, che da Dio Ci viene, per
condurre gli animi sulle vie della giustizia e della pace.
Ed
eccoCi con voi tutti, che in questo momento portate il peso di tanta
responsabilità, perché a traverso la Nostra ascoltiate la voce di quel Cristo
da cui il mondo ebbe alta scuola di vita e nel quale milioni e milioni di anime
ripongono la loro fiducia in un frangente in cui solo la sua parola può
signoreggiare tutti i rumori della terra.
EccoCi
con voi, condottieri di popoli, uomini della politica e delle armi, scrittori,
oratori della radio e della tribuna, e quanti altri avete autorità sul pensiero
e l’azione dei fratelli, responsabilità delle loro sorti.
Noi,
non d’altro armati che della parola di Verità, al disopra delle pubbliche
competizioni e passioni, vi parliamo nel nome di Dio, da cui ogni paternità in
cielo ed in terra prende nome (Eph., III, 15), — di Gesù Cristo, Signore
Nostro, che tutti gli uomini ha voluto fratelli, — dello Spirito Santo, dono di
Dio altissimo, fonte inesausta di amore nei cuori.
Oggi
che, nonostante le Nostre ripetute esortazioni e il Nostro particolare interessamento,
più assillanti si fanno i timori di un sanguinoso conflitto internazionale;
oggi che la tensione degli spiriti sembra giunta a tal segno da far giudicare
imminente lo scatenarsi del tremendo turbine della guerra, rivolgiamo con animo
paterno un nuovo e più caldo appello ai Governanti e ai popoli: a quelli,
perché, deposte le accuse, le minacce, le cause della reciproca diffidenza,
tentino di risolvere le attuali divergenze coll’unico mezzo a ciò adatto, cioè
con comuni e leali intese: a questi, perché, nella calma e nella serenità,
senza incomposte agitazioni, incoraggino i tentativi pacifici di chi li
governa.
È
con la forza della ragione, non con quella delle armi, che la Giustizia si fa
strada. E gl’imperi non fondati sulla Giustizia non sono benedetti da Dio. La
politica emancipata dalla morale tradisce quelli stessi che così la vogliono.
Imminente
è il pericolo, ma è ancora tempo.
Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo
con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare.
Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si
accorgeranno che ai sinceri e fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole
successo.
E
si sentiranno grandi — della vera grandezza — se imponendo silenzio alle voci
della passione, sia collettiva che privata, e lasciando alla ragione il suo
impero, avranno risparmiato il sangue dei fratelli e alla patria rovine.
Faccia
l’Onnipotente che la voce di questo Padre della famiglia cristiana, di questo
Servo dei servi, che di Gesù Cristo porta, indegnamente sì, ma realmente tra
gli uomini, la persona, la parola, l’autorità, trovi nelle menti e nei cuori
pronta e volenterosa accoglienza.
Ci ascoltino i forti, per non diventar deboli
nella ingiustizia. Ci ascoltino i potenti, se vogliono che la loro potenza sia
non distruzione, ma sostegno per i popoli e tutela a tranquillità nell’ordine e
nel lavoro.
Noi
li supplichiamo per il sangue di Cristo, la cui forza vincitrice del mondo fu
la mansuetudine nella vita e nella morte. E supplicandoli,sappiamo e sentiamo di
aver con Noi tutti i retti di cuore; tutti quelli che hanno fame e sete di
Giustizia — tutti quelli che soffrono già, per i mali della vita, ogni dolore.
Abbiamo con Noi il cuore delle madri, che batte col Nostro; i padri, che
dovrebbero abbandonare le loro famiglie; gli umili, che lavorano e non sanno;
gli innocenti, su cui pesa la tremenda minaccia; i giovani, cavalieri generosi
dei più puri e nobili ideali. Ed è con Noi l’anima di questa vecchia Europa,
che fu opera della fede e del genio cristiano. Con Noi l’umanità intera, che
aspetta giustizia, pane, libertà, non ferro che uccide e distrugge. Con
Noi quel Cristo, che dell’amore fraterno ha fatto il Suo comandamento,
fondamentale, solenne; la sostanza della sua Religione, la promessa della
salute per gli individui e per le Nazioni.
Memori
infine che le umane industrie a nulla valgono senza il divino aiuto, invitiamo
tutti a volgere lo sguardo in Alto ed a chiedere con fervide preci al Signore
che la sua grazia discenda abbondante su questo mondo sconvolto, plachi le ire,
riconcilii gli animi e faccia risplendere l’alba di un più sereno avvenire. In
questa attesa e con questa speranza impartiamo a tutti di cuore la Nostra
paterna Benedizione.
Tenendo conto che l’idea di rigenerazione della nazione mediante
la guerra era nella struttura fondamentale e originaria dell’ideologia
fascista, fin dalle origini nel 1914, non si potrebbe immaginare una critica
più forte, anche se non esplicita. Questa critica continuò negli anni
successivi nei radiomessaggi natalizi dal 1941 al 1944, che segnarono una
trasformazione della dottrina sociale in materia politica con l’inizio
dell’assimilazione della democrazia.
4. Se ci rivolgiamo alla storia per avere indicazioni per il futuro,
occorre averne una visione realistica. Altrimenti ci affidiamo a un sogno.
Il fascismo storico, che dal suo primo aggregarsi alla sua caduta come regime
durò dal 1914 al 1945, ci mostra un fatto politico in tutto il suo sviluppo,
dall’inizio alla fine. E’ stato studiato a fondo. Ne abbiamo una visione
affidabile, che non è più alterata dalla propaganda dell’epoca o dal successivo
afflato emotivo. Sappiamo quindi come si va a finire seguendo quella via.
4.1 Il fascismo prese piede in anni in
cui sembrava che i socialisti potessero andare al potere in Italia per via
democratica. I socialisti, come i cattolici, nei decenni precedenti avevano
lavorato alla formazione delle masse. Entrambe le formazioni raccoglievano i
frutti di questo impegno.
Durante la Prima guerra mondiale (nella quale l’Italia era stata coinvolta dal
1915 al 1918) si era sviluppata un’economia di guerra, rigidamente governata
dallo stato. Nella situazione di emergenza si provvedeva d’autorità più o
meno a tutti. C’erano masse di militari che non dovevano fare altro che
combattere, eseguendo gli ordini superiori: per il resto a tutto provvedeva lo
stato. C’erano anche le loro famiglie, a cui, anche, provvedeva lo stato con
misure straordinarie, nel caso fossero colpite dalle distruzioni belliche. Anche
ai feriti e ai mutilati provvedeva lo stato. Con la maggior parte degli uomini
impegnati nell’esercito, ci fu la piena occupazione tra quelli che erano
rimasti. In particolare le donne supplirono gli arruolati. L’industria viveva
un ciclo favorevole, trainata dalle commesse militari. Al fronte servivano
armi, mezzi meccanici di trasporto e di combattimento, vestiario, alimenti,
prodotti sanitari.
Finita la guerra tutta questa economia terminò. La sua impostazione generale
tornò quella di prima, capitalistico-liberale. Le masse che erano state
sostenute nello sforzo bellico furono abbandonate a loro stesse.
L’economia, privata delle commessi militari, incominciò a riprendere il ritmo
di prima della guerra, a normalizzarsi. I lavoratori iniziarono a protestare,
guidati dai socialisti. Le autorità dello stato trattarono il fenomeni come un
problema di ordine pubblico. Ecco, quindi, che, alle elezioni del 1919, le
prime dopo il conflitto, i due maggiori partiti furono il socialista, con il
34% dei voti, e il popolare, ispirato dalla dottrina sociale, con il 20%. Il
Governo, fino al 1922, rimase sostenuto da precarie coalizioni tra liberali,
popolari e socialisti non rivoluzionari, ma la sua politica economica fu
fondamentalmente quella liberale.
L’idea di Benito Mussolini, formatosi nelle file del Partito Socialista
Italiano, fu quella di risolvere i problemi sociali ricreando un’economia di
guerra, caratterizzata da un fortissimo intervento dello stato, sia come misure
sociali sia come commesse all’industria. Un soluzione semplice, che però
implicava di fare veramente la guerra, di suscitare un popolo in armi. Ma come
convincere la gente, le masse? Si utilizzò la propaganda. Del resto la guerra
era finita da poco, la gente si era abituata alla guerra. Non impressionavano
più di tanto i racconti delle atrocità che erano state commesse.
Mussolini era andato in guerra, ma come militare di truppa. Della guerra sapeva
quello che poteva sapere un soldato di truppa. A quell’epoca la strategia
militare era già una scienza molto sofisticata. Mussolini non aveva la cultura
sufficiente per dirigere le guerre che si proponeva di intraprendere. Si servì,
almeno agli inizi, dell’apparato militare. Ma, con l’affermarsi del regime,
sempre più si ingerì nella gestione militare. Ciò in particolare accadde
durante la Seconda guerra mondiale, specialmente dal 1940, con la campagna
militare per la conquista della Grecia. Questo fu tra i fattori decisivi degli
insuccessi italiani nel conflitto.
Più
in generale, Mussolini, con la cultura di un maestro elementare e di un
agitatore socialista, non conosceva il mondo del suo tempo, ne aveva
un’immagine poco realistica. Si convinse, ad esempio, che le grandi democrazie
europee e americane fosse deboli come quella italiana e quindi inadatte in
tempo di guerra. Non aveva una visione realistica della potenza economica degli
Stati Uniti d’America. Alla loro entrata in guerra vi fu chi fece osservare che
nella sola New York era stato installato un numero di telefoni di sei volte
superiore a quelli dell’Italia intera.
Intorno alla figura di Mussolini fu organizzata un’azione di propaganda molto
pervasiva con caratteri di quello che, con riferimento al despota sovietico
Iosif Stalin, venne definito culto della personalità. Egli era il
Duce, indiscutibile: “il Duce ha sempre ragione”, si
insegnava. Fu insegnata addirittura una disciplina universitaria che si
chiamavaMistica fascista. Si cercò di suscitare un afflato di tipo
mistico, religioso. Progredendo il successo del suo regime, non si sarebbe
stati più capaci di dominare le masse in altro modo. C’era lo spettro
della rivoluzione sovietica, nel corso della quale forze socialiste
rivoluzionarie avevano rovesciato in poco tempo, durante il 1917, un’antica
monarchia, con tutto il sistema politico che vi era collegato. Era avvenuto
nella fasi terminali di una guerra che stava cominciando ad andare male per la
Russia. Non si sarebbe potuto dedurre da questo che la via della guerra poteva
portare anche alla catastrofe? Si sarebbe potuto, e anzi l’obiezione fu posta
finché si poté farlo, in un ambiente democratico, in cui fosse consentita
libertà di parola. Ma per il fascismo questo era una degenerazione dello stato,
non si doveva discutere, ma credere, obbedire, combattere:
questa la parola d’ordine che veniva verniciata per strada, sulle facciate dei
palazzi.
Di solito gli estimatori del fascismo arrivano a giudicare un errore la
propaganda e le leggi di discriminazione antiebraica che il fascismo
mussoliniano promosse dal 1938. Ma in realtà è la via della guerra proposta dal
fascismo ad aver prodotto storicamente il disastro nazionale. La guerra non fu
un errore del fascismo, che possa essere separato da esso come
si fa quando da una mela si taglia la parte bacata. La via del fascismo
fu quella della guerra. E’ su questo che il fascismo deve essere giudicato
come fatto politico. Tutto il resto, ad esempio il tentativo di risolvere
d’autorità, con istituzioni statali, quelle corporative che riunivano
lavoratori e imprenditori, la questione sociale fu solo lavoro per preparare un
popolo in guerra, addestrandolo alle armi fin da quando si era molto piccoli,
da bambini.
Riassumendo: la guerra per promuovere un’economia di guerra e risolvere così,
d’autorità, i problemi sociali.
Negli Stati Uniti d’America nel 1929 si produsse una grave crisi recessiva
dell’economia. Lo stato federale, guidato dal presidente Franklin Delano
Roosevelt, intervenne potentemente nell’economia in crisi, in particolare con
speciali misura di sostegno all’occupazione. Si fece, sostanzialmente, come
durante un periodo di guerra, ma senza impegnarsi in un conflitto bellico, in
una guerra vera. L’economia statunitense superò la crisi. Mussolini poteva
prendere esempio da quell’esperienza, come poi si fece a lungo nel secondo dopoguerra,
in tutto il mondo? Avrebbe potuto, se fosse stato un’altra persona, con
un’altra cultura, con un’altra storia, se fosse stato più aperto a conoscere il
mondo. Nel 1929, assicuratosi l’appoggio del Papato con iPatti
Lateranensi e silenziata ogni opposizione democratica, non
pensava di poter imparare nulla da nessuno.
4.2. Se si condivide l’ordine di idee che ho sopra
esposto, è evidente che la via del fascismo storico non può essere
un’alternativa per l’Italia di oggi. La via della guerra, infatti, porterebbe
ai nostri tempi il mondo, non solo l’Italia, alla catastrofe globale. Abbiamo
armi di distruzione di massa troppo potenti, tanto da minacciare concretamente
la sopravvivenza dell’umanità. Non c’è altro da dire in merito.
La
violenza può apparire una scorciatoia, per tagliare corto con tante
discussioni. Ma quando la situazione è complessa bisogna avere la pazienza di
discutere: non c’è altra via buona.
L’altro
ieri ho visto in televisione un documentario che trattava della banda tedesca
di terroristi comunisti Baader - Meinhof, che si
denominava Frazione dell’Armata rossa. Prese il
nome dai suoi fondatori Andreas Baader e Ulrike Meinhof. Operò a lungo, dagli
anni ’70 agli anni ’90, nella Germania occidentale, quella che all’epoca aveva
capitale a Bonn. Facevano attentati. Baader e Meinhof furono catturati nel
1972. In quella trasmissione hanno intervistato un uomo che conosceva
Baader e Meinhof. Ha detto che, secondo lui, il primo era un teppista, la
seconda, invece, una fine studiosa. Come hanno potuto unirsi in un’unica banda?
Ha osservato che, quando si sceglie la via della violenza, finiscono per
comandare quelli che sono più bravi ad usare la violenza nel modo più
spregiudicato; gli altri, benché, fini intellettuali, seguono. Questa è
anche la mia esperienza, quello che ho potuto osservare direttamente, in
particolare nel tempo in cui fui al liceo e all’università e in Italia c’era
tanta più violenza di piazza di oggi.
Si parla di Nazione e ci si emoziona, come durante il
fascismo. Ma chi è la Nazione? Noi e chi? Quando
si fa politica bisogna saper avere a che fare con gli altri come realmente
sono, non come li sogniamo o verremmo che fossero. Il fascismo mussoliniano
sognò l’Italia come faro di civiltà per il mondo, ma per essere civili occorre
innanzi tutto percorrere la via della virtù e della sapienza, distaccarsi dalla
brutalità che in ognuno di noi c’è come retaggio del nostro antico passato di
belve. La via della compassione, in particolare, che in religione viene detta
anche misericordia, è parte di questo stile di civiltà:
significa avere cuore per le sofferenze altrui e quindi non gettare gli altri
in esperienze che le provochino, come ad esempio le guerre. Perchéessere
civili, costruire una civiltà, come noi la intendiamo nelle
nostre migliori intenzioni, significa anche saper includere gli altri. Tutte le
grandi civiltà sono state fortemente inclusive, in particolare
quella romana, dalla quale il fascismo storico voleva trarre lezione. E’ un
lavoro che si fa sempre più difficile quante più sono le persone da includere.
E’ qui che entra in campo la sapienza. Non è cosa da incolti o da gente che
decide d’istinto. Bisogna saper ragionare, prevedere, fare: sapere,
in una parola. L’Italia di oggi è attrezzata, perché la scolarizzazione degli
italiani non è mai stata così alta. Com’è, però, che in Parlamento troviamo il
minor numero di laureati di sempre? Forse è perché si dà troppa poca importanza
alla sapienza. Si pensa che la politica sia decidere d’istinto, un atto di
ferma volontà. Questo era un po’ il fondamento dell’autorità politica di
Mussolini come Duce degli italiani. La storia ci insegna
come si va a finire su quella strada.
Italiani
si nasce? Il fascismo storico non fu di questa opinione. Tanto è vero che
programmò istituzioni molto pervasive per costruire gli
italiani in un certo modo, con dei percorsi di formazione individuale e
collettiva molto impegnativi. Voleva infatti creare masse capaci disacrificare
la vita in guerra per il bene della nazione.
Addestrava i bambini alle armi. Era ben consapevole che italiani,
e guerrieri, si diventa. Nasciamo sapendo succhiare il latte e poco
altro. Tutto il resto si impara. E dentro abbiamo anche tante emozioni, che a
volte ci possono fuorviare, come ci insegna la psicologia moderna. Qualche
giorno fa hanno dato il Nobel all’economista Richard Thaler, per aver scoperto
che il comportamento degli attori dell’economia, ad esempio dei consumatori, è
spesso irrazionale, emotivo. Così quando compriamo un telefono cellulare non
teniamo conto solo delle sue specifiche tecniche, ma del suo rivestimento, dei
suoi colori, delle forme delle figurine che compaiono sullo schermo, e del
fatto che nei gruppi che frequentiamo è considerato indispensabile averlo.
Condursi così in politica, soprattutto quando si devono prendere le decisioni
più importanti, può darci poi molti dispiaceri.
5. Cerco
di parlarvi del fascismo come quando ne discutevo al liceo con quelli della mia
scuola, senza far precedere il giudizio all’analisi dei fatti e quindi
senza demonizzare i miei interlocutori.
All’epoca non avevo ancora imparato la democrazia: lo feci all’università e, in
particolare, tra gli universitari cattolici della FUCI. A scuola trovai questa
situazione: bisognava schierarsi, o si era fascisti o
si era comunisti, poi ci si azzuffava. L’idea di schierarsi per la
democrazia non era in voga, la democrazia era screditata, non solo i partiti
che vi si richiamavano.
5.1 Uno di quelli con cui parlavo era stato
mio caposquadriglia negli scout, agli Angeli Custodi. Diceva di essere
fascista. Sosteneva che da piccoli si faceva gli scout e, crescendo, bisognava
entrare nel Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile
del Movimento Sociale Italiano, il partito che la fascismo storico
si richiamava. Ogni squadriglia scout aveva un proprio grido di
riconoscimento. La nostra era quella delle Volpi e quel
ragazzo le aveva dato come grido “Vulpes - Memento Audere Semper”. Memento
Audere Semper - Ricordati di osare sempre fu un motto
inventato dal poeta e scrittore Gabriele D’Annunzio per un corpo speciale
di marina che si occupava di condurre i MAS, dei motoscafi lanciasiluri:
D’Annunzio aveva creato intorno a sé un movimento di ex combattenti alla testa
del quale tra il 1919 e il 1921 occupò per qualche tempo la città di Fiume,
rivendicata dall’Italia al termine della Prima guerra mondiale.
Quell’agitazione sociale, detta poi fiumanesimo, fu tra quelle che
si coagularono nel fascismo mussoliniano.
Sosteneva, quel mio ex caposquadriglia, che il fascismo era superiore alla
democrazia, perché, alla fine, aveva pagato solo il capo, caduto in mano dei
suoi nemici e da questi giustiziato il 28 aprile 1945. In democrazia invece
certi errori erano pagati da tutto il popolo. Quando mi parlava così non avevo
ancora studiato la storia recente d’Italia, alle medie non ci si arrivava e non
ero ancora al quinto anno delle superiori, dove a volte ci si arrivava. Ma
sapevo quello che mi avevano raccontato i miei parenti. Non era stato solo
Mussolini ad aver pagato. Anche molti altri capi del fascismo erano stati
uccisi con lui. Ma anche gente che non aveva avuto ruoli importanti nel regime
e si era magari solo arruolata come volontaria in certi corpi speciali. Più in
generale l’Italia era uscita distrutta dall’ultima guerra voluta dal fascismo.
Oltre un milione di soldati italiani fatti prigionieri, centinaia di migliaia
di gli uccisi, feriti, mutilati, tra quelli sotto le armi, ai quali bisognava
aggiungere quelli tra la popolazione civile rimasti uccisi, feriti, mutilati
sotto i bombardamenti o nelle azioni di guerra durante la risalita degli
Alleati su per la Penisola o, infine, nelle feroci repressioni e rappresaglie
attuate dai militari nazisti e da quelli della Repubblica Sociale Italiana
durante la guerra di Resistenza.
Lo stretto collegamento tra il fascismo e la guerra mi era stato sempre bene
chiaro, fin da piccolo. In particolare me ne aveva parlato la mia nonna
materna. Sotto il fascismo, diceva, c’era stata una guerra dietro l’altra.
Studiando, più tardi, la storia, ho capito che effettivamente era stato così.
La guerra era stata al centro dell’ideologia del fascismo storico. Il suo
agente di trasformazione sociale era stata la nazione in guerra.
Era l’idea della guerra che dava coerenza alla sua politica e che gli
consentiva di tagliare corto su ogni discussione. In guerra conta solo la
vittoria, tutto deve esserle subordinato. Non ci si deve dar tanta pena a
cercare obiettivi politici: c’è n’è uno solo, come gridava Mussolini, “Vincere!”. Questo
consentiva al regime di passare sopra agli egoismi sociali, in particolare agli
interessi di borghesia, le classi più ricche, e del proletariato, la classe dei
più poveri, adottando misure sociali di compensazione, per accrescere il
benessere delle masse con le risorse dello stato. Perché è dalle masse che
uscivano i soldati necessari alle guerre del regime. Tutti, i più ricchi e i
più poveri, avrebbero beneficiato di quelle guerre: i più ricchi per le
commesse all’industria per procurare i mezzi per combattere le guerre, i più
poveri da ciò che si sarebbe riuscito a ricavare dalle terre conquistate, che
di voleva colonizzare trasferendovi genti italiane. Storicamente questi
obiettivi non furono mai completamente raggiunti. I più poveri beneficiarono di
misure sociali ma rimasero poveri. I più ricchi beneficiarono delle commesse
pubbliche ma poi si ritrovarono l’industria distrutta dalla guerra. L’Italia si
dissanguò nelle guerre coloniali, in Africa, in Libia e in Etiopia, che furono
imprese in perdita. Quello che in Africa era stato conquistato a duro prezzo,
fu poi perso quasi del tutto in pochi mesi durante l’ultima guerra
mondiale, e poi del tutto con la sconfitta finale.
Il collegamento tra il fascismo e l’ideologia della rigenerazione
sociale mediante la guerra fu tanto forte che l’ultimo fascismo, quello durante
il quale il Centro e Nord Italia divennero sostanzialmente un protettorato
tedesco, sotto occupazione militare, cercò ancora di
rigenerare mediante la guerra quella parte d’Italia che ancora dominava,
proponendosi di continuare la guerra con i precedenti alleati, la Germania, gli
altri regimi fascisti europei entrati nel conflitto, e il Giappone, anche
quando era ormai evidente che la guerra era persa. ll fascismo storico, quello
mussoliniano, non poteva sopravvivere senza la guerra. La resa, la sconfitta,
avrebbero comportato la fine del regime, che non aveva altra ideologia,
sostanzialmente, che quella della guerra, della nazione in guerra.
5.2. Dopo la sconfitta nella Seconda Guerra
Mondiale, l’Italia perse la capacità di decidere autonomamente la guerra. Fu
questo a determinare la fine del fascismo storico, che sarebbe potuto
sopravvivere al Mussolini, ma non senza la possibilità di progettare la
trasformazione sociale mediante un nazione in guerra. Il
mondo scaturito dalla Seconda Guerra Mondiale, con la divisione dell’Europa in
due blocchi egemonizzati dagli Stati Uniti d’America e dall’Unione Sovietica,
che avevano il monopolio della guerra e della pace, non dava alcuno spazio
all’ideologia fascista della nazione in guerra, la sua
strategia politica di rigenerazione sociale.
Quando, negli anni ’70, trovai a scuola fascisti e comunisti, il
fascismo proclamato da alcuni era molto diverso da quello delle origini, anche
se chi si diceva fascista si circondava dei suoi simboli
e ne esaltava la storia. Era un neo-fascismo.
ll neo-fascismo è un’esperienza politica liberamente ispirata al fascismo
storico che però ne conserva solo alcuni elementi originari, insieme ad altri.
Nelle interviste televisive che ho citato ieri, sentiamo Giorgio Almirante,
segretario politico del Movimento Sociale Italiano, dirsi
francamente fascista ed esaltare la libertà e
il rispetto degli avversari politici. Queste ultime due idee erano state
estranee al fascismo storico. Il fascismo storico, quello mussoliniano per
intenderci, non consentiva libertà di dissenso e non rispettava, anzi
perseguitava, gli avversari politici. C’erano molti altri elementi che
differenziavano l’ideologia del Movimento Sociale Italiano da
quella del fascismo storico. Non proponeva la trasformazione sociale degli
italiani mediante la guerra. Non si proponeva come partito totalitario,
come partito unico degli italiani. Infine: aveva una
vita democratica, eleggeva i propri segretari politici
nel corso di congressi. Il suo nemico era il comunismo. Giustificava la propria
esistenza con l’anticomunismo. Non era stato così per il fascismo mussoliniano,
anche se la paura del socialismo rivoluzionario gli aveva accattivato
l’appoggio della borghesia italiana all’inizio degli anni ‘Venti. Il fascismo
mussoliniano aveva avuto come scopo la trasformazione sociale mediante la
guerra, in particolare per costruire un impero. I suoi
progetti imperiali non comprendevano, fino all’ultima
guerra mondiale, la guerra all’Unione Sovietica. Pensava ad un impero che
comprendeva parte dei Balcani, la Grecia e l’Africa Orientale, tra Libia
ed Etiopia.
Nel suo anticomunismo, il Movimento Sociale Italiano finì
per schierarsi sostanzialmente con gli Stati Uniti d’America, gli avversari di
un tempo. La sua proposta era quella di un regime politico presidenziale, in
funzione anticomunista, con uno stato fortemente accentrato non intorno al
Parlamento, ma attorno ad un presidente - capo di stato con
poteri molto vasti. Costituito da fascisti per prolungare le idee del fascismo
in ambiente democratico, il Movimento Sociale Italiano non
ebbe mai le caratteristiche peculiari del partito fascista storico,
sia come ideologia, che come organizzazione, che come obiettivi. E infatti non
fu colpito dalle leggi che puniscono la ricostituzione del disciolto partito
fascista. Divenne un’esperienza politica diversa da quella del suo modello di
ispirazione. Non può essere considerato, quindi, ad una considerazione storica,
neo-fascismo.
Il fascismo storico italiano non va assimilato ad altri fascismi europei,
alcuni dei quali, come quello spagnolo e portoghese, prolungatisi fino agli
anni ’70. Quello spagnolo di Francisco Franco originò da una dittatura
militare, non da una metamorfosi del socialismo rivoluzionario come quello
mussoliniano. Al centro della sua ideologia vi furono le idee di restaurazione,
conservazione e di cattolicesimo della tradizione. Analoghi obiettivi ebbe il
fascismo portoghese di Antonio de Oliveira Salazar, che però non originò da una
dittatura militare, ma da una dittatura politica. Gli elementi che accumunano
questi e altri fascismi al fascismo mussoliniano furono il divieto di dissenso
politico, il partito unico egemonizzato da un singolo capo politico e lo stato
come strumento pervasivo di controllo sociale burocratico. Mancava l’idea
di trasformazione sociale mediante la nazione in guerra. Tutti
questi regimi tesero invece a impedire la trasformazione
sociale, fondamentalmente con misure di polizia, repressive. Il fascismo
mussoliniano ebbe invece sempre, quando più quando meno, e meno dopo la conciliazione con
il Papato, dal 1929, carattere rivoluzionario, più
esattamente di rivoluzione sociale: infatti scaturì dal socialismo
rivoluzionario del primi del Novecento, quello in cui il
Mussolini si era formato. Mirava a creare un uomo nuovo.
Ancora
oggi vi sono gruppi che si richiamano al fascismo storico, conservandone però
solo alcuni elementi. Possiamo considerarli neo-fascismi solo,
però, se non si distanzino talmente dal modello originario da diventare altro.
Non
si può considerare neo-fascista chi non si proponga la
rigenerazione sociale della nazione, comprendendo tutti. Chi voglia
essere solo forza rivoltosa, di ribellione sociale. Non basta lo squadrismo
politico per fare il neo-fascismo.
Un carattere distintivo del neo-fascismo può essere considerato il
rifiuto del dialogo democratico, in particolare di quello parlamentare.
L'insofferenza per il dissenso, considerato come tradimento. Uno dei tratti
caratteristici del fascismo storico fu infatti la svalutazione del Parlamento.
In una formazione neo-fascista al dissenso e anche al
tentativo di dialogo da parte dei dissenzienti si opporrà la violenza
squadristica. Ma se prevale la violenza non si può più parlare di neo-fascismo,
perché nella struttura originaria dell’ideologia fascista c’era la riforma
sociale che richiedeva un certo livello di capacità dialettica e di cultura. Il
fascismo storico era riuscito ad assicurarsi l’appoggio di un grande filosofo
come Giovanni Gentile e del Papato.
Un
altro carattere distintivo può essere individuato nell’organizzazione
verticistica, gerarchica. Una formazione neofascista avrà un capo, o
un’oligarchia di comando, vale a dire un gruppo ristretto di capi, che
sceglieranno i livelli sotto-ordinati di comando, per cooptazione, come si
dice, che è appunto quando una organizzazione scende dall’alto.
Si darà molta importanza alla gerarchia e il livelli di potere più
elevati saranno considerati indiscutibili.
Sento spesso che ci si dice fascisti per
dire che si è contro gli immigrati. Questa idea non rientrava nell’ideologia
originaria del fascismo storico e non basta per fare un neo-fascismo.
Chi la professa si manifesta solo xenofobo, vale a dire avverso
agli stranieri e, se pensa di esserlo perché gli italiani sono superiori ad
altri popoli, è un suprematista, come ci sono negli Stati Uniti
d’America. Se si pensa di passare dalle parole ai fatti, allora si è
qualcosa di simile a quelli delKu Klux Klan americano.
Il fascismo divenne razzista nella seconda metà
degli anni ’30. Gli storici ricordano che all’inizio aveva avuto tra i suoi
sostenitori anche ebrei, che nel ’38 vennero invece pesantemente discriminati
da leggi razziali. Divenne razzista essenzialmente per le relazioni politiche
che intrattenne con il nazismo hitleriano. Quest’ultimo era razzista dalle
origini. Proclamava la superiorità razziale dei
tedeschi su ogni altro popolo, italiani compresi. A quel punto al fascismo
mussoliniano non rimase altra strada, per fronteggiare il razzismo hitleriano,
di inventarsi una superiorità razziale, etnica, di stirpe, degli
italiani, non solo culturale, di civiltà. Gli italiani rimasero sempre
piuttosto tiepidi in merito, non apparendo loro particolarmente evidente questa
superiorità. In precedenza c’erano state leggi che vietavano matrimoni di
italiani e africani, ma più che altro per ragioni di morale familiare non tanto
di razzismo. I soldati e i funzionari italiani in Africa si facevano mogli africane,
che poi lasciavano tornando in patria: questo veniva considerato contrario alla
morale famigliare del regime. L’antisemitismo di tipo razziale creò dei
problemi con il Papato. Quest’ultimo non aveva mai avuto problemi a discriminare
gli ebrei per ragioni religiose, come eretici, ma pensarli come razza inferiore
era tutt’altra cosa. Perché significava comprendere nella razza inferiore
anche Gesù, gli apostoli e tutti i primi cristiani.
Manca,
in Italia, un partito che abbia oggi la minima possibilità, e anche la volontà,
di diventare il partito unico degli italiani per
finalità di trasformazione sociale, come volle essere il partito fascista.
Infine: l’anticomunismo non basta a giustificare politicamente un neo-fascismo ai
nostri tempi, perché, a differenza ad esempio che negli anni ’70, non c’è alcun
partito comunista, o anche solo socialista, che abbia la minima possibilità di
conquistare il governo nazionale. In genere nell’Europa
contemporanea, i neo-fascismi hanno finito infatti per
trasformarsi in qualche altra cosa, conservatorismi, nazionalismi,
suprematismi. Non c’era più spazio politico per loro. E i regimi fascisti
superstiti, ad esempio quelli spagnolo e portoghese, e quelli dell'America
Latina, in particolare quelli argentino e cileno hanno finito in genere per
evolvere in democrazie di tipo occidentale.
6. Concludo esaminando l’argomento
“il fascismo qualcosa
di buono l’avrà pure fatto”. “Se non avesse portato l’Italia in
guerra con la Germania nazista”, “Se non avesse approvato le leggi di
discriminazione etnico-religiosa contro gli ebrei”, “Se” questo e quello, allora…
Di solito a chi mi propone quel ragionamento
faccio l’esempio che segue.
Qualche anno fa il secondo pilota di un aereo
di linea, rimasto solo alla guida, ha mandato l’apparecchio a schiantarsi
contro una montagna. Aveva deciso di farla finita. In quel momento gli è parsa
una buona soluzione e si è trascinato dietro gli altri membri dell’equipaggio e
i passeggeri. Si è scoperto che aveva avuto problemi psichiatrici, che però non
erano stati segnalati alla compagnia aerea. Ma qualcosa di buono l’avrà
pure fatto! Avrà voluto bene a qualcuno. Avrà avuto una famiglia che ha
seguito amorevolmente. Prima di quell’ultimo volo, non aveva fatto sempre quello
che doveva? Eh, sì, qualcosa di buono certamente l’avrà fatto. Ma
voi, se aveste saputo dei problemi psichiatrici che aveva maturato quel pilota,
ci sareste saliti con lui su quell’ultimo volo? E’ così che vanno giudicati i
politici di governo, prima e dopo il loro servizio. Sì, ad esempio, avranno
pure fatto qualcosa di buono, ma ora sono in grado di pilotare la
nazione? Non è che ci manderanno a sbattere contro una montagna?
Nel caso del Mussolini, non è che egli abbia
nascosto le sue intenzioni: voleva fare guerra, diceva, per conquistare uno spazio
vitale, in cui erano comprese Libia ed Etiopia, ma riteneva indispensabili
i propositi di guerra per consolidare e mantenere il suo potere politica. Non
può esistere un fascismo sul modello mussoliniano senza la volontà di fare
guerra. Lo ha detto chiaro e forte e agli italiani, fin da piccoli, ha messo in
mano libro e moschetto (un tipo di fucile utilizzato in
guerra). Seguiva i futuristi, per i quali la guerra era
l’unica igiene del mondo. Bene, l’Italia ebbe la guerra, diverse guerre,
prima quelle coloniali e poi quella mondiale.
Gli italiani, che erano meno ricchi della gente di altre nazioni, speravano di
guadagnarci. Conquistare non significa anche un
po’ rapinare, che è quando con la violenza ci si impossessa
delle ricchezze altrui? Gli italiani ritennero di averne il diritto, perché
anche gli altri europei facevano lo stesso. Quindi poi alla fine sono andati a
sbattere in una disastrosa guerra mondiale, dalla quale la nazione è uscita pressoché
annientata.
Quanto al razzismo
anti-ebraico del fascismo
storico, ho spiegato sopra come andò: al
fascismo mussoliniano non rimase altra strada, per fronteggiare il razzismo
hitleriano, di inventarsi una superiorità razziale, etnica, di stirpe, degli
italiani, non solo culturale, di civiltà. Altrimenti gli italiani stessi
sarebbero stati vittime delle fantasie razziste dei tedeschi hitleriani.
Sarebbero stati considerati una razza inferiore tra le altre. Per le sue guerre, il
fascismo mussoliniano ad un certo punto sentì la necessità, e decise, di
allearsi con la Germania egemonizzata dal nazismo e quest’ultima era razzista:
il razzismo antiebraico, costruito ideologicamente come razzismo puro e
semplice e dunque utilizzabile anche verso altre etnie, gli fu indispensabile
per cercare di non soccombere di fronte all’alleato. La storia è quella che è,
non può essere cambiata, ma solo capita meglio.
Alcuni sono ancora tentati da quella via, quella
del fascismo storico, ma capiscono che qualcosa non è andato per il verso
giusto e allora, quando non passano a menare le mani o comunque alla forza
bruta, facendo di questo l’unica argomentazione dialettica, propongono
l’argomento principe dei populisti di sempre a disastro avvenuto, appunto
quello del ma qualcosa di buono l’avrà fatto. Altri sostengono che
però sarebbe meglio vederci chiaro, realisticamente, prima ed ora su
come andrà a finire nel complesso con una politica; a loro non
basta che chi comanda qualcosa di buono l'abbia comunque fatto. E
se poi la storia si ripetesse? E se ci si schiantasse? I saggi invitano ad
imparare dalla storia, che è, dicono, maestra di vita.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli