Resoconto dell’incontro del MEIC Lazio
di venerdì 13 maggio 2022 sul tema “Magistero e fedeli in ascolto
reciproco”, con l’aiuto del professore di teologia morale don Cataldo
Zuccaro.
[a cura di Mario Ardigò – in base agli appunti presi durante il dibattito]
1. Venerdì scorso il MEIC – Movimento ecclesiale di impegno culturale del
Lazio si è confrontato in videoconferenza Zoom sul tema “Magistero e fedeli
in reciproco ascolto”, con l’aiuto del teologo morale don Cataldo Zuccaro, docente
presso le università Urbaniana e Gregoriana.
Da qualche mese stiamo
incontrandoci per riflettere sui cammini sinodali condotti in Italia e nel
mondo.
In quest’ultima occasione ci siamo occupati
del più ampio dibattito sull’etica del rapporto
tra Magistero e sensus fidelium [l’intuizione
della giusta direzione da parte del Popolo di Dio] con lo scopo di
focalizzare la necessità che esista un dialogo tra i fedeli e il magistero. La
prospettiva peculiare, più che
l’approfondimento dei due termini in questione, ha riguardato piuttosto la loro
relazione e il servizio che da essa può̀ derivare per una comprensione maggiore
della verità̀ rivelata e delle implicazioni antropologiche ed etiche che essa
comporta, ed anche la domanda sulle possibilità concrete e gli spazi offerti dalla Chiesa
perché tale reciprocità di ascolto sia effettivamente praticata
2. Sono stati evidenziati tre punti, i primi due propedeutici
al terzo:
a)gli
attori del reciproco ascolto;
b)
l’oggetto del reciproco ascolto;
c)
reciprocità dell’ascolto, centrata sul dialogo
2.1. Il rapporto tra Magistero
e fedeli ha avuto storicamente più paradigmi,
è stato osservato.
All’inizio furono determinanti i sinodi
locali. Non era ancora avvertita la primazia del Papa, anche a causa delle
distanze tra le comunità cristiane. Più avanti nell’organizzazione di sinodi e concili furono spesso determinanti
gli imperatori romani.
Il confronto con l’impero condusse poi a una
visione più politica del Papato. Alla concezione della Chiesa come società
perfetta e del Papa come leader
politico, piuttosto che guida spirituale.
Il termine “Magistero” ha avuto slittamenti di
significato fino all’epoca moderna.
Il Magistero fu visto come custode dell’ortodossia dal Concilio di
Trento, fino al papa Pio 12°.
Fin dalla scoperta del nuovo mondo i
missionari cercarono vie nuove di evangelizzazione, oltre la precisione
linguistica. In questo, il concentrarsi su quest’ultima creò difficoltà.
Il Magistero si svolge in costante relazione
con la rivelazione.
La reciprocità tra Magistero e fedeli c’è, ma
è sempre vincolata alla rivelazione e mediata da essa, è stato detto. Se
entrambi si pongono all’ascolto della rivelazione c’è anche poi l’ascolto reciproco:
la norma della reciprocità non è quindi il Magistero stesso, ma la rivelazione.
Bisogna superare la rivendicazione di spazi
propri e privilegi. L’obiettivo deve essere invece la sinergia.
L’autorità va compresa secondo la
sussidiarietà [il superiore interviene dove l’inferiore non riesce, in suo
aiuto, senza sostituirsi] piuttosto che secondo il paradigma della delega da
superiore a inferiore, in cui l’inferiore agisce nel nome e per conto del
superiore.
Vi deve essere più condivisione comunitaria.
2.2. C’è una verità da
ridefinire. All’inizio la concezione della verità fu di natura dogmatica. Dal
Concilio Vaticano 2° si distingue un oggetto primario, costituito dalle verità contenute nel deposito di fede, e un
oggetto secondario, vale a dire le verità talmente connesse con le prime che
il Magistero deve avere competenza anche
su di esse.
Di fatto, quindi, la verità viene intesa
ancora come dottrina, specie definitoria, come corretta comprensione delle
verità comprese nel deposito di fede o ad esse strettamente connesse. Passa
allora un po’ in secondo piano il contenuto antropologico, quello della vita:
viene privilegiato l’aspetto dottrinale rispetto a quello esistenziale.
La fede proclamata dal Magistero non è però solo un credere, è stato osservato, ma anche un applicare la fede nella vita. C’è l’esigenza di salvaguardare il
deposito della tradizione, ma anche quella di salvare l’applicazione della fede
nella vita. La fede chiede una coerenza sul piano etico, da costruire nella sua
applicazione nella vita. In questo anche i fedeli hanno una competenza vissuta
e incarnata in alcuni settori e ambiti della vita. La dimensione esistenziale è
costitutiva del sensus fidei et morum [l’intuizione della giusta direzione
nella comprensione della fede e nell’etica]. Il discernimento della fede
vissuta non può basarsi solo sul piano dottrinale, ma deve tener conto anche
della vita dei fedeli. Non si potrà prescindere dall’interpretazione dei fedeli
nei diversi ambiti della loro vita. Si tratta di una questione anche dogmatica:
il sensus fidei è coinvolto nella vita dei fedeli. Quest’ultima non è un
criterio normativo del Magistero, ma il Magistero non può efficacemente darsi
solo da un punto di vista dottrinario.
Il vissuto, è stato detto, fa parte di un’ermeneutica dello stesso
deposito della verità rivelata.
Non solo lo studio delle fede ma anche la sua
rilevanza antropologica morale serve a individuare il vero, altrimenti
si rischia di imporre solamente, ad esempio, un insegnamento morale come transculturale, quindi obbligatorio per
tutti, dovunque e allo stesso modo a
prescindere dai contesti culturali. L’autorità della Chiesa non è però solo quella
della dottrina, ma anche quella della vita. Altrimenti si finisce in una magistrolatria:
vale lìattribuire al Magistero forme di
informazioni inaccessibili ai fedeli, al limite del magico.
2.3 Il dialogo, la reciprocità dell’ascolto.
I christifideles laici: la condizione
dei fedeli laici. Abbiamo limitato a
questo ambito quello che come MEIC ci è più vicino, il discorso.
I laici hanno una competenza specifica e
insostituibile derivante dalla loro esperienza. Danno una risposta verificata
alla prova della vita. Non solo in via deduttiva e teorica.
Il Concilio la interpreta non solo come
funzione strumentale e organizzativa, ma come elemento costitutivo della Chiesa
(si veda la Lumen Gentium sul Popolo di Dio). Il Magistero, in
questa prospettiva, non è considerato
come la guida di un branco di
fedeli inconsapevoli.
La persona riceve da altri la propria
esistenza e invoca gli altri: dal pianto del neonato al rantolo del morente.
Essa è costitutivamente rivolta a chi può rispondere al suo bisogno. La
reciprocità non è una dimensione periferica, ma le appartiene come costitutiva.
Il dialogo, allora, non può essere considerato solo strumento per
uno scopo, anche se importante come la verità, né solo come risposta al
pluralismo: è la dimensione normale con cui la persona si relaziona agli altri,
consapevole della propria insufficienza. Il contenuto del dialogo non è solo la
ricerca di una verità, che si ammette di non conoscere pienamente, ma la
consapevolezza della propria indigenza e
della necessità della relazione con le altre persone.
Il
dialogo, certo, può anche essere sfruttato per dominare l’altro. E’ però attività che realizza la persona: è
soprattutto vero che è il dialogo che fa la persona.
Il Magistero non è la rivelazione di qualcosa
di segreto o sotto il dominio del magico. Non è un’azione che schiaccia le leggi
umane e forza dall’esterno le strutture antropologiche.
Tuttavia occorre anche evitare una riduzione
antropologica del Magistero eliminando la Grazia dello Spirito del Gesù
risorto.
Il dialogo è necessario per ragioni di ordine
antropologico, etico, teologico. Negarlo è contrario allo sviluppo della persona:
è un tradimento di natura dogmatica, oltre che morale. E’ una deviazione
rispetto a quella realtà della persona che trova conferma nella rivelazione
cristiana.
Il Magistero quindi dovrebbe ascoltare per
mediare la rivelazione nella vita.
Occorre discernere le implicazioni del
vangelo nella dimensione etica. Il Magistero deve mostrare consapevolezza che
la sua competenza non è, in questo, esclusiva.
I laici particolarmente competenti,
incoraggiati dai pastori, devono far sentire la loro voce. E’ scritto nei documenti
del Vaticano 2°, è stato osservato. I pastori si lascino da loro interrogare,
senza rinunciare al loro carisma. Si
tratta di atteggiamenti speculari.
I laici non sono solo posti all’interno come
fruitori passivi, ma essi stessi contribuiscono ad edificare la Chiesa che li
accoglie. Non sono solo chiamati ad adeguarsi ad una tradizione, ma attraverso
la loro testimonianza vissuti hanno la responsabilità di far crescere quella
tradizione.
L’inosservanza di un insegnamento morale non sempre deriva
dall’incapacità etica del fedele, ma può
essere conseguenza di un insegnamento non adeguato.
Newman chiedeva di porre l’infallibilità del
Papa all’interno della comunità dei credenti, sebbene le dichiarazioni del Papa
non debbano essere parificate a quelle dei
fedeli.
Tutti i fedeli hanno ricevuto l’unzione dello
Spirito Santo: su questo si fonda il loro munus [funzione pubblica] anche
di governo e di santificazione.
Tutti possono collaborare, specialmente in
situazioni inedite.
L’interpretazione degli insegnamenti del
Maestro non è necessariamente monocromatica, deve invece essere policromatica.
La strada che il Concilio indica è quella del dialogo tra tutte le componenti
del popolo di Dio.
2.4. Conclusione.
La reciprocità dell’ascolto si realizza
concretamente nel dialogo, attività necessaria sotto più profili. Negarla è
anche un tradimento della verità morale.
La competenza etica è legata necessariamente
a quella di testimonianza di vita. I laici, in questo, sono necessari perché il
Magistero non divenga disincarnato e ininfluente.
Il magistero non deve esse presentato come
qualcosa che magicamente attinge a informazioni inaccessibili alle altre persone
di fede.
Il consenso del fedeli rimane vitale non solo
come espressione di opinioni estemporanee, ma anche nel quadro di una struttura
organizzata in cui anche il dissenso possa essere ammesso. La sinodalità
richiede quindi adeguate strutture ecclesiali.
Magistero e fedeli: la congiunzione va presa sul serio.
Non ci deve essere una relazione conflittuale. La congiunzione “e” dice
che esiste un’unica Chiesa in cui tutti posso esprimere i doni ricevuti.
Tutto finirà nel Regno di Dio.
3. Dopo il primo approfondimento con l’aiuto di don Cataldo, si
è sviluppato un vivace dibattito.
E’ stato osservato che il dialogo si articola
in vari movimenti, dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto, ma anche con
sviluppo orizzontale: tutti questi processi possono essere virtuosi purché il
dialogo sia effettivo. In questo sono molto importanti i fattori strutturali.
In poche comunità ci sono le condizioni
giuste per trattare questi temi, per poi dialogare con il Magistero. Ci sono
molte difficoltà.
Le esperienze di vita devono essere
rielaborate, ma difficilmente si riesce a farlo e questo crea difficoltà nel
relazionarsi poi con il Magistero.
Ha incontrato apprezzamento l’osservazione che
il dialogo non ha solo una funziona strumentale: tutte le cose che oggi noi
auspichiamo come laici nello sviluppo della sinodalità hanno anche un
fondamento teologico. C’è una radice
profonda dell’esigenza di ascolto. Ma perché l’ascolto non si realizza? C’è
qualcosa che non va. C’è forse una scarsa competenza da parte dei sacerdoti ma
anche dei laici.
Che fare, allora? In particolare,per non
fermarsi alle piccole cose che si riescono a conquistare sul piano
organizzativo. Ad esempio sulle
questioni dell’etica sessuale. E’ possibile fare un passo in più?
Ci si è chiesto: “Chi sono i fedeli? I
battezzati?” Sono battezzati anche i
protestanti, da qui l’esigenza di una sinodalità ecumenica.
Che cosa è la verità? Ci sono verità
scientifiche, filosofiche ecc. C’è una crisi concettuale in questo campo.
Si parla allora molto alle opinioni, e
della libertà di opinione.
C’è una diversità profonda anche all’interno
del Magistero, ad esempio tra quello di Benedetto 16° e quello di Francesco.
Non ci può essere un dialogo asimmetrico, in
cui uno dei due dialoganti ha sempre l’ultima parola. Il dialogo per sua natura
dovrebbe essere tra pari. Si sa come si entra nel dialogo ma non si dovrebbe
sapere come si esce dal dialogo. Può accadere qualcosa di imprevisto. Se già si
sanno le conclusioni, questo non è dialogo.
Ciò che ha a che vedere con la morale non può
discendere da sistemi astratti, ma deve discendere dalla vita. Non c’è un ordine
geometrico della morale.
Il magistero non verbale, è stato osservato,
sta assumendo sempre più importanza.
La gente non sa ripetere un discorso di papa
Francesco, ma dai suoi gesti le persone traggono conseguenze, un insegnamento.
Le immagini sono molto significative: è il
magistero della vita.
C’è un problema cinetico. La lentezza nella
ricezione delle istanze che vengono dalla vita fa sì che qualcuno sia sempre in
ritardo. C’è anche un ritardo del popolo di Dio rispetto al Magistero, ad
esempio sul magistero sull’economia: il popolo di Dio in questo campo è
terribilmente in ritardo. Ad esempio in materia
di tasse. Sull’etica tributaria il Magistero è molto più avanti del
Popolo di Dio, ma su altri temi è diverso. Il biologo direbbe: ci vogliono catalizzatori,
per bypassare questi ritardi, queste inerzie.
Quale potrebbe essere un ufficio catalitico nella Chiesa?
Perché
questo dialogo non si conclude e non porta risultato?, ci è chiesti. Si
potrebbe cominciare dal poco, ma non si fa nemmeno questo.
Le difficoltà del dialogo sono evidenti.
Si è ricordata l’esperienza neocatecumenale
in cui il fedele accosta la Parola di Dio, nell’esperienza detta della risonanza:
dice quello che la Parola gli suscita dentro. Il sacerdote assiste, non
coordina, e anche gli altri che ascoltano fanno lo stesso. Può essere un modo interessante
di procedere nell’ascolto della Parola, ma poi non c’è alcun dialogo. Ognuno dice la
sua, per proprio conto. Così poi non si
cresce. Ognuno pensa sempre di avere ragione. E’ un dialogo con sé stessi che
non sempre porta cose buone.
E’ necessario stabilire un dialogo tra pari,
con il confronto. Uno non può dire le
cose più strampalate mentre gli altri tacciono.
E’ stato ricordato che Gregorio 7° e san Benedetto hanno costruito l’Europa. La
regola di san Benedetto: ora et labora. I monasteri facevano cultura.
C’era un sentire comune, anche a prescindere dalle regole: c’era un sentire
comune, basato sul condividere un fare. Un cultura condivisa
Se c’è un sentire condiviso non c’è bisogno
di tante regole.
Il Magistero dovrebbe accertare le persone come sono.
E’ stato ricordato un detto del filosofo Benjamin a proposito della teologia: la
teologia è diventata un piccolo nano che non piace più a nessuno. Prima invece
era un punto fermo, attorno al quale ruotava tutto il resto. E’ un piccolo nano
che però sta dietro i giocatori di scacchi è dà buoni suggerimenti.
Si parla del sensus fidei, ma il
diritto canonico non conosce questo concetto e allora esso non passa nella
pratica. C’è un problema di passare dalla teoria alla pratica.
La
competenza è irrinunciabile, in ogni campo. La Chiesa non può sentirsi competente
su tutto e deve intercettare le
competenze altrui, soprattutto quando non è in questione la dottrina.
E’ stata ricordata l’esigenza del dialogo con
le giovani donne, che si stanno allontanando dalle parrocchie, perché trovano
pochi modelli adeguati. Alle fedeli cattoliche, allora, spettano grandi sfide.
E’ in discussione anche lo stesso essere donna. Ci aspetta un problema
complicato.
L’immaginario
femminile dei parroci è, ad esempio, carente. Non vengono abituati a un
rapporto paritario, di corresponsabilità con le donne. L’ottica, per loro, è
sempre quella dell’accompagnamento.
In
quest’esperienza di MEIC che abbiamo fatto abbiamo messo in pratica realmente
il dialogo, parlando liberamente e francamente.
E’ un modo pratico, anche se non
ecclesiastico al 100%, per trasmettere convinzioni e vita.
Una Chiesa inclusiva: questa è la finalità
del magistero del Papa.
Anche nei Padri della Chiesa c’era questa
visione, ad esempio in Cipriano di Cartagine.
E’ stato ricordato un pensiero del filosofo Origene (vissuto tra il 2° e il 3° secolo): se
uno esce dalla verità esce dal timore di Dio, e allora esce dalla Chiesa anche se non è espulso dalla
voce del vescovo, ma anche viceversa l’espulsione non conta se il giudizio
degli uomini non è retto secondo la verità. A volte chi è messo fuori è dentro
e chi sembra essere dentro è fuori. C’è l’esigenza di una inclusività maggiore.
Nel
mondo di oggi si parla di post-verità, ma la crisi della verità preoccupa. All’interno
della Chiesa c’è però il problema opposto, di una verità posseduta da
qualcuno, che per questo non può essere veramente condivisa. Nella società
intorno si preferisce parlare di opinioni, ma anche qui allora non si
raggiunge mai una verità condivisa. Però, certo, non si può dialogare senza l’espressione
di opinioni, senza poterlo fare liberamente. Il dialogo deve essere simmetrico,
alla pari. E’ vero anche all’interno della Chiesa: si va superando la
separazione tra Chiesa docente e Chiesa discente. La Chiesa docente è anche
discente, verso la rivelazione, e la Chiesa discente è anche docente, sempre
nel confronto con la rivelazione. Perché una persona laica non può decidere in
ambito ecclesiale? E’ vero: non c’è dialogo se si sa già come andrà a finire.
Il Battesimo è il fondamento teologico della
partecipazione dei laici.
I laici pongono la Chiesa, non vi sono solo
dentro. E’ stata citata la metafora biologica, proposta da un professore socio
Meic, Cirotti, della collaborazione delle cellule per indicare quella che dovrebbe
esserci nella Chiesa.
Non si deve però essere sfiduciati, è stato
osservato. I tempi della Chiesa possono essere lunghi, ma non bisogna perdere
la speranza che andando avanti certe idee diventeranno anima della Chiesa.
Il Concilio di Trento livellò il linguaggio
teologico sul latino, in un sistema di formule. Al tempo di Matteo Ricci per i
cinesi non andava bene. E anche per noi oggi.
Sintesi
del dibattito di Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli