Manuale
operativo di sinodalità
- 14 –
Sinodalità
dal basso
Il fatto che nella nostra Chiesa ci sia un “alto”
e un “basso” è un portato storico.
Il logo del Sinodo 2021-2023 vuole rendercene l’idea.
Ecco che vengono rappresentati i profili di
gente di diverse età in cammino e, in mezzo, un vescovo, riconoscibili dagli strumenti
del mestiere, la mitra e il pastorale.
La spiegazione della figura, che si trova sul sito del sinodo https://www.synod.va/it/news/synod-official-logo.html
è questa:
Un grande albero maestoso,
pieno di saggezza e di luce, raggiunge il cielo. Segno di profonda vitalità e
speranza, esprime la croce di Cristo. Porta l'Eucaristia, che brilla come il
sole. I rami orizzontali aperti come mani o ali suggeriscono, allo stesso
tempo, lo Spirito Santo.
Il popolo di Dio non è statico: è in movimento, in riferimento
diretto all'etimologia della parola sinodo, che significa "camminare
insieme". Le persone sono unite dalla stessa dinamica comune che questo
Albero della Vita respira in loro, da cui iniziano il loro cammino.
Queste 15 sagome riassumono tutta la nostra umanità nella sua
diversità di situazioni di vita, di generazioni e origini. Questo aspetto è
rafforzato dalla molteplicità dei colori brillanti che sono essi stessi segni
di gioia. Non c'è gerarchia tra queste persone che sono tutte sullo stesso
piano: giovani, vecchi, uomini, donne, adolescenti, bambini, laici, religiosi,
genitori, coppie, single; il vescovo e la suora non sono davanti a loro, ma tra
di loro. Molto naturalmente, i bambini e poi gli adolescenti aprono loro il
cammino, in riferimento a queste parole di Gesù nel Vangelo: " Ti rendo
lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose
ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”. (Mt 11,25)
La linea di base orizzontale:
"Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione” corre da
sinistra a destra nella direzione di questa marcia, sottolineandola e
rafforzandola, per finire con il titolo "Sinodo 2021 - 2023": il
punto più alto che sintetizza il tutto.
Fin dall’antichità il sinodo
fu un incontro tra gerarchi, tra persone, in genere uomini, le quali a vario titolo
esercitavano un potere sacro: la parola gerarca, dall’antico greco ἱεράρχης [si legge ieràrkes],
che è composta dalle parole ἱερός [ieròs], che significa sacro e ἄρχω [àrcko],
capo. Un gerarca è sopra
agli altri, appunto perché esercita
un potere sacro, vale a dire indiscutibile perché voluto da un dio,
che per definizione è sopra. Un altro modo definire questa funzione
pubblica è sacerdote, che ha in sé la parola latina sacer, sacro.
Anche il sacerdote sta sopra.
La teologia cristiana
ha cambiato radicalmente le cose, anche se le sue liturgie risentono delle
consuetudini sacrali delle religioni
più antiche. Anche nella religione degli antichi romani c’erano pontefici e sacerdoti. I teologi spiegano le cose impiegando
la letteratura dei secoli passati che è molto sofisticata e quindi non alla portata
di tutti. Nel Credo che recitiamo
la domenica a messa usiamo antiche formule che la sintetizzano. L’espressione
chiave è “s’è fatto come noi”. Questo ci permette di fare Chiesa dal
basso. In realtà, in quest’ottica è superata l’organizzazione con un alto
e un basso. Almeno nelle cose
essenziali, e non lo sono, ad esempio, quelle che riguardano la burocrazia
ecclesiastica e la Città del Vaticano, come anche l’organizzazione del lavoro
per mandare avanti una basilica o anche una parrocchia. Nei cammini sinodali, mondiale e italiano, che stiamo celebrando ci
si occupa, appunto, dell’essenziale.
La nostra fede è fatta di molta gente che si cerca per viverla insieme e
vuole mantenersi in contatto, anche da molto lontano. Questo risale alle
origini. Fin da allora si è condiviso il comandamento di essere una
cosa sola, come è scritto:.
Io non
prego soltanto per questi miei discepoli, ma prego anche per altri, per
quelli che crederanno in me dopo aver ascoltato la loro parola. Fa’ che
siano tutti una cosa sola: come tu, Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi
siano in noi. Così il mondo crederà che tu mi hai mandato.
«Io ho dato loro la
stessa gloria che tu avevi dato a me, perché anch’essi siano una cosa sola come
noi: io unito a loro e tu unito a me. Così potranno essere perfetti
nell’unità, e il mondo potrà capire che tu mi hai mandato, e che li hai amati
come hai amato me [καὶ ἠγάπησας αὐτοὺς καθὼς ἐμὲ ἠγάπησας.
– kài egàpesas autùs kathòs emè egàpesas]. Padre, voglio che dove sono io siano
anche quelli che tu mi hai dato, perché vedano la gloria che tu mi hai dato:
infatti tu mi hai amato ancora prima della creazione del mondo.
«Padre giusto, il mondo
non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto ed essi sanno che tu mi hai
mandato. Io ti ho fatto conoscere a loro e ti farò conoscere ancora; così
l’amore che hai per me sarà in loro, e anch’io sarò in loro».
[Dal Vangelo secondo
Giovanni, capitolo 17, versetti da 20 a 26 – Gv 17, 20-26]
Una unità che non è basata sulla soggezione ad
un’unica autorità gerarchica, ma sull’agàpe, che in quel testo
traduciamo con amore, ma significa
molto di più del semplice sentimento: è convivenza pacifica, solidale,
sollecita. Insomma pace.
La persona cristiana mette pace come dovere religioso.
Sinodalità dal basso significa mettere pace tra noi e vivere
questo come l’essenziale del nostro essere Chiesa. Una cosa molto bella,
che può rendere felici. E anche molto semplice da capire. Molto più difficile, naturalmente,
da fare. Poiché, però, è l’essenziale, tutto dovrebbe esservi finalizzato, anche
ciò che chiamiamo catechesi e la liturgia.
Mario Ardigò – Azione Cattolica
in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli