Principi generali desunti dal
Documento finale del Sinodo speciale dei Vescovi per la Regione Panamazzonica
(26-10-19)
0. Presentazione. Il Documento
finale del Sinodo speciale dei vescovi per la Regione Panamazzonica è un
documento di portata eccezionale ed epocale per la nostra Chiesa, perché
disegna un progetto di vera e propria riforma ecclesiale, definita conversione integrale, basato
sui tre principi cardine di dottrina sociale della sinodalità
totale e diffusa, della integrazione
interculturale e della ministerialità di tutti i
fedeli per la cura della casa comune, quindi
per attuare una riforma sociale a livello globale nel senso
dei valori del vangelo, intesa come parte fondamentale della missione ecclesiale.
Si tratta di principi fondati su ragioni non collegate con un preciso ambito
culturale o territoriale, ma suscettibili di essere estesi e applicati in
ambito universale, benché il processo di riforma abbia avuto principio dall'episcopato di
una remota (per noi europei) regione del mondo. Per questo ne ho
elaborato una sintesi, utilizzando
le stesse parole del Documento finale,
generalizzandone i riferimenti dalla regione
Panamazzonica al mondo e inserendo
elementi di raccordo. Ve l’offro di seguito.
Quei principi sono attualmente fortemente osteggiati
da settori importanti della nostra Chiesa che seguono la storica, millenaria,
impostazione organizzativa sacrale e clerico-gerarchica,
la quale certamente non risale alle origini, ma è stata elaborata tra l’Undicesimo e il
Tredicesimo secolo e pervicacemente
sviluppata nei secoli successivi, fino agli anni Cinquanta del Novecento, in
cui si è iniziato a mutare i modelli culturali di riferimento. Sinteticamente
essa venne progettata come una piramide,
alla base della quale vi erano tutti i
fedeli laici, e ai vari livelli superiori vari ordini del clero e dei
religiosi, strutturati gerarchicamente secondo l’antico modello feudale, quindi
con autorità monarchiche dotate di varia autonomia e, sopra tutti, il Papato
romano, con il sommo potere religioso in questo mondo accentrato con valore
sacrale in un’unica persona fisica, concepita come Vicaria del potere celeste.
Parallelamente allo sviluppo del nuovo ordine
ecclesiale, nei primi secoli del Secondo Millennio, tra l’Undicesimo e il
Sedicesimo Secolo ebbe sostenitori l’idea, detta conciliatorismo, che al vertice della Chiesa dovesse essere
considerato il Concilio generale dei
vescovi: essa fu recessiva a partire dal Concilio
Lateranense 5° (1512-1517) e fu ripudiata durante il Concilio Vaticano 1° (1868-1870),
nel corso del quale fu deliberato il dogma dell’infallibilità del supremo
magistero del Papa in materia di fede e
di morale.
Il modello organizzativo della sinodalità
totale e diffusa, proposto dal Sinodo Panamazzonico, differisce profondamente
dai due modelli che ho sopra sintetizzato. Nel Documento finale se ne spiegano le principali caratteristiche e
linee guida. Esso finora appare essere stato sperimentato solo nelle Comunità di base, che si sono sviluppate
in America Latina, da dove ci è venuto il Papa regnante, Francesco. Applicarlo
su larga scala definisce una vera e propria Riforma
ecclesiale. Le sue novità spiegano le dure resistenze all'avvio in
Italia di un processo sinodale analogo a quello Panamazzonico, necessario per
darvi avvio trattandosi di riforma concepita come scaturente dal
basso, da parte di coloro i quali,
temendo che dal rinnovamento scaturisca la dispersione e/o la fine delle loro
prerogative particolari, o entrambi i casi, consigliano di mantenere il congelamento dei
processi evolutivi di riforma realizzato a partire dai passati anni '90.
Coloro che, invece, li vedono con favore osservano che l'organizzazione e
alcune modalità di azione ecclesiali appaiono ormai obsolete e, senza quel
rinnovamento, condurranno la nostra Chiesa a divenire un residuato storico,
utile nelle sue suggestive liturgie al modo delle sfilate folkloristiche in
certi nostri borghi medievali. A Bolsena, la cittadina laziale sulle rive
dell'omonimo lago dove sono andato in vacanza negli anni passati, se ne fa una
molto simpatica, in cui sfilano maschere ecclesiastiche, anche
un Papa medievale, che riscuotono l'ammirazione del numeroso pubblico, con
molti turisti da altre nazioni, costituendo una bella ambientazione per i selfie.
In definitiva, ai passatisti tra noi fedeli, questa superstite
autorevolezza scenografica non dispiace, perché disperano di poterne mantenere
di altro tipo. Essi definiscono progressisti i fautori dell’opposto orientamento e, di
seguito, di fatto li scomunicano asserendo che, nella nostra Chiesa, non
sarebbe possibile alcun vero progresso, perché, nei fondamenti, si è
rimasti sempre gli stessi e allo stesso punto. Una realistica considerazione
dei processi storici della nostra Chiesa induce, per altro, a ritenere il
contrario. Discutendo con degli amici osservavo, ad esempio, che, a due passi
da dove lavoro, giustiziarono un pastore valdese, sotto il dominio temporale
del Papato romano: lo strangolarono, ne bruciarono il corpo, e ne buttarono i
resti nel fiume Tevere. Si era nel 1560 ed era in corso il Concilio di
Trento (1545-1563) che produsse quella che va sotto il nome di Controriforma,
in realtà una vera e propria Riforma, sullo stimolo di quella avviata da
Martin Lutero nel 1517. Essa diede alla
nostra Chiesa gran parte delle caratteristiche con cui oggi la conosciamo in
Italia e che si iniziò a modificare solo con il Concilio Vaticano 2° (1962-1965).
Oggi non strangoliamo più la gente per questioni di dottrina. E' indubbiamente un progresso.
La nostra Chiesa storicamente espresse il
contrasto alla nuove idee religiose anche in forme estremamente violente, che
compresero pure stragi di innovatori e dissenzienti, alcune immani, e lunghe
guerre. Dall’Ottocento, i processi democratici impedirono quelle le azioni più
cruente e si reagì più che altro con l’esclusione o l’emarginazione, in
particolare a partire dall’ultima grande persecuzione religiosa, quella contro
il cosiddetto Modernismo, ascrivibile in gran parte al papa Pio 10°,
regnante dal 1903 al 1914, santo della nostra Chiesa anche, ma non solo, per
meriti che gli vennero riconosciuti per quell’azione di repressione. Dagli anni
’90, quelli del congelamento
ecclesiale in Italia, il dissenso e le proposte riformatrici vengono
semplicemente ignorati, non se ne parla, si fa come se non esistessero e comunque non provenissero dall’interno della
Chiesa ma dai suoi nemici, e chi dissente o chi evidenza la necessità di riforme
viene dimenticato, e a volte recuperato solo dopo morto dopo un qualche tempo
di decantazione e di ridefinizione della sua memoria. Questo il trattamento che
mi pare essere stato riservato finora al Documento
finale del Sinodo Panamazzonico,
benché sia stato scritto a Roma, nell’ottobre dello scorso 2019, e contenga
quegli importati principi a cui accennavo, suscettibili di applicazione
universale riformatrice. Con la sintesi che segue vorrei cercare, invece, di favorirne
la conoscenza, pur con i miei limiti di semplice fedele con una informazione di
base delle cose di religione acquisita progressivamente negli anni di militanza
in FUCI, nel Movimento Ecclesiale di Impegno culturale e in Azione Cattolica.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in
San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
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1. Esiste una realtà multietnica e multiculturale nelle società
del mondo contemporaneo
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Esiste una realtà multietnica e
multiculturale nelle società del mondo
contemporaneo. I diversi popoli hanno saputo adattarsi al territorio.
All'interno di ogni cultura, hanno costruito e ricostruito la loro
cosmovisione, i loro segni e i loro significati, e la visione del loro futuro.
Nelle culture e nei popoli, antiche pratiche e spiegazioni mitiche coesistono
con le tecnologie e le sfide moderne. I volti dei popoli che abitano un’area
geografica sono molto variegati. Oltre ai popoli originari, esiste un grande
meticciato nato dall'incontro e dal non incontro di popoli diversi.
2. Vi sono culture tradizionali fondate sul principio dell’armonia
“buon vivere”, il quale si realizza pienamente nelle Beatitudini.
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Vi sono culture tradizionali
fondate sul principio del “buon vivere”,
il quale si realizza pienamente nelle Beatitudini. Si tratta di vivere in armonia con sé
stessi, con la natura, con gli esseri umani e con l'essere supremo, giacché
esiste un'intercomunicazione tra tutto il cosmo, dove non ci sono né escludenti
né esclusi, e dove possiamo forgiare un progetto di vita piena per tutti.
3. Gli ambienti naturali e sociali feriti dagli interessi
economici e politici dominanti.
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Gli ambienti naturali e
sociali dove vivono i popoli della Terra presentano una bellezza ferita e
deformata, sono anche un luogo di dolore e violenza. Gli attentati contro la natura hanno
conseguenze per la vita dei popoli. Queste sono le minacce della vita che
vengono osservate: appropriazione e privatizzazione di beni naturali, come
l'acqua stessa; concessioni legali ad industrie di legname e l'ingresso di
industrie di legname illegali; caccia e pesca predatoria; mega-progetti non
sostenibili (progetti idroelettrici, concessioni forestali, disboscamento
massiccio, monocolture, infrastrutture viarie, infrastrutture idriche,
ferrovie, progetti minerari e petroliferi); inquinamento causato dall'industria
estrattiva e dalle discariche urbane; e, soprattutto, il cambiamento climatico.
Si tratta di minacce reali che producono gravi conseguenze sociali: malattie
derivate dall'inquinamento, traffico di droga, gruppi armati illegali,
alcolismo, violenza contro le donne, sfruttamento sessuale, traffico e tratta
di esseri umani, vendita di organi, turismo sessuale, perdita della cultura
originaria e dell'identità (lingua, pratiche spirituali ed usanze),
criminalizzazione e assassinio di leader e difensori del territorio. Dietro tutto questo ci sono gli interessi
economici e politici dei settori dominanti, con la complicità di alcuni
governanti e di alcune autorità indigene. Le vittime sono i soggetti più
vulnerabili, i bambini, i giovani, le donne e la sorella madre terra.
4. Una bioeconomia
innovativa è possibile utilizzando
scienza e tecnologie avanzate.
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La comunità scientifica, da parte sua,
avverte dei rischi della deforestazione, minaccia la sopravvivenza degli
ecosistema, mettendo in pericolo la biodiversità e modificando il ciclo vitale
dell'acqua per la sopravvivenza delle foreste. Allo stesso tempo, gli esperti
ricordano che utilizzando la scienza e le tecnologie avanzate per una bioeconomia innovativa delle foreste
intatte e dei fiumi che scorrono, è possibile contribuire a salvare le, proteggere
gli ecosistemi naturali e i popoli che li abitano, e allo stesso tempo
fornire attività economiche sostenibili.
5. Le migrazioni.
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Un fenomeno da affrontare sono le
migrazioni. Si osservano tre processi
migratori simultanei. In primo luogo, i casi di mobilità dei gruppi in
territori vicini, anche se separati da frontiere nazionali e internazionali. In
secondo luogo, lo spostamento forzato di gruppi umani, espulsi dai loro
territori di origine, la cui destinazione finale coincide tendenzialmente con
le zone più povere e peggio urbanizzate delle città. In terzo luogo, la
migrazione interregionale forzata e il fenomeno dei rifugiati che, costretti a
lasciare i loro Paesi di origine, attraversano altri territori come corridoio migratorio.
Occorre un’attenzione pastorale transfrontaliera in grado di includere il
diritto alla libera circolazione di questi popoli. La mobilità umana
determinata da bisogno e persecuzione a rivela il volto di Gesù Cristo
impoverito e affamato (cfr. Mt 25,35), espulso e senza tetto
(cfr. Mt 2,13-14), ma si esprime anche nella femminilizzazione
della migrazione che rende migliaia di donne vulnerabili alla tratta di esseri
umani, una delle peggiori forme di violenza contro le donne e una delle più
perverse violazioni dei diritti umani. Il traffico di persone legata alla
migrazione richiede un permanente lavoro pastorale in rete.
Il
fenomeno migratorio, per la sua crescita e il suo volume, si è ormai
trasformato in un’inedita sfida
politica, sociale ed ecclesiale (cfr. DAp, 517, a).
Sarà necessario creare equipe missionarie che accompagnino queste famiglie, coordinando
con le parrocchie e le altre istituzioni ecclesiali ed extraecclesiali le
condizioni di accoglienza, offrendo liturgie inculturate e nelle lingue dei
migranti, promuovendo spazi di scambio culturale, favorendo l'integrazione
nella comunità e nella città e motivandole ad essere esse stesse
6. L'annuncio di Cristo si è compiuto spesso in connivenza con i poteri
che sfruttavano le risorse e opprimevano le popolazioni.
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La Chiesa nel suo processo di ascolto
del grido del territorio e del grido dei popoli deve fare memoria dei suoi
passi. L'evangelizzazione è stato un dono della Provvidenza che chiama tutti
alla salvezza in Cristo. Nonostante la colonizzazione militare, politica e
culturale, e al di là dell'avidità e dell'ambizione dei colonizzatori, ci sono
stati molti missionari che hanno dato la loro vita per trasmettere il Vangelo.
Il sentimento missionario ha ispirato non solo la formazione di comunità
cristiane, ma anche una legislazione come le Leggi delle Indie, che
proteggevano la dignità dei popoli che subivano colonizzazioni contro le aggressioni perpetrate a danno dei loro popoli
e dei loro territori. Tali abusi hanno
causato ferite nelle comunità e oscurato il messaggio della Buona Novella. L'annuncio di Cristo si è compiuto spesso
in connivenza con i poteri che sfruttavano le risorse e opprimevano le
popolazioni. Nel momento attuale, la Chiesa ha l'opportunità storica di
differenziarsi dalle nuove potenze colonizzatrici ascoltando i popoli soggetti
a colonizzazione per poter esercitare in modo trasparente la sua attività
profetica. Inoltre, la crisi socio-ambientale apre nuove opportunità per
presentare Cristo in tutto il suo potenziale liberatorio e umanizzante.
7. Necessità di una conversione integrale per ascoltare il grido della terra e dei
poveri. Una Chiesa incarnata, samaritana, maddalena, mariana, che
soccorre amorevolmente, riconcilia e si riconcilia, genera.
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L'ascolto del grido della
terra e del grido dei poveri e dei popoli
con cui camminiamo ci chiama a una vera conversione integrale, con una
vita semplice e sobria, il tutto alimentato da una spiritualità mistica nello
stile di San Francesco d'Assisi, esempio di conversione integrale vissuta con
letizia e gioia cristiana (cfr. LS 20-12).
Come Chiesa di discepoli missionari, imploriamo la grazia di questa
conversione che “comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro
con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda” (LS 217);
una conversione personale e comunitaria che
ci impegni a relazionarci armoniosamente con l'opera creatrice di Dio, che è la
“casa comune”; una conversione che promuova la creazione di strutture in
armonia con la cura del creato; una conversione pastorale basata sulla
sinodalità, che riconosca l'interazione di tutto ciò che è creato. Conversione
che ci porti ad essere una Chiesa in uscita che entri nel cuore di tutti i
popoli.
La nostra conversione
pastorale sarà samaritana, in
dialogo, accompagnando le persone con volti concreti di indigeni, contadini,
afro-discendenti e migranti, giovani, abitanti delle città. Tutto questo supporrà una spiritualità
di ascolto e di annuncio.
La Chiesa per sua natura è missionaria
e ha la sua origine nell'amore fontale di
Dio. Il dinamismo missionario che scaturisce dall'amore di Dio si
irradia, si espande, straripa e si diffonde in tutto l'universo. Siamo inseriti
dal battesimo nella dinamica dell'amore attraverso l'incontro con Gesù che dà
un nuovo orizzonte alla vita (cfr. DAp 12). Questo straripare
spinge la Chiesa a una conversione pastorale e ci trasforma in comunità vive
che lavorino in équipe e reti al servizio dell'evangelizzazione. La missione così intesa non è qualcosa di
facoltativo, un'attività della Chiesa tra le altre, ma è la sua stessa natura.
La Chiesa è missione! L'azione missionaria è il paradigma di ogni
opera della Chiesa". Essere un
discepolo missionario è qualcosa in più di portare a compimento dei compiti o
fare delle cose. Si situa nell'ordine dell'essere. "Gesù ha indicato a
noi suoi discepoli che la nostra missione nel mondo non può essere statica, ma
è itinerante. Il cristiano è un itinerante" (Francesco, Angelus,
30 giugno 2019).
Vogliamo essere una Chiesa
samaritana, incarnata nel modo in cui il Figlio di Dio si è incarnato:
"Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie" (Mt 8,17b). Colui che si è fatto povero per
arricchirci con la sua povertà (cfr. 2 Cor 8,9), attraverso il
suo Spirito, esorta i discepoli missionari di oggi a uscire incontro a tutti,
specialmente ai popoli originari, ai poveri, agli esclusi dalla società e agli
altri. Desideriamo anche una Chiesa maddalena, che si sente amata e riconciliata,
che annuncia con gioia e convinzione Cristo crocifisso e risorto. Una Chiesa mariana che genera figli alla fede e li
educa con affetto e pazienza, imparando anche dalle ricchezze dei popoli.
Vogliamo essere una Chiesa serva, kerigmatica, educatrice e inculturata in
mezzo ai popoli che serviamo.
8. Necessità di un atteggiamento di dialogo aperto, riconoscendo
anche la molteplicità degli interlocutori.
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La realtà multietnica,
multiculturale e multireligiosa delle società umane del mondo contemporaneo richiede
un atteggiamento di dialogo aperto, riconoscendo anche la molteplicità degli
interlocutori: i popoli indigeni e discendenti dalle migrazioni, le altre
Chiese cristiane e denominazioni religiose, le organizzazioni della società
civile, i movimenti sociali popolari, lo Stato, insomma tutte le persone di
buona volontà che cercano la difesa della vita, l'integrità del creato, la pace
e il bene comune.
Il dialogo ecumenico,
interreligioso e interculturale deve essere assunto come la via irrinunciabile
dell'evangelizzazione (cfr. DAp 227). I popoli contemporanei sono un'amalgama di
credi, con una numerosa presenza di cristiani. Di fronte a questa realtà ci si
aprono reali cammini di comunione: "non bastano le
manifestazioni di buoni sentimenti. Occorrono gesti concreti che entrino negli
animi e smuovano le coscienze, sollecitando ciascuno a quella conversione
interiore che è il presupposto di ogni progresso sulla via dell’ecumenismo"
(Benedetto XVI, “Missa pro Ecclesia”, Messaggio al termine della
prima Concelebrazione Eucaristica con i Cardinali elettori nella Cappella
Sistina, 20 aprile 2005).
Nel quadro del dialogo interreligioso le tradizioni etniche
locali meritano di essere conosciute,
comprese nelle proprie espressioni e nel loro rapporto gli ambienti naturali di
insediamento, la madre terra di
ciascuna di esse. Insieme a loro, i cristiani, basandosi sulla loro fede
nella Parola di Dio, si mettono in dialogo, condividendo la loro vita, le loro
preoccupazioni, le loro lotte, le loro esperienze di Dio, per approfondire
mutuamente la fede e agire insieme in difesa della casa comune.
Occorre anche generare un
maggiore impulso missionario tra le vocazioni locali; ogni regione deve essere evangelizzata anche dal suo popolo.
È urgente dare alla pastorale locale il
suo posto specifico nella Chiesa. Partiamo da realtà plurali e culture diverse
per definire, elaborare e adottare azioni pastorali che ci permettano di
sviluppare una proposta evangelizzatrice in mezzo alle comunità locali,
collocandoci nel quadro di una pastorale locale e della terra. La pastorale dei
popoli locali ha una sua specificità. Le
colonizzazioni motivate dalla rapina economica
nel corso della storia, con le diverse correnti migratorie, l’hanno messa
in una situazione di alta vulnerabilità. In questo contesto, come Chiesa, è
ancora necessario creare o mantenere un'opzione preferenziale per i popoli locali,
in virtù della quale sono da stabilire e consolidare gli organismi diocesani di
pastorale indigena per mezzo di una rinnovata azione missionaria, che ascolti,
dialoghi, sia incarnata e assicuri una presenza permanente. L'opzione preferenziale per i popoli locali,
con le loro culture, identità e storie, esige da noi che aspiriamo a una Chiesa
locale con propri sacerdoti e ministri sempre uniti e in totale comunione con
la Chiesa cattolica.
9. I giovani. Necessità di Una pastorale [ La pastorale è
un’attività della Chiesa che consiste nell’introdurre, formare, sorreggere e
indirizzare nella vita di fede] sempre in divenire, incentrata su Gesù Cristo e sul suo
progetto, dialogica
e integrale, impegnata in tutte le realtà giovanili esistenti sul
territorio, compagna nell’ascolto, che accoglie i giovani
e cammina con loro, soprattutto nelle periferie.
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Tra i diversi volti della realtà contemporanea spicca quello dei
giovani presenti in tutto il territorio. Giovani residenti in aree rurali e
urbane, che sognano e cercano ogni giorno migliori condizioni di vita, con il
profondo desiderio di avere una vita piena. Giovani studenti, lavoratori e con
una forte presenza e partecipazione in vari spazi sociali ed ecclesiali. Tra i
giovani si presentano realtà tristi come la povertà, la violenza, la malattia,
la prostituzione infantile, lo sfruttamento sessuale, il consumo e il traffico
di droga, la gravidanza precoce, la disoccupazione, la depressione, la tratta
di esseri umani, nuove forme di schiavitù, il traffico di organi, le difficoltà
di accesso all'istruzione, la salute e l'assistenza sociale. Purtroppo, negli ultimi anni, si è
registrato un significativo aumento dei suicidi tra i giovani, così come un
aumento della popolazione carceraria minorile e dei crimini tra e contro i
giovani, soprattutto i discendenti dalle migrazioni per bisogno e persecuzioni e gli abitanti
nelle periferie. Anche i giovani in
difficoltà, che vivano ancora nelle loro regioni di origine o in quelle di
destinazione migratoria, hanno gli stessi sogni e desideri degli altri giovani
di questo mondo: essere tenuti in considerazione, rispettati, avere opportunità
di studio, di lavoro e di un futuro di speranza. Tuttavia stanno vivendo una
profonda crisi di valori, o una transizione verso altri modi di concepire la
realtà, nei quali gli elementi etici stanno cambiando, anche per i giovani
indigeni. Il compito della Chiesa è quello di accompagnarli ad affrontare
qualsiasi situazione che distrugga la loro identità o danneggi la loro
autostima.
Le città devono affrontare enormi
problemi di delinquenza giovanile, mancanza di lavoro, lotte etniche e
ingiustizie sociali. Qui, in particolare, la
Chiesa è chiamata a essere una presenza profetica tra i giovani, offrendo loro
un accompagnamento adeguato e un'educazione appropriata.
In comunione con la realtà giovanile
contemporanea, la Chiesa proclama ai
giovani la Buona Novella di Gesù, il discernimento e l'accompagnamento
vocazionale, il luogo di valorizzazione della cultura e dell'identità locale,
la leadership giovanile, la promozione dei diritti della gioventù, il
rafforzamento di spazi creativi, innovativi e differenziati di evangelizzazione
attraverso un rinnovato e audace ministero giovanile. Una pastorale sempre in divenire, incentrata su Gesù Cristo e sul suo
progetto, dialogica e integrale,
impegnata in tutte le realtà giovanili esistenti sul territorio. I
giovani hanno un enorme potenziale e partecipano attivamente alle loro comunità
e organizzazioni contribuendo come leader e animatori, in difesa dei diritti,
soprattutto per quanto riguarda il territorio, la salute e l'istruzione.
D'altro canto, sono le principali vittime dell'insicurezza nelle società di
origine e dell'assenza di politiche pubbliche specifiche e di qualità. La
diffusione di alcol e droghe arriva spesso fino alle comunità indigene,
danneggiando seriamente i giovani e impedendo loro di vivere liberamente per
costruire i loro sogni e partecipare attivamente alla comunità.
Il protagonismo dei giovani appare chiaramente nel Documento
finale della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi dedicata
ai giovani (cfr. nn. 160 e 46), nell'Esortazione Apostolica Postsinodale Christus
vivit (cfr. n. 170) e nell'Enciclica Laudato si’ (cfr.
n. 209). I
giovani vogliono essere protagonisti e la Chiesa vuole riconoscere il loro
spazio. Vuole essere compagna
nell'ascolto, riconoscendo i giovani come luogo teologico, come profeti di speranza, impegnati nel
dialogo, ecologicamente sensibili e attenti alla ‘casa comune’. Una Chiesa che accoglie i giovani e cammina
con loro, soprattutto nelle periferie. Di fronte a ciò sorgono tre urgenze:
promuovere nuove forme di evangelizzazione attraverso i social media (cfr.
Francesco, Christus Vivit 86); aiutare i giovani a raggiungere
una sana interculturalità; aiutarli ad affrontare la crisi valoriale che
distrugge la loro autostima e fa perdere loro la propria identità.
10. La
crescita accelerata delle metropoli è accompagnata dalla proliferazione di
periferie urbane. Le famiglie spesso soffrono per la
povertà, alloggi precari, mancanza di lavoro, aumento del consumo di droghe e
alcol, discriminazione e suicidio infantile, mancanza di dialogo fra le
generazioni. Sviluppo di nuovi tipi di famiglie: famiglie monoparentali sotto
la responsabilità delle donne, aumento delle famiglie separate, unioni libere e
famiglie allargate, diminuzione dei matrimoni istituzionali. Necessità di difendere
il diritto di tutte le persone alla città. Le Comunità di base come fondamento pastorale di molte parrocchie.
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Si
registra una forte tendenza dell'umanità a
concentrarsi nelle città, a migrare dalle più piccole alle più grandi. La
crescita accelerata delle metropoli è accompagnata dalla proliferazione di
periferie urbane. Allo stesso tempo, si trasmettono stili di vita, forme di convivenza,
linguaggi e valori plasmati dalle metropoli, i quali si impiantano sempre più
sia nelle comunità indigene che nel resto del mondo rurale. La famiglia in
città è un luogo di sintesi tra la cultura tradizionale e quella moderna. Nonostante ciò, le famiglie spesso soffrono per la povertà, alloggi precari, mancanza
di lavoro, aumento del consumo di droghe e alcol, discriminazione e suicidio
infantile. Inoltre, nella vita familiare si segnala una mancanza di dialogo tra
le generazioni e si perdono le tradizioni e la lingua. Le famiglie devono
inoltre affrontare nuovi problemi di salute, che richiedono un'adeguata
educazione in fatto di maternità. I rapidi cambiamenti di oggi toccano le
famiglie contemporanee. Troviamo così
nuovi tipi di famiglia: famiglie monoparentali sotto la responsabilità delle
donne, aumento delle famiglie separate, unioni libere e famiglie allargate,
diminuzione dei matrimoni istituzionali. La città è un'esplosione di vita,
perché Dio vive nella città. In essa
esistono ansia e ricerca del senso della vita, conflitti, ma anche solidarietà,
fraternità, desiderio di bontà, verità e giustizia. Evangelizzare la città o la cultura urbana significa raggiungere e quasi sconvolgere mediante la
forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di
interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita
dell'umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno di
salvezza.
È necessario difendere il
diritto di tutte le persone alla città. Il diritto rivendicato alla città si definisce come il godimento
equo delle città all’interno dei principi di sostenibilità, democrazia e
giustizia sociale. Tuttavia, sarà anche necessario incidere nelle politiche
pubbliche e promuovere iniziative che migliorino la qualità della vita nel
mondo rurale, evitando così lo spostamento incontrollato delle persone.
Le comunità ecclesiali di base sono state e
sono un dono di Dio alle Chiese locali. Nonostante ciò, è necessario riconoscere che, con il
passare del tempo, alcune comunità ecclesiali si sono appiattite, indebolite o
sono addirittura scomparse. Ma la grande maggioranza rimane perseverante e
costituisce il fondamento pastorale di molte parrocchie. Oggi i grandi pericoli
delle comunità ecclesiali derivano principalmente dal secolarismo,
dall'individualismo, dalla mancanza di una dimensione sociale e dall'assenza di
attività missionaria. Pertanto, è necessario che i pastori incoraggino tutti e
ciascuno dei fedeli al discepolato missionario. La comunità ecclesiale dovrà
essere presente negli spazi di partecipazione alle politiche pubbliche dove si
articolano azioni per rivitalizzare la cultura, la convivenza, il tempo libero
e la celebrazione. Dobbiamo lottare affinché alle periferie siano garantiti i
diritti
11. Una conversione culturale per andare incontro agli altri e
imparare da loro. La fede come sfida in
divenire. Includere tutti. I popoli originari e quelli che sono arrivati
più tardi e hanno forgiato la loro identità nella convivenza, sono portatori di
valori culturali in cui scopriamo i semi del Verbo.
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La nostra conversione deve
essere anche culturale, andando incontro all'altro, per imparare dall'altro.
Essere presenti, rispettare e riconoscere i suoi valori, vivere e praticare l'inculturazione
e l'interculturalità nel nostro annuncio della Buona Notizia. Esprimere e
vivere la fede è una sfida sempre in divenire. Essa si incarna non solo nel lavoro pastorale ma anche in azioni
concrete con e per l’altro, nell'attenzione alla salute, nell'educazione, nella
solidarietà e nel sostegno ai più vulnerabili. Vorremmo condividere tutto ciò
in questa sezione.
Nelle società umane
contemporanee ci sono realtà pluriculturali che esigono e di avere uno
sguardo che includa tutti e di utilizzare espressioni che permettano di
identificare e collegare tutti i gruppi, nonché di rispecchiare identità che
vengano riconosciute, rispettate e promosse tanto nella Chiesa quanto nella
società, che deve trovare nei popoli un valido interlocutore per il dialogo e
l'incontro. Imparare la gestione
sostenibile della natura dalle culture tradizionali.
Solo una Chiesa
missionaria inserita e inculturata porterà alla nascita di Chiese particolari
autoctone, dal volto e dal cuore dei popoli in cui vivono, radicate nelle
culture e nelle tradizioni proprie dei popoli, unite nella stessa fede in Cristo e
diverse nel loro modo di viverla, esprimerla e celebrarla.
I popoli originari e quelli
che sono arrivati più tardi e hanno forgiato la loro identità nella convivenza,
sono portatori di valori culturali in cui scopriamo i semi del Verbo.
Il pensiero dei popoli non
integrati nella cultura occidentale offre talora una visione integratrice della
realtà, capace di comprendere le molteplici connessioni esistenti tra tutto il
creato. Ciò contrasta con la corrente dominante del pensiero occidentale che
tende a frammentare per comprendere la realtà, ma poi non riesce ad articolare
nuovamente l'insieme delle relazioni tra i vari campi del sapere. La gestione tradizionale di ciò che la
natura a volte è stata fatta nel modo che oggi chiamiamo ‘gestione sostenibile’. Troviamo anche altri valori nei popoli
originari quali la reciprocità, la solidarietà, il senso di comunità,
l'uguaglianza, la famiglia, la loro organizzazione sociale e il senso del
servizio.
12. L'avidità per la terra è alla radice
dei conflitti che portano all'etnocidio. La Chiesa si impegna a essere alleata
dei popoli per denunciare gli attentati contro la vita delle comunità locali, i
progetti che incidono sull’ambiente, la mancanza di demarcazione dei loro
territori, nonché il modello economico di sviluppo predatorio ed ecocida. La
Chiesa promuove la salvezza integrale della persona umana.
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L'avidità per la terra è alla radice dei
conflitti che portano all'etnocidio, così come all'assassinio e alla
criminalizzazione dei movimenti sociali e dei loro leader. La demarcazione
e la protezione del territorio è un obbligo degli Stati nazionali e dei loro
rispettivi governi. Tuttavia, una buona parte dei territori indigeni non sono
protetti e quelli già delimitati stanno conoscendo un’invasione dovuta a fronti
estrattivi come l'estrazione mineraria e forestale, ai grandi progetti
infrastrutturali, a colture illecite e ai latifondi che promuovono la
monocoltura e l'allevamento estensivo del bestiame.
La Chiesa si impegna a
essere alleata dei popoli per denunciare gli attentati contro la vita delle
comunità locali, i progetti che incidono sull’ambiente, la mancanza di
demarcazione dei loro territori, nonché il modello economico di sviluppo
predatorio ed ecocida. La presenza della Chiesa tra le
comunità indigene e tradizionali ha bisogno di questa consapevolezza: la difesa
della terra non ha altro scopo che la difesa della vita.
È
necessario difendere i diritti all'autodeterminazione, alla demarcazione dei
territori e alla consultazione preventiva, libera e informata. Occorre tener
conto delle condizioni sociali, culturali ed economiche che distinguono culture
etniche locali da altri settori della comunità
nazionale e che orientate in tutto o in
parte dai propri costumi o tradizioni o da una legislazione speciale
(Organizzazione Internazionale del Lavoro, Convenzione sui diritti dei
popoli indigeni e tribali, 1989 (169), art. 1, 1a). Per la Chiesa, la difesa della vita, della comunità, della terra e
dei diritti dei popoli indigeni è un principio evangelico, in difesa della
dignità umana: “Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza” (Gv 10,10b).
La Chiesa promuove la salvezza integrale
della persona umana, riconoscendo il valore della cultura dei popoli indigeni,
parlando dei loro bisogni vitali, accompagnando i movimenti nelle loro lotte
per i propri diritti. Il nostro servizio pastorale costituisce un servizio
per la vita piena dei popoli indigeni, che ci spinge ad annunciare la Buona
Novella del Regno di Dio e a denunciare le situazioni di peccato, le strutture
di morte, la violenza e l’ingiustizia, promuovendo il dialogo interculturale,
interreligioso ed ecumenico (cfr. DAp 95).
13. Inculturazione come incarnazione
del Vangelo nelle culture autoctone ("ciò che non si assume non è
redento", Sant'Ireneo) e allo stesso tempo l'introduzione di queste
culture nella vita della Chiesa. In questo processo i popoli sono protagonisti e accompagnati dai
loro agenti pastorali e dai loro pastori. Laici storicamente protagonisti della
pietà popolare non clericalizzata.
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Cristo con
l'incarnazione non ha ritenuto un privilegio quello di essere come Dio e si è
fatto uomo in una cultura concreta per identificarsi con tutta l'umanità. L'inculturazione è l'incarnazione del
Vangelo nelle culture autoctone ("ciò che non si assume non è
redento", Sant'Ireneo) e allo stesso tempo l'introduzione di queste
culture nella vita della Chiesa. In
questo processo i popoli sono protagonisti e accompagnati dai loro agenti
pastorali e dai loro pastori. Necessità di una catechesi appropriata che
accompagni la fede già presente nella religiosità popolare. Il mondo
tradizionale non è un terreno vuoto, carente di valori autentici: L'evangelizzazione
della Chiesa non è un processo di distruzione, ma di consolidamento e
rafforzamento di questi valori.
La pietà popolare è un mezzo importante
che collega molti popoli con il loro
vissuto spirituale, le loro radici culturali e la loro integrazione
comunitaria. Sono manifestazioni con cui il popolo esprime la propria fede,
attraverso immagini, simboli, tradizioni, riti e altri sacramentali. I
pellegrinaggi, le processioni e le feste patronali devono essere apprezzati,
accompagnati, promossi e talvolta purificati, poiché sono momenti privilegiati
di evangelizzazione che devono condurre all'incontro con Cristo.
Caratteristica è la
non-clericalizzazione delle fraternità, delle confraternite e dei gruppi legati
alla pietà popolare. I laici assumono un protagonismo difficilmente realizzabile in
altri ambiti ecclesiali, con la partecipazione di fratelli e sorelle che
svolgono servizi e dirigono preghiere, benedizioni, canti sacri tradizionali,
animano novene, organizzano processioni, promuovono feste patronali, ecc. È necessario proporre una catechesi appropriata che accompagni la fede già presente
nella religiosità popolare. Un modo concreto potrebbe essere quello di
offrire un processo di iniziazione cristiana, che ci porta a somigliare sempre
più a Gesù Cristo, suscitando la progressiva assunzione dei suoi
atteggiamenti.
Quando il missionario e
l’agente pastorale porta la parola del Vangelo di Gesù, si identifica con la
cultura e così avviene l'incontro da cui nasce la testimonianza, il servizio,
l'annuncio e l'apprendimento delle lingue. Il mondo locale con i
suoi miti, la sua narrativa, i suoi riti, i suoi canti, la sua danza e le sue
espressioni spirituali arricchisce l'incontro interculturale. Già Puebla riconosce
che le culture non sono un terreno vuoto,
carente di valori autentici. L'evangelizzazione della Chiesa non è un
processo di distruzione, ma di consolidamento e rafforzamento di questi valori;
un contributo alla crescita dei ‘germi del Verbo’ presenti nelle culture.
14. Ripudiare l’evangelizzazione colonialista e il proselitismo. Riconoscere
i germi del Verbo già presenti nelle culture Evangelizzazione come l'annuncio
inculturato che genera processi di interculturalità, processi che promuovono la
vita della Chiesa con un'identità e un volto dei popoli in cui vive.
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Il colonialismo è l'imposizione di
certi modi di vita di alcuni popoli su altri, siano a livello economico,
culturale o religioso. Rifiutiamo
un'evangelizzazione in stile colonialista. Annunciare la Buona Novella di Gesù
implica riconoscere i germi del Verbo già presenti nelle culture.
L'evangelizzazione che oggi proponiamo è l'annuncio inculturato che genera
processi di interculturalità, processi che promuovono la vita della Chiesa con
un'identità e un volto dei vari popoli in cui vive.
Nel compito evangelizzatore della
Chiesa, che non va confuso con il proselitismo, dobbiamo includere chiari
processi di inculturazione dei nostri metodi e schemi missionari. Nello
specifico, si propone che i centri di ricerca e quelli pastorali della Chiesa,
in collaborazione con le popolazioni locali, studino, raccolgano e
sistematizzino le tradizioni dei gruppi etnici locali per favorire un'opera
educativa che parta dalla loro identità e cultura, contribuisca alla promozione
e alla difesa dei loro diritti, ne conservi e diffonda il loro valore nel
panorama culturale latinoamericano.
Le azioni educative vengono oggi
interpellate dalla necessità di inculturazione. Sono sfidate a cercare
metodologie e contenuti adeguati ai popoli in cui si vuole esercitare il
ministero dell'insegnamento. Per questo è importante la conoscenza delle
loro lingue, delle loro credenze e aspirazioni, dei loro bisogni e delle loro
speranze, nonché la costruzione collettiva di processi educativi che abbiano,
sia nella forma che nel contenuto, l'identità culturale delle comunità locali,
insistendo sulla formazione di un'ecologia integrale come asse trasversale.
15. Promuovere l’educazione di base e l’educazione sanitaria
preventiva. Educare alla solidarietà, nella consapevolezza di un’origine comune
di di un futuro condiviso da tutti.
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La Chiesa si assume come
compito importante quello di promuovere l'educazione sanitaria preventiva e di
offrire assistenza sanitaria in luoghi dove l'intervento statale non arriva. Si richiede di favorire iniziative di
integrazione a beneficio della salute. È inoltre importante promuovere la
condivisione sociale delle conoscenze nel
campo della medicina tradizionale specifica di ogni cultura.
Sebbene l'educazione sia un diritto
umano, la qualità educativa è carente e gli abbandoni scolastici sono molto
frequenti, soprattutto tra le bambine.
L'educazione evangelizza, promuove la trasformazione sociale, rafforzando le
persone per mezzo di un sano senso critico. Una
buona educazione scolastica nell’infanzia e nell’adolescenza pone semi che
possono produrre effetti lungo tutta la vita. È nostro compito promuovere
un'educazione alla solidarietà che nasca dalla consapevolezza di un'origine
comune e di un futuro condiviso da tutti. È necessario esigere dai governi
l’implementazione di un'educazione pubblica, interculturale e bilingue.
Il mondo, sempre più globalizzato e complesso, ha sviluppato una rete
informativa senza precedenti. Motivati
da un'ecologia integrale, desideriamo potenziare gli spazi di comunicazione già
esistenti, al fine di promuovere con urgenza una conversione ecologica
integrale. Per questo, è necessario collaborare per la formazione di agenti di
comunicazione a livello locale e secondo le varie culture. I popoli che hanno
conservato una tradizione di maggior legame con gli ambienti naturali di
insediamento non sono solo interlocutori privilegiati per l'evangelizzazione e
la promozione umana sul territorio, ma ci aiutano anche a diffondere la cultura
del "buon vivere" e della cura del creato.
La Chiesa vuole creare una più vasta rete
di comunicazione ecclesiale, che comprende i vari mezzi utilizzati dalle
Chiese particolari e da altri organismi ecclesiali. Il suo contributo può avere
risonanze ed aiutare nella conversione ecologica della Chiesa e del pianeta. In
questo senso, proponiamo la creazione di una rete scolastica di educazione multilingue,
che articoli proposte educative che rispondano ai bisogni delle comunità,
rispettando, valorizzando e integrando al loro interno l'identità culturale e
quella linguistica.
Vogliamo sostenere, appoggiare e
favorire le esperienze educative di educazione interculturale multilingue che
già esistono nelle giurisdizioni ecclesiastiche e coinvolgere le università cattoliche
affinché lavorino e si impegnino in rete.
Cercheremo nuove forme di educazione convenzionale e non convenzionale,
come l'educazione a distanza, secondo le esigenze dei luoghi, dei tempi e delle
persone.
16. La conversione ecologica integrale. Prendersi cura della casa comune.
L'ecologia e la giustizia sociale sono intrinsecamente unite. Un vero approccio ecologico diventa
sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle
discussioni sull'ambiente. L'ecologia integrale non è una via in più che la
Chiesa può scegliere di fronte al futuro in questo territorio, è piuttosto
l'unica via possibile, perché non c'è nessun'altro cammino praticabile per
salvare la Terra. Per i cristiani, l'interesse e la preoccupazione per la
promozione e il rispetto dei diritti umani, sia individuali che collettivi, non
è facoltativo. La civiltà richiede energia, ma l'uso dell'energia non deve
distruggere la civiltà! Cercare modelli economici alternativi, più sostenibili,
più amichevoli nei riguardi della natura, con un solido sostegno spirituale.
. Il nuovo paradigma dello sviluppo
sostenibile deve essere socialmente inclusivo. Sostenere una cultura di pace e
rispetto – non di violenza e violazione – e un'economia incentrata sulla
persona che si prenda cura anche della natura. Divenire alleati delle comunità locali protagoniste della cura, protezione e difesa
dei diritti dei popoli e dei diritti della natura in questa regione sono le
stesse comunità locali. La biopirateria è una forma di violenza. Ridure
drasticamente le emissioni di anidride carbonica (CO2) e di altri
gas legati al cambiamento climatico. Le nuove energie pulite contribuiranno a
promuovere la salute. Dobbiamo lavorare insieme affinché il diritto
fondamentale di accesso all'acqua pulita sia rispettato nel territorio.
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16.1 Il nostro pianeta è un dono di Dio, ma
sappiamo anche che stiamo vivendo l'urgenza di agire di fronte a una crisi
socio-ambientale senza precedenti.
Abbiamo bisogno di una conversione
ecologica per rispondere adeguatamente. Quindi, come Chiesa, di fronte
all'aggressione sempre maggiore contro il nostro bioma, minacciato di
scomparire con conseguenze tremende per il nostro pianeta, ci mettiamo in
cammino ispirati dalla proposta dell'ecologia
integrale. Riconosciamo le ferite causate dall'essere umano nel nostro
territorio, vogliamo imparare dai nostri fratelli e dalle nostre sorelle dei
popoli originari, in un dialogo di saperi, la sfida di dare risposte nuove
cercando modelli di sviluppo giusto e solidale. Vogliamo prenderci cura della
nostra casa comune e proponiamo nuovi cammini per farlo.
Dio ci ha dato la terra
come dono e come compito, per prenderci cura di essa e risponderne; noi non siamo
i suoi padroni. L'ecologia integrale ha il suo fondamento nel fatto
che tutto è intimamente connesso (LS 16).
Per questo motivo l'ecologia e la giustizia sociale sono intrinsecamente unite.
Con l'ecologia integrale emerge un nuovo paradigma di giustizia, poiché un
vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve
integrare la giustizia nelle discussioni sull'ambiente, per ascoltare tanto il
grido della terra quanto il grido dei poveri. L'ecologia integrale collega così
l'esercizio della cura della natura con quello della giustizia per i più
impoveriti e svantaggiati della terra, che sono l'opzione preferita da Dio
nella storia rivelata.
È urgente affrontare lo sfruttamento
illimitato della "casa comune" e dei suoi abitanti. Una delle
principali cause di distruzione è l'estrattivismo predatorio che risponde alla
logica dell'avidità, tipica del paradigma tecnocratico dominante. Di fronte
alla pressante situazione del pianeta, l'ecologia integrale non è una via in
più che la Chiesa può scegliere di fronte al futuro in questo territorio, è
piuttosto l'unica via possibile, perché non c'è nessun'altro cammino praticabile
per salvare la Terra. La depredazione del territorio è accompagnata dallo spargimento di
sangue innocente e dalla criminalizzazione dei difensori dei popoli predati.
16.2 La Chiesa fa parte di una solidarietà internazionale che deve
favorire e riconoscere il ruolo centrale del bioma per l'equilibrio del clima
del pianeta; incoraggia la
comunità internazionale a fornire nuove risorse economiche per la sua tutela e
per la promozione di un modello di sviluppo giusto e solidale, con il
protagonismo e la partecipazione diretta delle comunità locali e dei popoli
originari in tutte le fasi, dalla progettazione all’implementazione,
rafforzando anche gli strumenti già sviluppati dalla Convenzione quadro
delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, Rio de Janeiro, 1992.
È scandaloso che i leader e
persino le comunità siano criminalizzati solo per aver rivendicato i loro
propri diritti. In tutti i Paesi esistono leggi che riconoscono i diritti
umani, specialmente quelli dei popoli indigeni. Negli ultimi anni, dove si sono
prodotte complesse trasformazioni, i diritti umani delle comunità sono stati talvolta
colpiti da norme, politiche pubbliche e pratiche incentrate principalmente
sull'espansione delle frontiere estrattive delle risorse naturali e sullo
sviluppo di megaprogetti infrastrutturali, che esercitano pressioni sui
territori locali, e in particolare di su quelli ancestrali indigeni. Ciò è anche talvolta accompagnato, da una grave situazione di
impunità in riferimento alle violazioni dei diritti umani e delle barriere per
ottenere giustizia (si veda ad esempio il Rapporto della Commissione Interamericana dei
Diritti Umani [CIDH-OSA], Situazione dei Diritti Umani dei popoli
indigeni e tribali della Panamazzonia, 29 settembre 2019, nn. 5 e 188).
Per i cristiani,
l'interesse e la preoccupazione per la promozione e il rispetto dei diritti
umani, sia individuali che collettivi, non è facoltativo. L’essere umano è
creato a immagine e somiglianza di Dio Creatore e la sua dignità è inviolabile.
Ecco perché la difesa e la promozione dei diritti umani non è solo un dovere
politico o un compito sociale, ma anche e soprattutto un'esigenza di fede. Potremmo forse non essere in grado di
modificare immediatamente il modello di sviluppo distruttivo ed estrattivista
imperante, ma abbiamo bisogno di sapere e di mettere in chiaro quanto segue:
dove ci collochiamo?, da che parte stiamo?, quale prospettiva assumiamo?, come
trasmettiamo la dimensione politica ed etica della nostra parola di fede e di
vita? Per questo motivo: a) denunciamo la violazione dei diritti umani e la
distruzione estrattiva; b) assumiamo e sosteniamo le campagne di disinvestimento
delle compagnie estrattive legate ai danni socio-ecologici, a partire dalle
stesse istituzioni ecclesiali e anche in alleanza con altre Chiese; c)
chiediamo una transizione energetica radicale e la ricerca di alternative: La civiltà richiede energia, ma l'uso
dell'energia non deve distruggere la civiltà! (Francesco, Discorso
ai partecipanti al Convegno “Transizione energetica e cura della casa comune”, 9
giugno 2018). Proponiamo di sviluppare programmi di abilitazione alla cura
della ‘casa comune’, che devono essere progettati da operatori pastorali e
altri fedeli, aperti a tutta la comunità, in uno sforzo di formazione delle coscienze.
16.3 Constatiamo che l'intervento umano ha perso il suo carattere
"amichevole", per assumere un atteggiamento vorace e predatorio che
tende a spremere la realtà fino all'esaurimento di tutte le risorse naturali
disponibili. Il paradigma tecnocratico tende ad
esercitare il proprio dominio anche sull'economia e sulla politica. Per contrastare questo fenomeno, che danneggia
gravemente la vita, è necessario cercare modelli economici alternativi, più
sostenibili, più amichevoli nei riguardi della natura, con un solido sostegno
spirituale. Per questo motivo, insieme ai popoli, chiediamo che gli Stati
smettano di considerare l’ambiente come una dispensa inesauribile. Vorremmo che
sviluppino politiche di investimento che abbiano, come condizione per ogni
intervento, il rispetto di elevati standard sociali ed ambientali e il
principio fondamentale della preservazione dell'ambiente. Per questo è
necessario che contino sulla partecipazione comunità d popolari organizzate e
delle diverse istituzioni scientifiche che stanno già proponendo modelli di
sfruttamento della foresta intatta. Il
nuovo paradigma dello sviluppo sostenibile deve essere socialmente inclusivo,
combinando conoscenze scientifiche e tradizionali per rafforzare le comunità
tradizionali e indigene, in maggioranza donne, e far sì che queste tecnologie
siano al servizio del benessere e della protezione delle foreste.
Si tratta quindi di
discutere il valore reale che qualsiasi attività economica o estrattiva
possiede, cioè il valore che essa apporta e restituisce alla terra e alla
società, considerando la ricchezza che ne estrae e le sue conseguenze
socio-ecologiche. Molte attività
estrattive, come le grandi miniere, in particolare quelle illegali, riducono
sostanzialmente il valore della vita Infatti, sradicano la vita dei popoli e i
beni comuni della terra, concentrando il potere economico e politico nelle mani
di pochi. Peggio ancora, molti di questi progetti distruttivi sono realizzati
in nome del progresso e sono sostenuti – o consentiti – da governi locali,
nazionali e stranieri.
16.4 Chiediamo una
conversione ecologica individuale e comunitaria che salvaguardi un'ecologia
integrale e un modello di sviluppo in cui i criteri commerciali non siano al di
sopra di quelli ambientali e dei diritti umani. Vogliamo sostenere una cultura
di pace e rispetto – non di violenza e violazione – e un'economia incentrata
sulla persona che si prenda cura anche della natura. Pertanto, proponiamo di elaborare
alternative di sviluppo ecologico integrale a partire dalle cosmovisioni che
siano costruite con le comunità, salvaguardando la saggezza ancestrale.
Sosteniamo progetti che propongono un'economia solidale e sostenibile,
circolare ed ecologica, sia a livello locale che internazionale, a livello di
ricerca e nel campo d'azione, nei settori formali e informali. In questo senso,
sarebbe utile sostenere e promuovere esperienze di cooperative di
bioproduzione, riserve forestali e consumo sostenibile. Il futuro della Terra è
nelle mani di tutti noi, ma dipende principalmente dal fatto che abbandoniamo
immediatamente il modello attuale che distrugge la foresta, non porta benessere
e mette in pericolo questo immenso tesoro naturale e i suoi custodi.
Spetta
a tutti noi di essere custodi dell'opera di Dio. I protagonisti della cura, protezione e difesa dei diritti dei popoli e
dei diritti della natura in questa regione sono le stesse comunità locali. Sono
essi stessi gli attori del proprio destino, della propria missione. In questo
scenario, il ruolo della Chiesa è quello di alleata. Essi hanno espresso
chiaramente che vogliono che la Chiesa li accompagni, che cammini con loro e
non imponga loro un modo di essere particolare, un modo specifico di sviluppo
che ha poco a che fare con le loro culture, tradizioni e spiritualità. Essi
sanno come prendersi cura dell'ambiente in cui vivono, come amarla e
proteggerla; ciò di cui hanno bisogno è che la Chiesa li sostenga.
16.5 La
funzione della Chiesa è quella di rafforzare questa capacità di sostegno e
partecipazione. In questo modo promuoviamo una formazione che tiene conto della
qualità etica e spirituale della vita delle persone a partire da una visione
integrale. Oggi dobbiamo formare agenti pastorali e ministri ordinati con
una sensibilità socio-ambientale. Vogliamo
una Chiesa che prenda il largo e muova i suoi passi in favore dei popoli della
terra, promuovendo uno stile di vita in
armonia con il territorio, e allo stesso tempo con il ‘buon vivere’ di chi ci
abita.
La Chiesa riconosce la
saggezza tradizionale di alcuni popoli, come quelli amazzonici, in materia di
biodiversità: una saggezza tradizionale che è un processo vivo e sempre in
azione. Il furto di queste conoscenze è la biopirateria,
una forma di violenza contro queste popolazioni. La Chiesa deve contribuire a preservare
e mantenere queste conoscenze, come anche le innovazioni e le pratiche delle
popolazioni, rispettando la sovranità dei Paesi e le loro leggi che regolano
l'accesso alle risorse genetiche e ai saperi tradizionali associati. Per quanto
possibile, essa dovrebbe aiutare queste popolazioni a garantire che i benefici
derivanti dall'utilizzo di queste conoscenze, innovazioni e pratiche siano
condivisi in un modello di sviluppo sostenibile e inclusivo.
16.6 Vi è
l'urgente necessità di sviluppare politiche energetiche che riducano
drasticamente le emissioni di anidride carbonica (CO2) e di altri
gas legati al cambiamento climatico. Le nuove energie pulite contribuiranno a
promuovere la salute. Tutte le imprese devono istituire sistemi di
monitoraggio della catena di approvvigionamento per garantire che la produzione
che acquistano, creano o vendono sia prodotta in modo socialmente e ambientalmente
sostenibile. Inoltre, l'accesso all'acqua potabile e sicura è un diritto
umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza
delle persone, e per questo è condizione per l'esercizio degli altri diritti
umani”. Questo diritto è
riconosciuto dalle Nazioni Unite (2010). Dobbiamo
lavorare insieme affinché il diritto fondamentale di accesso all'acqua pulita
sia rispettato nel territorio.
La Chiesa opta per la difesa della
vita, della terra e delle culture originarie dei popoli della Terra. Ciò
comporterebbe l'accompagnamento dei popoli nella registrazione,
sistematizzazione e diffusione di dati e informazioni sui loro territori e sul
loro status giuridico. Incoraggiamo gli Stati a rispettare i loro obblighi
costituzionali su tali questioni, compreso il diritto di accesso all'acqua.
16.7. La Dottrina sociale della Chiesa, che da tempo si occupa della
questione ecologica, si arricchisce oggi di una migliore visione d’insieme che
comprende il rapporto tra i popoli e i loro territori, sempre in dialogo con le
loro conoscenze e e la loro sapienza ancestrale. Per esempio, riconoscendo
come riferimento indispensabile per la nostra conversione a un'ecologia
integrale il modo in cui i popoli indigeni si relazionano con i loro territori
e li proteggono. In questa luce vogliamo creare ministeri per la cura della ‘casa comune’ nei vari popoli della
Terra, la cui funzione sia quella di prendersi cura del territorio e delle
acque insieme alle comunità indigene, e un ministero per l’accoglienza di
coloro che sono sfollati dai loro territori verso le città.
Riaffermiamo il nostro impegno a difendere
la vita nella sua interezza dal suo concepimento al suo tramonto e la dignità
di tutte le persone. La Chiesa è stata ed è al fianco delle comunità per
salvaguardare il diritto a una vita propria e tranquilla, rispettando i valori
delle loro tradizioni, costumi e culture, la preservazione dei fiumi e delle
foreste, che sono spazi sacri, fonte di vita e di saggezza. Sosteniamo gli sforzi di tanti che
difendono coraggiosamente la vita in tutte le sue forme e fasi. Il nostro
servizio pastorale costituisce un servizio alla vita piena dei popoli indigeni
che ci obbliga ad annunciare Gesù Cristo e la Buona Novella del Regno di Dio, a
contenere le situazioni di peccato, le strutture di morte, la violenza e le
ingiustizie interne ed esterne e a promuovere il dialogo interculturale,
interreligioso ed ecumenico.
17. E’ necessaria una profonda conversione personale, sociale e
strutturale. La Chiesa deve disimparare,
imparare e reimparare per superare ogni tendenza ad assumere modelli
colonizzatori che hanno causato danni in passato. Abbracciare una spiritualità
di ecologia integrale, per promuovere la cura del creato. Definiamo il peccato ecologico come un’azione o
un’omissione contro Dio, contro il prossimo, la comunità e l'ambiente: si
manifesta in atti e abitudini di inquinamento e distruzione dell'armonia
dell'ambiente, in trasgressioni contro i principi di interdipendenza e nella
rottura delle reti di solidarietà tra le creature e in azioni contro la virtù della giustizia.
Occorre: attuare la promozione dell'ecologia
integrale a livello parrocchiale e in ciascuna giurisdizione ecclesiastica; adottare
abitudini responsabili che rispettino e valorizzino i popoli della Terra, le
loro tradizioni e la loro saggezza; ridurre la nostra dipendenza dai
combustibili fossili e l'uso della plastica modificando le nostre abitudini
alimentari (consumo eccessivo di carne e pesce/frutti di mare) mediante stili
di vita più sobri; promuovere l'educazione all'ecologia integrale a tutti i
livelli; promuovere nuovi modelli economici e iniziative che favoriscano una
qualità di vita sostenibile.
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La difesa della vita e dei
popoli della Terra richiede una profonda conversione personale, sociale e
strutturale. La Chiesa è inclusa in questa chiamata a disimparare, imparare e
reimparare per superare così ogni tendenza ad assumere modelli colonizzatori
che hanno causato danni in passato. In questo senso è importante che siamo consapevoli della forza del
neocolonialismo, che è presente nelle nostre decisioni quotidiane, del modello
di sviluppo predominante, che si esprime, ad esempio, nel modello crescente
della monocoltura agricola, dei nostri mezzi di trasporto e dell'immaginario di
benessere derivante dal consumo che viviamo nella società e che ha implicazioni
dirette e indirette dovunque sulla Terra. Di fronte a questo, a partire da un
orizzonte globale, ed anche ascoltando
le voci delle Chiese sorelle, vogliamo abbracciare una spiritualità di ecologia
integrale, per promuovere la cura del creato. Per raggiungere questo
obiettivo dobbiamo essere una comunità
di discepoli missionari molto più partecipativa e inclusiva.
Proponiamo di definire
il peccato ecologico come un’azione o un’omissione contro Dio, contro il
prossimo, la comunità e l'ambiente. È un peccato contro le generazioni future e
si manifesta in atti e abitudini di inquinamento e distruzione dell'armonia
dell'ambiente, in trasgressioni contro i principi di interdipendenza e nella
rottura delle reti di solidarietà tra le creature (cfr. Catechismo
della Chiesa Cattolica, 340-344) e in azioni contro la virtù della
giustizia. Proponiamo, inoltre, di creare ministeri speciali per la cura della
‘casa comune’ e la promozione
dell'ecologia integrale a livello parrocchiale e in ciascuna giurisdizione
ecclesiastica, che abbiano tra le loro funzioni la cura del territorio
e delle acque, nonché la promozione dell'enciclica Laudato si'
E’
necessaria la creazione di un fondo
mondiale per coprire parte dei bilanci di quelle comunità che promuovono il
loro sviluppo integrale e autosostenibile, anche per proteggerle dal desiderio
predatorio di aziende nazionali e multinazionali di estrarre le loro risorse
naturali. E’ necessario adottare abitudini responsabili che rispettino e
valorizzino i popoli della Terra, le loro tradizioni e la loro saggezza,
proteggendo la terra e cambiando la nostra cultura di eccessivo consumo, la
produzione di rifiuti solidi, stimolando il riutilizzo e il riciclaggio. Dobbiamo ridurre la nostra dipendenza dai
combustibili fossili e l'uso della plastica modificando le nostre abitudini
alimentari (consumo eccessivo di carne e pesce/frutti di mare) mediante stili
di vita più sobri. Impegnarsi attivamente a seminare alberi, ricercando
alternative sostenibili in agricoltura, energia e mobilità nel rispetto dei
diritti della natura e delle persone. Promuovere l'educazione all'ecologia
integrale a tutti i livelli, promuovere nuovi modelli economici e iniziative
che favoriscano una qualità di vita sostenibile.
18. La Chiesa ha bisogno di una conversione sinodale. Cerchiamo nuovi cammini ecclesiali,
soprattutto nella ministerialità e sacramentalità della Chiesa. La sinodalità
fu il modo di essere della Chiesa primitiva
e deve essere il nostro. La sinodalità caratterizza la Chiesa intesa
come Popolo di Dio, nell’eguaglianza
e nella comune dignità a fronte della diversità di ministeri, carismi e
servizi. È necessario rafforzare una cultura di dialogo, di ascolto reciproco,
di discernimento spirituale, di consenso per giungere a decisioni comuni,
promuovendo la corresponsabilità nella vita della Chiesa in uno spirito di
servizio e superando il clericalismo e le imposizioni arbitrarie. Il
discernimento comunitario permette di scoprire la chiamata che Dio fa sentire
in ogni determinata situazione storica. La sinodalità segna uno stile di vivere
la comunione e la partecipazione nelle Chiese locali che si caratterizza per il
rispetto della dignità e dell'uguaglianza di tutti i battezzati e le
battezzate, la complementarietà dei carismi e dei ministeri, il piacere di
riunirsi in assemblea per discernere insieme la voce dello Spirito: uno stile sinodale di vita e di lavoro, prestando
particolare attenzione all'effettiva partecipazione dei laici al discernimento
e alla presa di decisioni, rafforzando la partecipazione delle donne. La
Chiesa, Popolo di Dio inserito tra i popoli, ha la bellezza di un volto
pluriforme perché si radica in molte culture diverse.
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La Chiesa ha bisogno di una conversione sinodale.
Per
camminare uniti la Chiesa ha bisogno di una conversione sinodale, sinodalità
del Popolo di Dio sotto la guida dello Spirito. Con questo orizzonte di
comunione e partecipazione cerchiamo nuovi cammini ecclesiali, soprattutto
nella ministerialità e sacramentalità della Chiesa. La vita consacrata, i
laici, e tra loro le donne, sono gli antichi protagonisti, ma sempre nuovi, che
ci chiamano a questa conversione.
Sinodo è una parola antica, venerata
dalla Tradizione; indica il cammino che percorrono insieme i membri del popolo
di Dio; rimanda al Signore Gesù, che si presenta come "la Via, la Verità e
la Vita" (Gv 14,6), e al fatto che i cristiani furono
chiamati ‘i discepoli della Via’ (cfr. At 9,2); essere
sinodali significa seguire insieme “la via del Signore” (At 18,25).
La sinodalità è il modo di essere della Chiesa primitiva (cfr. At 15)
e deve essere il nostro. “Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e
tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il
Cristo” (1 Cor 12,12). La sinodalità caratterizza anche la Chiesa
del Vaticano II, intesa come Popolo di Dio, nell’eguaglianza e nella comune
dignità a fronte della diversità di ministeri, carismi e servizi. “Indica
lo specifico modus vivendi et operandi della Chiesa Popolo di
Dio che manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel camminare
insieme, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare attivamente di tutti i
suoi membri alla sua missione evangelizzatrice”, cioè nel “coinvolgimento e
(nel)la partecipazione di tutto il Popolo di Dio alla vita e alla missione
della Chiesa" (Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità
nella vita e nella missione della Chiesa, 2 marzo 2018, nn. 6-7).
Per camminare insieme, la Chiesa oggi
ha bisogno di convertirsi all'esperienza sinodale. È necessario rafforzare una cultura di dialogo, di ascolto reciproco,
di discernimento spirituale, di consenso e di comunione per trovare spazi e
modalità al fine di giungere a decisioni comuni e rispondere alle sfide
pastorali. In questo modo, sarà promossa la corresponsabilità nella vita della
Chiesa in uno spirito di servizio. È urgente camminare, proporre e assumere
responsabilità per superare il clericalismo e le imposizioni arbitrarie. La
sinodalità è una dimensione costitutiva della Chiesa. Non si può essere Chiesa
senza riconoscere un effettivo esercizio del sensus fidei di
tutto il Popolo di Dio.
La Chiesa vive della comunione con il Corpo di Cristo attraverso il dono
dello Spirito Santo. Il cosiddetto Concilio Apostolico di Gerusalemme (cfr At 15; Gal 2,1-10)
è un evento sinodale in cui la Chiesa Apostolica, in un momento decisivo del
suo cammino, vive la sua vocazione alla luce della presenza del Signore risorto
in vista della missione. Questo evento si costituì nella figura paradigmatica
dei Sinodi della Chiesa e della sua vocazione sinodale. La decisione presa
dagli Apostoli, in accordo con tutta la comunità di Gerusalemme, è stata opera
dell'azione dello Spirito Santo che guida il cammino della Chiesa,
assicurandole la fedeltà al Vangelo di Gesù: "È parso bene, infatti, allo
Spirito Santo e a noi" (At 15,28). Tutta l'assemblea accettò
la decisione e la fece propria (cfr. At 15,22); poi la
comunità di Antiochia fece lo stesso (cfr. At 15,30-31).
Essere veramente sinodale vuol dire
avanzare in armonia sotto l'impulso dello Spirito vivificante.
La
Chiesa è chiamata a camminare nell'esercizio del discernimento, che è il centro
dei processi e degli eventi sinodali. Si tratta di determinare e percorrere
come Chiesa, attraverso l'interpretazione teologica dei segni dei tempi, sotto
la guida dello Spirito Santo, il cammino da seguire al servizio del disegno di
Dio. Il discernimento comunitario
permette di scoprire la chiamata che Dio fa sentire in ogni determinata situazione storica, verso uno stile sinodale di vita e di lavoro.
Con audacia evangelica,
vogliamo implementare nuovi cammini per la vita della Chiesa e il suo servizio
ad un'ecologia integrale. La sinodalità segna uno stile di vivere la comunione
e la partecipazione nelle Chiese locali che si caratterizza per il rispetto
della dignità e dell'uguaglianza di tutti i battezzati e le battezzate, la
complementarietà dei carismi e dei ministeri, il piacere di riunirsi in
assemblea per discernere insieme la voce dello Spirito. Questo Sinodo ci offre l'occasione di
riflettere su come strutturare le Chiese locali in ogni regione e Paese, e di
procedere a una conversione sinodale che indichi percorsi comuni di
evangelizzazione. La logica
dell'incarnazione insegna che Dio, in Cristo, si lega agli esseri umani che
vivono nelle culture proprie dei popoli
e che la Chiesa, Popolo di Dio inserito
tra i popoli, ha la bellezza di un volto pluriforme perché si radica in molte
culture diverse (cfr. EG 116). Questo si realizza nella
vita e nella missione delle Chiese locali radicate in ogni "grande
territorio socio-culturale" (AG 22).
La Chiesa ha bisogno che le sue comunità siano
impregnate di spirito sinodale, sostenute da strutture organizzative in accordo
con questa dinamica, come autentici organismi di ’comunione’. Le forme di esercizio della
sinodalità sono varie, dovranno essere decentralizzate nei loro diversi livelli
(diocesano, regionale, nazionale, universale), rispettose e attente ai processi
locali, senza indebolire il legame con le altre Chiese sorelle e con la Chiesa
universale. Le forme organizzative per
l’esercizio della sinodalità possono essere varie. Stabiliscono una
sincronia tra la comunione e la partecipazione, tra la corresponsabilità e la
ministerialità di tutti, prestando
particolare attenzione all'effettiva partecipazione dei laici al discernimento
e alla presa di decisioni, rafforzando la partecipazione delle donne.
19. Chiesa
ministeriale e nuovi ministeri: I laici sono i fedeli che, con il battesimo sono stati
incorporati a Cristo, costituiti così in popolo di Dio e, in modo proprio, resi
partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per cui
esercitano il loro ruolo nella missione propria di tutto il popolo cristiano,
nella Chiesa e nel mondo. La Chiesa, in vista di una società giusta e solidale
nella cura della casa comune, vuole
fare dei laici attori privilegiati. Per la Chiesa è urgente che si promuovano e si conferiscano ministeri a
uomini e donne in modo equo. . È la
Chiesa degli uomini e delle donne battezzati che dobbiamo consolidare
promuovendo la ministerialità e, soprattutto, la consapevolezza della dignità
battesimale. La Chiesa vuole allargare gli spazi per una presenza femminile più
incisiva nella Chiesa: occorre che la voce delle donne sia ascoltata, che siano
consultate e partecipino alle prese di decisioni e, in questo modo, possano
contribuire con la loro sensibilità alla sinodalità ecclesiale, rafforzando la
sua partecipazione nei consigli pastorali delle parrocchie e delle diocesi,
come anche nelle istanze di governo, riconoscendo la ministerialità che Gesù ha
riservato alle donne e, quindi, assicurando il loro posto negli spazi di
leadership e nelle loro competenze specifiche. Chiediamo la revisione del Motu
Proprio Ministeria quædam di San Paolo 6°, affinché anche donne adeguatamente formate e preparate
possano ricevere i ministeri del Lettorato e dell’Accolitato, tra gli altri
che possono essere svolti, e che venga
creato il ministero istituito di donna dirigente di comunità. Da più parti è
stata avanzata la richiesta del diaconato permanente per le donne, che è ancora
in fase di studio. Per la Chiesa, è urgente la promozione, la formazione e il
sostegno ai diaconi permanenti a causa dell'importanza di questo ministero
nella comunità: il diaconato oggi deve anche promuovere l'ecologia integrale,
lo sviluppo umano, la pastorale sociale, il servizio a chi si trova in condizioni
di vulnerabilità e povertà. È auspicabile che anche la moglie ed i figli
partecipino al processo di formazione del diacono permanente. Esiste un diritto
della comunità alla celebrazione dell’Eucaristia, il quale deriva dall'essenza
dell'Eucaristia e dal suo posto nell'economia di salvezza: l'Eucaristia infatti
contiene tutto il bene spirituale della Chiesa; è la fonte e il culmine di ogni
evangelizzazione. Essa è anche è il punto di partenza: di incontro, di
riconciliazione, di apprendimento e catechesi, di crescita comunitaria. La disciplina
del celibato non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, sebbene vi sia
per molte ragioni un rapporto di convenienza con esso. Si propone che l’autorità
competente stabilisca criteri e disposizioni per ordinare sacerdoti uomini
idonei e riconosciuti dalla comunità, i quali, pur avendo una famiglia
legittimamente costituita e stabile, abbiano un diaconato permanente fecondo e
ricevano una formazione adeguata per il presbiterato al fine di sostenere la
vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la
celebrazione dei Sacramenti.
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19.1. Il rinnovamento del Concilio
Vaticano II pone i laici in seno al Popolo di Dio, in una Chiesa tutta
ministeriale, che ha nel sacramento del battesimo il fondamento dell'identità e
della missione di ogni cristiano. I
laici sono i fedeli che, con il battesimo sono stati incorporati a Cristo,
costituiti così in popolo di Dio e, in modo proprio, resi partecipi
dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per cui esercitano il
loro ruolo nella missione propria di tutto il popolo cristiano, nella Chiesa e
nel mondo. Da questa triplice relazione, con Cristo, con la Chiesa e con il
mondo, nasce la vocazione e la missione del laicato. La Chiesa, in vista di una società giusta e solidale nella cura della casa comune, vuole fare dei laici attori
privilegiati. Il loro modo di agire è stato ed è vitale, sia nel
coordinamento delle comunità ecclesiali, esercitando alcuni ministeri, sia nel
loro impegno profetico in un mondo inclusivo per tutti, che ha nei suoi martiri
una testimonianza che ci interpella.
Come espressione della
corresponsabilità di tutti i battezzati nella Chiesa e dell'esercizio del sensus
fidei [espressione di latina che significa, senso della fede, la capacità di orientarsi in materia di fede, per
discernere la via giusta] di tutto il Popolo di Dio, sono nate le assemblee e i
consigli pastorali in tutti gli ambiti ecclesiali, come pure le equipe di
coordinamento dei diversi servizi pastorali ed i ministeri affidati ai laici. Riconosciamo la necessità di
rafforzare e ampliare gli spazi di partecipazione del laicato, sia nella
consultazione che nella presa di decisioni, nella vita e nella missione della
Chiesa.Sebbene la missione nel mondo sia compito di ogni battezzato,
il Concilio Vaticano 2° ha sottolineato la missione del laicato:
"l'attesa di una terra nuova non
deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo
alla terra presente" (Costituzione Gaudium
et Spes - La gioia e la speranza). Per
la Chiesa è urgente che si promuovano e si conferiscano ministeri a uomini e
donne in modo equo. Il tessuto della Chiesa locale, è garantito dalle
piccole comunità ecclesiali missionarie che coltivano la fede, ascoltano la
Parola e celebrano insieme, essendo vicine alla vita della gente. È la Chiesa degli uomini e delle donne
battezzati che dobbiamo consolidare promuovendo la ministerialità e,
soprattutto, la consapevolezza della dignità battesimale.
Il Vescovo può affidare,
con un mandato a tempo determinato, in assenza di sacerdoti, l'esercizio della
cura pastorale delle comunità ad una persona non investita del carattere
sacerdotale, che sia membro della stessa comunità. Devono essere evitati i personalismi e
quindi sarà un incarico a rotazione. Il Vescovo potrà costituire questo
ministero in rappresentanza della comunità cristiana con un mandato ufficiale
attraverso un atto rituale, affinché la persona responsabile della comunità sia
riconosciuta anche a livello civile e locale. Resterà sempre il sacerdote, con
la potestà e la facoltà di parroco, ad essere il responsabile della comunità.
19.2. La Chiesa vuole allargare gli spazi per una presenza
femminile più incisiva nella Chiesa. Non riduciamo l’impegno delle donne nella Chiesa, bensì
promuoviamo il loro ruolo attivo nella comunità ecclesiale. Se la Chiesa perde
le donne, nella sua dimensione totale e reale, la Chiesa rischia la sterilità”
(Francesco, Incontro con l'Episcopato brasiliano, Rio de Janeiro,
27 luglio 2013).
Il
Magistero della Chiesa a partire dal Concilio Vaticano 2° ha messo in
risalto il posto da protagonista che la donna occupa in essa: “Ma viene l’ora,
l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si completa in pienezza, l’ora
in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere
finora mai raggiunto. È per questo, in questo momento nel quale l’umanità
sperimenta una così profonda trasformazione, che le donne imbevute dello
spirito del Vangelo possono tanto per aiutare l’umanità a non decadere” (Paolo
VI, Messaggio alle donne alla conclusione del Concilio Vaticano II,
8 dicembre 1965).
La saggezza dei popoli
ancestrali afferma che la madre terra ha un volto femminile. Nel mondo indigeno
e in quello occidentale, le donne sono coloro che lavorano in molteplici campi,
nell'istruzione dei figli, nella trasmissione della fede e del Vangelo; sono
una presenza testimoniante e responsabile nella promozione umana, per cui si
chiede che la voce delle donne sia ascoltata, che siano consultate e
partecipino alle prese di decisioni e, in questo modo, possano contribuire con
la loro sensibilità alla sinodalità ecclesiale. Apprezziamo la funzione della donna,
riconoscendo il suo ruolo fondamentale nella formazione e nella continuità
delle culture, nella spiritualità, nelle comunità e nelle famiglie. È necessario che ella assuma con maggiore
forza la sua leadership in seno alla Chiesa e che la Chiesa riconosca ciò e lo
promuova, rafforzando la sua partecipazione nei consigli pastorali delle
parrocchie e delle diocesi, come anche nelle istanze di governo.
Di fronte alla realtà che soffrono le
donne vittime di violenza fisica, morale e religiosa, femminicidio compreso, la
Chiesa si pone in difesa dei loro diritti e le riconosce come protagoniste e
custodi del creato e della ‘casa comune’.
Riconosciamo la ministerialità che Gesù ha riservato alle donne. È
necessario promuovere la formazione delle donne attraverso studi di teologia
biblica, teologia sistematica, diritto canonico, valorizzando la loro presenza
nelle organizzazioni e la loro leadership all'interno e all'esterno
dell'ambiente ecclesiale. Vogliamo rafforzare i legami familiari, soprattutto
per le donne migranti. Assicuriamo il
loro posto negli spazi di leadership e nelle loro competenze specifiche.
Chiediamo la revisione del Motu Proprio Ministeria quædam di
San Paolo VI, affinché anche donne adeguatamente formate e preparate possano
ricevere i ministeri del Lettorato e dell’Accolitato, tra gli altri che possono
essere svolti. Chiediamo che venga creato il ministero istituito di donna dirigente di comunità, dando ad
esso un riconoscimento, nel servizio alle mutevoli esigenze di evangelizzazione
e di attenzione alle comunità.
Nelle numerose consultazioni che si sono
svolte in Amazzonia, è stato riconosciuto e sottolineato il ruolo fondamentale
delle religiose e delle laiche nella Chiesa amazzonica e nelle sue comunità,
visti i molteplici servizi che offrono. In molte di queste consultazioni è
stata avanzata la richiesta del diaconato permanente per le donne. Per questo
motivo il tema è stato anche molto presente durante il Sinodo. Già nel 2016,
Papa Francesco aveva creato una Commissione di studio sul diaconato
delle donne che, come Commissione, è arrivata ad un risultato parziale
su come era la realtà del diaconato delle donne nei primi secoli della Chiesa e
sulle sue implicazioni attuali.
19.3. Per la Chiesa, è urgente la promozione, la formazione e il
sostegno ai diaconi permanenti a causa dell'importanza di questo ministero
nella comunità e, in modo particolare, a motivo del servizio ecclesiale
richiesto da molte comunità, specialmente dai popoli indigeni. Le specifiche esigenze pastorali delle
comunità cristiane ci portano ad una più ampia comprensione del diaconato, un
servizio che esiste fin dall'inizio della Chiesa e che è stato riproposto come
grado autonomo e permanente dal Concilio Vaticano 2°. Il diaconato oggi deve anche promuovere
l'ecologia integrale, lo sviluppo umano, la pastorale sociale, il servizio a
chi si trova in condizioni di vulnerabilità e povertà, configurandolo a Cristo
Servo, diventando una Chiesa misericordiosa, samaritana, solidale e diaconale.
I
presbiteri devono tenere in conto che il diacono è al servizio della comunità
per mandato e sotto l'autorità del vescovo, e che hanno l'obbligo di sostenere
i diaconi permanenti e di agire in comunione con loro. Si deve tenere presente
il mantenimento dei diaconi permanenti. Questo include il processo vocazionale
secondo i criteri di ammissione. Le motivazioni del candidato devono essere
orientate al servizio e alla missione del diaconato permanente nella Chiesa e
nel mondo di oggi. Il progetto formativo si divide tra studio accademico e
pratica pastorale, accompagnato da un'équipe formativa e dalla comunità
parrocchiale, con contenuti e itinerari adattati ad ogni realtà locale. È auspicabile che anche la moglie ed i
figli partecipino al processo di formazione.
Il
programma di studi (curriculum) per la formazione al diaconato
permanente, oltre alle materie obbligatorie, deve includere temi che
favoriscano il dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale, la storia
della Chiesa locale, l'affettività e la sessualità, la cosmovisione delle
culture locali, l'ecologia integrale e altri temi trasversali tipici del
ministero diaconale.
19.3 "Vi darò
pastori secondo il mio cuore" (Ger 3, 15). Questa promessa,
essendo divina, è valida per tutti i tempi e in tutti i contesti, quindi vale
anche per l'Amazzonia. Destinata a configurare il sacerdote a Cristo, la
formazione al ministero ordinato deve essere una scuola comunitaria di
fraternità, esperienziale, spirituale, pastorale e dottrinale, a contatto con
la realtà delle persone, in armonia con la cultura e la religiosità locale,
vicina ai poveri. Abbiamo l’esigenza
di preparare buoni pastori che vivano la Buona Notizia del Regno, conoscano le
leggi canoniche, siano compassionevoli, il più possibile simili a Gesù, la cui
pratica sia quella di fare la volontà del Padre, alimentati dall'Eucaristia e
dalla Sacra Scrittura. Quindi, una formazione più biblica, nel senso di
assimilazione a Gesù come si mostra nei Vangeli: vicino alle persone, capace di
ascoltare, di guarire, di consolare pazientemente, non chiedendo niente, ma
manifestando la tenerezza del cuore di suo Padre.
Per
offrire ai futuri presbiteri una formazione inserita e adatta alla realtà
locale, contestualizzata e capace di rispondere alle numerose sfide pastorali e
missionarie, proponiamo un piano formativo in linea con le sfide delle Chiese
locali e della realtà amazzonica.
Secondo il Concilio
Vaticano II, la partecipazione all'Eucaristia è la fonte e il culmine di tutta
la vita cristiana; è il simbolo dell’unità del Corpo Mistico; è il centro e il
culmine di tutta la vita della comunità cristiana. L'Eucaristia contiene tutto
il bene spirituale della Chiesa; è la fonte e il culmine di ogni
evangelizzazione. Facciamo eco alla
frase di san Giovanni Paolo II: "La Chiesa vive dell'Eucaristia" (Ecclesia
de Eucharistia, 1). L'Istruzione della Congregazione per il Culto
Divino Redemptionis sacramentum (2004) insiste affinché i
fedeli godano del diritto alla celebrazione eucaristica come stabilito nei
libri e nelle norme liturgiche. Tuttavia
sembra strano parlare del diritto a una celebrazione eucaristica secondo quanto
prescritto, mentre non si parla del diritto ancor più fondamentale di accesso
all'Eucaristia per tutti: nell'Eucaristia
è già realizzata la pienezza, ed è il centro vitale dell'universo, il centro
traboccante di amore e di vita inesauribile. Unito al Figlio incarnato,
presente nell'Eucaristia, tutto il cosmo rende grazie a Dio. In effetti
l'Eucaristia è di per sé un atto di amore cosmico.
Esiste un diritto della
comunità alla celebrazione, il quale deriva dall'essenza dell'Eucaristia e dal
suo posto nell'economia di salvezza. La vita sacramentale è l'integrazione
delle varie dimensioni della vita umana nel Mistero Pasquale, che ci rafforza.
Per questo motivo le comunità vive reclamano davvero la celebrazione
dell'Eucaristia. Essa è, senza dubbio, il punto di arrivo (culmine e
compimento) della comunità; ma, allo stesso tempo, è il punto di partenza: di
incontro, di riconciliazione, di apprendimento e catechesi, di crescita
comunitaria.
Molte delle comunità
ecclesiali del territorio amazzonico hanno enormi difficoltà di accesso
all'Eucaristia. Apprezziamo il
celibato come dono di Dio nella misura
in cui questo dono permette al discepolo missionario, ordinato al presbiterato,
di dedicarsi pienamente al servizio del Santo Popolo di Dio. Esso stimola la
carità pastorale e preghiamo che ci siano molte vocazioni che vivono il
sacerdozio celibatario. Sappiamo che questa
disciplina non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, sebbene vi sia
per molte ragioni un rapporto di convenienza con esso. Nella sua enciclica
sul celibato sacerdotale, san Paolo VI ha mantenuto questa legge, esponendo le
motivazioni teologiche, spirituali e pastorali che la motivano. Nel 1992,
l'esortazione post-sinodale di san Giovanni Paolo II sulla formazione
sacerdotale ha confermato questa tradizione nella Chiesa latina. Considerando che la legittima diversità non
nuoce alla comunione e all'unità della Chiesa, ma la manifesta e ne è al
servizio, come testimonia la pluralità dei riti e delle discipline esistenti,
proponiamo che, nel quadro della Costituzione dogmatica sulla Chiesa, del
Concilio Vaticano 2°, Lumen gentium - Luce per le genti n.26,
l’autorità competente stabilisca criteri e disposizioni per ordinare sacerdoti
uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, i quali, pur avendo una famiglia
legittimamente costituita e stabile, abbiano un diaconato permanente fecondo e
ricevano una formazione adeguata per il presbiterato al fine di sostenere la
vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la
celebrazione dei Sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica.
20. E’ necessario riprogettare
il modo in cui sono organizzate le Chiese locali. È urgente articolare spazi
sinodali, generare reti di sostegno
solidale e superare le frontiere che la geografia impone e costruire ponti che
uniscano. La Chiesa sta sviluppando una rinnovata comprensione della sinodalità
su scala regionale.
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E’ necessario riprogettare il modo in cui sono
organizzate le Chiese locali, ripensare le strutture di comunione a livello
provinciale, regionale e nazionale. Pertanto, è necessario articolare spazi
sinodali e generare reti di sostegno solidale. È urgente superare le frontiere
che la geografia impone e costruire ponti che uniscano. Il Documento di
Aparecida insisteva già sul fatto che le Chiese locali generino forme di
associazione interdiocesana in ogni nazione o tra Paesi di una stessa regione e
che favoriscano una maggiore cooperazione tra le Chiese sorelle. In vista di
una Chiesa presente, solidale e samaritana proponiamo: ridimensionare le vaste
aree geografiche delle diocesi, dei vicariati e delle ‘prelature’; creare un
fondo amazzonico per il sostegno all'evangelizzazione; sensibilizzare e
incoraggiare le agenzie internazionali di cooperazione cattolica a sostenere le
attività di evangelizzazione al di là dei progetti sociali.
Nel 2015, durante la commemorazione del 50° anniversario
dell'istituzione del Sinodo dei Vescovi da parte di San Paolo VI, Papa
Francesco ci ha invitato a rinnovare la comunione sinodale ai vari livelli
della vita della Chiesa: locale, regionale e universale. La Chiesa sta sviluppando una rinnovata comprensione della sinodalità
su scala regionale. Sostenuta dalla tradizione, la Commissione Teologica
Internazionale afferma: “Il livello regionale nell'esercizio della sinodalità è
quello vissuto nei raggruppamenti di Chiese particolari presenti in una stessa
regione: una Provincia, come avveniva soprattutto nei primi secoli della
Chiesa, o un Paese, un Continente o parte di esso” (CTI, La sinodalità nella vita e nella missione
della Chiesa, 2 marzo 2018, n. 85). L'esercizio della sinodalità a
questo livello rafforza i legami spirituali e istituzionali, favorisce lo
scambio di doni e aiuta a progettare criteri pastorali comuni. La pastorale
sociale congiunta delle Diocesi situate alle frontiere dei Paesi deve essere
rafforzata per affrontare problemi comuni che vanno oltre l’ambito locale, come
lo sfruttamento delle persone e del territorio, il traffico di droga, la
corruzione, la tratta di esseri umani, ecc. Il fenomeno migratorio deve essere
affrontato in modo coordinato dalle Chiese di frontiera.
21. Dobbiamo dare una risposta autenticamente cattolica alla richiesta
delle comunità locali di adattare la liturgia valorizzando la cosmovisione, le
tradizioni, i simboli e i riti originali che includano la dimensione
trascendente, comunitaria ed ecologica.
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Il Concilio Vaticano 2° ha aperto spazi per il pluralismo liturgico
per le “legittime diversità e i legittimi adattamenti ai vari gruppi etnici,
regioni, popoli”. In questo senso, la
liturgia deve rispondere alla cultura perché sia fonte e culmine della vita
cristiana e perché si senta collegata
alle sofferenze e alle gioie del popolo. Dobbiamo dare una risposta
autenticamente cattolica alla richiesta delle comunità locali di adattare la
liturgia valorizzando la cosmovisione, le tradizioni, i simboli e i riti
originali che includano la dimensione trascendente, comunitaria ed ecologica.
Nella Chiesa cattolica ci sono 23 diversi
Riti, segno evidente di una tradizione che fin dai primi secoli ha cercato di
inculturare i contenuti della fede e la sua celebrazione attraverso un
linguaggio il più possibile coerente con il mistero che si vuole esprimere.
Tutte queste tradizioni hanno origine in funzione della missione della Chiesa: le Chiese di una stessa area geografica e
culturale sono giunte a celebrare il Mistero di Cristo con espressioni
particolari, culturalmente caratterizzate: nella tradizione del ‘deposito della
fede’, nel simbolismo liturgico, nell'organizzazione della comunione fraterna,
nella comprensione teologica dei misteri e in varie forme di santità.
È necessario che la Chiesa, nella sua
instancabile opera evangelizzatrice, operi perché il processo di inculturazione
della fede si esprima nelle forme più coerenti, affinché sia celebrato e
vissuto anche secondo le lingue proprie dei popoli. È urgente formare commissioni per la traduzione e la redazione di testi
biblici e liturgici nelle lingue proprie dei diversi luoghi, con le risorse
necessarie, preservando la materia dei sacramenti e adattandoli alla forma,
senza perdere di vista l'essenziale. In questo senso è necessario incoraggiare
la musica e il canto, il tutto accettato e incoraggiato dalla liturgia.