INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

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sabato 18 gennaio 2020

Principi generali desunti dal Documento finale del Sinodo speciale dei Vescovi per la Regione Panamazzonica (26-10-19) -

Principi generali desunti dal Documento finale del Sinodo speciale dei Vescovi per la Regione Panamazzonica (26-10-19)

0. Presentazione.  Il  Documento finale del Sinodo speciale dei vescovi per la Regione Panamazzonica è un documento di portata eccezionale ed epocale per la nostra Chiesa, perché disegna un progetto di vera e propria riforma ecclesiale, definita conversione integrale, basato sui tre  principi cardine di dottrina sociale della sinodalità totale  e diffusa, della integrazione interculturale  e della ministerialità di tutti i fedeli  per la cura della casa comune, quindi per attuare una  riforma sociale a livello globale nel senso dei valori del vangelo, intesa come parte fondamentale della missione  ecclesiale. Si tratta di principi fondati su ragioni non collegate con un preciso ambito culturale o territoriale, ma suscettibili di essere estesi e applicati in ambito universale, benché il processo di riforma abbia avuto principio dall'episcopato di una  remota (per noi europei) regione del mondo. Per questo ne ho elaborato una sintesi, utilizzando le stesse parole del Documento finale, generalizzandone i riferimenti dalla regione Panamazzonica  al mondo e inserendo elementi di raccordo. Ve l’offro di seguito.
  Quei principi sono attualmente fortemente osteggiati da settori importanti della nostra Chiesa che seguono la storica, millenaria, impostazione organizzativa sacrale  e clerico-gerarchica, la quale certamente non risale alle origini, ma  è stata elaborata tra l’Undicesimo e il Tredicesimo secolo  e pervicacemente sviluppata nei secoli successivi, fino agli anni Cinquanta del Novecento, in cui si è iniziato a mutare i modelli culturali di riferimento. Sinteticamente essa venne progettata come una piramide, alla base della quale vi erano  tutti i fedeli laici, e ai vari livelli superiori vari ordini del clero e dei religiosi, strutturati gerarchicamente secondo l’antico modello feudale, quindi con autorità monarchiche dotate di varia autonomia e, sopra tutti, il Papato romano, con il sommo potere religioso in questo mondo accentrato con valore sacrale in un’unica persona fisica, concepita come Vicaria  del potere celeste.
  Parallelamente allo sviluppo del nuovo ordine ecclesiale, nei primi secoli del Secondo Millennio, tra l’Undicesimo e il Sedicesimo Secolo ebbe sostenitori l’idea, detta  conciliatorismo,  che al vertice della Chiesa dovesse essere considerato il Concilio generale dei vescovi: essa fu recessiva a partire dal Concilio Lateranense 5° (1512-1517) e fu ripudiata durante il  Concilio Vaticano 1° (1868-1870), nel corso del quale fu deliberato il dogma dell’infallibilità del supremo magistero del  Papa in materia di fede e di morale.
  Il modello organizzativo   della sinodalità totale e diffusa, proposto dal Sinodo Panamazzonico, differisce profondamente dai due modelli che ho sopra sintetizzato. Nel  Documento finale  se ne spiegano le principali caratteristiche e linee guida. Esso finora appare essere stato sperimentato solo nelle Comunità di base, che si sono sviluppate in America Latina, da dove ci è venuto il Papa regnante, Francesco. Applicarlo su larga scala definisce una vera e propria Riforma  ecclesiale. Le sue novità  spiegano le dure resistenze all'avvio in Italia di un processo sinodale analogo a quello Panamazzonico, necessario per darvi avvio trattandosi di riforma concepita come scaturente  dal basso,  da parte di coloro i quali, temendo che dal rinnovamento scaturisca la dispersione e/o la fine delle loro prerogative particolari, o entrambi i casi,  consigliano di mantenere il congelamento  dei processi evolutivi di riforma realizzato a partire dai  passati anni '90. Coloro che, invece, li vedono con favore osservano che l'organizzazione e alcune modalità di azione ecclesiali appaiono ormai obsolete e, senza quel rinnovamento, condurranno la nostra Chiesa a divenire un residuato storico, utile nelle sue suggestive liturgie al modo delle sfilate folkloristiche in certi nostri borghi medievali. A Bolsena, la cittadina laziale sulle rive dell'omonimo lago dove sono andato in vacanza negli anni passati, se ne fa una molto simpatica, in cui sfilano maschere ecclesiastiche, anche un Papa medievale, che riscuotono l'ammirazione del numeroso pubblico, con molti turisti da altre nazioni, costituendo una bella ambientazione per i selfie. In definitiva, ai passatisti  tra noi fedeli, questa superstite autorevolezza scenografica non dispiace, perché disperano di poterne mantenere di altro tipo. Essi definiscono progressisti  i fautori dell’opposto orientamento e, di seguito, di fatto li scomunicano asserendo che, nella nostra Chiesa, non sarebbe possibile alcun vero progresso, perché, nei fondamenti, si è rimasti sempre gli stessi e allo stesso punto. Una realistica considerazione dei processi storici della nostra Chiesa induce, per altro, a ritenere il contrario. Discutendo con degli amici osservavo, ad esempio, che, a due passi da dove lavoro, giustiziarono un pastore valdese, sotto il dominio temporale del Papato romano: lo strangolarono, ne bruciarono il corpo, e ne buttarono i resti nel fiume Tevere. Si era nel 1560 ed era in corso il Concilio di Trento (1545-1563) che produsse quella che va sotto il nome di Controriforma, in realtà una vera e propria Riforma, sullo stimolo di quella avviata da Martin Lutero nel 1517. Essa  diede alla nostra Chiesa gran parte delle caratteristiche con cui oggi la conosciamo in Italia e che si iniziò a modificare solo con il Concilio Vaticano 2° (1962-1965). Oggi non strangoliamo più la gente per questioni di dottrina. E' indubbiamente un progresso.
  La nostra Chiesa storicamente espresse il contrasto alla nuove idee religiose anche in forme estremamente violente, che compresero pure stragi di innovatori e dissenzienti, alcune immani, e lunghe guerre. Dall’Ottocento, i processi democratici impedirono quelle le azioni più cruente e si reagì più che altro con l’esclusione o l’emarginazione, in particolare a partire dall’ultima grande persecuzione religiosa, quella contro il cosiddetto Modernismo, ascrivibile in gran parte al papa Pio 10°, regnante dal 1903 al 1914, santo della nostra Chiesa anche, ma non solo, per meriti che gli vennero riconosciuti per quell’azione di repressione. Dagli anni ’90, quelli del  congelamento ecclesiale in Italia, il dissenso e le proposte riformatrici vengono semplicemente ignorati, non se ne parla, si fa come se non esistessero e comunque non provenissero dall’interno della Chiesa ma dai suoi nemici, e chi dissente o chi evidenza la necessità di riforme viene dimenticato, e a volte recuperato solo dopo morto dopo un qualche tempo di decantazione e di ridefinizione della sua memoria. Questo il trattamento che mi pare essere stato riservato finora al Documento finale  del Sinodo Panamazzonico, benché sia stato scritto a Roma, nell’ottobre dello scorso 2019, e contenga quegli importati principi  a cui accennavo, suscettibili di applicazione universale riformatrice.  Con la sintesi  che segue vorrei cercare, invece, di favorirne la conoscenza, pur con i miei limiti di semplice fedele con una informazione di base delle cose di religione acquisita progressivamente negli anni di militanza in FUCI, nel Movimento Ecclesiale di Impegno culturale e in Azione Cattolica.

Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli


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1. Esiste una realtà multietnica e multiculturale nelle società del  mondo contemporaneo
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  Esiste una realtà multietnica e multiculturale nelle società del  mondo contemporaneo. I diversi popoli hanno saputo adattarsi al territorio. All'interno di ogni cultura, hanno costruito e ricostruito la loro cosmovisione, i loro segni e i loro significati, e la visione del loro futuro. Nelle culture e nei popoli, antiche pratiche e spiegazioni mitiche coesistono con le tecnologie e le sfide moderne. I volti dei popoli che abitano un’area geografica sono molto variegati. Oltre ai popoli originari, esiste un grande meticciato nato dall'incontro e dal non incontro di popoli diversi.
2. Vi sono culture tradizionali fondate sul principio dell’armonia “buon vivere”, il quale si realizza pienamente nelle Beatitudini.
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 Vi sono culture tradizionali fondate sul principio del  “buon vivere”, il quale si realizza pienamente nelle Beatitudini. Si tratta di vivere in armonia con sé stessi, con la natura, con gli esseri umani e con l'essere supremo, giacché esiste un'intercomunicazione tra tutto il cosmo, dove non ci sono né escludenti né esclusi, e dove possiamo forgiare un progetto di vita piena per tutti.
3. Gli ambienti naturali e sociali feriti dagli interessi economici e politici dominanti.
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  Gli ambienti naturali e sociali dove vivono i popoli della Terra presentano una bellezza ferita e deformata, sono anche un luogo di dolore e violenza. Gli attentati contro la natura hanno conseguenze per la vita dei popoli. Queste sono le minacce della vita che vengono osservate: appropriazione e privatizzazione di beni naturali, come l'acqua stessa; concessioni legali ad industrie di legname e l'ingresso di industrie di legname illegali; caccia e pesca predatoria; mega-progetti non sostenibili (progetti idroelettrici, concessioni forestali, disboscamento massiccio, monocolture, infrastrutture viarie, infrastrutture idriche, ferrovie, progetti minerari e petroliferi); inquinamento causato dall'industria estrattiva e dalle discariche urbane; e, soprattutto, il cambiamento climatico. Si tratta di minacce reali che producono gravi conseguenze sociali: malattie derivate dall'inquinamento, traffico di droga, gruppi armati illegali, alcolismo, violenza contro le donne, sfruttamento sessuale, traffico e tratta di esseri umani, vendita di organi, turismo sessuale, perdita della cultura originaria e dell'identità (lingua, pratiche spirituali ed usanze), criminalizzazione e assassinio di leader e difensori del territorio. Dietro tutto questo ci sono gli interessi economici e politici dei settori dominanti, con la complicità di alcuni governanti e di alcune autorità indigene. Le vittime sono i soggetti più vulnerabili, i bambini, i giovani, le donne e la sorella madre terra.
4. Una bioeconomia innovativa  è possibile utilizzando scienza e tecnologie avanzate.
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 La comunità scientifica, da parte sua, avverte dei rischi della deforestazione, minaccia la sopravvivenza degli ecosistema, mettendo in pericolo la biodiversità e modificando il ciclo vitale dell'acqua per la sopravvivenza delle foreste. Allo stesso tempo, gli esperti ricordano che utilizzando la scienza e le tecnologie avanzate per una bioeconomia innovativa delle foreste intatte e dei fiumi che scorrono, è possibile contribuire a salvare le, proteggere gli ecosistemi naturali e i popoli che li abitano, e allo stesso tempo fornire attività economiche sostenibili.
5. Le migrazioni.
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 Un fenomeno da affrontare sono le migrazioni. Si osservano tre processi migratori simultanei. In primo luogo, i casi di mobilità dei gruppi in territori vicini, anche se separati da frontiere nazionali e internazionali. In secondo luogo, lo spostamento forzato di gruppi umani, espulsi dai loro territori di origine, la cui destinazione finale coincide tendenzialmente con le zone più povere e peggio urbanizzate delle città. In terzo luogo, la migrazione interregionale forzata e il fenomeno dei rifugiati che, costretti a lasciare i loro Paesi  di origine,  attraversano altri territori come corridoio migratorio. Occorre un’attenzione pastorale transfrontaliera in grado di includere il diritto alla libera circolazione di questi popoli. La mobilità umana determinata da bisogno e persecuzione a rivela il volto di Gesù Cristo impoverito e affamato (cfr. Mt 25,35), espulso e senza tetto (cfr. Mt 2,13-14), ma si esprime anche nella femminilizzazione della migrazione che rende migliaia di donne vulnerabili alla tratta di esseri umani, una delle peggiori forme di violenza contro le donne e una delle più perverse violazioni dei diritti umani. Il traffico di persone legata alla migrazione richiede un permanente lavoro pastorale in rete.
 Il fenomeno migratorio, per la sua crescita e il suo volume, si è ormai trasformato in un’inedita sfida politica, sociale ed ecclesiale (cfr. DAp, 517, a). 
 Sarà necessario creare equipe missionarie che accompagnino queste famiglie, coordinando con le parrocchie e le altre istituzioni ecclesiali ed extraecclesiali le condizioni di accoglienza, offrendo liturgie inculturate e nelle lingue dei migranti, promuovendo spazi di scambio culturale, favorendo l'integrazione nella comunità e nella città e motivandole ad essere esse stesse
6. L'annuncio di Cristo si è compiuto spesso in connivenza con i poteri che sfruttavano le risorse e opprimevano le popolazioni.
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  La Chiesa nel suo processo di ascolto del grido del territorio e del grido dei popoli deve fare memoria dei suoi passi. L'evangelizzazione è stato un dono della Provvidenza che chiama tutti alla salvezza in Cristo. Nonostante la colonizzazione militare, politica e culturale, e al di là dell'avidità e dell'ambizione dei colonizzatori, ci sono stati molti missionari che hanno dato la loro vita per trasmettere il Vangelo. Il sentimento missionario ha ispirato non solo la formazione di comunità cristiane, ma anche una legislazione come le Leggi delle Indie, che proteggevano la dignità dei popoli che subivano colonizzazioni contro le aggressioni perpetrate a danno dei loro popoli e dei loro territori. Tali abusi hanno causato ferite nelle comunità e oscurato il messaggio della Buona Novella. L'annuncio di Cristo si è compiuto spesso in connivenza con i poteri che sfruttavano le risorse e opprimevano le popolazioni. Nel momento attuale, la Chiesa ha l'opportunità storica di differenziarsi dalle nuove potenze colonizzatrici ascoltando i popoli soggetti a colonizzazione per poter esercitare in modo trasparente la sua attività profetica. Inoltre, la crisi socio-ambientale apre nuove opportunità per presentare Cristo in tutto il suo potenziale liberatorio e umanizzante.
7. Necessità di una  conversione integrale  per ascoltare il grido della terra e dei poveri. Una Chiesa incarnata, samaritana, maddalena, mariana, che soccorre amorevolmente, riconcilia e si riconcilia, genera.
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 L'ascolto del grido della terra e del grido dei poveri e dei popoli  con cui camminiamo ci chiama a una vera conversione integrale, con una vita semplice e sobria, il tutto alimentato da una spiritualità mistica nello stile di San Francesco d'Assisi, esempio di conversione integrale vissuta con letizia e gioia cristiana (cfr. LS 20-12).
  Come Chiesa di discepoli missionari, imploriamo la grazia di questa conversione che “comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda” (LS 217); una conversione personale e comunitaria che ci impegni a relazionarci armoniosamente con l'opera creatrice di Dio, che è la “casa comune”; una conversione che promuova la creazione di strutture in armonia con la cura del creato; una conversione pastorale basata sulla sinodalità, che riconosca l'interazione di tutto ciò che è creato. Conversione che ci porti ad essere una Chiesa in uscita che entri nel cuore di tutti i popoli.
  La nostra conversione pastorale sarà samaritana, in dialogo, accompagnando le persone con volti concreti di indigeni, contadini, afro-discendenti e migranti, giovani, abitanti delle città. Tutto questo supporrà una spiritualità di ascolto e di annuncio.       
  La Chiesa per sua natura è missionaria e ha la sua origine nell'amore fontale di Dio. Il dinamismo missionario che scaturisce dall'amore di Dio si irradia, si espande, straripa e si diffonde in tutto l'universo. Siamo inseriti dal battesimo nella dinamica dell'amore attraverso l'incontro con Gesù che dà un nuovo orizzonte alla vita (cfr. DAp 12). Questo straripare spinge la Chiesa a una conversione pastorale e ci trasforma in comunità vive che lavorino in équipe e reti al servizio dell'evangelizzazione. La missione così intesa non è qualcosa di facoltativo, un'attività della Chiesa tra le altre, ma è la sua stessa natura. La Chiesa è missione! L'azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa". Essere un discepolo missionario è qualcosa in più di portare a compimento dei compiti o fare delle cose. Si situa nell'ordine dell'essere. "Gesù ha indicato a noi suoi discepoli che la nostra missione nel mondo non può essere statica, ma è itinerante. Il cristiano è un itinerante" (Francesco, Angelus, 30 giugno 2019).
 Vogliamo essere una Chiesa samaritana, incarnata nel modo in cui il Figlio di Dio si è incarnato: "Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie" (Mt 8,17b). Colui che si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (cfr. 2 Cor 8,9), attraverso il suo Spirito, esorta i discepoli missionari di oggi a uscire incontro a tutti, specialmente ai popoli originari, ai poveri, agli esclusi dalla società e agli altri. Desideriamo anche una Chiesa maddalena, che si sente amata e riconciliata, che annuncia con gioia e convinzione Cristo crocifisso e risorto. Una Chiesa mariana che genera figli alla fede e li educa con affetto e pazienza, imparando anche dalle ricchezze dei popoli. Vogliamo essere una Chiesa serva, kerigmatica, educatrice e inculturata in mezzo ai popoli che serviamo. 
8. Necessità di un atteggiamento di dialogo aperto, riconoscendo anche la molteplicità degli interlocutori.
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  La realtà multietnica, multiculturale e multireligiosa delle società umane del mondo contemporaneo richiede un atteggiamento di dialogo aperto, riconoscendo anche la molteplicità degli interlocutori: i popoli indigeni e discendenti dalle migrazioni, le altre Chiese cristiane e denominazioni religiose, le organizzazioni della società civile, i movimenti sociali popolari, lo Stato, insomma tutte le persone di buona volontà che cercano la difesa della vita, l'integrità del creato, la pace e il bene comune.
 Il dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale deve essere assunto come la via irrinunciabile dell'evangelizzazione (cfr. DAp 227).  I popoli contemporanei sono un'amalgama di credi, con una numerosa presenza di  cristiani. Di fronte a questa realtà ci si aprono reali cammini di comunione: "non bastano le manifestazioni di buoni sentimenti. Occorrono gesti concreti che entrino negli animi e smuovano le coscienze, sollecitando ciascuno a quella conversione interiore che è il presupposto di ogni progresso sulla via dell’ecumenismo" (Benedetto XVI, Missa pro Ecclesia”, Messaggio al termine della prima Concelebrazione Eucaristica con i Cardinali elettori nella Cappella Sistina, 20 aprile 2005).
 Nel quadro del  dialogo interreligioso le tradizioni etniche locali  meritano di essere conosciute, comprese nelle proprie espressioni e nel loro rapporto gli ambienti naturali di insediamento, la madre terra di ciascuna di esse. Insieme a loro, i cristiani, basandosi sulla loro fede nella Parola di Dio, si mettono in dialogo, condividendo la loro vita, le loro preoccupazioni, le loro lotte, le loro esperienze di Dio, per approfondire mutuamente la fede e agire insieme in difesa della casa comune.
  Occorre anche generare un maggiore impulso missionario tra le vocazioni locali; ogni regione  deve essere evangelizzata anche dal suo popolo.  È urgente dare alla pastorale locale il suo posto specifico nella Chiesa. Partiamo da realtà plurali e culture diverse per definire, elaborare e adottare azioni pastorali che ci permettano di sviluppare una proposta evangelizzatrice in mezzo alle comunità locali, collocandoci nel quadro di una pastorale locale e della terra. La pastorale dei popoli locali ha una sua specificità. Le colonizzazioni motivate dalla rapina economica  nel corso della storia, con le diverse correnti migratorie, l’hanno messa in una situazione di alta vulnerabilità. In questo contesto, come Chiesa, è ancora necessario creare o mantenere un'opzione preferenziale per i popoli locali, in virtù della quale sono da stabilire e consolidare gli organismi diocesani di pastorale indigena per mezzo di una rinnovata azione missionaria, che ascolti, dialoghi, sia incarnata e assicuri una presenza permanente. L'opzione preferenziale per i popoli locali, con le loro culture, identità e storie, esige da noi che aspiriamo a una Chiesa locale con propri sacerdoti e ministri sempre uniti e in totale comunione con la Chiesa cattolica.
9. I giovani.  Necessità di Una pastorale [ La pastorale  è un’attività della Chiesa che consiste nell’introdurre, formare, sorreggere e indirizzare  nella vita di fede] sempre in divenire, incentrata su Gesù Cristo e sul suo progetto, dialogica e integrale, impegnata in tutte le realtà giovanili esistenti sul territorio, compagna nell’ascolto, che accoglie i giovani e cammina con loro, soprattutto nelle periferie.
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Tra i diversi volti della realtà contemporanea spicca quello dei giovani presenti in tutto il territorio. Giovani residenti in aree rurali e urbane, che sognano e cercano ogni giorno migliori condizioni di vita, con il profondo desiderio di avere una vita piena. Giovani studenti, lavoratori e con una forte presenza e partecipazione in vari spazi sociali ed ecclesiali. Tra i giovani si presentano realtà tristi come la povertà, la violenza, la malattia, la prostituzione infantile, lo sfruttamento sessuale, il consumo e il traffico di droga, la gravidanza precoce, la disoccupazione, la depressione, la tratta di esseri umani, nuove forme di schiavitù, il traffico di organi, le difficoltà di accesso all'istruzione, la salute e l'assistenza sociale. Purtroppo, negli ultimi anni, si è registrato un significativo aumento dei suicidi tra i giovani, così come un aumento della popolazione carceraria minorile e dei crimini tra e contro i giovani, soprattutto i discendenti dalle migrazioni per bisogno e persecuzioni  e  gli abitanti nelle periferie. Anche i giovani in difficoltà, che vivano ancora nelle loro regioni di origine o in quelle di destinazione migratoria, hanno gli stessi sogni e desideri degli altri giovani di questo mondo: essere tenuti in considerazione, rispettati, avere opportunità di studio, di lavoro e di un futuro di speranza. Tuttavia stanno vivendo una profonda crisi di valori, o una transizione verso altri modi di concepire la realtà, nei quali gli elementi etici stanno cambiando, anche per i giovani indigeni. Il compito della Chiesa è quello di accompagnarli ad affrontare qualsiasi situazione che distrugga la loro identità o danneggi la loro autostima.
 Le città devono affrontare enormi problemi di delinquenza giovanile, mancanza di lavoro, lotte etniche e ingiustizie sociali. Qui, in particolare, la Chiesa è chiamata a essere una presenza profetica tra i giovani, offrendo loro un accompagnamento adeguato e un'educazione appropriata.
 In comunione con la realtà giovanile contemporanea, la Chiesa proclama ai giovani la Buona Novella di Gesù, il discernimento e l'accompagnamento vocazionale, il luogo di valorizzazione della cultura e dell'identità locale, la leadership giovanile, la promozione dei diritti della gioventù, il rafforzamento di spazi creativi, innovativi e differenziati di evangelizzazione attraverso un rinnovato e audace ministero giovanile. Una pastorale sempre in divenire, incentrata su Gesù Cristo e sul suo progetto, dialogica e integrale, impegnata in tutte le realtà giovanili esistenti sul territorio. I giovani hanno un enorme potenziale e partecipano attivamente alle loro comunità e organizzazioni contribuendo come leader e animatori, in difesa dei diritti, soprattutto per quanto riguarda il territorio, la salute e l'istruzione. D'altro canto, sono le principali vittime dell'insicurezza nelle società di origine e dell'assenza di politiche pubbliche specifiche e di qualità. La diffusione di alcol e droghe arriva spesso fino alle comunità indigene, danneggiando seriamente i giovani e impedendo loro di vivere liberamente per costruire i loro sogni e partecipare attivamente alla comunità.
  Il protagonismo dei giovani appare chiaramente nel Documento finale della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi dedicata ai giovani (cfr. nn. 160 e 46), nell'Esortazione Apostolica Postsinodale Christus vivit (cfr. n. 170) e nell'Enciclica Laudato si’ (cfr. n. 209). I giovani vogliono essere protagonisti e la Chiesa vuole riconoscere il loro spazio. Vuole essere compagna nell'ascolto, riconoscendo i giovani come luogo teologico, come profeti di speranza, impegnati nel dialogo, ecologicamente sensibili e attenti alla ‘casa comune’. Una Chiesa che accoglie i giovani e cammina con loro, soprattutto nelle periferie. Di fronte a ciò sorgono tre urgenze: promuovere nuove forme di evangelizzazione attraverso i social media (cfr. Francesco, Christus Vivit 86); aiutare i giovani a raggiungere una sana interculturalità; aiutarli ad affrontare la crisi valoriale che distrugge la loro autostima e fa perdere loro la propria identità.
10. La crescita accelerata delle metropoli è accompagnata dalla proliferazione di periferie urbane. Le famiglie spesso soffrono per la povertà, alloggi precari, mancanza di lavoro, aumento del consumo di droghe e alcol, discriminazione e suicidio infantile, mancanza di dialogo fra le generazioni. Sviluppo di nuovi tipi di famiglie: famiglie monoparentali sotto la responsabilità delle donne, aumento delle famiglie separate, unioni libere e famiglie allargate, diminuzione dei matrimoni istituzionali. Necessità di difendere il diritto di tutte le persone alla città. Le Comunità di base come fondamento pastorale di molte parrocchie.
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 Si registra una forte tendenza dell'umanità a concentrarsi nelle città, a migrare dalle più piccole alle più grandi. La crescita accelerata delle metropoli è accompagnata dalla proliferazione di periferie urbane. Allo stesso tempo, si trasmettono stili di vita, forme di convivenza, linguaggi e valori plasmati dalle metropoli, i quali si impiantano sempre più sia nelle comunità indigene che nel resto del mondo rurale. La famiglia in città è un luogo di sintesi tra la cultura tradizionale e quella moderna. Nonostante ciò, le famiglie spesso soffrono per la povertà, alloggi precari, mancanza di lavoro, aumento del consumo di droghe e alcol, discriminazione e suicidio infantile. Inoltre, nella vita familiare si segnala una mancanza di dialogo tra le generazioni e si perdono le tradizioni e la lingua. Le famiglie devono inoltre affrontare nuovi problemi di salute, che richiedono un'adeguata educazione in fatto di maternità. I rapidi cambiamenti di oggi toccano le famiglie contemporanee. Troviamo così nuovi tipi di famiglia: famiglie monoparentali sotto la responsabilità delle donne, aumento delle famiglie separate, unioni libere e famiglie allargate, diminuzione dei matrimoni istituzionali. La città è un'esplosione di vita, perché Dio vive nella città. In essa esistono ansia e ricerca del senso della vita, conflitti, ma anche solidarietà, fraternità, desiderio di bontà, verità e giustizia. Evangelizzare la città o la cultura urbana significa raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell'umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno di salvezza.
  È necessario difendere il diritto di tutte le persone alla città. Il diritto rivendicato alla città si definisce come il godimento equo delle città all’interno dei principi di sostenibilità, democrazia e giustizia sociale. Tuttavia, sarà anche necessario incidere nelle politiche pubbliche e promuovere iniziative che migliorino la qualità della vita nel mondo rurale, evitando così lo spostamento incontrollato delle persone.
  Le comunità ecclesiali di base sono state e sono un dono di Dio alle Chiese locali. Nonostante  ciò, è necessario riconoscere che, con il passare del tempo, alcune comunità ecclesiali si sono appiattite, indebolite o sono addirittura scomparse. Ma la grande maggioranza rimane perseverante e costituisce il fondamento pastorale di molte parrocchie. Oggi i grandi pericoli delle comunità ecclesiali derivano principalmente dal secolarismo, dall'individualismo, dalla mancanza di una dimensione sociale e dall'assenza di attività missionaria. Pertanto, è necessario che i pastori incoraggino tutti e ciascuno dei fedeli al discepolato missionario. La comunità ecclesiale dovrà essere presente negli spazi di partecipazione alle politiche pubbliche dove si articolano azioni per rivitalizzare la cultura, la convivenza, il tempo libero e la celebrazione. Dobbiamo lottare affinché alle periferie siano garantiti i diritti
11. Una conversione culturale per andare incontro agli altri e imparare da loro. La fede come sfida in divenire. Includere tutti. I popoli originari e quelli che sono arrivati più tardi e hanno forgiato la loro identità nella convivenza, sono portatori di valori culturali in cui scopriamo i semi del Verbo.
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 La nostra conversione deve essere anche culturale, andando incontro all'altro, per imparare dall'altro. Essere presenti, rispettare e riconoscere i suoi valori, vivere e praticare l'inculturazione e l'interculturalità nel nostro annuncio della Buona Notizia. Esprimere e vivere la fede è una sfida sempre in divenire. Essa si incarna non solo nel lavoro pastorale ma anche in azioni concrete con e per l’altro, nell'attenzione alla salute, nell'educazione, nella solidarietà e nel sostegno ai più vulnerabili. Vorremmo condividere tutto ciò in questa sezione.
  Nelle società umane contemporanee ci sono realtà  pluriculturali che esigono e di avere uno sguardo che includa tutti e di utilizzare espressioni che permettano di identificare e collegare tutti i gruppi, nonché di rispecchiare identità che vengano riconosciute, rispettate e promosse tanto nella Chiesa quanto nella società, che deve trovare nei popoli un valido interlocutore per il dialogo e l'incontro. Imparare la gestione sostenibile della natura dalle culture tradizionali.
  Solo una Chiesa missionaria inserita e inculturata porterà alla nascita di Chiese particolari autoctone, dal volto e dal cuore dei popoli in cui vivono, radicate nelle culture e nelle tradizioni proprie dei popoli, unite nella stessa fede in Cristo e diverse nel loro modo di viverla, esprimerla e celebrarla.
 I popoli originari e quelli che sono arrivati più tardi e hanno forgiato la loro identità nella convivenza, sono portatori di valori culturali in cui scopriamo i semi del Verbo.
  Il pensiero dei popoli non integrati nella cultura occidentale  offre talora una visione integratrice della realtà, capace di comprendere le molteplici connessioni esistenti tra tutto il creato. Ciò contrasta con la corrente dominante del pensiero occidentale che tende a frammentare per comprendere la realtà, ma poi non riesce ad articolare nuovamente l'insieme delle relazioni tra i vari campi del sapere. La gestione tradizionale di ciò che la natura a volte è stata fatta nel modo che oggi chiamiamo ‘gestione sostenibile’. Troviamo anche altri valori nei popoli originari quali la reciprocità, la solidarietà, il senso di comunità, l'uguaglianza, la famiglia, la loro organizzazione sociale e il senso del servizio.
12. L'avidità per la terra è alla radice dei conflitti che portano all'etnocidio. La Chiesa si impegna a essere alleata dei popoli per denunciare gli attentati contro la vita delle comunità locali, i progetti che incidono sull’ambiente, la mancanza di demarcazione dei loro territori, nonché il modello economico di sviluppo predatorio ed ecocida.  La Chiesa promuove la salvezza integrale della persona umana.
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 L'avidità per la terra è alla radice dei conflitti che portano all'etnocidio, così come all'assassinio e alla criminalizzazione dei movimenti sociali e dei loro leader. La demarcazione e la protezione del territorio è un obbligo degli Stati nazionali e dei loro rispettivi governi. Tuttavia, una  buona parte dei territori indigeni non sono protetti e quelli già delimitati stanno conoscendo un’invasione dovuta a fronti estrattivi come l'estrazione mineraria e forestale, ai grandi progetti infrastrutturali, a colture illecite e ai latifondi che promuovono la monocoltura e l'allevamento estensivo del bestiame.
 La Chiesa si impegna a essere alleata dei popoli per denunciare gli attentati contro la vita delle comunità locali, i progetti che incidono sull’ambiente, la mancanza di demarcazione dei loro territori, nonché il modello economico di sviluppo predatorio ed ecocida. La presenza della Chiesa tra le comunità indigene e tradizionali ha bisogno di questa consapevolezza: la difesa della terra non ha altro scopo che la difesa della vita.
  È necessario difendere i diritti all'autodeterminazione, alla demarcazione dei territori e alla consultazione preventiva, libera e informata. Occorre tener conto delle condizioni sociali, culturali ed economiche che distinguono culture etniche locali  da altri settori della comunità nazionale e che orientate  in tutto o in parte dai propri costumi o tradizioni o da una legislazione speciale (Organizzazione Internazionale del Lavoro, Convenzione sui diritti dei popoli indigeni e tribali, 1989 (169), art. 1, 1a). Per la Chiesa, la difesa della vita, della comunità, della terra e dei diritti dei popoli indigeni è un principio evangelico, in difesa della dignità umana: “Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza” (Gv 10,10b).
 La Chiesa promuove la salvezza integrale della persona umana, riconoscendo il valore della cultura dei popoli indigeni, parlando dei loro bisogni vitali, accompagnando i movimenti nelle loro lotte per i propri diritti. Il nostro servizio pastorale costituisce un servizio per la vita piena dei popoli indigeni, che ci spinge ad annunciare la Buona Novella del Regno di Dio e a denunciare le situazioni di peccato, le strutture di morte, la violenza e l’ingiustizia, promuovendo il dialogo interculturale, interreligioso ed ecumenico (cfr. DAp 95).
13. Inculturazione come  incarnazione del Vangelo nelle culture autoctone ("ciò che non si assume non è redento", Sant'Ireneo) e allo stesso tempo l'introduzione di queste culture nella vita della Chiesa.  In questo processo i popoli sono protagonisti e accompagnati dai loro agenti pastorali e dai loro pastori. Laici storicamente protagonisti della pietà popolare non clericalizzata.
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  Cristo con l'incarnazione non ha ritenuto un privilegio quello di essere come Dio e si è fatto uomo in una cultura concreta per identificarsi con tutta l'umanità. L'inculturazione è l'incarnazione del Vangelo nelle culture autoctone ("ciò che non si assume non è redento", Sant'Ireneo) e allo stesso tempo l'introduzione di queste culture nella vita della Chiesa. In questo processo i popoli sono protagonisti e accompagnati dai loro agenti pastorali e dai loro pastori. Necessità di una catechesi appropriata che accompagni la fede già presente nella religiosità popolare. Il mondo tradizionale non è un terreno vuoto, carente di valori autentici: L'evangelizzazione della Chiesa non è un processo di distruzione, ma di consolidamento e rafforzamento di questi valori.
   La pietà popolare è un mezzo importante che collega molti popoli  con il loro vissuto spirituale, le loro radici culturali e la loro integrazione comunitaria. Sono manifestazioni con cui il popolo esprime la propria fede, attraverso immagini, simboli, tradizioni, riti e altri sacramentali. I pellegrinaggi, le processioni e le feste patronali devono essere apprezzati, accompagnati, promossi e talvolta purificati, poiché sono momenti privilegiati di evangelizzazione che devono condurre all'incontro con Cristo.
  Caratteristica è la non-clericalizzazione delle fraternità, delle confraternite e dei gruppi legati alla pietà popolare. I laici assumono un protagonismo difficilmente realizzabile in altri ambiti ecclesiali, con la partecipazione di fratelli e sorelle che svolgono servizi e dirigono preghiere, benedizioni, canti sacri tradizionali, animano novene, organizzano processioni, promuovono feste patronali, ecc. È necessario proporre una catechesi appropriata che accompagni la fede già presente nella religiosità popolare. Un modo concreto potrebbe essere quello di offrire un processo di iniziazione cristiana, che ci porta a somigliare sempre più a Gesù Cristo, suscitando la progressiva assunzione dei suoi atteggiamenti. 
  Quando il missionario e l’agente pastorale porta la parola del Vangelo di Gesù, si identifica con la cultura e così avviene l'incontro da cui nasce la testimonianza, il servizio, l'annuncio e l'apprendimento delle lingue. Il mondo locale con i suoi miti, la sua narrativa, i suoi riti, i suoi canti, la sua danza e le sue espressioni spirituali arricchisce l'incontro interculturale. Già Puebla riconosce che le culture non sono un terreno vuoto, carente di valori autentici. L'evangelizzazione della Chiesa non è un processo di distruzione, ma di consolidamento e rafforzamento di questi valori; un contributo alla crescita dei ‘germi del Verbo’ presenti nelle culture.
14. Ripudiare l’evangelizzazione colonialista e il proselitismo. Riconoscere i germi del Verbo già presenti nelle culture Evangelizzazione come l'annuncio inculturato che genera processi di interculturalità, processi che promuovono la vita della Chiesa con un'identità e un volto dei popoli in cui vive.
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  Il colonialismo è l'imposizione di certi modi di vita di alcuni popoli su altri, siano a livello economico, culturale o religioso. Rifiutiamo un'evangelizzazione in stile colonialista. Annunciare la Buona Novella di Gesù implica riconoscere i germi del Verbo già presenti nelle culture. L'evangelizzazione che oggi proponiamo è l'annuncio inculturato che genera processi di interculturalità, processi che promuovono la vita della Chiesa con un'identità e un volto dei vari popoli in cui vive.
  Nel compito evangelizzatore della Chiesa, che non va confuso con il proselitismo, dobbiamo includere chiari processi di inculturazione dei nostri metodi e schemi missionari. Nello specifico, si propone che i centri di ricerca e quelli pastorali della Chiesa, in collaborazione con le popolazioni locali, studino, raccolgano e sistematizzino le tradizioni dei gruppi etnici locali per favorire un'opera educativa che parta dalla loro identità e cultura, contribuisca alla promozione e alla difesa dei loro diritti, ne conservi e diffonda il loro valore nel panorama culturale latinoamericano.
  Le azioni educative vengono oggi interpellate dalla necessità di inculturazione. Sono sfidate a cercare metodologie e contenuti adeguati ai popoli in cui si vuole esercitare il ministero dell'insegnamento. Per questo è importante la conoscenza delle loro lingue, delle loro credenze e aspirazioni, dei loro bisogni e delle loro speranze, nonché la costruzione collettiva di processi educativi che abbiano, sia nella forma che nel contenuto, l'identità culturale delle comunità locali, insistendo sulla formazione di un'ecologia integrale come asse trasversale.
15. Promuovere l’educazione di base e l’educazione sanitaria preventiva. Educare alla solidarietà, nella consapevolezza di un’origine comune di di un futuro condiviso da tutti.
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  La Chiesa si assume come compito importante quello di promuovere l'educazione sanitaria preventiva e di offrire assistenza sanitaria in luoghi dove l'intervento statale non arriva. Si richiede di favorire iniziative di integrazione a beneficio della salute. È inoltre importante promuovere la condivisione sociale delle conoscenze  nel campo della medicina tradizionale specifica di ogni cultura.
  Sebbene l'educazione sia un diritto umano, la qualità educativa è carente e gli abbandoni scolastici sono molto frequenti, soprattutto tra le bambine. L'educazione evangelizza, promuove la trasformazione sociale, rafforzando le persone per mezzo di un sano senso critico. Una buona educazione scolastica nell’infanzia e nell’adolescenza pone semi che possono produrre effetti lungo tutta la vita. È nostro compito promuovere un'educazione alla solidarietà che nasca dalla consapevolezza di un'origine comune e di un futuro condiviso da tutti. È necessario esigere dai governi l’implementazione di un'educazione pubblica, interculturale e bilingue.
  Il mondo, sempre più globalizzato e complesso, ha sviluppato una rete informativa senza precedenti. Motivati da un'ecologia integrale, desideriamo potenziare gli spazi di comunicazione già esistenti, al fine di promuovere con urgenza una conversione ecologica integrale. Per questo, è necessario collaborare per la formazione di agenti di comunicazione a livello locale e secondo le varie culture. I popoli che hanno conservato una tradizione di maggior legame con gli ambienti naturali di insediamento non sono solo interlocutori privilegiati per l'evangelizzazione e la promozione umana sul territorio, ma ci aiutano anche a diffondere la cultura del "buon vivere" e della cura del creato.
 La Chiesa vuole creare una più vasta rete di comunicazione ecclesiale, che comprende i vari mezzi utilizzati dalle Chiese particolari e da altri organismi ecclesiali. Il suo contributo può avere risonanze ed aiutare nella conversione ecologica della Chiesa e del pianeta. In questo senso, proponiamo la creazione di una rete scolastica di educazione multilingue, che articoli proposte educative che rispondano ai bisogni delle comunità, rispettando, valorizzando e integrando al loro interno l'identità culturale e quella linguistica.
 Vogliamo sostenere, appoggiare e favorire le esperienze educative di educazione interculturale multilingue che già esistono nelle giurisdizioni ecclesiastiche  e coinvolgere le università cattoliche affinché lavorino e si impegnino in rete.
  Cercheremo nuove forme di educazione convenzionale e non convenzionale, come l'educazione a distanza, secondo le esigenze dei luoghi, dei tempi e delle persone.
16. La conversione  ecologica integrale. Prendersi cura della casa comune. L'ecologia e la giustizia sociale sono intrinsecamente unite. Un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull'ambiente. L'ecologia integrale non è una via in più che la Chiesa può scegliere di fronte al futuro in questo territorio, è piuttosto l'unica via possibile, perché non c'è nessun'altro cammino praticabile per salvare la Terra. Per i cristiani, l'interesse e la preoccupazione per la promozione e il rispetto dei diritti umani, sia individuali che collettivi, non è facoltativo. La civiltà richiede energia, ma l'uso dell'energia non deve distruggere la civiltà! Cercare modelli economici alternativi, più sostenibili, più amichevoli nei riguardi della natura, con un solido sostegno spirituale. . Il nuovo paradigma dello sviluppo sostenibile deve essere socialmente inclusivo. Sostenere una cultura di pace e rispetto – non di violenza e violazione – e un'economia incentrata sulla persona che si prenda cura anche della natura.  Divenire alleati  delle comunità locali  protagoniste della cura, protezione e difesa dei diritti dei popoli e dei diritti della natura in questa regione sono le stesse comunità locali.  La biopirateria è una forma di violenza. Ridure drasticamente le emissioni di anidride carbonica (CO2) e di altri gas legati al cambiamento climatico. Le nuove energie pulite contribuiranno a promuovere la salute. Dobbiamo lavorare insieme affinché il diritto fondamentale di accesso all'acqua pulita sia rispettato nel territorio.

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16.1  Il nostro pianeta è un dono di Dio, ma sappiamo anche che stiamo vivendo l'urgenza di agire di fronte a una crisi socio-ambientale senza precedenti. Abbiamo bisogno di una conversione ecologica per rispondere adeguatamente. Quindi, come Chiesa, di fronte all'aggressione sempre maggiore contro il nostro bioma, minacciato di scomparire con conseguenze tremende per il nostro pianeta, ci mettiamo in cammino ispirati dalla proposta dell'ecologia integrale. Riconosciamo le ferite causate dall'essere umano nel nostro territorio, vogliamo imparare dai nostri fratelli e dalle nostre sorelle dei popoli originari, in un dialogo di saperi, la sfida di dare risposte nuove cercando modelli di sviluppo giusto e solidale. Vogliamo prenderci cura della nostra casa comune  e proponiamo nuovi cammini per farlo.
 Dio ci ha dato la terra come dono e come compito, per prenderci cura di essa e risponderne; noi non siamo i suoi padroni. L'ecologia integrale ha il suo fondamento nel fatto che tutto è intimamente connesso (LS 16). Per questo motivo l'ecologia e la giustizia sociale sono intrinsecamente unite. Con l'ecologia integrale emerge un nuovo paradigma di giustizia, poiché un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull'ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri. L'ecologia integrale collega così l'esercizio della cura della natura con quello della giustizia per i più impoveriti e svantaggiati della terra, che sono l'opzione preferita da Dio nella storia rivelata.
   È urgente affrontare lo sfruttamento illimitato della "casa comune" e dei suoi abitanti. Una delle principali cause di distruzione è l'estrattivismo predatorio che risponde alla logica dell'avidità, tipica del paradigma tecnocratico dominante. Di fronte alla pressante situazione del pianeta, l'ecologia integrale non è una via in più che la Chiesa può scegliere di fronte al futuro in questo territorio, è piuttosto l'unica via possibile, perché non c'è nessun'altro cammino praticabile per salvare la Terra. La depredazione del territorio è accompagnata dallo spargimento di sangue innocente e dalla criminalizzazione dei difensori dei popoli predati.
16.2 La Chiesa fa parte di una solidarietà internazionale che deve favorire e riconoscere il ruolo centrale del bioma per l'equilibrio del clima del pianeta; incoraggia la comunità internazionale a fornire nuove risorse economiche per la sua tutela e per la promozione di un modello di sviluppo giusto e solidale, con il protagonismo e la partecipazione diretta delle comunità locali e dei popoli originari in tutte le fasi, dalla progettazione all’implementazione, rafforzando anche gli strumenti già sviluppati dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, Rio de Janeiro, 1992.
  È scandaloso che i leader e persino le comunità siano criminalizzati solo per aver rivendicato i loro propri diritti. In tutti i Paesi esistono leggi che riconoscono i diritti umani, specialmente quelli dei popoli indigeni. Negli ultimi anni, dove si sono prodotte complesse trasformazioni, i diritti umani delle comunità sono stati talvolta colpiti da norme, politiche pubbliche e pratiche incentrate principalmente sull'espansione delle frontiere estrattive delle risorse naturali e sullo sviluppo di megaprogetti infrastrutturali, che esercitano pressioni sui territori locali, e in particolare di su quelli ancestrali indigeni. Ciò  è anche talvolta   accompagnato, da una grave situazione di impunità in riferimento alle violazioni dei diritti umani e delle barriere per ottenere giustizia (si veda ad esempio il  Rapporto della Commissione Interamericana dei Diritti Umani [CIDH-OSA], Situazione dei Diritti Umani dei popoli indigeni e tribali della Panamazzonia, 29 settembre 2019, nn. 5 e 188).
  Per i cristiani, l'interesse e la preoccupazione per la promozione e il rispetto dei diritti umani, sia individuali che collettivi, non è facoltativo. L’essere umano è creato a immagine e somiglianza di Dio Creatore e la sua dignità è inviolabile. Ecco perché la difesa e la promozione dei diritti umani non è solo un dovere politico o un compito sociale, ma anche e soprattutto un'esigenza di fede. Potremmo forse non essere in grado di modificare immediatamente il modello di sviluppo distruttivo ed estrattivista imperante, ma abbiamo bisogno di sapere e di mettere in chiaro quanto segue: dove ci collochiamo?, da che parte stiamo?, quale prospettiva assumiamo?, come trasmettiamo la dimensione politica ed etica della nostra parola di fede e di vita? Per questo motivo: a) denunciamo la violazione dei diritti umani e la distruzione estrattiva; b) assumiamo e sosteniamo le campagne di disinvestimento delle compagnie estrattive legate ai danni socio-ecologici, a partire dalle stesse istituzioni ecclesiali e anche in alleanza con altre Chiese; c) chiediamo una transizione energetica radicale e la ricerca di alternative: La civiltà richiede energia, ma l'uso dell'energia non deve distruggere la civiltà! (Francesco, Discorso ai partecipanti al Convegno “Transizione energetica e cura della casa comune”, 9 giugno 2018). Proponiamo di sviluppare programmi di abilitazione alla cura della ‘casa comune’, che devono essere progettati da operatori pastorali e altri fedeli, aperti a tutta la comunità, in uno sforzo di formazione delle coscienze.
16.3 Constatiamo che l'intervento umano ha perso il suo carattere "amichevole", per assumere un atteggiamento vorace e predatorio che tende a spremere la realtà fino all'esaurimento di tutte le risorse naturali disponibili. Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull'economia e sulla politica. Per contrastare questo fenomeno, che danneggia gravemente la vita, è necessario cercare modelli economici alternativi, più sostenibili, più amichevoli nei riguardi della natura, con un solido sostegno spirituale. Per questo motivo, insieme ai popoli, chiediamo che gli Stati smettano di considerare l’ambiente come una dispensa inesauribile. Vorremmo che sviluppino politiche di investimento che abbiano, come condizione per ogni intervento, il rispetto di elevati standard sociali ed ambientali e il principio fondamentale della preservazione dell'ambiente. Per questo è necessario che contino sulla partecipazione comunità d popolari organizzate e delle diverse istituzioni scientifiche che stanno già proponendo modelli di sfruttamento della foresta intatta. Il nuovo paradigma dello sviluppo sostenibile deve essere socialmente inclusivo, combinando conoscenze scientifiche e tradizionali per rafforzare le comunità tradizionali e indigene, in maggioranza donne, e far sì che queste tecnologie siano al servizio del benessere e della protezione delle foreste.
 Si tratta quindi di discutere il valore reale che qualsiasi attività economica o estrattiva possiede, cioè il valore che essa apporta e restituisce alla terra e alla società, considerando la ricchezza che ne estrae e le sue conseguenze socio-ecologiche. Molte attività estrattive, come le grandi miniere, in particolare quelle illegali, riducono sostanzialmente il valore della vita Infatti, sradicano la vita dei popoli e i beni comuni della terra, concentrando il potere economico e politico nelle mani di pochi. Peggio ancora, molti di questi progetti distruttivi sono realizzati in nome del progresso e sono sostenuti – o consentiti – da governi locali, nazionali e stranieri.
16.4  Chiediamo una conversione ecologica individuale e comunitaria che salvaguardi un'ecologia integrale e un modello di sviluppo in cui i criteri commerciali non siano al di sopra di quelli ambientali e dei diritti umani. Vogliamo sostenere una cultura di pace e rispetto – non di violenza e violazione – e un'economia incentrata sulla persona che si prenda cura anche della natura. Pertanto, proponiamo di elaborare alternative di sviluppo ecologico integrale a partire dalle cosmovisioni che siano costruite con le comunità, salvaguardando la saggezza ancestrale. Sosteniamo progetti che propongono un'economia solidale e sostenibile, circolare ed ecologica, sia a livello locale che internazionale, a livello di ricerca e nel campo d'azione, nei settori formali e informali. In questo senso, sarebbe utile sostenere e promuovere esperienze di cooperative di bioproduzione, riserve forestali e consumo sostenibile. Il futuro della Terra è nelle mani di tutti noi, ma dipende principalmente dal fatto che abbandoniamo immediatamente il modello attuale che distrugge la foresta, non porta benessere e mette in pericolo questo immenso tesoro naturale e i suoi custodi.
 Spetta a tutti noi di essere custodi dell'opera di Dio. I protagonisti della cura, protezione e difesa dei diritti dei popoli e dei diritti della natura in questa regione sono le stesse comunità locali. Sono essi stessi gli attori del proprio destino, della propria missione. In questo scenario, il ruolo della Chiesa è quello di alleata. Essi hanno espresso chiaramente che vogliono che la Chiesa li accompagni, che cammini con loro e non imponga loro un modo di essere particolare, un modo specifico di sviluppo che ha poco a che fare con le loro culture, tradizioni e spiritualità. Essi sanno come prendersi cura dell'ambiente in cui vivono, come amarla e proteggerla; ciò di cui hanno bisogno è che la Chiesa li sostenga.
16.5  La funzione della Chiesa è quella di rafforzare questa capacità di sostegno e partecipazione. In questo modo promuoviamo una formazione che tiene conto della qualità etica e spirituale della vita delle persone a partire da una visione integrale. Oggi dobbiamo formare agenti pastorali e ministri ordinati con una sensibilità socio-ambientale. Vogliamo una Chiesa che prenda il largo e muova i suoi passi in favore dei popoli della terra,  promuovendo uno stile di vita in armonia con il territorio, e allo stesso tempo con il ‘buon vivere’ di chi ci abita.
 La Chiesa riconosce la saggezza tradizionale di alcuni popoli, come quelli amazzonici, in materia di biodiversità: una saggezza tradizionale che è un processo vivo e sempre in azione. Il furto di queste conoscenze è la biopirateria, una forma di violenza contro queste popolazioni. La Chiesa deve contribuire a preservare e mantenere queste conoscenze, come anche le innovazioni e le pratiche delle popolazioni, rispettando la sovranità dei Paesi e le loro leggi che regolano l'accesso alle risorse genetiche e ai saperi tradizionali associati. Per quanto possibile, essa dovrebbe aiutare queste popolazioni a garantire che i benefici derivanti dall'utilizzo di queste conoscenze, innovazioni e pratiche siano condivisi in un modello di sviluppo sostenibile e inclusivo.
16.6  Vi è l'urgente necessità di sviluppare politiche energetiche che riducano drasticamente le emissioni di anidride carbonica (CO2) e di altri gas legati al cambiamento climatico. Le nuove energie pulite contribuiranno a promuovere la salute. Tutte le imprese devono istituire sistemi di monitoraggio della catena di approvvigionamento per garantire che la produzione che acquistano, creano o vendono sia prodotta in modo socialmente e ambientalmente sostenibile. Inoltre, l'accesso all'acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l'esercizio degli altri diritti umani”.  Questo diritto è riconosciuto dalle Nazioni Unite (2010). Dobbiamo lavorare insieme affinché il diritto fondamentale di accesso all'acqua pulita sia rispettato nel territorio.
La Chiesa opta per la difesa della vita, della terra e delle culture originarie dei popoli della Terra. Ciò comporterebbe l'accompagnamento dei popoli nella registrazione, sistematizzazione e diffusione di dati e informazioni sui loro territori e sul loro status giuridico. Incoraggiamo gli Stati a rispettare i loro obblighi costituzionali su tali questioni, compreso il diritto di accesso all'acqua.
16.7. La Dottrina sociale della Chiesa, che da tempo si occupa della questione ecologica, si arricchisce oggi di una migliore visione d’insieme che comprende il rapporto tra i popoli e i loro territori, sempre in dialogo con le loro conoscenze e e la loro sapienza ancestrale. Per esempio, riconoscendo come riferimento indispensabile per la nostra conversione a un'ecologia integrale il modo in cui i popoli indigeni si relazionano con i loro territori e li proteggono. In questa luce vogliamo creare ministeri per la cura della ‘casa comune’ nei vari popoli della Terra, la cui funzione sia quella di prendersi cura del territorio e delle acque insieme alle comunità indigene, e un ministero per l’accoglienza di coloro che sono sfollati dai loro territori verso le città.
 Riaffermiamo il nostro impegno a difendere la vita nella sua interezza dal suo concepimento al suo tramonto e la dignità di tutte le persone. La Chiesa è stata ed è al fianco delle comunità per salvaguardare il diritto a una vita propria e tranquilla, rispettando i valori delle loro tradizioni, costumi e culture, la preservazione dei fiumi e delle foreste, che sono spazi sacri, fonte di vita e di saggezza. Sosteniamo gli sforzi di tanti che difendono coraggiosamente la vita in tutte le sue forme e fasi. Il nostro servizio pastorale costituisce un servizio alla vita piena dei popoli indigeni che ci obbliga ad annunciare Gesù Cristo e la Buona Novella del Regno di Dio, a contenere le situazioni di peccato, le strutture di morte, la violenza e le ingiustizie interne ed esterne e a promuovere il dialogo interculturale, interreligioso ed ecumenico.
17. E’ necessaria una profonda conversione personale, sociale e strutturale. La Chiesa deve  disimparare, imparare e reimparare per superare ogni tendenza ad assumere modelli colonizzatori che hanno causato danni in passato. Abbracciare una spiritualità di ecologia integrale, per promuovere la cura del creato. Definiamo il peccato ecologico come un’azione o un’omissione contro Dio, contro il prossimo, la comunità e l'ambiente: si manifesta in atti e abitudini di inquinamento e distruzione dell'armonia dell'ambiente, in trasgressioni contro i principi di interdipendenza e nella rottura delle reti di solidarietà tra le creature  e in azioni contro la virtù della giustizia. Occorre: attuare la promozione dell'ecologia integrale a livello parrocchiale e in ciascuna giurisdizione ecclesiastica; adottare abitudini responsabili che rispettino e valorizzino i popoli della Terra, le loro tradizioni e la loro saggezza; ridurre la nostra dipendenza dai combustibili fossili e l'uso della plastica modificando le nostre abitudini alimentari (consumo eccessivo di carne e pesce/frutti di mare) mediante stili di vita più sobri; promuovere l'educazione all'ecologia integrale a tutti i livelli; promuovere nuovi modelli economici e iniziative che favoriscano una qualità di vita sostenibile.

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La difesa della vita  e dei popoli della Terra richiede una profonda conversione personale, sociale e strutturale. La Chiesa è inclusa in questa chiamata a disimparare, imparare e reimparare per superare così ogni tendenza ad assumere modelli colonizzatori che hanno causato danni in passato. In questo senso è importante che siamo consapevoli della forza del neocolonialismo, che è presente nelle nostre decisioni quotidiane, del modello di sviluppo predominante, che si esprime, ad esempio, nel modello crescente della monocoltura agricola, dei nostri mezzi di trasporto e dell'immaginario di benessere derivante dal consumo che viviamo nella società e che ha implicazioni dirette e indirette dovunque sulla Terra. Di fronte a questo, a partire da un orizzonte globale, ed anche ascoltando le voci delle Chiese sorelle, vogliamo abbracciare una spiritualità di ecologia integrale, per promuovere la cura del creato. Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo essere una comunità di discepoli missionari molto più partecipativa e inclusiva.
 Proponiamo di definire il peccato ecologico come un’azione o un’omissione contro Dio, contro il prossimo, la comunità e l'ambiente. È un peccato contro le generazioni future e si manifesta in atti e abitudini di inquinamento e distruzione dell'armonia dell'ambiente, in trasgressioni contro i principi di interdipendenza e nella rottura delle reti di solidarietà tra le creature (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 340-344) e in azioni contro la virtù della giustizia. Proponiamo, inoltre, di creare ministeri speciali per la cura della ‘casa comune’ e la promozione dell'ecologia integrale a livello parrocchiale e in ciascuna giurisdizione ecclesiastica, che abbiano tra le loro funzioni la cura del territorio e delle acque, nonché la promozione dell'enciclica Laudato si'
   E’ necessaria la  creazione di un fondo mondiale per coprire parte dei bilanci di quelle comunità che promuovono il loro sviluppo integrale e autosostenibile, anche per proteggerle dal desiderio predatorio di aziende nazionali e multinazionali di estrarre le loro risorse naturali. E’ necessario adottare abitudini responsabili che rispettino e valorizzino i popoli della Terra, le loro tradizioni e la loro saggezza, proteggendo la terra e cambiando la nostra cultura di eccessivo consumo, la produzione di rifiuti solidi, stimolando il riutilizzo e il riciclaggio. Dobbiamo ridurre la nostra dipendenza dai combustibili fossili e l'uso della plastica modificando le nostre abitudini alimentari (consumo eccessivo di carne e pesce/frutti di mare) mediante stili di vita più sobri. Impegnarsi attivamente a seminare alberi, ricercando alternative sostenibili in agricoltura, energia e mobilità nel rispetto dei diritti della natura e delle persone. Promuovere l'educazione all'ecologia integrale a tutti i livelli, promuovere nuovi modelli economici e iniziative che favoriscano una qualità di vita sostenibile.
18. La Chiesa ha bisogno di una conversione sinodale. Cerchiamo nuovi cammini ecclesiali, soprattutto nella ministerialità e sacramentalità della Chiesa. La sinodalità fu il modo di essere della Chiesa primitiva  e deve essere il nostro. La sinodalità caratterizza la Chiesa intesa come Popolo di Dio, nell’eguaglianza e nella comune dignità a fronte della diversità di ministeri, carismi e servizi. È necessario rafforzare una cultura di dialogo, di ascolto reciproco, di discernimento spirituale, di consenso per giungere a decisioni comuni, promuovendo la corresponsabilità nella vita della Chiesa in uno spirito di servizio e superando il clericalismo e le imposizioni arbitrarie. Il discernimento comunitario permette di scoprire la chiamata che Dio fa sentire in ogni determinata situazione storica. La sinodalità segna uno stile di vivere la comunione e la partecipazione nelle Chiese locali che si caratterizza per il rispetto della dignità e dell'uguaglianza di tutti i battezzati e le battezzate, la complementarietà dei carismi e dei ministeri, il piacere di riunirsi in assemblea per discernere insieme la voce dello Spirito: uno stile sinodale di vita e di lavoro, prestando particolare attenzione all'effettiva partecipazione dei laici al discernimento e alla presa di decisioni, rafforzando la partecipazione delle donne. La Chiesa, Popolo di Dio inserito tra i popoli, ha la bellezza di un volto pluriforme perché si radica in molte culture diverse.
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 La Chiesa ha bisogno di una conversione sinodale.
 Per camminare uniti la Chiesa ha bisogno di una conversione sinodale, sinodalità del Popolo di Dio sotto la guida dello Spirito. Con questo orizzonte di comunione e partecipazione cerchiamo nuovi cammini ecclesiali, soprattutto nella ministerialità e sacramentalità della Chiesa. La vita consacrata, i laici, e tra loro le donne, sono gli antichi protagonisti, ma sempre nuovi, che ci chiamano a questa conversione. 
   Sinodo è una parola antica, venerata dalla Tradizione; indica il cammino che percorrono insieme i membri del popolo di Dio; rimanda al Signore Gesù, che si presenta come "la Via, la Verità e la Vita" (Gv 14,6), e al fatto che i cristiani furono chiamati ‘i discepoli della Via’ (cfr. At 9,2); essere sinodali significa seguire insieme “la via del Signore” (At 18,25). La sinodalità è il modo di essere della Chiesa primitiva (cfr. At 15) e deve essere il nostro. “Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo” (1 Cor 12,12). La sinodalità caratterizza anche la Chiesa del Vaticano II, intesa come Popolo di Dio, nell’eguaglianza e nella comune dignità a fronte della diversità di ministeri, carismi e servizi. “Indica lo specifico modus vivendi et operandi della Chiesa Popolo di Dio che manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel camminare insieme, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice”, cioè nel “coinvolgimento e (nel)la partecipazione di tutto il Popolo di Dio alla vita e alla missione della Chiesa" (Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, 2 marzo 2018, nn. 6-7).
 Per camminare insieme, la Chiesa oggi ha bisogno di convertirsi all'esperienza sinodale. È necessario rafforzare una cultura di dialogo, di ascolto reciproco, di discernimento spirituale, di consenso e di comunione per trovare spazi e modalità al fine di giungere a decisioni comuni e rispondere alle sfide pastorali. In questo modo, sarà promossa la corresponsabilità nella vita della Chiesa in uno spirito di servizio. È urgente camminare, proporre e assumere responsabilità per superare il clericalismo e le imposizioni arbitrarie. La sinodalità è una dimensione costitutiva della Chiesa. Non si può essere Chiesa senza riconoscere un effettivo esercizio del sensus fidei di tutto il Popolo di Dio.
  La Chiesa vive della comunione con il Corpo di Cristo attraverso il dono dello Spirito Santo. Il cosiddetto Concilio Apostolico di Gerusalemme (cfr At 15; Gal 2,1-10) è un evento sinodale in cui la Chiesa Apostolica, in un momento decisivo del suo cammino, vive la sua vocazione alla luce della presenza del Signore risorto in vista della missione. Questo evento si costituì nella figura paradigmatica dei Sinodi della Chiesa e della sua vocazione sinodale. La decisione presa dagli Apostoli, in accordo con tutta la comunità di Gerusalemme, è stata opera dell'azione dello Spirito Santo che guida il cammino della Chiesa, assicurandole la fedeltà al Vangelo di Gesù: "È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi" (At 15,28). Tutta l'assemblea accettò la decisione e la fece propria (cfr. At 15,22); poi la comunità di Antiochia fece lo stesso (cfr. At 15,30-31). Essere veramente sinodale vuol dire avanzare in armonia sotto l'impulso dello Spirito vivificante.
 La Chiesa è chiamata a camminare nell'esercizio del discernimento, che è il centro dei processi e degli eventi sinodali. Si tratta di determinare e percorrere come Chiesa, attraverso l'interpretazione teologica dei segni dei tempi, sotto la guida dello Spirito Santo, il cammino da seguire al servizio del disegno di Dio. Il discernimento comunitario permette di scoprire la chiamata che Dio fa sentire in ogni determinata situazione storica, verso uno stile sinodale di vita e di lavoro.
  Con audacia evangelica, vogliamo implementare nuovi cammini per la vita della Chiesa e il suo servizio ad un'ecologia integrale. La sinodalità segna uno stile di vivere la comunione e la partecipazione nelle Chiese locali che si caratterizza per il rispetto della dignità e dell'uguaglianza di tutti i battezzati e le battezzate, la complementarietà dei carismi e dei ministeri, il piacere di riunirsi in assemblea per discernere insieme la voce dello Spirito. Questo Sinodo ci offre l'occasione di riflettere su come strutturare le Chiese locali in ogni regione e Paese, e di procedere a una conversione sinodale che indichi percorsi comuni di evangelizzazione. La logica dell'incarnazione insegna che Dio, in Cristo, si lega agli esseri umani che vivono nelle culture proprie dei popoli  e che la Chiesa, Popolo di Dio inserito tra i popoli, ha la bellezza di un volto pluriforme perché si radica in molte culture diverse (cfr. EG 116). Questo si realizza nella vita e nella missione delle Chiese locali radicate in ogni "grande territorio socio-culturale" (AG 22).
 La  Chiesa ha bisogno che le sue comunità siano impregnate di spirito sinodale, sostenute da strutture organizzative in accordo con questa dinamica, come autentici organismi di ’comunione’. Le forme di esercizio della sinodalità sono varie, dovranno essere decentralizzate nei loro diversi livelli (diocesano, regionale, nazionale, universale), rispettose e attente ai processi locali, senza indebolire il legame con le altre Chiese sorelle e con la Chiesa universale. Le forme organizzative per l’esercizio della sinodalità possono essere varie. Stabiliscono una sincronia tra la comunione e la partecipazione, tra la corresponsabilità e la ministerialità di tutti, prestando particolare attenzione all'effettiva partecipazione dei laici al discernimento e alla presa di decisioni, rafforzando la partecipazione delle donne.


19. Chiesa ministeriale e nuovi ministeri: I laici sono i fedeli che, con il battesimo sono stati incorporati a Cristo, costituiti così in popolo di Dio e, in modo proprio, resi partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per cui esercitano il loro ruolo nella missione propria di tutto il popolo cristiano, nella Chiesa e nel mondo. La Chiesa, in vista di una società giusta e solidale nella cura della casa comune, vuole fare dei laici attori privilegiati. Per la Chiesa è urgente che si promuovano e si conferiscano ministeri a uomini e donne in modo equo. . È la Chiesa degli uomini e delle donne battezzati che dobbiamo consolidare promuovendo la ministerialità e, soprattutto, la consapevolezza della dignità battesimale. La Chiesa vuole allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa: occorre che la voce delle donne sia ascoltata, che siano consultate e partecipino alle prese di decisioni e, in questo modo, possano contribuire con la loro sensibilità alla sinodalità ecclesiale, rafforzando la sua partecipazione nei consigli pastorali delle parrocchie e delle diocesi, come anche nelle istanze di governo, riconoscendo la ministerialità che Gesù ha riservato alle donne e, quindi, assicurando il loro posto negli spazi di leadership e nelle loro competenze specifiche. Chiediamo la revisione del Motu Proprio Ministeria quædam di San Paolo 6°, affinché anche donne adeguatamente formate e preparate possano ricevere i ministeri del Lettorato e dell’Accolitato, tra gli altri che possono essere svolti, e che venga creato il ministero istituito di donna dirigente di comunità. Da più parti è stata avanzata la richiesta del diaconato permanente per le donne, che è ancora in fase di studio. Per la Chiesa, è urgente la promozione, la formazione e il sostegno ai diaconi permanenti a causa dell'importanza di questo ministero nella comunità: il diaconato oggi deve anche promuovere l'ecologia integrale, lo sviluppo umano, la pastorale sociale, il servizio a chi si trova in condizioni di vulnerabilità e povertà. È auspicabile che anche la moglie ed i figli partecipino al processo di formazione del diacono permanente. Esiste un diritto della comunità alla celebrazione dell’Eucaristia, il quale deriva dall'essenza dell'Eucaristia e dal suo posto nell'economia di salvezza: l'Eucaristia infatti contiene tutto il bene spirituale della Chiesa; è la fonte e il culmine di ogni evangelizzazione. Essa è anche è il punto di partenza: di incontro, di riconciliazione, di apprendimento e catechesi, di crescita comunitaria. La disciplina del celibato non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, sebbene vi sia per molte ragioni un rapporto di convenienza con esso. Si propone che l’autorità competente stabilisca criteri e disposizioni per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, i quali, pur avendo una famiglia legittimamente costituita e stabile, abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato al fine di sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei Sacramenti.
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19.1.  Il rinnovamento del Concilio Vaticano II pone i laici in seno al Popolo di Dio, in una Chiesa tutta ministeriale, che ha nel sacramento del battesimo il fondamento dell'identità e della missione di ogni cristiano. I laici sono i fedeli che, con il battesimo sono stati incorporati a Cristo, costituiti così in popolo di Dio e, in modo proprio, resi partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per cui esercitano il loro ruolo nella missione propria di tutto il popolo cristiano, nella Chiesa e nel mondo. Da questa triplice relazione, con Cristo, con la Chiesa e con il mondo, nasce la vocazione e la missione del laicato. La Chiesa, in vista di una società giusta e solidale nella cura della casa comune, vuole fare dei laici attori privilegiati. Il loro modo di agire è stato ed è vitale, sia nel coordinamento delle comunità ecclesiali, esercitando alcuni ministeri, sia nel loro impegno profetico in un mondo inclusivo per tutti, che ha nei suoi martiri una testimonianza che ci interpella.
Come espressione della corresponsabilità di tutti i battezzati nella Chiesa e dell'esercizio del sensus fidei [espressione di latina che significa, senso della fede, la capacità di orientarsi in materia di fede, per discernere la via giusta] di tutto il Popolo di Dio, sono nate le assemblee e i consigli pastorali in tutti gli ambiti ecclesiali, come pure le equipe di coordinamento dei diversi servizi pastorali ed i ministeri affidati ai laici. Riconosciamo la necessità di rafforzare e ampliare gli spazi di partecipazione del laicato, sia nella consultazione che nella presa di decisioni, nella vita e nella missione della Chiesa.Sebbene la missione nel mondo sia compito di ogni battezzato, il Concilio Vaticano 2°  ha sottolineato la missione del laicato: "l'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente" (Costituzione Gaudium et Spes - La gioia e la speranza). Per la Chiesa è urgente che si promuovano e si conferiscano ministeri a uomini e donne in modo equo. Il tessuto della Chiesa locale, è garantito dalle piccole comunità ecclesiali missionarie che coltivano la fede, ascoltano la Parola e celebrano insieme, essendo vicine alla vita della gente. È la Chiesa degli uomini e delle donne battezzati che dobbiamo consolidare promuovendo la ministerialità e, soprattutto, la consapevolezza della dignità battesimale.
 Il Vescovo può affidare, con un mandato a tempo determinato, in assenza di sacerdoti, l'esercizio della cura pastorale delle comunità ad una persona non investita del carattere sacerdotale, che sia membro della stessa comunità. Devono essere evitati i personalismi e quindi sarà un incarico a rotazione. Il Vescovo potrà costituire questo ministero in rappresentanza della comunità cristiana con un mandato ufficiale attraverso un atto rituale, affinché la persona responsabile della comunità sia riconosciuta anche a livello civile e locale. Resterà sempre il sacerdote, con la potestà e la facoltà di parroco, ad essere il responsabile della comunità.
 19.2. La Chiesa vuole allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Non riduciamo l’impegno delle donne nella Chiesa, bensì promuoviamo il loro ruolo attivo nella comunità ecclesiale. Se la Chiesa perde le donne, nella sua dimensione totale e reale, la Chiesa rischia la sterilità” (Francesco, Incontro con l'Episcopato brasiliano, Rio de Janeiro, 27 luglio 2013).
 Il Magistero della Chiesa a partire dal Concilio Vaticano 2° ha messo in risalto il posto da protagonista che la donna occupa in essa: “Ma viene l’ora, l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si completa in pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto. È per questo, in questo momento nel quale l’umanità sperimenta una così profonda trasformazione, che le donne imbevute dello spirito del Vangelo possono tanto per aiutare l’umanità a non decadere” (Paolo VI, Messaggio alle donne alla conclusione del Concilio Vaticano II, 8 dicembre 1965).
 La saggezza dei popoli ancestrali afferma che la madre terra ha un volto femminile. Nel mondo indigeno e in quello occidentale, le donne sono coloro che lavorano in molteplici campi, nell'istruzione dei figli, nella trasmissione della fede e del Vangelo; sono una presenza testimoniante e responsabile nella promozione umana, per cui si chiede che la voce delle donne sia ascoltata, che siano consultate e partecipino alle prese di decisioni e, in questo modo, possano contribuire con la loro sensibilità alla sinodalità ecclesiale. Apprezziamo la funzione della donna, riconoscendo il suo ruolo fondamentale nella formazione e nella continuità delle culture, nella spiritualità, nelle comunità e nelle famiglie. È necessario che ella assuma con maggiore forza la sua leadership in seno alla Chiesa e che la Chiesa riconosca ciò e lo promuova, rafforzando la sua partecipazione nei consigli pastorali delle parrocchie e delle diocesi, come anche nelle istanze di governo.
  Di fronte alla realtà che soffrono le donne vittime di violenza fisica, morale e religiosa, femminicidio compreso, la Chiesa si pone in difesa dei loro diritti e le riconosce come protagoniste e custodi del creato e della ‘casa comune’. Riconosciamo la ministerialità che Gesù ha riservato alle donne. È necessario promuovere la formazione delle donne attraverso studi di teologia biblica, teologia sistematica, diritto canonico, valorizzando la loro presenza nelle organizzazioni e la loro leadership all'interno e all'esterno dell'ambiente ecclesiale. Vogliamo rafforzare i legami familiari, soprattutto per le donne migranti. Assicuriamo il loro posto negli spazi di leadership e nelle loro competenze specifiche. Chiediamo la revisione del Motu Proprio Ministeria quædam di San Paolo VI, affinché anche donne adeguatamente formate e preparate possano ricevere i ministeri del Lettorato e dell’Accolitato, tra gli altri che possono essere svolti.  Chiediamo che venga creato il ministero istituito di donna dirigente di comunità, dando ad esso un riconoscimento, nel servizio alle mutevoli esigenze di evangelizzazione e di attenzione alle comunità.
 Nelle numerose consultazioni che si sono svolte in Amazzonia, è stato riconosciuto e sottolineato il ruolo fondamentale delle religiose e delle laiche nella Chiesa amazzonica e nelle sue comunità, visti i molteplici servizi che offrono. In molte di queste consultazioni è stata avanzata la richiesta del diaconato permanente per le donne. Per questo motivo il tema è stato anche molto presente durante il Sinodo. Già nel 2016, Papa Francesco aveva creato una Commissione di studio sul diaconato delle donne che, come Commissione, è arrivata ad un risultato parziale su come era la realtà del diaconato delle donne nei primi secoli della Chiesa e sulle sue implicazioni attuali.
19.3. Per la Chiesa, è urgente la promozione, la formazione e il sostegno ai diaconi permanenti a causa dell'importanza di questo ministero nella comunità e, in modo particolare, a motivo del servizio ecclesiale richiesto da molte comunità, specialmente dai popoli indigeni. Le specifiche esigenze pastorali delle comunità cristiane ci portano ad una più ampia comprensione del diaconato, un servizio che esiste fin dall'inizio della Chiesa e che è stato riproposto come grado autonomo e permanente dal Concilio Vaticano 2°.  Il diaconato oggi deve anche promuovere l'ecologia integrale, lo sviluppo umano, la pastorale sociale, il servizio a chi si trova in condizioni di vulnerabilità e povertà, configurandolo a Cristo Servo, diventando una Chiesa misericordiosa, samaritana, solidale e diaconale.
 I presbiteri devono tenere in conto che il diacono è al servizio della comunità per mandato e sotto l'autorità del vescovo, e che hanno l'obbligo di sostenere i diaconi permanenti e di agire in comunione con loro. Si deve tenere presente il mantenimento dei diaconi permanenti. Questo include il processo vocazionale secondo i criteri di ammissione. Le motivazioni del candidato devono essere orientate al servizio e alla missione del diaconato permanente nella Chiesa e nel mondo di oggi. Il progetto formativo si divide tra studio accademico e pratica pastorale, accompagnato da un'équipe formativa e dalla comunità parrocchiale, con contenuti e itinerari adattati ad ogni realtà locale. È auspicabile che anche la moglie ed i figli partecipino al processo di formazione.
 Il programma di studi (curriculum) per la formazione al diaconato permanente, oltre alle materie obbligatorie, deve includere temi che favoriscano il dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale, la storia della Chiesa locale, l'affettività e la sessualità, la cosmovisione delle culture locali, l'ecologia integrale e altri temi trasversali tipici del ministero diaconale.
19.3 "Vi darò pastori secondo il mio cuore" (Ger 3, 15). Questa promessa, essendo divina, è valida per tutti i tempi e in tutti i contesti, quindi vale anche per l'Amazzonia. Destinata a configurare il sacerdote a Cristo, la formazione al ministero ordinato deve essere una scuola comunitaria di fraternità, esperienziale, spirituale, pastorale e dottrinale, a contatto con la realtà delle persone, in armonia con la cultura e la religiosità locale, vicina ai poveri. Abbiamo l’esigenza di preparare buoni pastori che vivano la Buona Notizia del Regno, conoscano le leggi canoniche, siano compassionevoli, il più possibile simili a Gesù, la cui pratica sia quella di fare la volontà del Padre, alimentati dall'Eucaristia e dalla Sacra Scrittura. Quindi, una formazione più biblica, nel senso di assimilazione a Gesù come si mostra nei Vangeli: vicino alle persone, capace di ascoltare, di guarire, di consolare pazientemente, non chiedendo niente, ma manifestando la tenerezza del cuore di suo Padre.
 Per offrire ai futuri presbiteri una formazione inserita e adatta alla realtà locale, contestualizzata e capace di rispondere alle numerose sfide pastorali e missionarie, proponiamo un piano formativo in linea con le sfide delle Chiese locali e della realtà amazzonica.
 Secondo il Concilio Vaticano II, la partecipazione all'Eucaristia è la fonte e il culmine di tutta la vita cristiana; è il simbolo dell’unità del Corpo Mistico; è il centro e il culmine di tutta la vita della comunità cristiana. L'Eucaristia contiene tutto il bene spirituale della Chiesa; è la fonte e il culmine di ogni evangelizzazione. Facciamo eco alla frase di san Giovanni Paolo II: "La Chiesa vive dell'Eucaristia" (Ecclesia de Eucharistia, 1). L'Istruzione della Congregazione per il Culto Divino Redemptionis sacramentum (2004) insiste affinché i fedeli godano del diritto alla celebrazione eucaristica come stabilito nei libri e nelle norme liturgiche. Tuttavia sembra strano parlare del diritto a una celebrazione eucaristica secondo quanto prescritto, mentre non si parla del diritto ancor più fondamentale di accesso all'Eucaristia per tutti: nell'Eucaristia è già realizzata la pienezza, ed è il centro vitale dell'universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile. Unito al Figlio incarnato, presente nell'Eucaristia, tutto il cosmo rende grazie a Dio. In effetti l'Eucaristia è di per sé un atto di amore cosmico.
 Esiste un diritto della comunità alla celebrazione, il quale deriva dall'essenza dell'Eucaristia e dal suo posto nell'economia di salvezza. La vita sacramentale è l'integrazione delle varie dimensioni della vita umana nel Mistero Pasquale, che ci rafforza. Per questo motivo le comunità vive reclamano davvero la celebrazione dell'Eucaristia. Essa è, senza dubbio, il punto di arrivo (culmine e compimento) della comunità; ma, allo stesso tempo, è il punto di partenza: di incontro, di riconciliazione, di apprendimento e catechesi, di crescita comunitaria.
  Molte delle comunità ecclesiali del territorio amazzonico hanno enormi difficoltà di accesso all'Eucaristia. Apprezziamo il celibato come dono di Dio  nella misura in cui questo dono permette al discepolo missionario, ordinato al presbiterato, di dedicarsi pienamente al servizio del Santo Popolo di Dio. Esso stimola la carità pastorale e preghiamo che ci siano molte vocazioni che vivono il sacerdozio celibatario. Sappiamo che questa disciplina non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, sebbene vi sia per molte ragioni un rapporto di convenienza con esso. Nella sua enciclica sul celibato sacerdotale, san Paolo VI ha mantenuto questa legge, esponendo le motivazioni teologiche, spirituali e pastorali che la motivano. Nel 1992, l'esortazione post-sinodale di san Giovanni Paolo II sulla formazione sacerdotale ha confermato questa tradizione nella Chiesa latina. Considerando che la legittima diversità non nuoce alla comunione e all'unità della Chiesa, ma la manifesta e ne è al servizio, come testimonia la pluralità dei riti e delle discipline esistenti, proponiamo che, nel quadro della Costituzione dogmatica sulla Chiesa, del Concilio Vaticano 2°,  Lumen gentium - Luce per le genti n.26,  l’autorità competente stabilisca criteri e disposizioni per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, i quali, pur avendo una famiglia legittimamente costituita e stabile, abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato al fine di sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei Sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica.
20. E’  necessario riprogettare il modo in cui sono organizzate le Chiese locali. È urgente articolare spazi sinodali,  generare reti di sostegno solidale e superare le frontiere che la geografia impone e costruire ponti che uniscano. La Chiesa sta sviluppando una rinnovata comprensione della sinodalità su scala regionale.
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  E’  necessario riprogettare il modo in cui sono organizzate le Chiese locali, ripensare le strutture di comunione a livello provinciale, regionale e nazionale. Pertanto, è necessario articolare spazi sinodali e generare reti di sostegno solidale. È urgente superare le frontiere che la geografia impone e costruire ponti che uniscano. Il Documento di Aparecida insisteva già sul fatto che le Chiese locali generino forme di associazione interdiocesana in ogni nazione o tra Paesi di una stessa regione e che favoriscano una maggiore cooperazione tra le Chiese sorelle. In vista di una Chiesa presente, solidale e samaritana proponiamo: ridimensionare le vaste aree geografiche delle diocesi, dei vicariati e delle ‘prelature’; creare un fondo amazzonico per il sostegno all'evangelizzazione; sensibilizzare e incoraggiare le agenzie internazionali di cooperazione cattolica a sostenere le attività di evangelizzazione al di là dei progetti sociali.
  Nel 2015, durante la commemorazione del 50° anniversario dell'istituzione del Sinodo dei Vescovi da parte di San Paolo VI, Papa Francesco ci ha invitato a rinnovare la comunione sinodale ai vari livelli della vita della Chiesa: locale, regionale e universale. La Chiesa sta sviluppando una rinnovata comprensione della sinodalità su scala regionale. Sostenuta dalla tradizione, la Commissione Teologica Internazionale afferma: “Il livello regionale nell'esercizio della sinodalità è quello vissuto nei raggruppamenti di Chiese particolari presenti in una stessa regione: una Provincia, come avveniva soprattutto nei primi secoli della Chiesa, o un Paese, un Continente o parte di esso” (CTI, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, 2 marzo 2018, n. 85). L'esercizio della sinodalità a questo livello rafforza i legami spirituali e istituzionali, favorisce lo scambio di doni e aiuta a progettare criteri pastorali comuni. La pastorale sociale congiunta delle Diocesi situate alle frontiere dei Paesi deve essere rafforzata per affrontare problemi comuni che vanno oltre l’ambito locale, come lo sfruttamento delle persone e del territorio, il traffico di droga, la corruzione, la tratta di esseri umani, ecc. Il fenomeno migratorio deve essere affrontato in modo coordinato dalle Chiese di frontiera.
21. Dobbiamo dare una risposta autenticamente cattolica alla richiesta delle comunità locali di adattare la liturgia valorizzando la cosmovisione, le tradizioni, i simboli e i riti originali che includano la dimensione trascendente, comunitaria ed ecologica.
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  Il Concilio Vaticano 2° ha aperto spazi per il pluralismo liturgico per le “legittime diversità e i legittimi adattamenti ai vari gruppi etnici, regioni, popoli”. In questo senso, la liturgia deve rispondere alla cultura perché sia fonte e culmine della vita cristiana  e perché si senta collegata alle sofferenze e alle gioie del popolo. Dobbiamo dare una risposta autenticamente cattolica alla richiesta delle comunità locali di adattare la liturgia valorizzando la cosmovisione, le tradizioni, i simboli e i riti originali che includano la dimensione trascendente, comunitaria ed ecologica.
  Nella Chiesa cattolica ci sono 23 diversi Riti, segno evidente di una tradizione che fin dai primi secoli ha cercato di inculturare i contenuti della fede e la sua celebrazione attraverso un linguaggio il più possibile coerente con il mistero che si vuole esprimere. Tutte queste tradizioni hanno origine in funzione della missione della Chiesa: le Chiese di una stessa area geografica e culturale sono giunte a celebrare il Mistero di Cristo con espressioni particolari, culturalmente caratterizzate: nella tradizione del ‘deposito della fede’, nel simbolismo liturgico, nell'organizzazione della comunione fraterna, nella comprensione teologica dei misteri e in varie forme di santità.
   È necessario che la Chiesa, nella sua instancabile opera evangelizzatrice, operi perché il processo di inculturazione della fede si esprima nelle forme più coerenti, affinché sia celebrato e vissuto anche secondo le lingue proprie dei popoli. È urgente formare commissioni  per la traduzione e la redazione di testi biblici e liturgici nelle lingue proprie dei diversi luoghi, con le risorse necessarie, preservando la materia dei sacramenti e adattandoli alla forma, senza perdere di vista l'essenziale. In questo senso è necessario incoraggiare la musica e il canto, il tutto accettato e incoraggiato dalla liturgia.