Epifania
L’Epifania [=manifestazione, da una parola del greco
antico che suona più o meno come quella italiana] è un capitolo importante
della teologia cristiana, nel più ampio trattato sull’Incarnazione [di Gesù]. Ad un certo punto, nel giro di qualche
decennio dalla morte di Gesù, i suoi primi discepoli hanno preso piena
consapevolezza di chi era, del senso
della sua missione tra noi e, in particolare della sua Passione, Morte e Resurrezione.
Ci si è quindi, allora, completamente manifestato in quella che definiamo sua gloria, che è profondamente legata alla
sua umanità, al suo farsi come noi.
Una volta resici conto della sua regalità
universale il suo vivere tra noi è
stato concepito come una discesa e anche come una volontaria umiliazione. Ecco, ad esempio, l’insegnamento che
troviamo nella Lettera ai cristiani di
Filippi [antica città della Grecia
nord orientale] di Paolo di Tarso, la cui datazione si ritiene molto affidabile
e viene posta a circa vent’anni dopo la morte di Gesù [Lettera ai Filippesi 2, 1-11. Traduzione
interconfessionale ABU - LDC]:
Se è
vero che Cristo vi chiama ad agire, se l’amore vi dà qualche conforto, se lo
Spirito Santo vi unisce, se è vero che tra voi c’è affetto e comprensione,
rendete completa la mia gioia. Abbiate gli stessi sentimenti e un medesimo
amore. Siate concordi e unanimi! Non fate nulla per invidia e per vanto, anzi, con
grande umiltà, stimate gli altri migliori di voi. Badate agli interessi degli
altri e non soltanto ai vostri. I vostri rapporti reciproci siano fondati sul
fatto che siete uniti a Cristo Gesù. Egli era come Dio ma non conservò
gelosamente il suo essere uguale a Dio. Rinunziò
a tutto. diventò come un servo, fu uomo tra gli uomini e fu considerato come
uno di loro. Abbassò se stesso, fu
obbediente fino alla morte, alla morte di croce. Perciò Dio lo ha innalzato
sopra tutte le cose e gli ha dato il nome più grande. Perché in onore di Gesù,
in cielo, in terra e sotto terra, ognuno pieghi le ginocchia e per la gloria di
Dio Padre ogni lingua proclami: Gesù Cristo è il Signore.
La liturgia cristiana dell’Epifania
richiama la nostra attenzione sulla nascita di Gesù, quindi sul Gesù neonato,
debole e indifeso come tutti i neonati, come tutti noi siamo stati da neonati,
e lo fa sulla base della narrazione evangelica della Natività che contiene
proprio quell’insegnamento, per convincerci che realmente Gesù fu uno di
noi. Nel tempo quella narrazione è stata arricchita di molti particolari che
corrispondono agli sviluppi del pensiero sull’Incarnazione. In particolare l’abbassamento
di Gesù nell’incarnarsi è stato
presentato anche come il suo nascere povero.
Ecco, ad esempio come viene
presentata al Natività in uno dei canti più belli e amati della nostra
tradizione religiosa, il Tu scendi dalle
stelle composto nel Settecento dal
vescovo campano Alfonso Maria De’ Liguori come catechesi popolare:
Tu scendi
dalle stelle, o Re del cielo,
e vieni in una grotta al freddo e
al gelo,
e vieni in una grotta al freddo e al gelo.
O Bambino mio divino,
io ti vedo qui tremar;
o Dio beato!
Ahi quanto ti costò l'avermi amato!
ahi quanto ti costò l'avermi amato!
A te, che sei del mondo il
Creatore,
mancano panni e foco(*), o mio Signore,
mancano panni e foco, o mio Signore.
Caro eletto pargoletto,
quanto questa povertà
più m'innamora,
giacché ti fece amor povero ancora,
giacché ti fece amor povero ancora.
Tu lasci il bel gioir del divin
seno,(**)
per venire a penar su questo fieno,
per venire a penar su questo fieno.
Dolce amore del mio core,
dove amor ti trasportò?
O Gesù mio,
perché tanto patir? Per amor mio!
perché tanto patir? Per amor mio!
Ma se fu tuo voler il tuo patire,
perché vuoi pianger poi, perché vagire?
perché vuoi pianger poi, perché vagire?
Sposo mio, amato Dio,
mio Gesù, t'intendo sì!
Ah, mio Signore,
tu piangi non per duol, ma per amore,
tu piangi non per duol, ma per amore.
Tu piangi per vederti da me
ingrato
dopo sì grande amor, sì poco amato,
dopo sì grande amor, sì poco amato!
O diletto del mio petto,
se già un tempo fu così,
or te sol bramo:
caro non pianger più, ch'io t'amo e t'amo,
caro non pianger più, ch'io t'amo e t'amo.
Tu dormi, Ninno mio, ma intanto
il core
non dorme, no ma veglia a tutte l'ore,
non dorme, no ma veglia a tutte l'ore.
Deh, mio bello e puro Agnello,
a che pensi? dimmi tu.
O amore immenso,
"Un dì morir per te" – rispondi – "io penso",
"Un dì morir per te" – rispondi – "io penso".
Dunque a morire per me, tu pensi,
o Dio
ed altro, fuor di te, amar poss'io?
ed altro, fuor di te, amar poss'io?(***)
O Maria, speranza mia,
s'io poc'amo il tuo Gesù,
non ti sdegnare
amalo tu per me, s'io nol so amare!
amalo tu per me, s'io nol
so amare!
Non abbiamo però veramente delle basi, in
particolare basi bibliche, per sostenere che Gesù sia nato in una famiglia
povera e poi sia vissuto da povero, fino a quando, da trentenne, iniziò la sua
missione di insegnamento e salvezza. La sua famiglia non era conosciuta come
una famiglia povera, stando a quello che leggiamo nel Vangelo secondo Matteo
13,53-56 [trad.interconfess. ABU-LDC]:
Quando Gesù ebbe finito di raccontare queste parabole partì da
quel luogo. Andò nella sua città e si mise a insegnare nella sinagoga. I suoi
compaesani, ascoltandolo, erano molto meravigliati e dicevano: «Ma chi gli ha
dato questa sapienza e il potere di fare miracoli? Non è il figlio del falegname? Non è Maria sua madre? I suoi
fratelli non sono forse Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non
vivono, qui in mezzo a noi? Ma allora,
dove ha imparato a fare e dire queste cose?».
Giuseppe, conosciuto come il padre di Gesù, era un artigiano, aveva quindi un certo reddito. L'episodio delle nozze di Cana ci presenta poi Gesù già adulto e la sua famiglia in un ambiente sociale di persone abbienti.
Certamente, però, nel corso della sua missione Gesù fu
fortemente critico verso l’attaccamento alle ricchezze e a chi voleva
collaborare con lui più da vicino, seguendolo, consigliò di disfarsene,
in particolare vendendo i loro bene regalando poi il ricavato ai poveri. Leggiamo
nel Vangelo secondo Matteo [Matteo 19, 16-22 trad. interconfess. ABU-LDC]:
Un tale si avvicinò a Gesù e gli domandò: «Maestro, che cosa
devo fare di buono per avere la vita eterna? Ma Gesù gli disse: «Perché mi fai
una domanda su ciò che è buono? Dio solo è buono. Ma se vuoi entrare nella vita
eterna ubbidisci ai comandamenti. Quello chiese ancora: «Quali comandamenti?».
Gesù rispose: «Non uccidere; Non commettere adulterio; Non rubare; Non dire il
falso contro nessuno; Rispetta tuo padre e tua madre; Ama il prossimo tuo come
te stesso. Quel giovane disse: «Io ho sempre ubbidito a tutti questi
comandamenti: che cosa mi manca ancora? E Gesù gli rispose: «Se vuoi essere
perfetto, va’, vendi tutto quello che
hai, e i soldi che ricavi dalli ai poveri. Allora avrai un tesoro in cielo.
Poi, vieni e seguimi.
Lui stesso visse la sua missione da
predicatore itinerante, risanando e insegnando, senza accumulare ricchezze,
istituire santuari o potenti istituzioni. Quando mandò i suoi primi discepoli
in giro per fare altrettanto, comandò di non prendere nulla con sé, salvo
tunica, sandalo e un bastone, e di vivere di ospitalità. Insegnò anche nel
grande Tempio di Gerusalemme, ma non tentò di conquistarlo rovesciando il ceto
di sacerdoti che lo governava e vi praticava le liturgie sacre dell’ebraismo di
quel tempo. Ma questo, dell’atteggiamento verso al condizione di povertà e
anche verso i poveri (egli ritenne sostanzialmente che la povertà non
dovrebbe esistere), è un capitolo del suo insegnamento diverso da quello
contenuto nell’Epifania. Quest’ultimo è centrato sul farsi come noi di
colui che «era come Dio ma non conservò gelosamente
il suo essere uguale a Dio.», che è la sua Incarnazione. A motivo della
sua Incarnazione noi siamo chiamati a
riconoscerlo nel nostro prossimo, in particolare nei sofferenti, come si legge
nel Vangelo di Matteo 25,31-40 - trad. CEI 2008]:
Quando il Figlio dell'uomo
verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua
gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli
separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e
porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora
il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre
mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del
mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare,
ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo
e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a
trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti
abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo
dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo
ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo
visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo,
il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a
uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.
Altrimenti la vita ricade
nell’insensatezza e nella brutalità della natura dalla quale siamo emersi.
Come ho scritto l’altro giorno citando il filosofo Heschel, la fede e la
religione scaturiscono dal problema di rispondere nel che
cosa fare, nell’ineludibile esigenza di una nostra risposta di
fronte al mistero della nostra esistenza. Ecco, il brano evangelico che ho
sopra trascritto indica proprio che cosa
fare e anche perché farlo. Senza l’Incarnazione e senza la sua Epifania sarebbe però tutto vano: per quanto sapienti
ed evoluti giungessimo ad essere, saremmo pur sempre imprigionati nella
condizione delle antiche belve dalle quali, secondo la nostra biologia,
discendiamo. Il divino, per noi, rimarrebbe solo una fantasia da primitivi.
Nessuna agàpe dunque, ognuno per sé finché può, poi si
soccombe all’arbitrio e alla forza altrui. La prospettiva cristiana è molto
diversa.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma,
Monte Sacro, Valli