Per la consapevolezza
storica di ciò che fu il cattolicesimo democratico
0. E’ possibile che chi ha meno di cinquant'anni sappia poco di ciò
che fu il cattolicesimo democratico, anche se è persona di fede e partecipa al
nostro associazionismo. Ma sta sbiadendo anche il ricordo di ciò che furono il
socialismo e il comunismo italiani, tanto diversi da analoghe esperienze in
altre nazioni, e soprattutto da quelle dell’Europa orientale.
Sintetizzo di seguito alcuni argomenti su questo tema trattati di recente in diversi
interventi.
1. La Chiesa cattolica italiana, intesa come clero,
religiosi e laici, ha imparato la politica in un lungo tirocinio, che è stato
coevo a quello del socialismo italiano. L'occasione storica fu data dalla
soppressione del piccolo regno dei Papi nell'Italia centrale, ad opera del
Regno d'Italia controllato da nazionalisti e liberali. I nazionalisti non
vollero fare a meno di Roma, che pensavano fosse essenziale come fattore morale
di unificazione culturale. Suscitarono una dura reazione del Papato, che
pensava di avere bisogno di uno stato indipendente per il suo alto
ministero. Il Papato allora pensò di utilizzare come forza di resistenza
il popolo dei fedeli, in gran parte proveniente dal mondo delle campagne in cui
le consuetudini religiose erano profondamente radicate. Questo richiese di
organizzare una piattaforma ideologica di lotta, che venne sostanzialmente
mutuata dal socialismo. Venne formalizzata nell'enciclica "Le Novità -
Rerum Novarum" del 1891, centrata sul socialismo.
L'iniziativa di un partito
papista fu presa dal Papato, incoraggiando minoranze di attivisti a
coinvolgere le masse. Il Papato ne volle sempre mantenere saldamente il
controllo. Questa politica a lungo ricadde nei rigori delle leggi
antisovversione del Regno, con attivisti cattolici mandati al confino e
perseguiti. Il più fortunato agente politico fu l'Azione Cattolica,
organizzata nel 1906 al modo di un partito politico, e che successivamente
venne riorganizzata più volte a seconda delle esigenze del momento. Mediante
l'Azione Cattolica si compì una potente e capillare politicizzazione anche
delle donne cattoliche, le quali dunque erano pronte alla sfida del suffragio
universale anche femminile, nel 1946 e nel 1948.
Nel 1931 il Papato lanciò
le masse cattoliche politicamente preparate nella collaborazione con le
strutture sociali del neostato corporativo fascista. Contemporaneamente con
Montini iniziò, negli anni '30 e a partire dai giovani universitari, l'accurata
formazione professionale, morale e ideologica di una nuova classe politica, che
fu protagonista del lunghissimo dominio del cattolicesimo democratico nel
secondo dopoguerra. In questa nuova classe dirigente si formò una nuova
ideologia democratica, compatibile con la dottrina sociale e ad essa ispirata,
non liberale al modo del passato in quanto considerava la persona nei
mondi vitali in cui era inserita e che la motivavano e sorreggevano, e non
socialista in quanto insofferente del totale primato della collettività sulla
persona.
Quando dal 1939 i rapporti
con il fascismo mussoliniano si guastarono, questa neoideologia democratica
venne formalizzata in una serie di radiomessaggi natalizi del papa Eugenio
Pacelli - Pio 12° tra il 1941 e il 1944, nei quali si riconosce la mano di
Montini, all'epoca sostituto alla Segreteria di Stato vaticana. In questo modo entrò nella
dottrina sociale e ancora vi rimane: sulle sue basi si progettò e costruì la nuova Repubblica democratica italiana. Essa trovò un
nuovo agente politico in un partito "cristiano", la Democrazia
Cristiana, e, negli anni della Repubblica democratica, finì per inculturare
anche i socialisti fondamentalisti, rivoluzionari, vale a dire i comunisti, veicolando ad essi
una versione della democrazia diversa da quella liberale, piena di diritti sociali e tesa alla riforma sociale, che essi manifestarono
di apprezzare. Il dialogo con i comunisti fu molto intenso e risale
fondamentalmente agli anni della Resistenza. Per saperne di più si può leggere
Adriano Ossicini. Non venne mai meno, fino all'ultimo, e, per la verità, ancora
in parte prosegue tra gli eredi politici dei dialoganti di allora. La nuova democrazia repubblicana deve molto ai
cattolici democratici e ai comunisti, ma a cattolici democratici e comunisti in
dialogo tra loro. Questo dialogo fu molto più fecondo di quanto si pensi e si
riesca ad immaginare. All'inizio degli anni '80 stava per produrre un'ulteriore
metamorfosi della democrazia italiana, quando tutto si bloccò. C'era stata la
riforma del Concilio Vaticano 2°, con la completa e radicale rivisitazione
della dottrina sociale. Ci si aspettava qualcosa di analogo in ambito comunista.
Il mondo, però, improvvisamente cambiò e non è questa la sede per
azzardare ipotesi ricostruttive. Ancora mi pare che se ne discuta in ambito
storico. La riforma cattolica fu bloccata da papa Wojtyla, fortemente
anticomunista e diffidente di ogni forma dialogo con il mondo comunista. La
base comunista si dissolse in pochi anni e la riforma ideologica venne
abbandonata proprio nella delicata fase di transizione. Prevalsero l'abbandono
o modalità reazionarie, tentativi per ricostituire il passato.
I papi successivi al
Wojtyla non erano particolarmente legati all'Italia, come lo erano stati invece
quelli che avevano lanciato i cattolici in politica. Questo poi produsse
progressivamente, in mancanza dei suoi principali agenti costituivi, la crisi terminale
della democrazia italiana della quale di questi tempi stiamo vivendo
l'agonia. Termina un tipo di democrazia, naturalmente, non la democrazia in sé.
Quelle del marzo scorso sono state le prime elezioni dello stato unitario
italiano in cui la dottrina sociale non è stata minimamente richiamata, da
nessuno, e in cui il Papato non è intervenuto. Il comunismo è ancora sostenuto
solo da forze extraparlamentari fortemente minoritarie: anch'esso ha perso il
suo agente politico, il partito comunista di massa.
Ho sintetizzato una vicenda storica che in genere sfugge ai
più, fondamentalmente perché hanno perso dimestichezza con la Chiesa cattolica.
I riferimenti storici che si fanno sono di solito imprecisi. Per saperne di più
consiglio i libri di Fulvio De Giorgi "Mons.Montini - Chiesa cattolica e
scontri di civiltà nella prima metà del Novecento" e "La Repubblica
grigia. Cattolici, cittadinanza educazione alla democrazia"
2. Dal 1864, quelle del marzo scorso sono le
prime elezioni politiche nazionali in cui il Papato non è intervenuto. La
Chiesa cattolica è comunque, attualmente, come gruppo sociale organizzato, la
prima forza politica della nazione con un organizzazione capillare e centri di
formazione di alto livello. Una forza ancora potente, anche a livello
mondiale. Questa organizzazione politica è stata messa in piedi in
Italia nel 1906, in previsione dell'introduzione del suffragio universale
maschile e di un intervento di una forza di massa papista nelle elezioni
politiche, che in effetti vi fu alle elezioni del 1913. Su queste basi, dal
1939, si è costruita la lunghissima egemonia del cattolicesimo politico e la
stessa democrazia repubblicana post-fascista. Però nessuna delle forze
politiche che partecipano oggi allo scontro politico ha mantenuto dimestichezza
con quella realtà. La dottrina sociale, che è la sua ideologia, è stata del
tutto ignorata nel recente confronto politico. Inoltre, la politica oggi
egemone non sente la necessità di una "conciliazione" con la Chiesa
cattolica, come invece avvenne al fascismo storico, che ad essa dovette il
decennio, dal 1929 al 1939, in cui, da basi pericolanti, divenne forza
totalitaria e pervasiva. Ma avverte
vagamente la presenza di quel soggetto politico e lo teme. E a ragione, perché
l' ideologia che ha prevalso di questi tempi è non solo
altamente laicizzata, ma contrastante con principi basilari della dottrina
sociale. Una veloce lettura della più recente enciclica sociale, la Laudato si' può bastare per
convincersene. Non c'è infatti in essa una sola parola che non suoni come un
rimprovero verso le opinioni prevalenti nell'Italia di oggi.
Non conoscendo com'è la
Chiesa cattolica italiana di oggi, avendone imprecise antiche reminiscenze,
alcuni la pensano fatta in prevalenza da bacchettoni ossessionati dal
sesso. Che naturalmente ci sono ancora, per carità. Ma sono realtà marginali,
anche se piuttosto chiassose.
Chi
ha poca familiarità con la Chiesa, può pensare di tentarla contrattando qualche
politica in materia ad esempio di finanziamenti pubblici, disciplina del
matrimonio e delle convivenze, questioni riproduttive, fine vita. Ma in
religione si cerca di combattere le tentazioni. Ti conducono sul pinnacolo del
Tempio e ti dicono che tutto quello che vedi sarà tuo, promettono potenza, se
si cederà, prostrandosi. E, la potenza di questo mondo, come sempre, si
ottiene a spese dei più deboli. Una potenza che in religione ci si impegna a
ripudiare.
La Chiesa cattolica è abituata a guardare
lontano, per grandi scenari. Alla fine degli anni ’30 ruppe una conciliazione con il fascismo storico che le si presentava
molto conveniente, quando ancora la disfatta italiana non si era manifestata e il regime era molto potente. Lo fece su un tema fondamentale per
la cultura fascista, quello della guerra di espansione. E dopo che negli anni ’30,
come ho ricordato, aveva spinto i cattolici a collaborare nelle istituzioni
corporative fasciste.
3. Sotto il profilo del
governo della società, la Chiesa cattolica non è una "religione", ma
una grande forza politica, incomparabilmente più influente e attrezzata di ogni
altro partito oggi corrente. E' quella che prima diede un'occasione al fascismo
mussoliniano, negli anni ’30 del Novecento, e poi alla democrazia, dominandola fino al
2012. Nel settembre 2011 una prolusione del cardinale presidente della CEI contribuì
di fatto a determinare la caduta di un Governo, nel corso di una grave crisi
economica e sociale, e a suscitare una nuova iniziativa politica dei cattolici.
In Italia la Chiesa cattolica è attualmente profondamente divisa,
verticalmente, dai vertici alla base, ma condivide alcuni principi di azione
sociale. In Italia è anche una forza autonoma, autoreferenziale, una variabile
indipendente. I suoi vertici non sono più espressione della marginalità
italiana, si sono mondializzati, parlano tutte le lingue del mondo. Ha una
raffinata diplomazia che le consente di interloquire da pari con gran parte
degli stati della Terra. Da metà Ottocento in Italia si dedicò
all'agitazione sociale, facendo di clero e religiosi un corpo sostanzialmente di
"rivoluzionari di professione", prima che ci pensasse Lenin. A
quei tempi "clericale" equivaleva a "eversivo" e i
clericali vennero colpiti dalle leggi antisovversione italiane
dell'epoca, da quelle di Crispi in poi. Dal 1906 si dotò di una struttura
specificamente politica, nell'Azione Cattolica. Da quest'ultima deriva in gran
parte la struttura della democrazia repubblicana post-fascista. La si vide
all'opera nell'agitazione delle masse in occasione delle elezioni politiche del
1948. Quel suo agente politico è progressivamente venuto meno, non
più curato come tale durante il lungo regno religioso di Karol Wojtyla, così
come il partito "cristiano". Ora però sta iniziando ad essere
pervasa dalla "teologia del popolo" di origine latino-americana,
fortemente contrastante con molte idee della politica di oggi.
4. La nostra nuova Europa è in gran parte
strutturata secondo l'impostazione data dai cattolici democratici fin dagli
inizi. Uno dei principi organizzativi fondamentali è infatti quello di
sussidiarietà, formulato dal Papato nel 1931, nell'enciclica "Il
Quarantennale-Quadragesimo anno", in occasione dei quarant'anni dalla
prima enciclica sociale dell'era contemporanea. Significa che l'unità deve
farsi a partire dalla società civile, senza che chi comanda possa sostituirsi
ad essa. Si tratta di un principio politico che il Papato aveva ricavato dal
suo lunghissimo conflitto medievale con l'Impero germanico e poi da quelli con
gli stati nazionali. L'unità europea non si fece prendendo a modello gli Stati
Uniti d'America, come auspicavano ad esempio gli autori del "Manifesto di
Ventotene". Questo ci risparmiò conflitti come quelli assai aspri
che caratterizzarono il processo di unificazione federale da cui emersero gli
Stati Uniti. La forza aggregativa di questi ultimi ad un certo punto si
arrestò. In teoria avrebbe potuto estendersi a tutto il continente. Al
contrario, in Europa, sulla base del principio di sussidiarietà, si sta
cercando di aggregare tutto il continente. In questa politica gli Stati Uniti
d'America in alcune occasioni sono stati e sono un elemento di disturbo.
Durante l'era Eltsin sono stati corresponsabili del disastro sociale russo, che
invece è stato evitato negli stati ex comunisti che si è riusciti ad attrarre
nel processo di unificazione europea. L'Ucraina è il teatro sociale in cui le
due opposte politiche, statunitense ed europea, si sono scontrate, con l'esito
che sappiamo. La crisi seguita al crollo dell'impero sovietico, negli anni '90,
è stata gestita fondamentalmente dal democristiano Kohl, che riuscì ad
intendersi con il neocomunista Gorbaciov. Le cose potevano mettersi molto male,
per la crescente ingerenza statunitense in quell'epoca. Il ruolo del papa
Wojtyla andrebbe molto ridimensionato e limitato all'agitazione sociale nella
sua Polonia, in cui suscitò, con il contributo statunitense, l'agente politico
Solidarnosc, che svanì presto, dopo l'abbattimento del regime comunista,
lasciando quello che oggi vediamo in Polonia. In realtà il progetto europeo del
Wojtyla non andava molto oltre, mi parve, la trasformazione dei regimi
comunisti dell'Europa orientale in democrazie sul modello statunitense. Pensava
ad un'unità culturale europea su base religiosa, ma di una religione che era
quella rimasta come fossilizzata all'interno dei regimi di socialismo reale
dell'Europa orientale, diversa da quella che si era sviluppata nell'altra parte
del continente. Mi parve diffidasse del processo di unificazione europeo,
per gli elementi socialisti che avevano preso a caratterizzarlo. Anche
socialisti e comunisti erano originariamente contrari perché lo sospettavano di
essere una macchinazione borghese per impedire l'evoluzione politica
socialista. Successivamente vi colsero opportunità. La mediazione culturale fu
in gran parte svolta dai cattolici democratici. Ora abbiamo una Carta dei
diritti dell'Unione piena di diritti sociali derivati dal socialismo e una
giurisdizione europea che fa il suo lavoro anche in quel campo.
Negli anni '70 in Italia si ebbe il momento di
massimo avvicinamento tra cattolici democratici e comunisti. Entrambe le
formazioni, quella dei cattolici e la comunista, erano partite da posizioni antidemocratiche,
sospettando la democrazia borghese, liberale, di essere un imbroglio per
ostacolare l'elevazione sociali dei ceti deboli. Entrambe erano arrivate progressivamente
all'accettazione della democrazia, in una versione piena di diritti sociali,
nella lotta antifascista, nel corso degli anni Quaranta, progettando la futura
organizzazione della stato. Bisogna ricordare che solo con il radiomessaggio
natalizio di Pacelli - Pio XII del 1944 furono del tutto rimosse, da parte
cattolica, le obiezioni culturali contro la democrazia, che avevano portato a
ritenerla addirittura eretica, agli inizi del Novecento. Nel corso del 15°
Congresso del Partito Comunista Italiano, nel 1979, fu accolta una delle
principali istanze cattoliche, la modifica dell'art.5 dello statuto del partito
che obbligava gli iscritti a seguire la dottrina marxista leninista. Esso aveva
comportato l'elaborazione di una ortodossia marxista leninista che aveva
ostacolato la riflessione critica e la mediazione, finendo per essere fattore
di discriminazione in particolare verso le masse cattoliche, ma anche
all'interno dello stesso mondo comunista. Questa riforma accadde al tempo della
più marcata affermazione sociale dei comunisti italiani, sostenuta
dall'apprezzamento dei cattolici democratici. Alcuni importanti esponenti di
questo mondo si candidarono come indipendenti nelle liste comuniste. L'apporto
maggiore dei cattolici democratici ad una "terza fase", in cui un
partito cattolico democratico e un partito comunista si alternassero al potere
condividendo un importante patrimonio culturale, fu il progetto di una
democrazia tesa alla riforma sociale e all'affermazione di diritti sociali,
diversa dalla democrazia liberale in cui contava l'eguaglianza formale tra cittadini.
Agli anni di questo avvicinamento culturale e politico risale una riforma
epocale, la riforma sanitaria, attuata dal 1978. Questo primato della riforma
sociale deve farsi risalire, tra i cattolici italiani, al lavoro di Giuseppe
Toniolo, agli inizi del Novecento. Ma fu fondamentale l'assimilazione delle
ideologie dei francesi Jacques Maritain ed Emmanuel Mounier che si fece negli
anni '30 e '40 sotto l'impulso di Montini. Al centro non c'è l'individuo
desiderante, ma la persona in relazione, all'interno di mondi vitali che la
motivano e la sostengono, e che per questo vanno rispettati, anche dai
riformatori animati dalle migliori intenzioni.
Negli anni '80 i comunisti italiani si convinsero che la
lotta era persa e non ci fu verso di dissuaderli. La storia era finita. Punto.
Non portarono a termine il lavoro di riforma ideologica. In effetti il
liberismo di scuola statunitense sembrava funzionare. Presto però emersero,
soprattutto in Russia, i disastri sociali che aveva provocato, risparmiati
all'Est Europeo assimilato nel processo di unificazione, per il progressivo
avvicinamento delle economie e i limiti alla predazione della passata economia
di stato indotti dalle politiche di collaborazione europea. La Russia di
oggi è in gran parte il risultato delle politiche di Eltsin, e queste ultime
dell'influenza statunitense. Anche i comunisti russi, altamente
autoreferenziali, non furono capaci di vera riforma ideologica, in
particolare sotto la presidenza Gorbaciov che pure l'aveva progettata.
Un'era sembra finita, anche se l'Europa è ancora
egemonizzata da un governo tedesco che vede la collaborazione di democristiani
e socialisti. Si può cominciare ad avere una visione prospettica di una storia.
Gli stati nazionali riprendono forza e purtroppo ciò avviene nel momento in cui
l'Italia è fortemente marginalizzata per tante ragioni. Non credo che sarà
battendo i pugni sul tavolo che si riuscirà ad avere maggior voce in
capitolo.
5. Intendiamoci bene: fede religiosa e
politica sono cose diverse, anche se a fare politica è un’organizzazione
religiosa o di ispirazione religiosa. La Chiesa cattolica in Italia è ancora
un’importante forza politica, ma la sua politica è un’elaborazione culturale,
non discende direttamente dalla religione. Non è obbligatorio seguire quella
politica per essere persone di fede e la si può condividere anche se non si è
religiosi. Viverla da persone di fede è però più coinvolgente. Si tratta di una
politica che ha avuto una veloce evoluzione negli ultimi sessant’anni, in
particolare da quando ha contato di meno la teologia e hanno avuto più rilievo
altre discipline, come la sociologia e l’economia.
La più sorprendente metamorfosi iniziò però da quando, dal 1939,
si acquisì consapevolezza del valore, anche religioso, della pace e
ci si è impegnati a costruirla
politicamente. Quindi la pace non solo come idealità religiosa, ma come
obiettivo politico, da perseguire mediante la trasformazione sociale nel senso
della giustizia. Questa è stata la vera svolta.
Originariamente, nella fase
più violenta del conflitto con il Regno d’Italia, la giustizia sociale era
stata più che altro la base di una critica politica a nazionalisti e liberali
per mobilitare le masse contro il nuovo ordine. In questo i cattolici sociali
papisti facevano lo stesso lavoro dei socialisti rivoluzionari, perché era
propriamente ad una rivoluzione politica che miravano. Volevano
destabilizzare e abbattere il nuovo ordine. I ministri di polizia italiani
consideravano di una stessa fatta clericali e socialisti rivoluzionari. Questo
poi spiega perché il Papato non ebbe difficoltà ad intendersi con una forza
rivoluzionaria come il fascismo mussoliniano, liquidando sbrigativamente le
prime esperienze politiche del cattolicesimo democratico italiano. Con fascisti
e socialisti condivideva l’avversione al liberalismo. Accettò il nazionalismo
italiano quando le si accordò un mini-stato di quartiere a Roma, considerando
chiusa vantaggiosamente (anche dal punto di vista economico e sociale) la
“questione romana”, apertasi nel 1870 con la conquista italiana di Roma. La
dottrina sociale del Papato si limitava, almeno fino al ’39, a questo.
La rottura con il fascismo
avvenne durante il regno di Pacelli – Pio XII e sul tema della guerra, alla
quale quel Papa era molto contrario, perché intuiva i disastri sociali che
avrebbe comportato, come era avvenuto nel ’14-‘18. L’altro tema di contrasto fu
la politica fascista di persecuzione etnica contro gli ebrei nel presupposto di
una loro inferiorità e perversione per così dire biologica, che non poteva
essere accettata dal Papato perché il Fondatore e tutti i suoi primi seguaci
erano stati ebrei.
Appena eletto regnante, il
papa Pacelli, dall’agosto 1939, diede allora il via libera ai
cattolici democratici, in particolare agli universitari formatisi nelle
organizzazioni di Azione Cattolica seguite da Montini. Commissionò azione
sociale e un progetto di costituzione democratica, che effettivamente fu steso
a Camaldoli nel luglio 1943, nel corso di un incontro nella foresteria del
monastero di Camaldoli, sull’Appennino Toscano. Tutto questo avvenne con il
regime fascista ancora vivo e vitale. In questo lavoro i cattolici democratici
si incontrarono clandestinamente con i comunisti, che avevano pervicacemente
continuato la lotta contro il fascismo, irriducibili. L’antica consuetudine
dialettica con il socialismo aiutò.
Mio padre fu coinvolto in
un’esperienza di quel tipo nel gruppo Labriola di Bologna animato dal suo amato
maestro prof. Paolo Fortunati, insegnante di statistica all’università di
Bologna. Era nel comitato di redazione della rivista Tempi Nuovi, che, nel
quadro delle attività resistenziali, si occupava dell’approfondimento dei temi
del socialismo, del comunismo e della
costruzione di un nuova democrazia. Si laureò in statistica con una tesi
sulla teoria delle crisi cicliche in Karl Marx. Al seguito di Angelo Salizzoni,
che fu poi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nei governi
Moro, partecipò alle prime attività politiche della Democrazia
Cristiana bolognese.
Già prima del crollo
terminale del fascismo, i cattolici democratici avevano dunque una giovane
classe politica colta e professionalmente adeguata, di alto profilo
intellettuale e morale, pronta ad impegnarsi nel governo dello stato su
mandato del Papa e un progetto di nuova Costituzione. Questi cattolici
democratici non erano anticomunisti, né antisocialisti, per la dura esperienza
di lotta in uno stesso schieramento antifascista. Obiettavano al comunismo di
marca leninista il totalitarismo e al marxismo il suo carattere ostile alla
fede religiosa. Ma sapevano intendersi con i comunisti e i socialisti come poi
fu dimostrato nel lavoro della prima sottocommissione della Costituente che
scrisse i “principi fondamentali” , nella quale fu fondamentale il comune
sentire di Basso, Dossetti, Iotti, La Pira, Moro, Togliatti. Profonda intesa,
non “contratto” come si dice oggi. Il lavoro che i cattolici democratici
si proponevano andava molto oltre la conquista del governo. Avevano un progetto
di democrazia popolare a forte impegno sociale in cui volevano coinvolgere i
socialisti e i comunisti, contrastati naturalmente dai clerico-moderati e dai
clerico-fascisti, come ancor oggi avviene. Per questo De Gasperi definì la
Democrazia Cristiana un “partito di centro che guarda verso sinistra”. L’idea
era quella di rendere irreversibile la rivoluzione sociale, che poi è il senso
dell’espressione comunista “dittatura del proletariato”. Indietro non si doveva
tornare. Erano le masse che dovevano essere educate a resistere ad ogni nuova
tentazione di tipo fascista ed ecco perché era indispensabile l’intesa con
socialisti e comunisti, i quali ne
controllavano molta parte, in particolare quella dei lavoratori dell’industria.
Naturalmente quando si parla spregiativamente di
“democristiani” e di “comunisti” non si ha consapevolezza di quello che ho
descritto. Si pensa ai democristiani della decadenza, quali furono dalla metà
degli anni ’80, e ai comunisti sovietici, senza considerare quanto fossero
diversi quelli italiani, che espressero storicamente una classe politica di
alto profilo intellettuale e morale, della quale l’Italia non poté
valersi quando più sarebbe stato necessario, per contrastare più efficacemente
la crisi della politica che si manifestò dalla metà degli anni ‘80. I comunisti
rimasero sempre forza di opposizione, non si riuscì mai ad aprir loro la strada
del governo democratico in Italia. Ad un certo punto finirono e si
trasformarono. Poi, nelle successive metamorfosi, espressero anche una
classe di governo; però rimasero anche allora condizionati dal cosiddetto fattore “K”, come veniva definito negli anni ’70,
vale a dire l’interdetto contro governi con partecipazione comunista,
quindi dal sospetto dei loro critici che, una volta al potere, non si sarebbe
più riusciti a mandarli all’opposizione. Così sembrarono considerare una prova
di maturità politica quando, da forza di governo, si riusciva a mandarli
nuovamente all’opposizione e loro non se la prendevano tanto, non la consideravano la fine del mondo. Talvolta però può esserlo, quando le formazioni in competizione non condividono abbastanza e si presentano l'una come l'«anti-» dell'altra. Un influsso di quel modo di pensare si è avvertito
anche dopo le recenti elezioni politiche. Per i cattolici democratici il
problema non si poneva: il loro mandato era di rimanere sempre al
governo. In effetti negli anni ’90 ci riuscirono dividendosi formalmente e
colonizzando destra e sinistra, ricucendo da quelle posizioni la società
italiana. Ma venne meno il progetto di riforma sociale. Questo fondamentalmente
per l’attenuarsi dell’impulso del Papato, dal papa Wojtyla in poi, che divenne
meno legato all’Italia. Il principale handicap dei cattolici democratici era
stato storicamente quello di muoversi prevalentemente sulla base di
quell’impulso. L’intesa con il socialismo divenne difficile per l’interdetto
che veniva dal papa Wojtyla. E dagli anni ’90 il socialismo italiano, poi,
apparve liquefarsi. Negli anni ’80, inoltre, era sembrata progressivamente
prevalere in esso l’ala più anticlericale e antireligiosa, come nel
craxismo. Ed è proprio la mancanza di quell’impulso il problema nelle
ultime vicende politiche nazionali.
La forza politica della Chiesa, pur ancora
imponente, non è stata attivata né dal Papato né dai vescovi italiani.
Perché? Si può pensare che abbiano inciso la profonda spaccatura verticale che
attraversa il mondo ecclesiale per varie ragioni e le gravi difficoltà che
travagliano il Papato nel suo lavoro di adeguamento ai tempi, troppo a lungo
rimandato. Ma la ragione vera penso sia che per almeno una generazione,
regnante papa Wojtyla, non si è proseguita quell’attività di formazione delle
masse cattoliche alla politica democratica che era stata affidata storicamente
all’Azione Cattolica. A lungo i rapporti con la politica di governo erano
stati regolati direttamente dai vescovi della Conferenza Episcopale Italiana,
centrandoli su alcuni specifici temi di interesse, quali i finanziamenti alle
istituzioni e scuole religiose, le questioni matrimoniali (chi si può sposare e
come) e riproduttive (aborto, contraccezione), il fine vita e l’obiezione di
coscienza. Era venuto meno l’interesse per la riforma sociale e ad avere un
agente politico che vi si dedicasse, probabilmente pensando che la pace europea
fosse ormai un risultato irreversibile. La storia recente dimostra che non è
così. Dunque gli appelli che vengono da Papa e vescovi, come quello recente del
cardinal Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, sembrano
ora cadere nel vuoto. Manca l’agente politico in grado di raccoglierli.
Le parole dell’imponente letteratura pontificia rimangono parole. Rendendosene
bene conto, il Papato non ha lanciato l’ordine di impegnarsi, come aveva fatto
invece dal 1939 e in altre occasioni successive. Ricordo, ad esempio, la spettacolare
azione politica promossa da papa Wojtyla negli anni ’80 con le scuole di
politica animate dai gesuiti Bartolome Sorge ed Ennio Pintacuda, dalle quali
scaturì la riforma politica che va sotto il nome di “primavera palermitana”. La
formazione, l’educazione, devono sempre precedere l’impegno politico. Secondo
il modo di pensare della Chiesa, politici non ci si improvvisa.
Di questi tempi, abbiamo quindi veramente
vissuto una fase di cambiamento, che presto si rifletterà, credo, anche
sulla Costituzione. Molti in Italia non intendono più il suo parlare. A
prenderla sul serio sono rimasti in genere i magistrati, però non di rado per
ragioni di semplice logica giuridica, trattandosi di norma posta al di sopra
della altre. Nella passata legislatura si è però aperta la via alla
decostituzionalizzazione di certi importanti principi, come quello del
diritto al lavoro. E’ possibile che si prosegua con quello alla salute e con
la previdenza sociale. C’è poi il tema della progressività tributaria. E’ un
nuovo mondo che sta manifestandosi, affievolendo quei principi per via di leggi
ordinarie, come motivate eccezioni alla disciplina generale. Ma è prevedibile che tutto questo poi si
tradurrà in modifiche costituzionali, se non altro mediante una riformulazione dei
principi.
Di certe cose si è perduta memoria. Il rischio, in casi
simili, è che la storia si ripeta. Non penso al fascismo, la cui religione
nazionalista suonerebbe ostica alla gente d’oggi, con tutti i suoi appelli al
sacrificio della vita per la Patria. Ma all’Italia degli stati preunitari, divisa,
debole perché divisa, colonizzata dagli altri europei. Il disfacimento
dell’unità nazionale potrebbe accompagnarsi al fallimento del processo di
unificazione europea, il capolavoro del cristianesimo sociale e democratico,
che improntava le nazioni dalle quali originò quella dinamica politica: Francia, Germania e Italia.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte
Sacro, Valli