Comunità diseducanti
|
La foto che troviamo su gran parte dei quotidiani di oggi: una delle vittime di un naufragio di migranti al largo delle Libia. Si stima che cento persone siano disperse, cioè annegate. Sullo sfondo si vede il gommone della Guardia costiera libica mandato in soccorso della gente in mare, degli oltre cento naufraghi che erano finiti in acqua. Non se ne vedono altri. Le imbarcazioni inviate in soccorso erano sufficienti?
«Dov’è il tuo
fratello?», la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una
domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi.
Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per
trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per
le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano
questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non
trovano solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio!»
Dall’omelia di
Papa Francesco alla Messa celebrata l’’8 luglio 2013, nel corso di un viaggio
apostolico nell’isola di Lampedusa
|
Mi dispiace che a una persona buona come Jorge Mario Bergoglio sia
toccato di fare il papa con il nome di Francesco in questa tremenda Italia di
oggi, che consapevolmente rifiuta la pietà verso i sofferenti rendendosi empia.
Egli è sulla via per condividere il destino che toccò al suo predecessore
Eugenio Pacelli, che pure tanti meriti ebbe, in particolare per aver riaperto
la via alla democrazia in Europa e per aver indotto i cattolici, molti dei
quali erano stati complici dei fascismi, a costruire un nuovo ordine
continentale pacifico. Come ai tempi di Pacelli, è la prudenza che non va. Non
sono risuonate di questi tempi parole come quelle (le trascrivo nuovamente di
seguito) che nel 2013 furono molto importanti nel determinare il nostro governo
a disporre una grande missione di soccorso per impedire tragedie nel mare tra l'Italia, la Libia e la Tunisia, del tipo di quella accaduta solo poche ore fa. La si
denominò Mare Nostro. Ora non lo è
più?
Ma, si dice, “La Chiesa non fa politica”. Quando mai non l’ha fatta?, mi domando. Tutto il nostro Risorgimento e poi i primi settant'anni del Regno d'Italia furono travagliati dalla Questione Romana, che era politica del Papato. E poi il fascismo Mussoliniano si avvalse dell'appoggio politico del Papato, che lo definì provvidenziale e indusse le migliori menti del laicato italiano a lasciarsi coinvolgere. Poi il Papato condizionò la vita del partito cristiano e, finito quello, contrattò direttamente con la politica nazionale. Nell'84 contrattò una revisione del Concordato lateranense che ora gli vale un flusso di finanziamenti pubblici di circa un miliardo di euro all'anno, indipendentemente dalle condizioni dell'economia nazionale. Si mise di traverso su questioni politiche come le leggi su divorzio, aborto, procreazione assistita, unioni omosessuali, fine vita e molte altre. Scomunicò i comunisti italiani quando ancora erano molto legati all'Unione sovietica, osteggiò la collaborazione con i socialisti e poi con i comunisti italiani, divenuti pienamente democratici dopo la rottura con i sovietici. La Chiesa ha sempre fatto politica, fin dal Quarto secolo della nostra era. Proprio ora decide di non farla più?
La Santa Sede possiede uno stato, qui a Roma, anche se gli accordi con
il Regno d’Italia non lo chiamano mai così, ma solo Città del Vaticano. Ma, comunque, lo considera uno stato, e tale è ritenuto anche dalla comunità internazionale. Uno stato può molto, ancora oggi, anche se molto piccolo.
Può accordare protezione e in questo viene rispettato. Lo si fece in vari modi al termine della Seconda
Guerra Mondiale, scrivono gli storici, in modi che molti criticarono, per
favorire la fuga e la salvezza di gente in pericolo dopo la caduta dei regimi fascisti vinti.
[Su questo ha scritto Pier Luigi Guiducci, Oltre la leggenda nera - Il Vaticano e la fuga dei criminali nazisti, Mursia, 2015, saggio in cui, nel contestare la tesi di una copertura della Santa Sede ai nazisti in fuga, ha ricordato la protezione data a quell'epoca a gente in fuga dopo la caduta dei regimi fascisti. In una intervista a La Stampa del 2015,
(http://www.lastampa.it/2015/10/16/vaticaninsider/oltre-la-leggenda-nera-il-vaticano-e-la-fuga-dei-criminali-nazisti-RvtssyJ18NOY6rhTnxaCYM/pagina.html) ,disse:
«Si parte dal dramma dei civili in fuga dalle truppe sovietiche. Quest’ultime, penetrano nella Germania e poi entrano a Berlino, con tutte le atrocità che ne sono seguite: stupri, esecuzioni sommarie, violenze di ogni tipo. In tale contesto [...] abbiamo il dramma del movimento dei profughi, in maggioranza civili. Si trattava di anziani, malati, disabili, bambini, sofferenti a livello mentale, donne violentate. Erano profughi senza casa, apolidi in più casi, che non avevano reti di assistenza. Chiedevano letteralmente la carità. E quindi si rivolgevano a parrocchie, conventi e case religiose. A una rete essenzialmente cattolica. Ciò avveniva perché in Germania una parte del mondo evangelico-protestante aveva sostenuto il regime hitleriano. Quindi i profughi badavano a non farsi passare né per evangelici, né per sostenitori del regime, e nemmeno per atei (per non essere associati ai sovietici). A questo punto non restava loro che chiedere l’appoggio cattolico, che era fondamentalmente gratuito e che superava la concezione nazionalistica.»]
Ma
lo si è fatto anche di recente. Il caso? Un diplomatico della Santa Sede presso
gli Stati Uniti d’America è accusato di un reato commesso in Canada. Le
autorità canadesi emettono un ordine di cattura e lo notificano agli Stati
Uniti d’America, che a loro volta lo
notificano alla Santa Sede. Il diplomatico viene fatto rientrare a Roma, sottraendolo alla giustizia canadese in forza dell'immunità diplomatica, e viene processato dai giudici della Città del Vaticano per il reato commesso in Canada. Lo si è condannato, in modo da precludere una estradizione in Canada per lo stesso fatto. Perché,
però, non lo si è privato della
condizione di diplomatico e dell’immunità
e consegnato alle autorità canadesi perché fosse processato dove,
secondo l’accusa, aveva commesso il reato? Aver privato gli investigatori
canadesi del contributo informativo che l’accusato poteva dare, e che in
effetti ha dato dal momento che si è saputo dalla stampa che ha reso
confessione, non ha avuto effetti negativi sulle indagini canadesi? L’aver
fatto rientrare il diplomatico in Italia, non revocandogli l’immunità, può
essere visto come una forma di protezione. Certo poi egli è stato condannato
dai giudici vaticani. Ma la Santa Sede non dispone di penitenziari.
Sostanzialmente, quando la pena diverrà definitiva, avrà probabilmente un trattamento migliore di quello che gli
sarebbe toccato in Canada.
Che cosa impedisce di estendere una protezione
simile ad altre persone, come, qui a Roma e altrove ma su direttive di Roma, si fece durante la Seconda Guerra Mondiale in
favore di molti politici antifascisti, e poi, nel dopoguerra, di tanti migranti che oggi definiremmo economici? Qualcosa del genere si è fatto, ma su scala troppo piccola rispetto al fenomeno da affrontare. Lo stato posseduto dal Papa qui a Roma è piccolo? Ma egli è pastore di oltre un miliardo di fedeli e l'Europa è dominata dai democratici cristiani tedeschi, che ora sono spinti a politiche più dure sulle migrazioni da un ministro dell'interno della bavarese CSU, nella quale i cattolici predominano. La sua autorità morale in Europa è ancora molto grande, anche se in Italia la dottrina sociale è, ma non da molto, ignorata.
Il problema del Papato, oggi come ai tempi di Pacelli, si chiama prudenza. Per la sua prudenza,
sostanzialmente debolezza politica, non credo che Pacelli sarà mai fatto santo,
pur essendo una persona buona, un mistico. Ma le condizioni in cui si trovò a
regnare, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, erano tremende: egli
effettivamente poteva temere crudeli e stragiste ritorsioni di massa, in particolare da parte dei
nazisti hitleriani. Ai nostri giorni, però, in Europa si vive in democrazia. Al massimo potremmo
avere un po’ meno gente che viene in chiesa e forse un po’ meno scelte per la
Chiesa cattolica nel riquadro dell’8 per mille della dichiarazione dei redditi.
La prudenza è meno giustificata.
Ieri il Papa, creando nuovi cardinali, ha
pronunciato nobili parole, invitandoli al martirio, alla testimonianza fino al
rischio della vita. Eppure, di questi tempi, erano altre le parole che
occorrevano. Appunto parole, e gesti, come quelli del 2013,
Dagli
anni ’70 la catechesi è molto legata a comunità educanti. Non è più qualcosa
come una lezione scolastica, ma un’esperienza di vita. Poi la cultura
della presenza ha ancora di più
posto l’accento sulla vita comunitaria come prima forma di catechesi, lì dove
si impara, soprattutto da piccoli, per imitazione. Ebbene, il risultato è
quello che è. Nella mia Bologna la diocesi ha organizzato una veglia di
preghiera per i migranti morti in mare. E qui a Roma? Questa è la diocesi del
Papa. Dovrebbe dettare la linea e dare l’esempio. Probabilmente si teme che
iniziative di quel tipo vadano deserte. Il male si è profondamente radicato
anche nelle comunità di fede. Non sono più capaci di liberarsene. Danno
ascolto a guide empie, quelle che negano
la pietà ai sofferenti. Anche tra i fedeli, in particolare tra i più anziani,
ai quali la vita dovrebbe aver insegnato la saggezza, si sentono discorsi
tremendi, spietati, e per questo empi, perché, come insegna papa Francesco sulla base della nostra Tradizione religiosa, il Creatore è misericordia. Le nostre sono così diventate comunità diseducanti. Qual è, in questa
condizione, il compito di un pastore?
Sulla carta, per la legge della Chiesa, un Papa può tutto. La realtà è molto diversa.
Mario Ardigò - Azione Cattolica
in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
********************************************
VISITA A LAMPEDUSA
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Campo sportivo "Arena" in Località Salina
Lunedì, 8 luglio 2013
dal Web: http://w2.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2013/documents/papa-francesco_20130708_omelia-lampedusa.html
Immigrati morti in mare, da quelle barche che
invece di essere una via di speranza sono state una via di morte. Così il
titolo dei giornali. Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che
purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente
come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo
venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a
risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si
ripeta per favore. Prima però vorrei dire una parola di sincera gratitudine e
di incoraggiamento a voi, abitanti di Lampedusa e Linosa, alle associazioni, ai
volontari e alle forze di sicurezza, che avete mostrato e mostrate attenzione a
persone nel loro viaggio verso qualcosa di migliore. Voi siete una piccola
realtà, ma offrite un esempio di solidarietà! Grazie! Grazie anche
all’Arcivescovo Mons. Francesco Montenegro per il suo aiuto, il suo lavoro e la
sua vicinanza pastorale. Saluto cordialmente il sindaco signora Giusi Nicolini,
grazie tanto per quello che lei ha fatto e che fa. Un pensiero lo rivolgo ai
cari immigrati musulmani che oggi, alla sera, stanno iniziando il digiuno di
Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina
nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie. A voi:
o’scià!
Questa mattina, alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato,
vorrei proporre alcune parole che soprattutto provochino la coscienza di tutti,
spingano a riflettere e a cambiare concretamente certi atteggiamenti.
«Adamo, dove sei?»: è la prima domanda che Dio rivolge all’uomo dopo il
peccato. «Dove sei Adamo?». E Adamo è un uomo disorientato che ha perso il suo
posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare
tutto, di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e questo si ripete
anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma
semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere. E Dio pone la
seconda domanda: «Caino, dov’è tuo fratello?». Il sogno di essere potente, di
essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta ad una catena di sbagli che è
catena di morte, porta a versare il sangue del fratello!
Queste due domande di Dio risuonano anche oggi, con tutta la loro forza!
Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al
mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per
tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando
questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie
come quella a cui abbiamo assistito.
«Dov’è il tuo fratello?», la voce del suo sangue grida fino a me, dice
Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a
te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da
situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un
posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante
volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza,
non trovano solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio! E una volta ancora
ringrazio voi abitanti di Lampedusa per la solidarietà. Ho sentito,
recentemente, uno di questi fratelli. Prima di arrivare qui sono passati per le
mani dei trafficanti, coloro che sfruttano la povertà degli altri, queste
persone per le quali la povertà degli altri è una fonte di guadagno. Quanto
hanno sofferto! E alcuni non sono riusciti ad arrivare.
«Dov’è il tuo fratello?» Chi è il responsabile di questo sangue? Nella
letteratura spagnola c’è una commedia di Lope de Vega che narra come gli
abitanti della città di Fuente Ovejuna uccidono il Governatore
perché è un tiranno, e lo fanno in modo che non si sappia chi ha compiuto
l’esecuzione. E quando il giudice del re chiede: «Chi ha ucciso il
Governatore?», tutti rispondono: «Fuente Ovejuna, Signore». Tutti e
nessuno! Anche oggi questa domanda emerge con forza: Chi è il responsabile del
sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non
sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno
di noi: «Dov’è il sangue del tuo fratello che grida fino a me?». Oggi nessuno
nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della
responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote
e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon
Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse
pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro;
e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del
benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida
degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono
nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza
verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo
mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione
dell'indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro,
non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!
Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione
dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza
volto.
«Adamo dove sei?», «Dov’è il tuo fratello?», sono le due domande che Dio
pone all’inizio della storia dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli
uomini del nostro tempo, anche a noi. Ma io vorrei che ci ponessimo una terza
domanda: «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?», Chi
ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste
persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro
bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie
famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del
“patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di
piangere! Nel Vangelo abbiamo ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento:
«Rachele piange i suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato morte per
difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a
ripetersi… Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche
nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra
indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in
coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la
strada ai drammi come questo. «Chi ha pianto?». Chi ha pianto oggi nel mondo?
Signore, in questa Liturgia, che è una Liturgia di penitenza, chiediamo
perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo Padre
perdono per chi si è accomodato e si è chiuso nel proprio benessere che porta
all’anestesia del cuore, ti chiediamo perdono per coloro che con le loro
decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi
drammi. Perdono Signore!
Signore, che sentiamo anche oggi le tue
domande: «Adamo dove sei?», «Dov’è il sangue di tuo fratello?».
Al termine della Celebrazione il Santo Padre ha pronunciato le
seguenti parole:
Prima di darvi la
benedizione voglio ringraziare una volta in più voi, lampedusani, per l'esempio
di amore, per l'esempio di carità, per l'esempio di accoglienza che ci state
dando, che avete dato e che ancora ci date. Il Vescovo ha detto che Lampedusa è
un faro. Che questo esempio sia faro in tutto il mondo, perché abbiano il
coraggio di accogliere quelli che cercano una vita migliore. Grazie per la
vostra testimonianza. E voglio anche ringraziare la vostra tenerezza che ho
sentito nella persona di don Stefano. Lui mi raccontava sulla nave quello che
lui e il suo vice parroco fanno. Grazie a voi, grazie a lei, don Stefano.