25 Aprile
Tra due giorni sarà festa. E’ un anniversario. Il 25 Aprile. A chi ne vorrei parlare? A un ragazzo di
quindici anni, ad esempio. E’ l’età in cui io conobbi i fascisti. C’erano
ancora? C’erano ancora. Quindi non tutto finì il 25 aprile del 1945, quando a
Milano il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia ordinò l’insurrezione
generale e le forze ai suoi ordini deposero le istituzioni fasciste della città
e combatterono contro i militari tedeschi che ancora l’occupavano. In gran
parte dell’Italia ciò era già avvenuto. In alcune città avvenne dopo qualche
giorno: vi furono ancora combattimenti anche dopo il 25 aprile, ad esempio in
Veneto, e stragi. Tra il 30 aprile e il 2 maggio, a Valdastico, in provincia di
Vicenza vennero prese in ostaggio da truppe tedesche e fasciste 84 persone e
vengono uccise. Bologna, la mia città, fu presa dalle forze del Comitato di
Liberazione Nazionale Emilia Romagna il 21 aprile 1945. Ma il fascismo non finì
nel 1945. Per questo, quando nel 1972 iniziai le superiori, al liceo statale
Giulio Cesare, a Roma, trovai ancora i fascisti. Erano molto diversi da coloro
che ai tempi nostri si dicono tali. I
nostri padri avevano vissuto sotto il fascismo, il regime che aveva dominato
politicamente il Regno d’Italia dall’ottobre 1922 al luglio 1943, e l’Italia centro settentrionale tra il
settembre 1943 e l’aprile 1945, sotto la Repubblica Sociale Italiana. Il suo
capo assoluto era stato Benito Mussolini (1883-1945), romagnolo, figlio di un
fabbro e di una maestra elementare,
maestro elementare egli stesso e poi brillante giornalista, socialista
rivoluzionario nel Partito socialista italiano e fondatore, con altri, del
fascismo storico, tra il 1919 e il 1921. La gran parte dei nostri padri erano
stati fascisti e, formatisi nelle scuole del regime, avevano considerato
Mussolini come un padre, un esempio di vita e una guida spirituale, quindi
molto più che un capo politico. Alcuni di loro, crescendo e in particolare
durante la Seconda Guerra Mondiale, combattuta in Europa tra il 1939 e il 1945
e dall’Italia dal 1940, avevano maturato una critica politica al fascismo che,
per molti, era stata anche un’autocritica. Ciò aveva riguardato, in
particolare, molti che si erano formati nelle istituzioni sociali cattoliche,
in particolare nell’Azione Cattolica. Molti però erano rimasti estimatori del
fascismo storico. Anche tra i cattolici.
Noi quindicenni degli anni ’70 avevamo dunque notizie di prima mano del
fascismo. Ma avevamo anche esempi vivi e vitali di fascisti tra gli adulti.
Avemmo quindi una memoria del fascismo molto affidabile. Si definiva fascista
uno dei principali esponenti politici di allora, Giorgio Almirante, il quale
con Pino Romualdi, ultimo vicesegretario del Partito Nazionale Fascista durante
la Repubblica Sociale Italiana, ed altri reduci del fascismo storico aveva
fondato il Movimento Sociale Italiano, che al fascismo mussoliniano si ispirava
pur non proponendosi esplicitamente di rifondarlo (attività che era stata
vietata dalla legge dall’agosto 1943, salvo che nella Repubblica Sociale
Italiana, e poi dalla Costituzione della
Repubblica Italiana dal 1948).
E’ a quindici anni che a me, e ai miei
coetanei che conoscevo, accadde di iniziare a capire la politica. Erano anni di
accesi scontri politici in Italia, ma ancora durante le scuole medie essi non
ci interessavano. Accade qualcosa ai maschi, tra i quattordici e i sedici anni,
che li fa apparire più maturi di ciò che appare dal fisico, che in genere è
ancora acerbo. Penso che sia ancora così, anche se non ne ho esperienza
diretta, perché ho avuto solo figlie femmine. Bisognerebbe parlare di politica ai giovani a
partire dai loro quindici anni: è da questa età che è possono capire il 25 Aprile. Infatti quella del 25 Aprile è
una festa politica.
Un sessantenne che non sia anche nonno non ha
in genere occasioni per discutere di politica con un quindicenne. Gli adulti
che non siano loro parenti o insegnanti sono come invisibili per i più giovani.
Quando ero quindicenne l’atteggiamento degli adulti mi infastidiva. Erano lì
sempre a farmi la morale e si davano le arie di saperla tanto più lunga, e
a me non sembrava proprio. Quindi li
lasciavo parlare e facevo come mi pareva. Qualcosa però mi è rimasto di quei
loro discorsi, ad esempio i racconti sul fascismo e sulla guerra. I miei erano
emiliani e là fu molto dura. Certe storie mi appassionavano. Ma mi sembravano
tanto distanti dalla mia esperienza quotidiana, un po’ come lo erano le guerre
Puniche che avevo studiato a scuola. Mentre non erano ancora trascorsi
trent’anni da quegli eventi. Ora ne sono
passati settantatre. Gran parte dei testimoni sono morti e tra questi quelli da cui appresi tante cose sul fascismo e sulla Resistenza. Mio padre, i miei zii
paterni, Giovanni Galloni, cugino di mio padre, che partecipò alla guerra di
Resistenza bolognese e che poi ebbe un ruolo importante nella politica italiana
del secondo dopoguerra, non ci sono più. Galloni è morto oggi. Ha scritto libri
molto importanti sulla storia italiana durante il fascismo e la Repubblica
democratica. Così anche mio zio Achille
Ardigò, che con mio padre è stato la mia fonte privilegiata di informazioni sul
fascismo storico.
Di che si fa memoria il 25 Aprile, che ci
interessi veramente ancora? Che ragioni abbiamo di festeggiare?
Il 25 Aprile non celebra una vittoria militare, che indubbiamente vi fu
ma che fu conseguita con l’apporto determinante delle forze militari della
coalizione di quelli che venivano chiamati Alleati, vale a dire gli stati,
innanzi tutto Stati Uniti d’America, Unione Sovietica e Gran Bretagna, che
avevano dichiarato guerra alla Germania, all’Italia e ai loro alleati, ad
esempio la Croazia, la Romania, la Bulgaria, l’Ungheria, il Giappone. Si
celebra, in realtà, innanzi tutto, il
ripudio del fascismo come regime politico. Ripudio a significare che ci si distaccò da un'esperienza a cui si era stati molto legati, in cui si era creduto. La si riconobbe fonte di morte e di distruzione, per questo la si ripudiò.
La norma della Costituzione vigente che
sancisce quella posizione politica è l’art.11, ben più che la 12° Disposizione finale che vieta espressamente la riorganizzazione,
sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. L’art.11 della
Costituzione dichiara che l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla
libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali. Che c’entra il fascismo storico con la questione della guerra?
C’entra, perché il fascismo mussoliniano fu il partito della guerra, della rigenerazione del popolo italiano mediante la guerra. Voleva
fare degli italiani una nazione di soldati e lanciarla alla conquista di un
impero, nell’immaginare il quale si ispirava all’antico impero romano. Doveva
estendersi nella penisola balcanica fino alla Grecia e nell’Africa centro
orientale. Questo veniva considerato lo spazio
vitale per gli italiani: lo
teorizzarono Giuseppe Bottai, politico fascista, ministro durante il regime e
governatore di Addis Abeba, in Etiopia, ed altri, imitando teorici tedeschi. Il
fascismo promise agli italiani la guerra, cercò di prepararli ad essa, li
lanciò in guerra. Dalle guerre del fascismo, quelle coloniali e poi quella
mondiale, l’Italia uscì distrutta. La Repubblica democratica, sorta dalla
critica del fascismo, promise agli italiani la pace e pace gli italiani ebbero,
fino ad oggi. Come le guerre del fascismo furono un frutto di una politica,
così anche la pace della Repubblica democratica. Quindi, una prima ragione per
festeggiare è questa: per essere riusciti a mantenere la pace, mentre il
fascismo aveva promesso e dato guerra. E per decidersi personalmente, per il
futuro, per la guerra o per la pace, collettivamente perché guerra e pace sono
politiche e la politica è azione sociale, di molti.
Il fascismo mussoliniano vedeva nella guerra
un fattore di miglioramento del popolo italiano. Si era visto che nella Prima
guerra mondiale talvolta si era diffuso uno spirito cameratesco per cui,
combattendo, si superavano certi egoismi. Si pensava che potesse essere la
medicina per le divisioni che, nel dopoguerra, erano risorte, in particolare
tra capitalisti e lavoratori dipendenti. L’Italia degli anni Venti e Trenta era molto
popolosa e quella era l’epoca degli
eserciti di massa: avendo milioni di baionette si pensava di poter vincere. Ma la guerra è
sempre un atto di prepotenza, vista dalla parte di chi la subisce e perde. La si
giustificava con la superiorità culturale della nazione italiana, vista come
impegnata in una missione civilizzatrice. Il fascismo fu quindi razzista
all’origine, sebbene, inizialmente, non allo stesso modo del nazismo tedesco,
che considerava connotante innanzi tutto l’elemento biologico, etnico. Nel
corso degli anni Trenta il fascismo italiano seguì poi in questo l’alleato
tedesco. Questo aspetto dell’ideologia fascista è tuttora presente in Italia e
si è acuito a contatto con i migranti extraeuropei, ma anche con quelli
europei. Ogni ideologia che proclama una superiorità razziale conduce prima o
poi allo scontro, alla guerra, per la sottomissione o l’eliminazione dei gruppi
ritenuti inferiori. E’ solo andando contro qualcuno, facendogli guerra, che si può
riscoprire la solidarietà di patria? L’esperienza della Repubblica democratica
insegna che non è così. La festa del 25 Aprile è una occasione per rifletterci
sopra.
Molti di coloro che oggi si dicono, disinvoltamente, fascisti, non
vivono l’autentica ideologia fascista come era proposta durante il regime
mussoliniano. Si mascherano da fascisti, si atteggiano a bulli, fanno scorrerie
in bande contro chi è inferiore di forze o addirittura indifeso. Di fatto il
fascismo storico, in particolare nella sue esperienza di squadrismo e di milizia volontaria (l’istituzione
statale nella quale lo squadrismo fu ad un certo punto inquadrato e
militarizzato) fu anche questo. Ma al centro della mistica guerriera del fascismo (proprio una mistica fu teorizzata da Nicolò Giani, Arnaldo
Mussolini ed altri), era la dedizione di sé, il sacrificio estremo, per la
Patria fino alla morte. Essa era coerente con un regime che voleva lanciare gli
italiani in guerra. Il fascista era uno che voleva morire per la Patria, per
farla grande. L’ideologia fascista fu costruita a partire dall’arditismo, del movimento di coloro che
volevano continuare nell’agitazione sociale in tempo di pace le avventure
vissute con estremo sprezzo del pericolo in tempo di guerra. Il fascismo fu, in
fondo, un’ideologia di morte, e di simboli di morte si fregiavano le divise dei
suoi corpi militari e paramilitari. Tutto questa fascinazione per la morte fu
cancellata nell’esperienza della Repubblica democratica. Non è un motivo di far festa? Ma, ripeto, la pace
fu voluta e fu perseguita, non fu un risultato casuale, automatico dei tempi
nuovi. Tanto è vero che, ad esempio, gli
Stati Uniti d’America, potenza vincitrice della Secondo Guerra Mondiale, hanno
vissuto dal 1945 una serie continua di guerre, fino ai tempi nostri. Ed in
effetti alcuni aspetti dell’ideologia militaresca statunitense richiama quella
fascista. Dunque, questo è il dilemma del 25 Aprile: guerra o pace, morte o
vita? Benché la Resistenza, la lotta morale, ideologica, sociale, politica e militare contro il fascismo e
gli occupanti tedeschi protrattasi in Italia dal settembre 1943 all’aprile 1945, sia stata
anche (ma non solo) un’esperienza di guerra, quindi di morte, essa mirava alla pace, e la
pace realizzò in Europa, molto a lungo. Solo da pochi
anni la guerra si è affacciata di nuovo ai confini europei e sta diventando
argomento d’attualità. E
di nuovo si torna a parlare di fascismo in Europa. Non è casuale.
Negli anni ’70, al tempo dei miei quindici anni, il fascismo era ancora
una prospettiva concreta in Italia. C’era il modello di quello spagnolo di
Francisco Franco e di quello cileno di Augusto Pinochet. C’erano politici italiani
che in qualche modo a quelle esperienze si ispiravano e avevano anche i numeri,
come persone, per essere quel tipo di capi. Il fascismo spagnolo, detto
falangismo, non dispiaceva ad alcuni ambienti cattolici perché appoggiava le
istituzioni ecclesiastiche che non gli si opponevano. Ora è molto diverso. Ma,
a chi pensa il fascismo storico italiano in modo un po’ superficiale, quel
regime può avere ancora qualche attrattiva. Perché nel fascismo ognuno era
inquadrato rigidamente e in qualche modo era garantito in quanto italiano, e
finché rinunciava a dissentire. Ci furono molte provvidenze sociali per chi in
società stava peggio. Certo, tutto era in qualche modo finalizzato a lanciare
il popolo in guerra. Con il senno del poi, sapendo come si finì, si possono
facilmente trovare argomenti in contrario a quelle politiche. Ma se si perde
una visione complessiva, eliminato il senno del poi, facendosi affascinare dall’epica
del regime, che ancora traspare e giunge a noi attraverso molte pubblicazioni
apologetiche, allora può diventare diverso, specialmente quando si è più
giovani e l’emotività è forte. Il mito del giovanilismo che fu proprio del
regime fascista faceva appello appunto a questa condizione. Giovinezza, fu uno dei più noti canti
propagandistici del regime. Faceva:
Salve, o Popolo d'Eroi
Salve, o Patria immortale!
Son rinati i figli tuoi
Con la fé nell'ideale.
Il valor dei tuoi guerrieri,
La virtù dei pionieri
La vision de l'Alighieri
Oggi brilla in tutti i cuor.
Giovinezza, giovinezza,
Primavera di bellezza
Della vita nell’asprezza
Il tuo canto squilla e va!
Dell’Italia nei confini
Son rifatti gli Italiani,
Li ha rifatti
Mussolini
Per la guerra di domani,
Per la gioia del lavoro,
Per la pace e per l'alloro,
Per la gogna di coloro,
Che la Patria rinnegar.
Li ha
rifatti Mussolini / Per la guerra di domani: il senso del fascismo storico
è tutto qui. I giovani ai nostri tempi sono piuttosto strapazzati: studiano, ma
non si dà molto valore alla loro fatica scolastica; cercano lavoro e o non lo
trovano o lo trovano malpagato. Forse qualcuno può sognare veramente di essere rifatto al modo fascista, sia pure per una
guerra di domani. Davvero però non c’è altra via per cambiare di quella di farsi
rifare in quel modo? Il 25 Aprile
può essere l’occasione per ragionarci sopra.
Se ci si trova ad essere dalla parte di chi aggredisce e vince, è facile
assecondare certe idee bellicose proprie del fascismo. E se, però, ci si
trovasse nella parte di cui ha la peggio? E’ appunto questo che accadde agli italiani nella prima
metà degli anni Quaranta del Novecento,
nella catastrofe seguita alla guerra mondiale in cui il fascismo li aveva
gettati. In un certo senso è vero che la guerra li rifece. Cominciarono dal dissentire: anche di questo fu fatta la Resistenza. Da questa presa di coscienza scaturì la
Repubblica democratica.
Questo blog parla innanzi tutto a gente dell’Azione Cattolica.
Non dobbiamo dimenticare che fascismo e religione, ad un certo punto,
nel corso degli scorsi anni Venti e Trenta apparvero compatibili. Lo leggiamo anche
in un’enciclica sociale molto importante, denominata Il Quarantennale - Quadragesimo Anno, diffusa nel 1931 dal papa Achille Ratti, Pio
11° in religione:
92. Recentemente, come tutti
sanno, venne iniziata una speciale organizzazione sindacale e corporativa [il
corporativismo fascista], la quale, data
la materia di questa Nostra Lettera enciclica, richiede da Noi qualche cenno e
anche qualche opportuna considerazione.
93. Lo Stato riconosce giuridicamente il sindacato e non senza
carattere monopolistico, in quanto che esso solo, così riconosciuto, può
rappresentare rispettivamente gli operai e i padroni, esso solo concludere
contratti e patti di lavoro. L'iscrizione al sindacato è facoltativa, ed è
soltanto in questo senso che l'organizzazione sindacale può dirsi libera;
giacché la quota sindacale e certe speciali tasse sono obbligatorie per tutti
gli appartenenti a una data categoria, siano essi operai o padroni, come per
tutti sono obbligatori i contratti di lavoro stipulati dal sindacato giuridico.
Vero è che venne autorevolmente dichiarato che il sindacato giuridico non
escluse l'esistenza di associazioni professionali di fatto.
94. Le Corporazioni sono costituite dai rappresentanti dei
sindacati degli operai e dei padroni della medesima arte e professione, e, come
veri e propri organi ed istituzioni di Stato, dirigono e coordinano i sindacati
nelle cose di interesse comune.
95. Lo sciopero è vietato; se le parti non si possono accordare,
interviene il Magistrato.
96. Basta poca riflessione per vedere i vantaggi dell'ordinamento
per quanto sommariamente indicato; la pacifica collaborazione delle classi, la
repressione delle organizzazioni e dei conati socialisti, l'azione moderatrice
di une speciale magistratura. Per non trascurare nulla in argomento di tanta
importanza, ed in armonia con i principi generali qui sopra richiamati, e con
quello che inibito aggiungeremo, dobbiamo pur dire che vediamo non mancare chi
teme che lo Stato si sostituisca alle libere attività invece di limitarsi alla
necessaria e sufficiente assistenza ed aiuto, che il nuovo ordinamento
sindacale e corporativo abbia carattere eccessivamente burocratico e politico,
e che, nonostante gli accennati vantaggi generali, possa servire a particolari
intenti politici piuttosto che all'avviamento ed inizio di un migliore assetto
sociale.
97. Noi crediamo che a raggiungere quest'altro nobilissimo
intento, con vero e stabile beneficio generale, sia necessaria innanzi e
soprattutto la benedizione di Dio e poi la collaborazione di tutte le buone
volontà. Crediamo ancora e per necessaria conseguenza che l'intento stesso sarà
tanto più sicuramente raggiunto quanta più largo sarà il contributo delle
competenze tecniche, professionali e sociali e più ancora dei principi
cattolici e della loro pratica, da parte, non dell'Azione Cattolica (che non
intende svolgere attività strettamente sindacali o politiche), ma da parte di
quei figli Nostri che l'Azione Cattolica squisitamente forma a quei principi ed
al loro apostolato sotto la guida ed il Magistero della Chiesa; della Chiesa,
la quale anche sul terreno più sopra accennato, come dovunque si agitano e
regolano questioni morali, non può dimenticare o negligere il mandato di
custodia e di magistero divinamente conferitole.
Con quel documento
normativo il Papato di allora spinse i cattolici italiani, in particolare
quelli formatisi nell’Azione Cattolica, a collaborare con le istituzioni
fascista del lavoro. Approvò la repressione fascista dello sciopero, l’unico
mezzo collettivo di pressione contrattuale contro i datori di lavoro, e dei
movimenti socialisti. Del resto, nel 1929 il Papato aveva concluso con il Regno d’Italia,
rappresentato dal Mussolini, degli accordi denominati Patti Lateranensi, dai
quali aveva ricevuto un piccolo regno territoriale a Roma, la Città del
Vaticano, importanti indennizzi economici giustificati come risarcimento per i
danni subiti dalla soppressione del Regno Pontificio, nel 1870, e una posizione
di rilievo della Chiesa nelle istituzioni scolastiche italiane.
L’accordo si guastò a
partire dal 1938, a seguito della
legislazione fascista contro gli ebrei, e dal 1939, sotto il Papato di Eugenio
Pacelli, Pio 12° in religione, la distanziazione ideologia si venne facendo
sempre più marcata, a favore di concezioni democratiche in politica, in
particolare con una serie di radiomessaggi papali, in occasione delle festività
natalizie, tra il 1942 e il 1944, l’ultimo dei quali esplicitamente dedicato
alla democrazia.
Tuttavia nel periodo dell’intesa
ci fu una certa compenetrazione tra ideologia fascista e ideologia religiosa,
in molti campi. Questo è rimasto fino a noi, in genere inconsapevolmente, ad
esempio in certe concezioni maschiliste della famiglia. Ma anche nella simpatia
per uomini forti in grado di garantire una posizione di
privilegio alla religione e alle sue istituzioni.
Ragionandoci sopra,
naturalmente, compaiono anche molti elementi contrastanti tra le finalità del
fascismo storico e quelle della religione, le cui concezioni si sono fatte
sempre più universalistiche dagli scorsi anni Sessanta. Come può una ideologia
di guerra conciliarsi con la religione dell’amore universale? Di fatto
storicamente ciò è accaduto molte volte, senza particolari problemi. All’insegna
della religione è stata attuata, ad esempio, la conquista politica genocida
delle Americhe. I conquistatori ritenevano di avere il Cielo dalla loro parte. “Dio è con noi” era scritto sulle fibbie dei militari
tedeschi, anche in epoca nazista. Il cantautore statunitense Bob Dyal ci
scrisse sopra una canzone, “With God on
our side”, “Con Dio dalla nostra parte”, osservando che nelle guerre di
conquista gli statunitensi avevano pensato sempre di aver il Cielo dalla loro
parte. Ora generalmente, tra i cattolici, si ritiene che stia dalla parte degli
sconfitti. Abbiamo molto cambiato
mentalità. Ma è cosa che va continuamente riscoperta. Il 25 Aprile può essere l’occasione
per cominciare a pensarci.
La Cresima, che vorrebbe
abilitare ad una fede adulta, si riceva verso i 13 anni: troppo presto perché
il cresimando sia sensibile a discorsi di politica. A 15 anni molti hanno già
abbandonato la vita religiosa, alcuni la
riscopriranno poi da ventenni o più in là. Dunque si inizia a fare politica
senza tanti scrupoli religiosi. Eppure quando la politica diviene questione di
vita o di morte, come accade nella decisione sul fascismo, certi temi religiosi
potrebbero ritornare alla mente. A me accadde, da quindicenne. Questo mi
indusse a non legarmi presto ad alcuna ideologia, in particolare con quelle che
andavano per la maggiore tra i miei coetanei e che erano per lo più basate
sulla contrapposizione violenta. Più in là con gli anni la coscienza si fa
comunque sentire. Oggi siamo tanto più istruiti che al tempo del fascismo,
anche se, superficialmente, non ce ne rendiamo conto. Questo rende più facile
affrontare certi ragionamenti. La scuola, in epoca democratica, ha funzionato
bene. Ma, come sotto il fascismo storico, si può essere tentati dal
conformismo, da fare come gli altri, e questo specialmente da più giovani,
quando non si è ancora sviluppata una personalità più decisa.
Se uno riesce a mantenere
o a riacquistare una sensibilità religiosa, può effettivamente entrare in
sintonia con ciò che si festeggia il 25 Aprile, anche se è molto giovane, ad
esempio quindicenne, appena aperto all’esperienza politica.
Il 25 Aprile può essere l’occasione
per una presa di coscienza e per una scelta di campo. Morte o vita? Conformismo, spirito gregario, sequela del capo o autonomia di coscienza nel decidere secondo valori e spirito critico? Guerra o pace? Religione di pace o ideologia di guerra?
Questioni importanti, come si capisce facilmente. Da vivere, però,
collettivamente: questo è il senso della festa.
Qual è il senso della mia presenza nella società di oggi? Passo come l’angelo
della morte per gli altri o l’angelo della pace? L’angelo è colui che annunzia
ciò che è al di sopra e all’origine di quello che accade. Che annunciamo alla
società di oggi? Qual è il nostro destino in mezzo e insieme agli altri?
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte
Sacro, Valli