Giurisfera
Nei giorni scorsi in parrocchia si è
riorganizzato il Consiglio pastorale secondo il nuovo statuto di papa
Francesco. Si è iniziato, mi è stato riferito, in un clima molto positivo. Potrà essere l’occasione per
riprendere progressivamente un tirocinio di azione sociale.
I cattolici sono stati molto importanti nella
politica italiana del secondo dopoguerra, vale a dire dal termine dalla Seconda
guerra mondiale. Hanno improntato dei loro valori la nuova Repubblica.
Nel MEIC – Movimento ecclesiale di impegno
culturale del Lazio (un tempo si chiamava Movimento dei Laureati
cattolici ed era parte dell’Azione
Cattolica) quest’anno rifletteremo su quella storia e proveremo a pensare come
proseguirla, questo in vista della Settimana sociale sul tema “Al cuore
della democrazia” che si terrà a Trieste dal 3 al 7 luglio.
In genere mi pare che si sia persa
dimestichezza con quest’impegno, che il papa Pio 11°, rivolgendosi nel 1927
agli universitari della Federazione universitaria cattolica italiana, definì
«il campo
della politica, che riguarda gli interessi di tutta la società, e che sotto
questo riguardo è il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui
si potrebbe dire null'altro, all'infuori della religione, essere superiore»
I
giovani talora si chiedono se, cattolici come sono, non debbano fare alcuna
politica. Ed ecco che, dedicando il loro studio ai suddetti argomenti, vengono
a porre in se stessi le basi della buona, della vera, della grande politica,
quella che è diretta al bene sommo e al bene comune, quello della polis,
della civitas, a quel pubblico bene, che è la suprema lex a cui
devono esser rivolte le attività sociali. E così facendo essi comprenderanno e
compieranno uno dei più grandi doveri cristiani, giacché quanto più vasto e
importante è il campo nel quale si può lavorare, tanto più doveroso è il
lavoro. E tale è il campo della
politica, che riguarda gli interessi di tutta la società, e che sotto questo
riguardo è il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si
potrebbe dire null'altro, all'infuori della religione, essere superiore. È
con questo intendimento che i cattolici e la Chiesa debbono considerare la
politica; poiché la Chiesa e i suoi rappresentanti, in tutti i gradi di tal
rappresentanza, non possono essere un partito politico, né fare la politica di
un partito, il quale per natura sua attende a particolari interessi, o se pur
mira al bene comune, sempre vi mira dietro il prisma di sue vedute particolari.
[Papa Pio 11° - discorso del
18-12-27]
La
Repubblica democratica e poi l’Unione Europa ci ha inseriti in un contesto
politico di giurisfera, caratterizzato dalla sicurezza nel
riconoscimento dei diritti fondamentali della persona in tutti i campi, sia in
quello pubblico che in quello privato, compresi molti diritti sociali, che sono
quelli per cui si è assistiti nelle difficoltà della vita, in particolare nella
malattia e nella vecchiaia. Non si tratta solo di enunciazioni formali e
programmatiche, ma pretese che possono essere fatte valere effettivamente attraverso
i meccanismi giudiziari, e che per questo definiamo giustiziabili.
Questa situazione ci ha illusi di poter fare
tutto da noi, senza associarci per influire sulla società. Da qui poi una certa
disaffezione a tutte le istituzioni partecipative del passato, compresa anche quella
ecclesiale.
La politica viene vissuta quindi con una
certa superficialità, nella convinzione che, comunque vadano le cose, rimarremo
protetti nella giurisfera. Le campagne elettorali si fanno quindi
puntando all’emotività della gente, sia sulle sue paure che sulla sua avidità,
promettendo protezione ed elargizioni. Spesso non si riesce a distinguerle dai sondaggi
demoscopici e sono organizzate con gli stessi metodi delle campagne
pubblicitarie.
Questo è divenuto particolarmente sensibile
dall’inizio degli anni ’90, all’inizio di un’epoca in cui l’Europa è profondamente
cambiata.
E’ molto interessante, su questi temi, studiare un documento molto importante della
dottrina sociale, vale a dire l’enciclica Il Centenario – Centesimus annus promulgata
dal papa Giovanni Paolo 2° nel 1991, in occasione dei cent’anni dalla prima
enciclica sociale dell’era contemporanea, la Delle novità – Rerum
novarum del 1891. La trovate qui sul WEB:
Il Papa all’epoca ci chiamò a un rinnovato
impegno nella società per costruire una nuova Europa
28. Per alcuni Paesi di Europa inizia, in un certo
senso, il vero dopoguerra. Il radicale riordinamento delle economie, fino a
ieri collettivizzate, comporta problemi e sacrifici, i quali possono esser
paragonati a quelli che i Paesi occidentali del Continente si imposero per la
loro ricostruzione dopo il secondo conflitto mondiale. È giusto che nelle
presenti difficoltà i Paesi ex-comunisti siano sostenuti dallo sforzo solidale
delle altre Nazioni: ovviamente, essi devono essere i primi artefici del proprio
sviluppo; ma deve esser data loro una ragionevole opportunità di realizzarlo, e
ciò non può avvenire senza l'aiuto degli altri Paesi. Del resto, la presente
condizione di difficoltà e di penuria è la conseguenza di un processo storico,
di cui i Paesi ex-comunisti sono stati spesso oggetto, e non soggetto: essi,
perciò, si trovano in tale situazione non per libera scelta o a causa di errori
commessi, ma in conseguenza di tragici eventi storici imposti con la violenza,
i quali hanno loro impedito di proseguire lungo la via dello sviluppo economico
e civile.
L'aiuto degli altri Paesi soprattutto europei, che
hanno avuto parte nella medesima storia e ne portano le responsabilità,
corrisponde ad un debito di giustizia. Ma corrisponde anche all'interesse ed al
bene generale dell'Europa, che non potrà vivere in pace, se i conflitti di
diversa natura, che emergono come conseguenza del passato, saranno resi più
acuti da una situazione di disordine economico, di spirituale insoddisfazione e
disperazione.
Questa esigenza, però, non deve indurre a
rallentare gli sforzi per il sostegno e l'aiuto ai Paesi del Terzo Mondo, che
soffrono spesso di condizioni di insufficienza e di povertà assai più gravi.59 Sarà
necessario uno sforzo straordinario per mobilitare le risorse, di cui il mondo
nel suo insieme non è privo, verso fini di crescita economica e di sviluppo
comune, ridefinendo le priorità e le scale di valori, in base alle quali si
decidono le scelte economiche e politiche. Ingenti risorse possono essere rese
disponbili col disarmo degli enormi apparati militari, costruiti per il
conflitto tra Est e Ovest. Esse potranno risultare ancora più ingenti, se si
riuscirà a stabilire affidabili procedure per la soluzione dei conflitti,
alternative alla guerra, ed a diffondere, quindi, il principio del controllo e
della riduzione degli armamenti anche nei Paesi del Terzo Mondo, adottando
opportune misure contro il loro commercio.60 Ma
soprattutto sarà necessario abbandonare la mentalità che considera i poveri —
persone e popoli — come un fardello e come fastidiosi importuni, che pretendono
di consumare quanto altri han prodotto. I poveri chiedono il diritto di
partecipare al godimento dei beni materiali e di mettere a frutto la loro
capacità di lavoro, creando così un mondo più giusto e per tutti più prospero.
L'elevazione dei poveri è una grande occasione per la crescita morale,
culturale ed anche economica dell'intera umanità.
29. Lo sviluppo, infine, non deve essere inteso in
un modo esclusivamente economico, ma in senso integralmente umano. Non si
tratta solo di elevare tutti i popoli al livello di cui godono oggi i Paesi più
ricchi, ma di costruire nel lavoro solidale una vita più degna, di far crescere
effettivamente la dignità e la creatività di ogni singola persona, la sua
capacità di rispondere alla propria vocazione e, dunque, all'appello di Dio, in
essa contenuto. Al culmine dello sviluppo sta l'esercizio del diritto-dovere di
cercare Dio, di conoscerlo e di vivere secondo tale conoscenza. Nei regimi
totalitari ed autoritari è stato portato all'estremo il principio del primato
della forza sulla ragione. L'uomo è stato costretto a subire una concezione
della realtà imposta con la forza, e non conseguita mediante lo sforzo della
propria ragione e l'esercizio della propria libertà. Bisogna rovesciare quel
principio e riconoscere integralmente i diritti della coscienza umana, legata
solo alla verità sia naturale che rivelata. Nel riconoscimento di questi
diritti consiste il fondamento primario di ogni ordinamento politico
autenticamente libero. È importante riaffermare
tale principio per vari motivi:
a)
perché le antiche forme di totalitarismo e di autoritarismo non sono ancora del
tutto debellate, ed esiste anzi il rischio che riprendano vigore: ciò sollecita
ad un rinnovato sforzo di collaborazione e di solidarietà tra tutti i Paesi;
b)
perché nei Paesi sviluppati si fa a volte un'eccessiva propaganda dei valori
puramente utilitaristici, con la sollecitazione sfrenata degli istinti e delle
tendenze al godimento immediato, la quale rende difficile il riconoscimento ed
il rispetto della gerarchia dei veri valori dell'umana esistenza;
c)
perché in alcuni Paesi emergono nuove forme di fondamentalismo religioso che,
velatamente o anche apertamente, negano ai cittadini di fedi diverse da quelle
della maggioranza il pieno esercizio dei loro diritti civili o religiosi,
impediscono loro di entrare nel dibattito culturale, restringono il diritto
della Chiesa a predicare il Vangelo e il diritto degli uomini, che ascoltano
tale predicazione, ad accoglierla ed a convertirsi a Cristo. Nessun autentico
progresso è possibile senza il rispetto del naturale ed originario diritto di
conoscere la verità e di vivere secondo essa. A questo diritto è legato, come
suo esercizio ed approfondimento, il diritto di scoprire e di accogliere
liberamente Gesù Cristo, che è il vero bene dell'uomo.
In questo nuovo lavoro i cristiani dell’Europa
occidentale sono sono stati protagonisti, portando a compimento un’unione
politica continentale con lo scopo principale di realizzare un ordine pacifico
e benefico tra popoli che si erano aspramente combattuti fin dall’antichità. Ad
un certo punto, però le cose hanno iniziato a cambiare, fino ad arrivare ad
oggi in cui essi, nonostante una perdurante capacità di interdizione politica,
nel senso che sono in grado di bloccare l’approvazione di certe norme, sono
diventati politicamente irrilevanti per tutto il resto. In altre parole: la
società è progettata a prescindere da loro.
In Italia il fenomeno è diventato più marcato
verso la fine del primo decennio del nuovo Millennio e particolarmente acuto in
occasione di una gravissima crisi, con risvolti anche politici, del Papato
romano, che portò alla rinuncia al Papato da parte di Joseph Ratzinger,
protagonista con il suo predecessore della stagione ecclesiale apertasi nel
1985, con il Sinodo che fece il punto sull’attuazione dei principi del Concilio
Vaticano 2°, in occasione dei vent’anni dalla sua conclusione.
L’idea che associarsi per l’azione sociale
non serva più è stata smentita dall’esperienza.
La situazione dei lavoratori dipendenti,
indicati nella Delle novità - Rerum
novarum come proletari, con
termine tratto dal socialismo, si è progressivamente deteriorata nel campo dei
diritti sociali. Il lavoro si è fatto più precario, i salari hanno perso potere
d’acquisto, i giovani non riescono a trovare casa a prezzi compatibili con i propri redditi, la sanità pubblica si è
deteriorata a vantaggio di quella privata, accessibile solo a chi può pagare, e
altri servizi pubblici hanno seguito le stesse dinamiche. Si è determinata una sempre
più marcata concentrazione della ricchezza in poche mani, in mancanza di quella
che un tempo veniva indicata come politica dei redditi. Ma non si tratta
solo di questo: è scoppiata una nuova guerra europea in Ucraina, che vede combattere Stati Uniti d’America e Unione
Europea contro la Russa post-sovietica. Non c’entra più il marxismo. Nei due
fronti regna l’economia capitalista. Si tratta puramente di politiche di
potenza. Le parti belligeranti confidano
di poter tenere limitato il conflitto, mentre fino alla fine degli anni ’80 si
pensava che una guerra europea che coinvolgesse l’esercito russo sarebbe sfociata
in una catastrofe nucleare. Ma si vede bene, invece, che la possibilità di un’estensione
del conflitto a tutto il continente è sempre più concreta, in particolare man
mano che l’esercito ucraino perde posizioni, come era facilmente prevedibile
data la sproporzione del numero dei combattenti.
Ma che si può fare?
Ogni persone è ormai confinata nel proprio
micromondo e non ha idea di come incidere al di fuori di esso. Questa è una
notevole differenza rispetto alla vita sociale e politica che caratterizzava l’Italia
fino alla fine degli anni ’80.
La giurisfera che circonda e protegge i
cittadini europei sta svanendo, man mano che si fa strada l’ideologia bellica e
che l’economia capitalista è sempre meno governata.
Gli
storici, riflettendo sulle cause della Prima guerra mondiale, che sconvolse l’Europa
tra il 1914 e il 1918, e anche allora tante cose cambiò, capirono che la
decisione della catastrofe fu presa da una decina di persone. In qualche modo quella
situazione si sta riproponendo.
La lunga pace europea alla quale noi italiani
siamo stati abituati si basava anche sull’attivismo di massa, che esercitava
una pressione sulla politica. Era ciò che si intese bene tra i cattolici all’inizio
del Novecento, quando il Papato, di fronte alla grande riforma del suffragio
universale maschile, svincolato quindi da livelli minimi di reddito e di
istruzione, abbandonò lo sconsiderato interdetto alla gente che le vietava di
partecipare alle elezioni politiche nazionali nel nuovo Regno d’Italia. Questo
fu decisivo nella fondazione dell’Azione Cattolica, che anche oggi, pur ridimensionata
a circa 250.000 aderenti, rimane la
maggiore scuola politica nazionale.
Certo, i cattolici italiani sono profondamente
divisi sui temi sociali e politici, e l’unità di una volta, imposta dal Papato,
non è più recuperabile. Del resto essa era anche umiliante per la gente, la stragrande maggioranza, che non
aveva scelto di legarsi a particolari vincoli d’obbedienza con la gerarchia
ecclesiastica. Eppure ci sono valori ancora condivisi, sia pure con diverse
accentuazioni. Essi possono avere un notevole impatto sociale. Ma perché ciò
avvenga occorre riorganizzarsi in forme nuove, tutte da ripensare. E, per
partire, occorre prendere coscienza delle cose della società, cercando di essere
meno superficiali di fronte alla mera propaganda. Poi si deve cominciare a pensare
non solo al proprio bene, ma anche a quello altrui, finanche a quello
degli avversari. Un esercizio non facile, ma è proprio su di esso che si basa l’idea
di un bene comune, che è stata sempre al centro della dottrina sociale.
Ed è importante ricominciare a fare cultura
su questi temi, perché le
organizzazioni di massa, dove non sono più possibili le relazioni
interpersonali forti che caratterizzano i piccoli gruppi, hanno bisogna proprio
di cultura per essere edificate.
Però, paradossalmente, la cultura scaturisce sempre da relazioni forti in gruppi di
prossimità, piccoli gruppi: è l’esperienza di sempre. Guardiamo all’esempio evangelico,
che vide protagonista un piccolo gruppo di tredici persone, dodici più un
Maestro.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli