I cristiani e la politica
Giovedì
prossimo, l’antico assistente del gruppo degli universitari cattolici a cui
partecipai da giovane, Ignazio Sanna, guiderà, in videoconferenza Zoom per il gruppo del Lazio del Meic - Movimento ecclesiale di impgno culturale, una riflessione sul tema “I
cristiani e la politica”. E’ un professore universitario di antropologia teologica, una branca della teologia, ed è stato a lungo arcivescovo in
Sardegna, a Oristano. Un maestro per generazioni di studenti e ricercatori e poi padre e maestro del popolo della sua
Diocesi.
La politica è il governo della società e
tutte le persone vi partecipano, in qualche modo, a partire da quando, già da
bambini, prendono a interagire fuori del controllo materno, o comunque di chi
svolge quel ruolo. E questo indipendentemente da come sono strutturate, in un
certo tempo, le istituzioni. La politica, come il suo diritto, come più in
generale la cultura di una società, ed anche le religioni, nascono dalle
interazioni sociali nelle popolazioni umane. Questo spiega perché anche i
sovrani assoluti e i despoti tengono sempre sott’occhio il consenso sociale e
cercano di mantenerlo con vari metodi, dalle elargizioni populistiche alla
violenza, passando per il controllo pervasivo dei canali informativi della
gente.
Questo aspetto è stato sempre centrale nello sviluppo dei cristianesimi, fin
dalle origini, e questo anche se indubbiamente non lo è nella predicazione del
Maestro. E’ con lo sviluppo, dagli anni Trenta del Primo secolo, delle nostre
prime comunità, nelle quali le persone ad un certo punto accettarono di definirsi
cristiane, sembra a partire dalla vita religiosa in Siria, che la
politica, a cominciare da quella ecclesiale, viene sempre più in rilievo.
Questo emerge in particolare negli scritti neotestamentari attribuiti a Paolo
di Tarso, i più antichi del Nuovo Testamento.
Nei quattro Vangeli normativi per la nostra
fede, invece, la politica non c’è. Il Maestro non manifestò di voler essere un
capo politico e, nonostante si sia convinti che ci volle aggregati in comunità
strutturate, personalmente ne fondò alcuna. Girava predicando per la
Palestina, a partire dalle terra di
origine, la Galilea, intorno al lago di Genesaret o Tiberiade, detto anche mare.
I primi suoi seguaci venivano indicati come nazorei:
Cinque giorni dopo
arrivò il sommo sacerdote Anania insieme ad alcuni anziani e a un avvocato, un
certo Tertullo, e si presentarono al governatore per accusare
Paolo. Quando questi fu fatto venire, Tertullo cominciò l'accusa dicendo:
"La lunga pace di cui godiamo, grazie a te, e le riforme che sono state
fatte in favore di questa nazione, grazie alla tua provvidenza, le
accogliamo in tutto e per tutto, eccellentissimo Felice, con profonda
gratitudine. Ma, per non trattenerti più a lungo, ti prego, nella tua
benevolenza, di ascoltarci brevemente. Abbiamo scoperto infatti che
quest'uomo è una peste, fomenta disordini fra tutti i Giudei che sono nel mondo
ed è un capo della setta dei nazorèi [nel greco
neotestamentario Ναζωραίων, si legge Nazoràion] Ha perfino tentato di profanare il
tempio e noi l’abbiamo arrestato. Interrogandolo, potrai sapere di persona da
lui tutte queste cose delle quali noi lo accusiamo”. Si associarono all’accusa
anche i Giudei, affermando che i fatti stavano così.
[Dagli
Atti degli apostoli, capitolo 24, versetti da 1 a 9 – At 24, 1-9]
Sull’origine e sul significato del nome nazorei
si discute. Così se ne riferisce alla voce Nazarei dell’Enciclopedia
Treccani on line https://www.treccani.it/enciclopedia/nazarei_(Enciclopedia-Italiana)/ :
È questo, del resto, il nome col quale è
distinto Gesù stesso nel Nuovo Testamento, dove la forma ‘Ιησοῦς ὁ Ναζωραῖος
coesiste a parità di diritti con quella ‘Ιησοῦς ὁ Ναζαρηνός. Ma il nome di
Nazarei o Nazareni applicato ai cristiani deriva dall’epiteto di Gesù, o essi l’hanno
in comune con questo? E quale significato ha l’epiteto stesso di Gesù? Gli
studiosi conservatori, specialmente i cattolici, suffragando i dati della
tradizione, ricollegano l’epiteto di Gesù al nome della città di Nazareth
(anche E. Meyer è di questo parere) e affermano che i cristiani furono
chiamati nazareni perché seguaci di un nazareno; i
critici d’altra tendenza sono pressoché concordi nel negare che l’epiteto di
Gesù abbia alcun rapporto con la città di Nazareth; taluni affermano che il
nome nazareno è quello di una setta alla quale avrebbero
appartenuto così Gesù come i suoi seguaci.
Di fatto, dalle
informazioni contenute nel Vangeli risulta che Gesù, prima di iniziare la sua
attività pubblica di Maestro itinerante, abitasse a Nazareth, in Galilea. Ma
nemmeno lì creò una comunità strutturata, ad esempio lasciandovi dei propri
delegati.
Certamente, dopo la sua morte, aggregandosi
comunità nel suo nome, molto presto si presentarono e furono risolti problemi
politici. Ne sono piene le lettere attribuite a Paolo di Tarso e agli altri
apostoli. Purtroppo si tratta di un’epoca che, a parte quegli scritti, ci ha
lasciato scarsissime altre fonti. Una di queste, molto importante proprio per
le questioni politiche, è la lettera che
vescovo di Roma Clemente, in carica tra l’88 e il 97, scrisse ai cristiani di
Corinto, in Grecia.
Maggiori notizie sul tema cominciano ad
aversi dalla metà del Terzo secolo, con
lo sviluppo di processi sinodali volti al governo ecclesiale, nei quali sono
protagonisti i vescovi monarchici insieme ad altre figure ecclesiastiche e non.
Il problema del governo delle istituzioni
pubbliche dello stato divenne poi anche un problema ecclesiastico dal Quarto
secolo, quando, a seguito delle spettacolari riforme attuate dall’imperatore romano
Costantino I, in realtà originario
di Nasso, nell’attuale Serbia, e dai suoi successori, i vescovi
cristiani, e anche quello di Roma, divennero funzionari pubblici.
In un lungo processo tra l’Ottavo e il Dodicesimo
secolo il Papato romano, sviluppatosi dalla burocrazia organizzata intorno al
vescovo di Roma, si affrancò dal dominio
imperiale degli imperatori romani e romano germanici rivendicandone per
sé uno analogo. La teologia universitaria ibridata con la giurisprudenza universitaria, che
iniziarono a svilupparsi in Europa dal Dodicesimo secolo, ne costruirono le
basi culturali, teologiche e politiche. Il monachesimo benedettino, in
particolare quello della confederazione monastica che faceva riferimento al
potere dell’abate di Cluny, nella regione francese della Borgogna.
Il
fondamento ideologico di questo sviluppo fu la cristologia, organizzata dogmaticamente
in un lungo e travagliatissimo processo tra il Quarto e il Settimo secolo. Essa
reca chiare tracce della sua origine politica.
Il termine di origine dal greco antico Cristo
è la traduzione di Messia, parola
italianizzata per rendere l’aramaico məšīaḥ e l’ebraico māšīāḥ, e che significa unto, nel senso di
incaricato dal Cielo di una autorità a beneficio del popolo.
Sto
leggendo di David Banon, Il messianesimo, Giuntina 2000, che spiega il
significato del movimenti messianici nell’ebraismo. I cristianesimi si sono
sviluppati seguendo quell’idea, di un inviato dal Cielo per la salvezza del
popolo. Nella costruzione della cristologia, tuttavia, si è creato, nella
figura di Gesù come il Cristo, un legame particolare tra l’autorità celeste
e quella terrena, nella figura del Vicario del Cristo, inizialmente ricondotta al
vescovo monocratico, poi divenuta
esclusiva dell’imperatore e, dal secondo Millennio, rivendicata in via esclusiva
del Papa di Roma.
La
figura degli imperatori romani precristiani era stata divinizzata, ma nel senso
in cui la divinità veniva intesa nel politeismo greco-romano: espressione di un
potere di grande risalto, ma non l’unico
del suo genere. Nel monoteismo ebraico cristianizzato, invece, la divinità
non ha pari, è sovrana in Cielo e sulla Terra ed è unica. E tuttavia è
anche incarnata, espressa in un
uomo, il Cristo, e, proprio per questo, è vicariabile in un altro uomo, il quale, in quanto Vicario,
impersona un potere sovrano quanto
quello del Cielo sulla Terra. Il mandato che riceve è analogo a quello che gli
apostoli ricevettero dall’uomo-Dio, Gesù il Cristo. Il rito di investitura del Vicario è
un’unzione, in senso proprio e liturgico. In questo modo furono
strutturate le liturgie di investitura dei sovrani cristianizzati.
Questa
grandiosa costruzione politica entrò in crisi con lo sviluppo delle democrazie
contemporanee, dalla fine del Settecento, che si basano sul ripudio della
sovranità intesa in quel senso, come correlato della progressiva sempre
maggiore affermazione della dignità della persona umana come limite ad ogni
potere, pubblico e privato, che nella nostra Unione Europea ha la più eclatante
manifestazione, senza precedenti nella storia dell’umanità.
Da qui
il problema tra i cristiani e la politica, che è essenzialmente quello del
rapporto tra i cristianesimi e le democrazie avanzate.
Si
tratta di questioni che sfuggono alla religiosità dei più, orientata in genere
verso una superficiale spiritualità emotiva e quasi bambinesca, che è al centro
della predicazione per il popolo dei fedeli. Del resto in genere la formazione religiosa
ricevuta durante il catechismo per la
Prima Comunione, quindi da bambini, al tempo della scuola primaria, è l’unica
che la gente, in Italia, riceve nella sua vita.
Negli
ultimi decenni, poi, si è anche affermata l’idea di religiosità come medicina
dell’anima, quindi come metodo di tranquillizzazione e rasserenamento interiore, centrato
sulla fantasiosa immagine del Maestro come una specie di psicoterapeuta o addirittura
yoghi, quanto mai distante dalla figura che, al contrario, se ne può ricavare
dalle narrazioni evangeliche.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro Valli