INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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giovedì 29 febbraio 2024

Religiosità adulta

Religiosità adulta

 

  All’inizio del nuovo Millennio, ricordo che ci fu una polemica sui “cristiani adulti” nella quale l’aggettivo “adulto” veniva inteso come “indisciplinato”. Ai pastori piace la gente che si lascia guidare, fa quello che le si dice e sta dove le viene detto di stare, un po’ come si vorrebbe che si comportassero i bimbi. Sono insofferenti verso chi obietta. Si mostrano poco convinti dell’insegnamento del Concilio Vaticano 2º, dove si convenne che essi non sono buoni a tutto e che anche l’altra gente di fede può, e anzi deve, dare una mano: in questo consiste appunto la sinodalità come oggi la si immagina. E questo senza bisogno di dover fantasticare su un senso per la fede per il quale una persona per virtù soprannaturale saprebbe intuire in chi e in che cosa fidarsi nelle questioni religiose. Dicono che ci sia, ma allora com’è, ci si può chiedere, che storicamente si è ritenuta indispensabile tanta e così efferata violenza per tenere in riga la gente?

  La fede bambina stufa presto, anche se non sempre è così.

  In particolare le persone giovani sanno, in questo caso veramente per intuito,  che il loro compito è crescere, non rimanere piccole. Siamo organismi biologici, e questo è scritto nella nostra fisiologia.

  Da persone adulte in genere si capiscono meglio il mondo e la vita in esso, e non corrispondono alle storie che ci raccontavano da bambini. C’è chi non lo sopporta e vorrebbe regredire: addirittura questo talvolta è presentato come virtuoso, il credere come bambini.

  Nella mia esperienza il  credere c’entra poco, anche se una persona può cercare di sforzarsi di farlo.

  Il fatto è che noi non vediamo e non ci si può fare nulla. Certo, in natura ci sono molte cose che non vediamo, ma si tratta di tutt’altro. 

  La biologia ci ha insegnato molte cose su come siamo fatti e su come funziona la nostra mente. Quest’ultima è legata al nostro corpo molto più intensamente di come un tempo si era portati ad ammettere. Così, sforzandosi di credere, si può cadere in abbagli  clamorosi. Una persona adulta si sforza di mantenere, come si dice, i piedi a terra.

  La religiosità è una manifestazione della nostra mente che ci è necessaria per organizzare la vita sociale, al pari del diritto. È anche espressione della nostra emotività, che è un potente  strumento di comprensione e di orientamento nella decisione, i teologi ne parlano come di discernimento. È tanto vero che i regimi ateistici promuovono una propria religiosità alternativa, non teistica. Non ho mai conosciuto una persona che ne potesse fare a meno, a parte alcune persone la cui mente vacillava o si era spenta del tutto.

  Ma certamente la mia religiosità è profondamente diversa da quella di quand’ero bambino.  Ci metto molta meno fantasia. Ma così mi è molto più appagante. Del resto i maestri di spiritualità, ad esempio Ignazio di Lojola, proprio a questo ci guidano, a fare a meno dell’immaginazione.

  Se non si cresce, poi non si riesce a partecipare alla sinodalità,  che è fatta per persone adulte.

  L’età aumenta senza che ci si possa fare nulla, la nostra fisiologia muta e con essa anche la nostra mente. C’è chi si sforza di illudersi, ma, per quanto ci si provi, è difficile che il tentativo soddisfi.  Così, se ci si vuole mantenere religiosi bisogna crescere.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

mercoledì 28 febbraio 2024

Natura, cultura, tradizione

 

Natura, cultura, tradizione

 

   Incontro persone mie coetanee le quali da tempo hanno perso dimestichezza con la religione e la cercano come le venne spiegata quand’erano molto piccole. Per molta gente il catechismo dell’infanzia rimane l’unico della sua vita.

 

Quando ero bambino

parlavo da bambino,

come un bambino

pensavo e ragionavo.

Da quando sono un uomo

ho smesso di agire così.

Ora la nostra visione è confusa,

come in un antico specchio;[…]

[dalla Prima Lettera ai Corinzi di Paolo, capitolo 13, versetti 11 e 12 – 1Cor, 13, 1-12 – versione TILC – Traduzione interconfessionale in lingua corrente]

 

  Da persone adulte dobbiamo dismettere le illusioni di                       quando si è bambini. Questo però  non significa abbandonare la fede.

  La fede è un modo di orientarsi nel mondo intorno a noi e naturalmente da grandi lo si deve fare in un modo diverso da quando si era piccoli.

  Nelle cose della fede c’è una grande cultura, che però i più sembrano ignorare. Così la loro religiosità è superficiale.

  La persona religiosa non è per statuto un’illusa. Tutt’altro. Però certamente lo si può rimanere, e  non averne neanche la colpa. Questo accade talvolta ai più anziani: si tratta di generazioni ancora poco scolarizzate da giovani. Le persone più giovani, invece, hanno avuto una migliore scolarizzazione, che però nella prima formazione religiosa viene in genere ignorata.

 Da persona adulte bisogna saper distinguere tra natura  e cultura.

  La cultura  è un fatto sociale ed è costituita fondamentalmente di narrazioni e di costumi. Religione e diritto sono fatti di questo: sono fenomeni affini, molto vicini. Diciamo che, al dunque hanno la stessa origine, funzione e consistenza.

 La natura  è tutto ciò che in noi e intorno a noi non è cultura. Anche la nostra fisiologia è natura. In particolare sono natura  le nostre emozioni, che sono molto importanti nella comprensione del mondo in cui viviamo, perché la nostra mente comprende emotivamente.

 Siamo divenuti capaci di cultura  per l’evoluzione della fisiologia della nostra mente.

 Anche la tradizione  è cultura. Ci orientiamo tenendo conto di quello che s’è sempre fatto più  o meno nello stesso modo fin da epoche remote.

  Comprendiamo la natura cercando di rappresentarne le dinamiche in elementi culturali. In questo modo le attribuiamo un senso  che in sé non avrebbe. Dobbiamo esserne consapevoli.

 Le immagini religiose delle quali sono piene Scritture  e liturgie ci provengono da una lunga tradizione culturale. La loro verità  non sta però in questo essere state tramandate fin da epoche remote. E nemmeno nel rappresentare realisticamente fatti della natura. Bensì nella capacità di essere un elemento unitivo in un contesto sociale. Questo  l’aspetto veramente caratterizzante di una verità.

 La natura  resiste alla nostra tendenza sociale a costruire verità e anche di questo dobbiamo essere consapevoli. La natura e le sue dinamiche possono solo essere osservate per studiare come si presentano. Quanto più la cultura si basa su osservazioni sistematiche della natura, tanto più è affidabile  per comprenderla. Però le nostre società non si basano solo su questo, ma anche su religione e diritto, che in molti aspetti sono basati su elementi mitici. Il mito  è una narrazione culturale semplificata e carica di elementi emotivi che serve a rendere il senso  di certi eventi che ci riguardano.  Il mito funziona nella costruzione sociale anche se non si basa su osservazioni sistematiche della natura. Ad esempio, le narrazioni religiose sulla condizioni del primo uomo  e della prima donna  prima della Caduta e sul bel giardino in cui vivevano hanno natura mitica. 

 Anche le nostre società, compresa la nostra Chiesa, possono essere studiate come elementi naturali. Ci pensano antropologia e sociologia. Sotto questo aspetto, la situazione della nostra Unione Europea è profondamente diversa da tutto ciò ce c’è nel resto del mondo, e questo, in particolare nelle sue manifestazioni religiose.  

 Esercitarsi a distinguere natura, cultura e tradizione è molto importante per non avere una fede superficiale, da bambini.

Mario Ardigò – Azione cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

 

 

venerdì 23 febbraio 2024

Giurisfera

 

Giurisfera

 

 Nei giorni scorsi in parrocchia si è riorganizzato il Consiglio pastorale secondo il nuovo statuto di papa Francesco. Si è iniziato, mi è stato riferito, in un clima molto  positivo. Potrà essere l’occasione per riprendere progressivamente un tirocinio di azione sociale.

  I cattolici sono stati molto importanti nella politica italiana del secondo dopoguerra, vale a dire dal termine dalla Seconda guerra mondiale. Hanno improntato dei loro valori la nuova Repubblica.

  Nel MEIC – Movimento ecclesiale di impegno culturale del Lazio (un tempo si chiamava Movimento dei Laureati cattolici  ed era parte dell’Azione Cattolica) quest’anno rifletteremo su quella storia e proveremo a pensare come proseguirla, questo in vista della Settimana sociale sul tema “Al cuore della democrazia” che si terrà a Trieste dal 3 al 7 luglio.

  In genere mi pare che si sia persa dimestichezza con quest’impegno, che il papa Pio 11°, rivolgendosi nel 1927 agli universitari della Federazione universitaria cattolica italiana, definì «il campo della politica, che riguarda gli interessi di tutta la società, e che sotto questo riguardo è il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire null'altro, all'infuori della religione, essere superiore»

 

I giovani talora si chiedono se, cattolici come sono, non debbano fare alcuna politica. Ed ecco che, dedicando il loro studio ai suddetti argomenti, vengono a porre in se stessi le basi della buona, della vera, della grande politica, quella che è diretta al bene sommo e al bene comune, quello della polis, della civitas, a quel pubblico bene, che è la suprema lex a cui devono esser rivolte le attività sociali. E così facendo essi comprenderanno e compieranno uno dei più grandi doveri cristiani, giacché quanto più vasto e importante è il campo nel quale si può lavorare, tanto più doveroso è il lavoro. E tale è il campo della politica, che riguarda gli interessi di tutta la società, e che sotto questo riguardo è il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire null'altro, all'infuori della religione, essere superiore. È con questo intendimento che i cattolici e la Chiesa debbono considerare la politica; poiché la Chiesa e i suoi rappresentanti, in tutti i gradi di tal rappresentanza, non possono essere un partito politico, né fare la politica di un partito, il quale per natura sua attende a particolari interessi, o se pur mira al bene comune, sempre vi mira dietro il prisma di sue vedute particolari. [Papa Pio 11° - discorso del 18-12-27]

 

  La Repubblica democratica e poi l’Unione Europa ci ha inseriti in un contesto politico di giurisfera,  caratterizzato dalla sicurezza nel riconoscimento dei diritti fondamentali della persona in tutti i campi, sia in quello pubblico che in quello privato, compresi molti diritti sociali, che sono quelli per cui si è assistiti nelle difficoltà della vita, in particolare nella malattia e nella vecchiaia. Non si tratta solo di enunciazioni formali e programmatiche, ma pretese che possono essere fatte valere effettivamente attraverso i meccanismi giudiziari, e che per questo definiamo giustiziabili.

  Questa situazione ci ha illusi di poter fare tutto da noi, senza associarci per influire sulla società. Da qui poi una certa disaffezione a tutte le istituzioni partecipative del passato, compresa anche quella ecclesiale.

  La politica viene vissuta quindi con una certa superficialità, nella convinzione che, comunque vadano le cose, rimarremo protetti nella giurisfera. Le campagne elettorali si fanno quindi puntando all’emotività della gente, sia sulle sue paure che sulla sua avidità, promettendo protezione ed elargizioni. Spesso non si riesce a distinguerle dai sondaggi demoscopici e sono organizzate con gli stessi metodi delle campagne pubblicitarie.

  Questo è divenuto particolarmente sensibile dall’inizio degli anni ’90, all’inizio di  un’epoca in cui l’Europa è profondamente cambiata.

  E’ molto interessante, su questi temi,  studiare un documento molto importante della dottrina sociale, vale a dire l’enciclica Il Centenario – Centesimus annus promulgata dal papa Giovanni Paolo 2° nel 1991,  in occasione dei cent’anni dalla prima enciclica sociale dell’era contemporanea, la Delle novità – Rerum novarum del 1891. La trovate qui sul WEB:

https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_01051991_centesimus-annus.html

  Il Papa all’epoca ci chiamò a un rinnovato impegno nella società per costruire una nuova Europa

 

28. Per alcuni Paesi di Europa inizia, in un certo senso, il vero dopoguerra. Il radicale riordinamento delle economie, fino a ieri collettivizzate, comporta problemi e sacrifici, i quali possono esser paragonati a quelli che i Paesi occidentali del Continente si imposero per la loro ricostruzione dopo il secondo conflitto mondiale. È giusto che nelle presenti difficoltà i Paesi ex-comunisti siano sostenuti dallo sforzo solidale delle altre Nazioni: ovviamente, essi devono essere i primi artefici del proprio sviluppo; ma deve esser data loro una ragionevole opportunità di realizzarlo, e ciò non può avvenire senza l'aiuto degli altri Paesi. Del resto, la presente condizione di difficoltà e di penuria è la conseguenza di un processo storico, di cui i Paesi ex-comunisti sono stati spesso oggetto, e non soggetto: essi, perciò, si trovano in tale situazione non per libera scelta o a causa di errori commessi, ma in conseguenza di tragici eventi storici imposti con la violenza, i quali hanno loro impedito di proseguire lungo la via dello sviluppo economico e civile.

L'aiuto degli altri Paesi soprattutto europei, che hanno avuto parte nella medesima storia e ne portano le responsabilità, corrisponde ad un debito di giustizia. Ma corrisponde anche all'interesse ed al bene generale dell'Europa, che non potrà vivere in pace, se i conflitti di diversa natura, che emergono come conseguenza del passato, saranno resi più acuti da una situazione di disordine economico, di spirituale insoddisfazione e disperazione.

Questa esigenza, però, non deve indurre a rallentare gli sforzi per il sostegno e l'aiuto ai Paesi del Terzo Mondo, che soffrono spesso di condizioni di insufficienza e di povertà assai più gravi.59 Sarà necessario uno sforzo straordinario per mobilitare le risorse, di cui il mondo nel suo insieme non è privo, verso fini di crescita economica e di sviluppo comune, ridefinendo le priorità e le scale di valori, in base alle quali si decidono le scelte economiche e politiche. Ingenti risorse possono essere rese disponbili col disarmo degli enormi apparati militari, costruiti per il conflitto tra Est e Ovest. Esse potranno risultare ancora più ingenti, se si riuscirà a stabilire affidabili procedure per la soluzione dei conflitti, alternative alla guerra, ed a diffondere, quindi, il principio del controllo e della riduzione degli armamenti anche nei Paesi del Terzo Mondo, adottando opportune misure contro il loro commercio.60 Ma soprattutto sarà necessario abbandonare la mentalità che considera i poveri — persone e popoli — come un fardello e come fastidiosi importuni, che pretendono di consumare quanto altri han prodotto. I poveri chiedono il diritto di partecipare al godimento dei beni materiali e di mettere a frutto la loro capacità di lavoro, creando così un mondo più giusto e per tutti più prospero. L'elevazione dei poveri è una grande occasione per la crescita morale, culturale ed anche economica dell'intera umanità.

29. Lo sviluppo, infine, non deve essere inteso in un modo esclusivamente economico, ma in senso integralmente umano. Non si tratta solo di elevare tutti i popoli al livello di cui godono oggi i Paesi più ricchi, ma di costruire nel lavoro solidale una vita più degna, di far crescere effettivamente la dignità e la creatività di ogni singola persona, la sua capacità di rispondere alla propria vocazione e, dunque, all'appello di Dio, in essa contenuto. Al culmine dello sviluppo sta l'esercizio del diritto-dovere di cercare Dio, di conoscerlo e di vivere secondo tale conoscenza. Nei regimi totalitari ed autoritari è stato portato all'estremo il principio del primato della forza sulla ragione. L'uomo è stato costretto a subire una concezione della realtà imposta con la forza, e non conseguita mediante lo sforzo della propria ragione e l'esercizio della propria libertà. Bisogna rovesciare quel principio e riconoscere integralmente i diritti della coscienza umana, legata solo alla verità sia naturale che rivelata. Nel riconoscimento di questi diritti consiste il fondamento primario di ogni ordinamento politico autenticamente libero.  È importante riaffermare tale principio per vari motivi:

a) perché le antiche forme di totalitarismo e di autoritarismo non sono ancora del tutto debellate, ed esiste anzi il rischio che riprendano vigore: ciò sollecita ad un rinnovato sforzo di collaborazione e di solidarietà tra tutti i Paesi;

b) perché nei Paesi sviluppati si fa a volte un'eccessiva propaganda dei valori puramente utilitaristici, con la sollecitazione sfrenata degli istinti e delle tendenze al godimento immediato, la quale rende difficile il riconoscimento ed il rispetto della gerarchia dei veri valori dell'umana esistenza;

c) perché in alcuni Paesi emergono nuove forme di fondamentalismo religioso che, velatamente o anche apertamente, negano ai cittadini di fedi diverse da quelle della maggioranza il pieno esercizio dei loro diritti civili o religiosi, impediscono loro di entrare nel dibattito culturale, restringono il diritto della Chiesa a predicare il Vangelo e il diritto degli uomini, che ascoltano tale predicazione, ad accoglierla ed a convertirsi a Cristo. Nessun autentico progresso è possibile senza il rispetto del naturale ed originario diritto di conoscere la verità e di vivere secondo essa. A questo diritto è legato, come suo esercizio ed approfondimento, il diritto di scoprire e di accogliere liberamente Gesù Cristo, che è il vero bene dell'uomo.

 

  In questo nuovo lavoro i cristiani dell’Europa occidentale sono sono stati protagonisti, portando a compimento un’unione politica continentale con lo scopo principale di realizzare un ordine pacifico e benefico tra popoli che si erano aspramente combattuti fin dall’antichità. Ad un certo punto, però le cose hanno iniziato a cambiare, fino ad arrivare ad oggi in cui essi, nonostante una perdurante capacità di interdizione politica, nel senso che sono in grado di bloccare l’approvazione di certe norme, sono diventati politicamente irrilevanti per tutto il resto. In altre parole: la società è progettata a prescindere da loro.

  In Italia il fenomeno è diventato più marcato verso la fine del primo decennio del nuovo Millennio e particolarmente acuto in occasione di una gravissima crisi, con risvolti anche politici, del Papato romano, che portò alla rinuncia al Papato da parte di Joseph Ratzinger, protagonista con il suo predecessore della stagione ecclesiale apertasi nel 1985, con il Sinodo che fece il punto sull’attuazione dei principi del Concilio Vaticano 2°, in occasione dei vent’anni dalla sua conclusione.

  L’idea che associarsi per l’azione sociale non serva più è stata smentita dall’esperienza.

  La situazione dei lavoratori dipendenti, indicati nella Delle novità  - Rerum novarum  come proletari, con termine tratto dal socialismo, si è progressivamente deteriorata nel campo dei diritti sociali. Il lavoro si è fatto più precario, i salari hanno perso potere d’acquisto, i giovani non riescono a trovare casa a prezzi compatibili con  i propri redditi, la sanità pubblica si è deteriorata a vantaggio di quella privata, accessibile solo a chi può pagare, e altri servizi pubblici hanno seguito le stesse dinamiche. Si è determinata una sempre più marcata concentrazione della ricchezza in poche mani, in mancanza di quella che un tempo veniva indicata come politica dei redditi. Ma non si tratta solo di questo: è scoppiata una nuova guerra europea in Ucraina, che vede  combattere Stati Uniti d’America e Unione Europea contro la Russa post-sovietica. Non c’entra più il marxismo. Nei due fronti regna l’economia capitalista. Si tratta puramente di politiche di potenza.  Le parti belligeranti confidano di poter tenere limitato il conflitto, mentre fino alla fine degli anni ’80 si pensava che una guerra europea che coinvolgesse l’esercito russo sarebbe sfociata in una catastrofe nucleare. Ma si vede bene, invece, che la possibilità di un’estensione del conflitto a tutto il continente è sempre più concreta, in particolare man mano che l’esercito ucraino perde posizioni, come era facilmente prevedibile data la sproporzione del numero dei combattenti.

  Ma che si può fare?

  Ogni persone è ormai confinata nel proprio micromondo e non ha idea di come incidere al di fuori di esso. Questa è una notevole differenza rispetto alla vita sociale e politica che caratterizzava l’Italia fino alla fine degli anni ’80.

  La giurisfera che circonda e protegge i cittadini europei sta svanendo, man mano che si fa strada l’ideologia bellica e che l’economia capitalista è sempre meno governata.

  Gli storici, riflettendo sulle cause della Prima guerra mondiale, che sconvolse l’Europa tra il 1914 e il 1918, e anche allora tante cose cambiò, capirono che la decisione della catastrofe fu presa da una decina di persone. In qualche modo quella situazione si sta riproponendo.

  La lunga pace europea alla quale noi italiani siamo stati abituati si basava anche sull’attivismo di massa, che esercitava una pressione sulla politica. Era ciò che si intese bene tra i cattolici all’inizio del Novecento, quando il Papato, di fronte alla grande riforma del suffragio universale maschile, svincolato quindi da livelli minimi di reddito e di istruzione, abbandonò lo sconsiderato interdetto alla gente che le vietava di partecipare alle elezioni politiche nazionali nel nuovo Regno d’Italia. Questo fu decisivo nella fondazione dell’Azione Cattolica, che anche oggi, pur ridimensionata a circa 250.000 aderenti,  rimane la maggiore scuola politica nazionale.

  Certo, i cattolici italiani sono profondamente divisi sui temi sociali e politici, e l’unità di una volta, imposta dal Papato, non è più recuperabile. Del resto essa era anche umiliante per la gente, la stragrande maggioranza, che non aveva scelto di legarsi a particolari vincoli d’obbedienza con la gerarchia ecclesiastica. Eppure ci sono valori ancora condivisi, sia pure con diverse accentuazioni. Essi possono avere un notevole impatto sociale. Ma perché ciò avvenga occorre riorganizzarsi in forme nuove, tutte da ripensare. E, per partire, occorre prendere coscienza delle cose della società, cercando di essere meno superficiali di fronte alla mera propaganda. Poi si deve cominciare a pensare non solo al proprio bene, ma anche a quello altrui, finanche a quello degli avversari. Un esercizio non facile, ma è proprio su di esso che si basa l’idea di un bene comune, che è stata sempre al centro della dottrina sociale.

 Ed è importante ricominciare a fare cultura  su questi temi,  perché le organizzazioni di massa, dove non sono più possibili le relazioni interpersonali forti che caratterizzano i piccoli gruppi, hanno bisogna proprio di cultura  per essere edificate. Però, paradossalmente, la cultura scaturisce sempre da relazioni forti in gruppi di prossimità, piccoli gruppi: è l’esperienza di sempre. Guardiamo all’esempio evangelico, che vide protagonista un piccolo gruppo di tredici persone, dodici più un Maestro.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

mercoledì 21 febbraio 2024

Fede come condizione umana

Fede come condizione umana

 

  La fede religiosa non consiste in certezze soggettive sul soprannaturale, che non sono alla nostra portata. Non si è credenti in quel senso, anche se coloro che si definiscono non credenti pensano spesso che si tratti di quello.

  Le certezze sul soprannaturale hanno a che fare con la nostra emotività e lasciano il tempo che trovano. Maturando nella fede si impara a prenderle nel senso giusto e se non ci si riesce si pratica una religiosità un po’ superficiale.

  Qualche volta i non credenti  sembrano prenderci per degli sciocchi visionari. Se tuttavia riflettessero sulla grande cultura che c’è dietro la religiosità dei cristiani, arriverebbero a cambiare parere.

  La religione è uno strumento per la comprensione della realtà vissuta, e l’aggettivo vissuto è molto importante perché ci implica come esseri viventi che si percepiscono come tali, consapevoli della loro condizione di viventi umani, naturalmente con ed entro i limiti della loro fisiologia. I criteri convenzionali di comprensione usati dalle scienze sono altra cosa, fanno parte della cultura della società.

  Le Scritture sono essenziali per la nostra religiosità perché ci uniscono in questo tempo  e ci legano ai viventi del passato, sono quindi elementi di mediazione per orientarci; lo stesso dicasi per la liturgia. Sono state utilizzate come oggetti interculturali e funzionano ancora molto bene.

  Le persone scoprono la fede viva entro di sé: questa è un’esperienza che prima o poi si fa. Tra persone di fede ci si riconosce allo sguardo. I non credenti spesso si aspettano da noi una sorta di predicazione per convincerli, ma è fatica sprecata e io non mi ci applico minimamente. Del resto non saprei convincere nessuno a chiacchiere. Così,  quando una persona tiene a dirmi che è non credente, la pianto lì.

  Non ci sono più in giro, mi pare, i non credenti di una volta. Magari uno ti dice di essere ateo, ma poi pencola sempre verso la religione. Si aspetta da me dei discorsi, per poi magari obiettarmi. Le mie figlie, catechiste, mi dicono che anche i loro ragazzi, fin dalle elementari, si atteggiano così, ci si provano. Ma è sbagliato dar loro spago.  Nella nostra religiosità si fanno discorsi e si provano emozioni, ma non è questo l’essenziale.

  Ad un certo punto si sente la sete della fede, e allora la religione è acqua viva.

  E allora si diviene anche veicolo della fede,  che, è stato osservato, si espande come un incendio.

  I pencolanti, quelli a cui certe volte sembra di credere e altre no, mi snervano. Ho poca pazienza con loro. Mi sa che lo zelo pastorale mi fa difetto, ma non ho scelto quel mestiere. Mi piace la gente che prende posizioni nette, o da una parte o dall’altra. E, soprattutto, faccio davvero fatica a sopportare quelli che, da dichiarati non credenti vorrebbero insegnarmi la mia religione, e anche al Papa a fare il suo mestiere. Perché ce ne sono di persone così, li chiamano atei devoti o simili.

 A diciassette anni circa anch’io pencolai. Un’estate mio zio Achille mi portò sulle Dolomiti con la nonna. C’era lì un prete suo amico, un fine intellettuale oltre che persona di profonda religiosità. Stava scrivendo un libro e ne parlava con lo zio. C’entrava la nostra fede. Io li stavo a sentire. Non stette lì a perdere tempo a convincermi. Dopo mi scrisse un biglietto, che conservo ancora, in cui mi augurava di incontrare la luce di Cristo, il che avvenne.

   I non credenti a volte mi sembrano delusi dalla mia scarsissima voglia di convincerli a chiacchiere. Del resto in genere condivido tutti gli argomenti che mi propongono contro la mia fede. E questo è un bel paradosso, indubbiamente. Lo scrisse Dostoevskij in una lettera: anche se mi dimostrassero che Dio non esiste, non cesserei per questo di credere. L’anelito religioso, come ho detto, scaturisce dalla condizione umana, per questo finora è stato universale.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

  

martedì 20 febbraio 2024

Il cristianesimo dei cristiani

Il cristianesimo dei cristiani

 Mi piace approfondire la storia dei cristianesimi. Ho letto alcuni testi interessanti. Nei tempi di attesa nelle udienze sto dando un’occhiata alla Storia del cristianesimo . L’antichità curata da Giovanni Filoramo e Daniele Menozzi, Laterza 1997, €14,00, purtroppo solo in edizione cartacea (segnalo però in ebook e Kindle Cristianesimo, di Giovanni Filoramo, Laterza 2018, e dello stesso autore e di altri La storia della Chiesa, EDB 2020).

  Si tratta di materia che rientra nella formazione dei preti e di alcune delle religiose, ma non della generalità delle persone di fede, almeno tra i cattolici. In genere mi pare che si sia lasciati più o meno al livello del primo catechismo e incoraggiati a una spiritualità più che altro liturgica e devozionale, che talvolta travalica in spiritismo. Questo credo che abbia sicuramente a che fare con il crollo della nostra capacità di influire sullo sviluppo della società in cui siamo immersi.

  A volte, addirittura, si mostra di apprezzare una fede bambinesca, appoggiandosi al famoso detto evangelico sull’accogliere l’annuncio del Regno con la fiducia di un bambino. Ma poi l’impegno richiesto per la sequela mi pare tutt’altro che bambinesco. E certamente le narrazioni evangeliche non ci mostrano il Maestro dedicarsi all’insegnamento agli infanti, ma solo  verso uomini e donne animati da spirito di conversione, quindi anche da un atteggiamento critico verso come andavano le cose nel loro mondo, a partire da sé stessi.

  Non c’è un solo modo di essere persone religiose e la fede dei semplici non deve essere disprezzata, perché il Maestro non la disprezzò. Ma per certe cose, come nel dedicarsi alla riforma sociale, l’essere semplici non basta. E, comunque, una religiosità incapace di distinguere tra mito e fatto, e di trattare il mito per quello che è, mi pare che finisca per essere piuttosto inutile. Nonostante ciò che sostengono i suoi critici, la religione non è solo un immaginario più o meno consolatorio, ma un potente strumento di comprensione della realtà, sempre però che si sia formati a viverla come tale.

  La storia dei cristianesimi ci insegna una cosa che dovrebbe essere evidente, quindi risaltare senza doverci pensare tanto sopra, vale a dire che i cristianesimi sono stati fatti dai cristiani, e che quindi sono molto mutati nel corso della loro storia. Conoscere quest’ultima può diventare un’esperienza durissima, addirittura sconvolgente, perché è zeppa di incredibili efferatezze.

  Qualche giorno fa in Sicilia si è scoperto un orrendo delitto a sfondo religioso e ci si è chiesti come sia potuto accadere. La storia, però, ci insegna che la tortura e l’assassinio di persone presunte indemoniate sono stati praticati ampiamente, in particolare nel Secondo Millennio, nella nostra Chiesa e in altre confessioni cristiane. Nonostante ciò che a volte superficialmente si predica, le religioni, come qualsiasi altro elemento culturale, possono diventare mortifere, e certamente i cristianesimi lo sono stati, nonostante l’esempio di vita in tutt’altro senso del Maestro, il quale mai ci viene presentato nelle narrazioni evangeliche intento a torturare e ammazzare. Egli infatti dichiarò di essere.  venuto per salvare e guarire. Eppure  nei cristianesimi si torturò e ammazzò con il conforto della teologia.

  Penso che dovremmo sentirci responsabili del male che si fa nella società alla quale partecipiamo, e anche di quello fatto per motivi religiosi. Ma per riuscirci, e per guarire quel male, non è sufficiente un superficiale afflato devozionale. Bisogna sforzarsi di capire. 

  Affidarsi ai pastori non basta perché essi possono rivelarsi parte del problema. Storicamente si manifestarono anche come gerarchi crudeli e stragisti, fondamentalmente perché, nonostante la ministerialità sacramentale, rimasero pur sempre esseri umani, e questo è quello che crudamente la storia ci rivela. Solo nella propaganda, fatta in mala fede o in condizioni di ignoranza, può apparire diversamente.

  Quello che vale per le questioni religiose vale anche per ogni altra manifestazione delle culture umane. Complessivamente i cristianesimi sono passati da fasi di inconcepibile ferocia alla situazione attuale. È stato il frutto delle concezioni democratiche contemporanee che considerano valori importanti la pace e la dignità umana. Ma si tratta di orientamenti dei quali si è data anche una spiegazione religiosa, e certamente l’atteggiamento nei confronti della guerra è radicalmente mutato nella nostra Chiesa rispetto al Medioevo, quando i Papi indissero Crociate stragiste. Ma quei tempi feroci possono tornare, perché, e anche questo si ricava dalla storia, non c’è nulla nelle società umane che sia irreversibile.

 I cristiani in ogni epoca hanno declinato un proprio vangelo innestato su quello delle origini, ma in molti aspetti diverso, perché le società in cui occorreva farlo vivere erano cambiate, e molto.

  Qual è il nostro?

Mario Ardigó- Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

  

domenica 11 febbraio 2024

Costituire un nuovo Consiglio Pastorale Parrocchiale Profili teologici e problemi

 

Costituire un nuovo Consiglio Pastorale Parrocchiale

Profili teologici e problemi

 

   La costituzione di un nuovo Consiglio Pastorale Parrocchiale richiederebbe una preparazione della gente per la quale però non abbiamo tempo. Se la cosa si innestasse su un Consiglio in scadenza sarebbe diverso, perché allora il vecchio Consiglio  avrebbe organizzato e avviato a tempo debito l’attività formativa che serviva, alla quale gli stessi consiglieri uscenti avrebbero collaborato.

  Inoltre, nel caso di successione tra consiliature ci sarebbe una tradizione di esperienze a cui fare riferimento nel caso di dubbi sul come procedere, e questo anche se, indubbiamente, ci troviamo oggi in una situazione particolare, perché si tratta di applicare un nuovo Statuto, quello deliberato da papa Francesco l’8 settembre 2023.

  La principale opportunità data dall’esistenza di un Consiglio Pastorale Parrocchiale sta nel poter fare esperienza viva di sinodalità, che significa compartecipazione e corresponsabilità. Può avvenire dato il numero giusto dei componenti dell’organismo, al di sotto delle trenta persone, il numero massimo che consente ancora relazioni faccia a faccia, profonde. Al di sopra di questo numero di componenti, il funzionamento di un gruppo è affidato prevalentemente alle procedure, alle formalità, quindi al rito, mediato da elementi mitologici. Questo dipende dalle caratteristiche fisiologiche della nostra mente ed è un limite insuperabile (si legga di Robin Dunbar, Amici – Comprendere il potere delle nostre relazioni più importanti, Einaudi 2022, €21,00, disponibile anche in ebook e Kindle ad €10,99).

   Il quadro ideologico dell’esperienza è quello della teologia del Popolo di Dio accreditata durante il Concilio Vaticano 2° (svoltosi a Roma, in varie sessioni, tra il 1962 e il 1965), sostanzialmente abbandonata nel 1985 a favore dalla teologia di comunione e riprese nel magistero di papa Francesco, dal 2013. Ne troviamo una espressione nel capitolo 2 di uno dei documenti normativi più importanti deliberati durante quel Concilio, la Costituzione dogmatica sulla Chiesa Luce per le genti – Lumen gentium Lumen gentium (vatican.va) .

  Il punto centrale sta in questa affermazione

 

In ogni tempo e in ogni nazione è accetto a Dio chiunque lo teme e opera la giustizia (cfr. At 10,35). Tuttavia Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità. [n.9]

 

  Questo popolo «pur non comprendendo effettivamente l'universalità degli uomini e apparendo talora come un piccolo gregge, costituisce tuttavia per tutta l'umanità il germe più forte di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (cfr. Mt 5,13-16), è inviato a tutto il mondo». Per questa missione è detto messianico,  da Messia, parola che deriva da un termine ebraico che significa unto, nel senso di incaricato di una missione sacra. Cristo è l’italianizzazione di un termine del greco antico che traduce l’ebraico Messia.

  Da questo, la grandiosa affermazione che si trova nel primo periodo della Luce per le genti -  Lumen gentium:

 

«[…] la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano […]» [n.1]

 

 che è la sintesi della teologia del Popolo di Dio, riguardo, in particolare, ad ogni esperienza di sinodalità e, dunque, anche di quella del Consiglio Pastorale Parrocchiale.

   I teologi ricordano quindi che la sinodalità esprime un tipo di collaborazione molto più intenso da quello che si cerca di ottenere nelle esperienze di democrazia e, innanzi tutto, non persegue innanzi tutto il controllo di un potere, ad esempio di quello che si esprime nella normazione. Presenta un aspetto spirituale che è di solito estraneo alle esperienze democratiche. E questo naturalmente non significa che il metodo democratico, in quanto consente di combattere le prevaricazioni, sia estraneo alle procedure sinodali, in cui si cerca di raggiungere l’unità non mediante la prevaricazione di una autorità superiore, ma mediante un’intesa innanzi tutto spirituale basata sulla condivisione della fede cristiana.

  Chiamiamo spirituale  ciò che ci riguarda nell’interiorità profonda e nella verità di ciò che sentiamo di essere, senza gli infingimenti sociali che di solito le velano verso l’esterno.

  Ciò detto, l’autore del nuovo Statuto si mostra consapevole di rischi che derivano dall’affidarsi del tutto, nel costruire un’esperienza sinodale, alle formalità democratiche, in particolare nella scelta mediante elezioni. E’ facile il fraintendimento e il conseguente contagio con i mali che purtroppo travagliano la nostra democrazia, soprattutto se si partecipa a una procedura senza conoscersi veramente e senza averne inteso bene il senso che, nel caso della costruzione della sinodalità, è anche religioso.

  In altri Statuti,  come quello molto ben congegnato della Diocesi di Milano, sono previste procedure elettorali formali al modo di quelle che si tengono nelle elezioni amministrative e politiche. Nel nuovo Statuto  romano si inserisce invece la procedura di elezione in un contesto assembleare dialogante, nel quale vengono offerte disponibilità  e si manifestano adesioni

 

Per l'elezione dei suddetti membri si possono organizzare delle Assemblee Parrocchiali in cui vengono date le disponibilità e i singoli fedeli esprimono le loro adesioni [art.8]

lasciando una notevole libertà organizzativa all’interprete.

 E’ una scelta che condivido.

 Nella pratica, ricordo che, quando, all’inizio del 2022, convocammo assemblee nella prima fase del processo sinodale avviato nell’ottobre precedente, si presentarono al massimo un quarantina di persone, quelle che manifestarono in quel modo di essere realmente interessate alla sinodalità. Quando sarà convocata l’assemblea nella quale le persone, diverse dai giovani, saranno chiamate a eleggere i loro 3 rappresentanti nel Consiglio, non penso che dobbiamo attenderci un afflusso superiore. E se, invece, dovesse venire più gente? Consiglio di aspettare e vedere se succede e, se dovesse succedere, di progettare qualcosa di adeguato in quel momento.

  Il pericolo maggiore è il voto organizzato dai candidati, una piaga che ha portato al degrado degli organismi locali dei partiti politici. In questo caso, partecipano alla procedure di elezione persone che non sono veramente interessate altro che a eleggere una certa persona e non a collaborare al lavoro successivo.

  Nella nostra parrocchia, a cui fanno riferimento persone di altre zone di Roma che vengono da  noi solo per partecipare a un certo gruppo, un altro grave rischio è che nell’assemblea elettorale prevalga gente di fuori, con la conseguenza che i rappresentanti eletti non manifesterebbero le esigenze della popolazione del territorio e neanche quelle della stessa comunità parrocchiale.

  Si tratta di rischi che non possono essere evitati, ma che, se l’assemblea elettorale viene organizzata dando il giusto risalto all’aspetto spirituale, possono essere contenuti.

  Penso sia importante, innanzi tutto, raccogliere, già prima dell’assemblea, le disponibilità, vale a dire le candidature, e far precedere alla celebrazione dell’assemblea un rapido lavoro di formazione sui candidati, che comunque devono rispondere ai requisiti indicati dall’art.11 dello Statuto:

 

I membri del CPP devono essere maggiorenni, aver completato l'iniziazione cristiana, essere operanti stabilmente in Parrocchia, essere in piena comunione con la Chiesa cattolica. Secondo ii tenore del can.317 §4 del Codice di Diritto Canonico, non possono assumere mansioni direttive nel CPP coloro che occupano ruoli direttivi nei movimenti politici e sindacali.

 

 Nell’assemblea elettorale (se ne può pensare più d’una per consentire un dibattito più ampio) si potrebbe innanzi tutto dare la parola a persone, da individuare prima dell’incontro,  che dichiarino di aderire a una certa candidatura, perché spieghino le ragioni della loro decisione. Nel dibattito che segue è importante seguire il metodo della conversazione spirituale in modo che l’incontro sia percepito come

 

«uno spazio aperto, dove ciascuno trovi posto, abbia la possibilità di prendere la parola, sentendosi ascoltato e imparando ad ascoltare» (dalla Costituzione di riforma dell’organizzazione del Vicariato In ecclesiarum communione – Nella comunione delle Chiese, Proemio, §6, citata nell’art.2 dello Statuto)

 

Quindi:

-si prende la parola rimanendo nei tempi assegnati da chi presiede e attenendosi al tema, che è la scelta tra candidati a membri del Consiglio  in rappresentanza della comunità dei fedeli;

-momento di silenzio seguito da una lettura biblica;

-si riprende la parola indicando ciò che degli altri interventi ha colpito,  ma senza replicare o, peggio, attaccare;

-momento di silenzio seguito da una lettura biblica;

       -espressione della scelta.

 La presidenza dell’assemblea potrebbe essere assunta dal parroco o, su sua delega, da qualcuno dei membri del Consiglio già individuati o da un componente dell’Equipe pastorale.  Nel caso di assemblea articolata in più sessioni, le sessioni successive alla prima potrebbero essere presiedute da una persona eletta tra i presenti.

  E’ importante, credo, che l’assemblea non si risolva solo nel voto, ma che comprenda il dialogo spirituale, per marcare la differenza rispetto ad altre procedure elettorali. E’ possibile che così, evocando la dimensione spirituale nella quale certamente viviamo immersi, quei rischi a cui ho accennato possano far meno danno, anche se non è scontato che le cose vadano così.

  Nonostante il tanto parlare d’amore e di pace che si fa nella nostra spiritualità, orientata dalla teologia e in linea con le aspirazioni espresse nelle narrazioni bibliche, la nostra religione infatti, come del resto tutte le altre che conosco, ha convissuto bene con incredibili efferatezze. E’ la storia che ce lo insegna e chi predica diversamente lo fa volendola deliberatamente ignorare, perciò in mala fede, o ignorandola colpevolmente, o, peggio di ogni cosa, illudendosi e illudendo (la fede è luce, Cristo è luce). E’ per questo che, prudenzialmente, la liturgia della messa si apre con un atto penitenziale.

  Nell’Unione Europea, a differenza della  maggior parte del mondo, è vietata la violenza religiosa e anche solo farne propaganda, ma questo non significa che non si possa fare del male in altro modo alla gente per ragioni religiose, e infatti lo si fa. La religione, ad esempio, può essere strumentalizzata a fini razzistici, xenofobici o sciovinistici, per emarginare socialmente classi di persone. Allo stesso fine mirano gli orientamenti fondamentalisti, che si chiudono nelle proprie ideologie, e integristi, che rifiutano chi ha costumi diversi. E’ proprio all’esigenze di contrastare queste tendenze che si è riferito papa Francesco nel Proemio  della Costituzione apostolica Nella comunione delle Chiese – In ecclesiarum communione [6-1-23], di riforma dell’organizzazione del Vicariato romano, della quale lo Statuto è attuazione, quando ha scritto:

 

6. Perché questo sia possibile, è necessario valorizzare la comune dignità battesimale, anche tramite istituzioni, strutture e organismi rinnovati. È compito essenziale del vescovo garantire uno spazio aperto a tutti, dove ciascuno trovi posto, abbia la possibilità di prendere la parola, sentendosi ascoltato e imparando ad ascoltare. Scrutando i segni dei tempi, il discernimento spirituale permetterà di riconoscere nuove esigenze e di favorire più larghe e inclusive soggettività pastorali, estendendo la partecipazione e la condivisione delle responsabilità: «camminare insieme scopre come sua linea piuttosto l’orizzontalità che la verticalità. La Chiesa sinodale ripristina l’orizzonte da cui sorge il sole Cristo: innalzare monumenti gerarchici vuol dire coprirlo. I pastori camminano con il popolo»[citazione da papa Francesco, Discorso ai fedeli della Diocesi di Roma, del 18 settembre 2021. 

 

E’ in questo spirito che nello Statuto  siamo esortati a confrontarci con le situazioni imperfette,  complesse e irregolari ripudiando atteggiamenti fondamentalistici e integristici, ma al contrario con spirito di accompagnamento, discernimento e integrazione, dando ad esse rappresentazione nel Consiglio, del quale  fa parte, addirittura come membro di diritto, vale a dire ineludibile:

 

Una  coppia       nominata   dal   Parroco,    sempre      con particolare         attenzione all'accompagnamento, discernimento e integrazione (Amoris laetitia, §241-246; 291-312) delle «situazioni imperfette», «complesse» o «dette "irregolari"» (Amoris laetitia, §§78-79; 247ss.; 297; 301) [art.7 lett.c) dello Statuto]

 

   La situazione sociale e ideologica della parrocchia è quella che è. Si parte da una situazione in cui la collaborazione alle attività parrocchiali è ai minimi, la frequenza di gran parte delle persone è più che altro liturgica, c’è una spaccatura durissima tra fondamentalisti (molti) e  conciliari (pochi), della cui origine in genere si è persa consapevolezza,  in mezzo ad una massa di individualisti religiosi,  i  quali alla religione chiedono poco ma anche sono disposti a dare poco.

  Non dobbiamo attenderci che il nuovo Consiglio,  soprattutto nelle componenti popolari elettive, renda un’immagine diversa della nostra Chiesa, qui a Monte Sacro – Valli. Del resto ci si propone di farne un organismo rappresentativo  della comunità:

 

[…] rappresenta l'intera comunità nell'unita della fede e nella varietà dei carismi e ministeri […]    [art.2 dello Statuto]

   

  Tuttavia per quella teologia del Popolo di Dio, che, deliberata nell’ultimo Concilio, fa parte della nostra dottrina di fede, confidiamo che nella pratica della sinodalità  ci si possa migliorare e il Consiglio  è strutturato nello Statuto  come un suscitatore di sinodalità con due strumenti in particolare:

-      le Commissioni, gruppi di lavoro su temi particolari, delle quali possono far parte anche persone che non fanno parte del Consiglio [art.15 lett.d];

-      le Assemblee parrocchiali,  che il Consiglio  deve convocare almeno una volta all’anno   per illustrare le linee dell'attività pastorale e ascoltare pareri e suggerimenti e può convocare ogni volta che ne ravvisi  l’opportunità [art.26].

 A prescindere da ogni altro risultato che si riesca poi ad ottenere, già il solo fare metodicamente   tirocinio di sinodalità, vincendo la reciproca diffidenza se non addirittura la reciproca ostilità, è un importantissimo obiettivo raggiunto, che, in quanto denso di significati spirituali, ha anche una specifica valenza religiosa.

  Non ci si deve quindi scoraggiare delle difficoltà che, come in ogni nuova iniziativa, certamente si incontreranno. Piuttosto, in questo lavoro comune occorre cercare di rimanere in ogni cosa aderenti alla lettera e, dove la lettera non soccorre, allo spirito dello Statuto.

  Come ricordato nel Promio della costituzione Nella comunione della Chiese  - In ecclesiarum communione, la Chiesa di Roma, e come comunità parrocchiale ne siamo  manifestazione, ha un significato particolare per tutte le altre Chiese del mondo.

 

1. Nella comunione delle Chiese, alla Chiesa di Roma è affidata la particolare responsabilità di accogliere la fede e la carità di Cristo trasmesse dagli Apostoli e di testimoniarle in modo esemplare.

[…]

2. La Chiesa è posta nel mondo come “samaritana” (cfr Lc 10,25-37) [4], come sacramento di salvezza , in intima solidarietà con la storia delle donne e degli uomini che vivono in questo mondo, nell’attesa del suo compimento in Cristo. Mentre ricordiamo i sessant’anni dall’inizio del Concilio Ecumenico Vaticano II, sentiamo con particolare urgenza la chiamata alla conversione missionaria di tutta la Chiesa, accompagnata da una più viva consapevolezza della sua dimensione costitutivamente sinodale.

  Per rianimare la missione, nel primato della carità e nell’annuncio della misericordia divina, vanno sostenute e promosse, in sinergia, la collegialità episcopale e l’attiva partecipazione del popolo dei battezzati.

  In questo orizzonte si colloca l’impegno per la riorganizzazione del Vicariato, l’organismo che a Roma svolge la funzione di Curia diocesana

[…]

 Se ogni chiesa locale è, «ciascuna nel proprio territorio, il popolo nuovo chiamato da Dio nello Spirito Santo» , desidero che quella di Roma, affidata al mio servizio episcopale, possa risplendere come esempio della comunione di fede e di carità, pienamente coinvolta nella missione dell’annuncio del Regno di Dio, custode della speranza divina di accogliere tutti nella sua salvezza (cfr Is 25, 6 ss.). Valga per Roma quello che san Gregorio Magno scrisse di sé al Patriarca Eulogio di Alessandria: «non ricerco la mia grandezza con le parole, ma con la mia condotta […] Scompaiano le parole che gonfiano la vanità e ledono la carità».

 

  Concludo segnalando l’esigenza che, nello spirito della promozione della sinodalità ecclesiale al quale deve ispirarsi l’attività del Consiglio  secondo il nuovo Statuto, si dia una completa informazione del lavori consiliari alla gente della parrocchia, sia durante le messe, sia con pubblicazioni scritte, e, come detto, mediante la periodica convocazione di Assemblee parrocchiali. Al tempo, ormai lontano, del precedente Consiglio non era questo il costume  e successivamente le persone della parrocchia sono rimaste all’oscuro di problemi e programmi. Ad esempio, il Consiglio per gli Affari economici  non ha mai sentito la necessità di dare un’informativa periodica sulle esigenze economiche della parrocchia, con una sintesi di entrate, uscite e indebitamento.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli