Vivere tra persone cristiane
Mi ha sempre sorpreso scoprire che gran parte di ciò che si dice contro la nostra religione è corretto, ma che nondimeno la religiosità può sempre svolgere una funzione importante nella nostra integrità e per crescere come persone nelle vicende delle nostre vite.
In particolare, le scienze neurocognitive confermano che gli stati emotivi indotti dall’esperienza religiosa sono un prodotto della nostra mente e che quindi dipendono da come funziona il nostro sistema nervoso, il risultato molto complesso di un lungo processo evolutivo.
Può essere interessante, a questo proposito, leggere un testo divulgativo accessibile anche ai non specialisti, perché scritto proprio per loro: di Anil Seth, “Come il cervello crea la nostra coscienza”, Raffaello Cortina Editore 2023, disponibile anche in e-book.
Un importante incentivo allo sviluppo delle scienze in questo settore è venuto dagli sforzi di costruire sistemi informatici che imitassero il funzionamento del nostro cervello, staccandosi così marcatamente dalle scienze cibernetiche, che fino ad epoca molto recente hanno governato l’automazione. Si è riusciti ad imitare con successo la fisiologia dei neuroni, per cui quei sistemi sono stati resi capaci di imparare autonomamente, ma si è capito che essi non potranno percepire, come noi facciamo senza problemi dopo un addestramento negli anni della prima infanzia, una loro coscienza fino a che non saranno dotati di qualcosa di analogo al nostro organismo, responsabile dei processi cognitivi nel suo insieme e non solo nella sua neurologia. Allora, anche se non possederanno una fisiologia simile alla nostra, potranno essere considerati esseri viventi, vale a dire entità che si muovono attivamente per mantenere una propria identità rispetto all’ambiente intorno.
Ci si è resi conto, così, che la separazione tra psiche e corpo è tutto sommato artificiosa e che noi, quindi, siamo il nostro corpo in maniera molto più profonda di come si era portati a credere.
Dall’antica filosofia greca avevamo ricevuto la convinzione che il corpo non fosse degno della psiche, che ne costituisse una sorta di ostacolo e che la psiche, rimanendo legata al corpo, decadesse. Per cui si pensava che la virtù delle anime che volevano essere grandi consisteva nel liberarsi dal corpo.
Pensiamo al corpo, in particolare ai suoi sensi, come a uno strumento percettivo, mediante il quale da fuori viene portato qualcosa che la nostra mente interpreta e giudica. Così il materialista dice: “Credo solo in quello che vedo”. Le neuroscienze ora avvertono, però, che non è una buona idea, innanzi tutto perché non è realistica. Sotto certi aspetti, la realtà che percepiamo non esiste in sé così come la percepiamo ma è una creazione della nostra mente, è solo la migliore ipotesi che il nostro cervello, chiuso nel buio della teca cranica, fa su ciò che percepisce tramite gli organi sensoriali. Così la realtà come la percepiamo viene costruita da noi stessi con un movimento da dentro a fuori.
La teologia cristiana corrente, che risente molto dell’ibridazione con antiche filosofie greche, distingue ancora nettamente anima e corpo, concependo la prima come una sostanza immateriale distinta dal corpo, descrivendola anche come coscienza. La pratica della spiritualità, in particolare la tradizione sulla contemplazione, è però molto più vicina alla realtà che emerge dai risultati delle neuroscienze e ci avverte che per una buona contemplazione è necessario coinvolgere tutto il corpo. Assumere certe posizioni, seguire certi processi di meditazione. Va detto che, come è stato dimostrato scientificamente da diversi decenni, ad esempio nel complesso di pratiche di consapevolezza (mindfulness) la cosa funziona benissimo anche senza riferimenti religiosi. Ma allora lo scopo che si persegue è più limitato: è quello della riduzione dello stress. Però non è possibile vera spiritualità religiosa senza quelle pratiche: ma l’obiettivo qui è quello, di portata ben maggiore, di dare senso alla vita.
Siamo organismi viventi.
Non dobbiamo sentircene diminuiti.
Ciò che ci caratterizza come esseri umani è strettamente collegato con l’essere organismi viventi.
La teologia ha escogitato l’idea del puro spirito. Ebbene, noi non siamo puri spiriti. E non lo saremo finché rimarremo organismi viventi. C’è chi addirittura ha spregiato talmente l’essere un organismo vivente da desiderare di non esserlo più, per poter diventare un puro spirito. Questo però conduce, credo, ad esiti disumanizzanti.
Non sono un teologo e non mi interessa di fare quadrare i conti con quella disciplina. Prendo atto dalla mia esperienza di vita di essere un organismo vivente.
Nella nostra teologia in alcune cose si dà molta importanza alla natura, che è ciò che ci determina come organismi viventi al di fuori del nostro controllo: la possibilità di incidere sul nostro sviluppo come organismi è tutto sommato limitata. Viviamo senza doverci preoccupare di controllare tutto, ad esempio il respiro, senza il quale la nostra vita finirebbe in poche decine di secondi. Invecchiamo e non possiamo farci molto. Non decidiamo noi che faccia avere o il colore della nostra pelle, anche se possiamo incidere su queste caratteristiche. Nasciamo e moriamo, e non ci possiamo fare nulla: questa è natura. Ma lo sono anche le nostre emozioni, che sono espressione di fenomeni fisiologici e psichici. I neuroscienziati ci avvertono che vengono prima quelli fisiologici.
Questi pensieri possono esserci utili anche per capire perché sembra che non riusciamo più a provare piacere nell’incontrarci per vivere collettivamente la religione, come anche la politica per la verità. La socialità, nell’Europa occidentale contemporanea, sembra farsi più difficile, ci dà meno soddisfazione, e passiamo molto più tempo da soli.
Anni fa si accese un dibattito nella sociologia italiana su questi temi. Cominciò Francesco Alberoni con il libro Innamoramento e amore, Garzanti 1979, ancora in commercio e disponibile anche in e-book. L’anno seguente mio zio Achille Ardigó tornò sul tema nel suo Crisi di governabilità e mondi vitali, Cappelli 1980, ancora reperibile in commercio usato. L’idea di base dei due sociologi era che la costruzione sociale avvenisse in una particolare condizione emotiva che Alberoni definì di stato nascente, tipica dell’ innamoramento, e che mio zio Achille, riprendendo e rinnovando concetti che già avevano avuto corso in sociologia, inquadrò come sentimento di mondo vitale. In quelle condizioni gli esseri umani sentono che la loro vita ha senso: esse sono strettamente connesse alla loro fisiologia. La differenza tra i due sociologi era che Alberoni ne parlava come di uno stato eccezionale, mentre per mio zio Achille si trattava di una condizione permanente, anche se destinata ad estendersi o non a seconda degli specifici contesti relazionali.
L’etologia dei primati, nel quale è compreso il genere degli ominidi del quale la nostra è l’unica specie vivente, riconduce quella condizione emotiva a fatti ancestrali e, in particolare alle relazioni di accudimento in piccoli gruppi di primati, tipico lo spulciamento reciproco, un comportamento di intimità che si osserva nei primati a noi biologicamente più vicini e che ne consolida le società.
Le nostre comunità soffrono essenzialmente per il venir meno di occasioni per quella emotività. Le ragioni per cui è successo sono molte.
I nostri preti sono stati formati a diffidarne: fondamentalmente perché li si istruisce come monaci.
La spiritualità monacale è tenuta in gran conto anche dalle persone laiche, che considerano quella del monaco come una spiritualità particolarmente esemplare.
Gioca un ruolo anche il marcato invecchiamento della popolazione delle persone di fede. Nell’età anziana si perde molta della capacità di intimità delle età precedenti. E l’intimità è caratteristica che si sviluppa essenzialmente tra persone coetanee. I più giovani, quindi, in un contesto abitato da tante persone anziane trovano la società religiosa molto meno attraente.
Dove si fa molto conto su relazioni personali comunitarie molto forti, di solito ciò avviene in un contesto di significativo autoritarismo, per cui la comunità è costruita essenzialmente come difesa contro contaminazioni con la società intorno. Questo riduce la soddisfazione che si prova nella socialità.
Infine, il nostro tempo sociale è sempre più assorbito, in particolare tra le persone più giovani, dalla partecipazione alle reti sociali telematiche, che di per sé non consentono relazioni interpersonali sentite come autentiche, perché mancano dell’ avvicinarsi tra i corpi.
Una condizione sociale di stato nascente emerge nettamente dai racconti evangelici delle peregrinazioni del Maestro, sempre con discepole e discepoli, per la Palestina della sua epoca. Spesso quelle persone vengono presentate, nella predicazione, un po’ come frati e suore intenti in una sorta di missione per inculcare la religione tra le persone laiche. Solo che, a quell’epoca, una religione distinta dall’antico giudaismo ancora non c’era e nemmeno la relativa liturgia. Il Maestro con le donne e gli uomini che lo seguivano non erano né preti, né monaci, né frati. I principi fondamentali che venivano proclamati richiamavano intimità e accudimento: vestire, sfamare, curare, farsi prossimi ai sofferenti, dividere pane e beni, e via dicendo. Senza l’idea di gruppi che dovessero difendersi dalla società intorno, che invece si voleva coinvolgere. Nell’episodio evangelico dei discepoli di Emmaus c’è un’espressione che può essere ricondotta a quella particolare condizione emotiva di cui tratto: l’ardere del cuore.
La nostra coscienza personale è, dicono le neuroscienze, una percezione emotiva, una interpretazione della nostra mente di segnali che ci vengono dalla fisiologia. Questi segnali provengono anche dall’esperienza di vivere fra altre persone con quella particolare condizione di intimità, che si crea nei piccoli gruppi nei quali, per limiti fisiologici insuperabili della nostra mente, siamo confinati. Mediante i miti e il diritto riusciamo a costruire società molto più grandi, ma il senso della vita non deriva da quella macroesperienza di socialità e nemmeno da convinzioni raggiunte solo per via di ragionamento, ad esempio sulla base di letture, ma solo in esperienze di mondo vitale in gruppi di prossimità molto più piccoli, nelle quali si possa creare e sperimentare la condizione di stato sociale nascente, come in un innamoramento.
Essa, con tutta evidenza, è sempre più carente nelle nostre comunità. Vi si partecipa senza provare la sensazione di vivere veramente insieme ad altre persone. La manutenzione delle nostre comunità dovrebbe iniziare da lì.
Mario Ardigó- Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli