Vita buona
Che cosa ci si propone praticando una
religione, ad esempio partecipando alle sue liturgie o acculturandosi alle sue
idee sul mondo e sul soprannaturale?
Ci sono molte finalità per cui lo si fa.
Non sono, e non voglio essere, un teologo e quindi non mi occupo di ragionare
su quali siano quelle giuste e quali no secondo le tradizioni e le norme ecclesiastiche.
C’è chi cerca la pace interiore.
C’è chi pensa di poter raggiungere il
soprannaturale.
Ci sono quelli che cercano un orientamento
per vivere in società.
Nessuno di questi obiettivi è esclusivamente religioso
e tantomeno solo di alcune religioni o
addirittura solo della nostra.
Secondo quanto hanno scoperto le
neuroscienze, possiamo convenire che la percezione del soprannaturale è
verosimilmente solo una creazione della nostra mente. Può essere replicata assumendo
certe sostanze psicotrope e addirittura lo si è fatto con esperimenti mirati a
produrre quell’effetto senza usare la chimica, ad esempio la sensazione, riferita
talvolta dalle persone che sono state in fin di vita, di vedersi da fuori o da
sopra, per la quale si pensa di essere giunti alle soglie del Cielo. Una volta
che se ne sia consapevoli, si può continuare a praticare quella via, se dà
soddisfazione. Se però si confida in essa per altri motivi, ci si illude, e se
si cerca di convincere altri a seguirla ad esempio per guarire si inganna la
gente che soffre. Non ho mai cercato di avvicinare le persone alla religione
sfruttando il paranormale.
La meditazione per pacificare la mente è
stata escogitata e praticata ampiamente in Oriente molto prima dell’avvento
della nostra religione. I cristiani dell’ortodossia se ne fecero inculturare e
la definirono esicasmo, dal greco ἡσυχασμός –
che si legge esicasmòs che significa pacificazione interiore. La
preghiera più nota in cui i cattolici ne praticano le raccomandazioni è il
Rosario, in particolare quello recitato avendo tra le mani la coroncina
apposita. Quest’ultima serve a riportare la mente alla pratica delle preghiera quando
ce se ne distoglie.
Quanto alle regole per
una buona vita sociale, storicamente esse ebbero varie origini e diversi
sviluppi, essenzialmente legati alla vita in società, sono quindi creazioni
sociali, e sono scaturite anche dalle religioni ma non solo da esse. Una parte
molto importante della formazione dei più piccoli consiste nell’apprenderle e
nell’imparare a praticarle. Ma questo lavoro prosegue per tutta la vita, in
particolare a seconda delle condizioni in cui ci si trova per età, inclinazioni
sessuali, ruoli sociali. Queste regole sono sempre molto variate storicamente e,
ad esempio, certamente non seguiamo quelle dei primi cristianesimi, e, tutto
sommato, ci è andata bene perché essi, visti con la mentalità nostra, ci
appaiono piuttosto violenti, intolleranti e molto legati a fantasiose idee su
come va il mondo che abbiamo quasi del tutto abbandonato. In genere, oggi si è
molto migliori di quei mitizzati precursori.
Ogni persona può volere,
in certi momenti della sua vita, dare un apporto a migliorare la convivenza
sociale, in genere in ciò che causa sofferenza. La via religiosa consente di
farlo anche senza essere un gran sapiente e analizzando velocemente le esperienze
dei tempi passati e della società intorno mediante il mito. Quest’ultimo è una
narrazione sul senso di ciò che accade come venne percepito nelle società di riferimento.
Il mito riduce la complessità, riportando fenomeni sociali che si sviluppano su larghissima scala a una dimensione che ci possa consentire di
comprenderli. Questa dimensione è quella che comprende più o meno una trentina
di persone. Su questi nostri limiti cognitivi, insuperabili perché legati alla
nostra fisiologia, potete leggere di Robin Dunbar, Amici. Comprendere il potere
delle nostre relazioni più importanti, Einaudi 2022, anche in e-book.
La produzione di miti
sociali è continua, perché ne abbiamo bisogno per andare avanti. Anche dalla
vita comune può originare il mito: è quello che possiamo vedere nei Vangeli.
Ogni società è sempre
gravida di metamorfosi, come accade anche agli organismi viventi. E quindi di
miti. Si cercano vie nuove. E’ quello che leggiamo nelle narrazioni
evangeliche: un nuovo maestro predica il rinnovamento girando insieme a un
piccolo gruppo di uomini e donne. I miti correnti vengono rivisti. Non si
inventa nulla del tutto, si opera su ciò che si è ricevuto, rimaneggiandolo
sulla base della propria esperienza. Le limitate dimensioni di quelle congreghe
di attivisti crea un ambiente di
relazioni sociali calde, le uniche che danno il senso della vita. Questo
attrae. Il senso della vita è una percezione emotiva della nostra mente, che
può essere reso con l’evangelico ardere il cuore. E’ un effetto sociale
che riesce particolarmente bene nelle esperienze religiose, le quali quindi
possono rivelarsi importanti fattori di riforma sociale, perché nelle relazioni
sociali comuni ci adattiamo alla relazioni fredde, ad esempio al diritto della
nostra società, ma i nostri orientamenti di vita fondamentali scaturiscono solo
da quelle calde. Queste ultime sono di tipo ancestrale e dipendono strettamente
dalla nostra fisiologia, in questo senso sono naturali, mentre le altre sono
culturali, costruzioni sociali.
La teologia, che cominciò
a svilupparsi presto nei cristianesimi delle origini, anche se non come scienza
come risultò a partire solo dall’Undicesimo secolo, tese a dare un’elaborazione
razionale dei miti delle origini, e le relative controversie, mai sopite sino ad
oggi, ebbero una fondamentale composizione nel cruciale Quarto secolo della nostra
era, a cui risale la formulazione del Credo che anche oggi abbiamo recitato a
messa. In questo quadro si diede molta rilevanza al peccato e alla salvezza dalla
dannazione eterna. Questo perché non si stava solo strutturando una nuova
religione, ma riformando radicalmente tutto il modo politico intorno,
sacralizzando il nuovo potere supremo, con un nuova integrazione tra politica e
religione, facendone quindi l’unica via
al Cielo. E’ la ragione per cui consideriamo le migliori spiritualità quelle
penitenti. In questo le società dei monaci, che furono molto potenti in altre epoche
cruciali, in particolare a cavallo tra il Primo e il Secondo millennio, esercitarono
un’influenza determinante.
In questo modo si è però
un po’ messo in secondo piano uno degli elementi fondamentali della vita
nuova presentata nelle narrazioni
evangeliche che è quello dell’agàpe di compassione. Agàpe è l’idea di una società in cui nessuno sia escluso
al momento del convito e ci si impegni nel lenire le sofferenze. Emerge nella
parabola evangelica del samaritano misericordioso: spesso ci si riferisce a
quel personaggio come il buon samaritano. La sua ci è presentata come
paradigma di vita buona.
I teologi spesso sono insofferenti
verso questi discorsi, perché, così sembra loro, volano troppo basso, non si
occupano ad esempio della vita eterna, per raggiungere la quale occorrerebbe
praticare riti, stare sempre con la mente legati alle fantasie dei miti e
sottomettersi ai gerarchi ecclesiastici (tutto ciò non c’è in quella parabola,
che anzi ci appare piuttosto polemica con i teologi e gli ecclesiastici dell’epoca).
Soccorrere i sofferenti: Tutti sanno essere buoni così!, a che servirebbe allora il
cristianesimo?, sbottano.
Eppure il calore dell’esperienza
religiosa cristiana deriva proprio, e ancor ora oggi, dal voler essere buoni
in quel modo, in un mondo sociale in
cui certe volte è addirittura illegale. Lenire le sofferenze sociali è
essenziale nell’esperienza religiosa cristiana. E riorganizzare la società,
provando innanzi tutto ad essere diversi, è un modo per cominciare a farlo.
C’è chi medita
intensamente e chi va per santuari. Bene, facciano pure. Ma è proprio quello l’essenziale
del vangelo?
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma,
Monte Sacro, Valli