Cambiare la società per cambiare la
Chiesa
La storia del tentativo fallito
di riforma ecclesiale innescato dal Concilio Vaticano 2° dimostra che la nostra
Chiesa non è riformabile dall’interno e con le sue procedure normative perché,
in particolare negli ultimi due secoli, si è data per norma teologica l’assolutismo.
Quest’ultimo contrasta nettamente con quanto vissuto almeno fino al Sedicesimo
secolo, ma in particolare con quello che ci fu nel Primo millennio.
La storia ecclesiale dimostra però anche che
la nostra Chiesa è cambiata seguendo i cambiamenti delle società nelle quali
era immersa. Ad esempio, quando dall’Ottocento in Europa si organizzarono con
forti strutture giuridiche accentrate gli stati nazionali, anch’essa si diede
forma di stato. In quell’epoca, che fu anche quella delle grandi codificazioni,
si diede un proprio codice. L’idea quindi che sia stata, nei due millenni dei
cristianesimi, sempre più o meno la stessa è solo un fantasia propagandistica.
Che sia stata voluta fin dalle origini com’è ora non può essere dimostrato in
modo convincente, perché nei secoli passati fu molto diversa da com’è ora.
La via più semplice per cambiare la nostra
Chiesa è quindi quella di cambiarle la società intorno prendendo come riferimento i principi evangelici.
Tutti noi partecipiamo alla società, in modo
più o meno intenso, e, partecipandovi, contribuiamo anche a cambiarla. Almeno nelle cose più importanti, lo facciamo
dopo averci riflettuto sopra e tenendo conto del contesto sociale. In questo
non abbiamo necessità di specialisti che, maneggiando una sofisticata concettuologia,
ci dicano come dobbiamo vivere. La teologia ci è inutile e può essere anche
gravemente fuorviante, perché inquinata pesantemente dalla sacralizzazione in senso assolutistico della gerarchia ecclesiastica.
Se ci concentriamo sullo sforzo per lenire le
sofferenze sociali penso che abbiamo un buon orientamento in senso evangelico. Non
si tratta di un lavoro accessorio, per cui prima vengano le fantasie e
sacralizzazioni escogitate dalla teologia e poi quello. Ed è ciò che ci eleva sopra
la spietata natura da cui proveniamo, quindi, in questo senso, lo possiamo
considerare soprannaturale.
Detto questo, poi viene il difficile. Perché
cambiare la società richiede di affrontare il conflitto sociale e di farlo
collettivamente, quindi trovando intese, riflettendoci realisticamente sopra e con spirito evangelico, non ad esempio come
sta avvenendo nella guerra in Ucraina tra potenze sedicenti cristiane. In
quella stupida e inutile strage la figura migliore mi pare la stia facendo la
Francia, che, essendosi data uno statuto di rigida desacralizzazione, non mette
di mezzo la nostra religione.
Il conflitto in Ucraina dimostra l’impotenza delle
Chiese cristiane così come sono, e anche delle loro corrispondenti teologie: sono
impotenti perché sono parte di società che non sono riuscite a liberarsi della
ferocia bellica per risolvere le loro controversie. Ma così va in molti altri
campi.
Cambiare lo stato di cose che ci ha portato a
quella guerra è cosa di portata che può essere rivoluzionaria. Si parla di
rivoluzione quando mutano molto velocemente i principi di riferimento per l’organizzazione
di una società. E’ cosa che hanno sperimentato nei secoli passati tutte le
popolazioni che sono state soggette alle colonizzazioni europee, ognuna delle
quali portò a rivoluzionare il sistema sociale locale esistente. Si trattò in
questi casi di rivoluzioni esogene. In Europa ne abbiamo sperimentate anche di
endogene: una di queste fu il passaggio dell’Italia alla Repubblica democratica,
un processo che si è sviluppato tra l’aprile del 1945 e il gennaio 1948. Ma,
data la complessità del mondo di oggi, non è consigliabile seguire la via rivoluzionaria
e, del resto, non è quella che fu insegnata e praticata dal Maestro: essa parte invece dall’interiorità e da relazioni di prossimità. Richiede decisione e insieme
compassione, la sapienza del tessitore non la violenza del distruttore, la
pazienza dell’agricoltore, gentilezza e sollecitudine verso chi è più debole. Tutti elementi che fin dalle origini sono riusciti
difficili ai cristianesimi (come a tutti del resto), ma che comunque ci si è ciclicamente sforzati di
provare a impersonare. Per questo nella storia ecclesiale non c’è solo la
sconvolgente violenza che, da sola, potrebbe bastare a far decidere di tenersi lontano dalla religione.
Nella formazione religiosa dei più abbondano
riti e fantasie mitologiche. Non c'è da stupirsi, poi, che si sia attratti da esperienze visionarie, che del resto sono state ampiamente sfruttate politicamente per ottenere adesione ai comandi gerarchici. E’ una formazione molto povera. Per molti rimane l’unica
della loro vita. Ma il clero non ne
organizzerà una diversa, perché in genere non sa come fare e poi, anche quando ci si prova, si trova la
strada sbarrata dall’assolutismo gerarchico. E’ esemplare il caso di Lorenzo Milani.
Quindi, se si vuole qualcosa di più, non resta che fare autoformazione,
sfruttando le libertà civili del contesto democratico in cui viviamo.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli