Ai giovani della parrocchia
Signore Gesù,
la tua Chiesa in cammino verso il Sinodo
volge lo sguardo a tutti i giovani del mondo.
Ti preghiamo perché con coraggio
prendano in mano la loro vita,
mirino alle cose più belle e più profonde
e conservino sempre un cuore libero.
Accompagnati da guide sagge e generose,
aiutali a rispondere alla chiamata
che Tu rivolgi a ciascuno di loro,
per realizzare il proprio progetto di vita
e raggiungere la felicità.
Tieni aperto il loro cuore ai grandi sogni
e rendili attenti al bene dei fratelli.
Come il Discepolo amato,
siano anch’essi sotto la Croce
per accogliere tua Madre, ricevendola in dono da Te.
Siano testimoni della tua Risurrezione
e sappiano riconoscerti vivo accanto a loro
annunciando con gioia che Tu sei il Signore.
Amen.
(Papa Francesco)
[Dallo Strumento di lavoro per il Sinodo sui giovani del prossimo ottobre]
I lettori del blog
forse possono aver sospettato che non sono tanto d’accordo sul programma di
incontri di bioetica che si vanno programmando per i giovani della parrocchia. Questo
perché tengo molto a quei giovani e non vorrei vederli scappare a gambe levate.
Questa è stata per un bel po’ di tempo
la nostra versione della Chiesa in uscita,
prima che iniziasse il nuovo corso, tre
anni fa. Non sto a prendermela con chi è stato coinvolto nella gestione di quel
fallimento, perché tutti sono stati in buona fede, hanno fatto male volendo
sinceramente fare il bene. Anche a me è successo, che credete? Non ancora nella
nostra parrocchia, però. A lungo è stata preservata dal mio fare il male
pensando di far bene, emarginandomi, sempre pensando di fare il bene di tutti.
Né io mi sono fatto mai avanti per
essere coinvolto: me ne sono stato nel mio angolo. Per pigrizia, un po’ per
quieto vivere, e anche per una certa viscerale insofferenza per certe idee. Poi, quando si è iniziato a cambiare, ero
diventato troppo vecchio. Passati i sessant’anni diventi invisibile, tranne che
per i tuoi figli e, anche con loro, fino a un certo punto di residua visibilità.
C’è anche questo: appartengo ad un generazione che in molti suoi esemplari ha
mantenuto un certo spirito, per cui ad uno sguardo obiettivo si potrebbe dire
che non è mai cresciuta veramente, ma anche che continua a manifestarsi un po’
ribelle. Ma questo non è sempre un male e, comunque, non in tutto. Un politico
della mia adolescenza diceva orgogliosamente di aver avuto il privilegio di
mantenere gli stessi ideali di gioventù, e aveva l’età di mio padre. Anche a
mio padre era successo così. Significa limitare un po’ i compromessi in cui ci
si invischia crescendo, con se stessi, con gli altri, con la società intorno.
Bisogna però che ciò che si ha dentro e a cui si dà valore, tanto da volerlo
preservare a qualsiasi costo, sia piuttosto radicato, perché crescere, ce se ne
accorge invecchiando, è, come è stato scritto, una specie di lungo
addio, e a questo si finisce per
abituarsi. In certi ambienti, crescere significa proprio
questo, togliersi i grilli dalla testa,
mettere la testa a partito, di compromesso in compromesso ingrigire in modo
da non essere più tanto distinguibili in società, sia che ci si trovi tra chi
ha avuto successo, sia che si sia caduti dall’altra parte, accettando che la
società vada come vada senza proporsi più di resistere o di provare a cambiarla.
Bene, la mia generazione, quella che visse da adolescente negli anni ’70, è
ingrigita di meno. E’ stato, quel decennio, un tempo in cui la nostra parrocchia fu molto popolare
tra i giovani del quartiere: il gruppo giovani di allora, raccontano (c’è un
capitolo di un libro sul quartiere che ne parla), contava circa trecento
aderenti, piuttosto attivi. Erano tempi formidabili in religione, tempi di rinnovamento
della catechesi (il Documento di base che la promosse è del 1970), ma anche tempi di
grandi speranze in società, pur nel mezzo di una grave crisi economica e con la
violenza politica che imperversava da noi e nel mondo. Per i giovani furono
momenti esaltanti perché la società li guardava con simpatia, confidando in
loro per tempi nuovi. Gli adolescenti degli anni ’70 sono stati, dagli anni ’90,
i protagonisti della costruzione dell’Unione Europea, grande potenza di pace, oggi
ignobilmente diffamata da vari malpensanti, e talvolta anche, dobbiamo
riconoscerlo, in religione.
Chi è il giovane? Psicologi, pedagoghi e
sociologi dicono che è l’essere umano tra i 16 e i 29 anni. Anche i saggi del
prossimo Sinodo sui giovani, che si terrà a Roma nel prossimo ottobre, la
penseranno così. Però il me di 29 anni, da un anno avevo iniziato a lavorare
nell’impiego che ancora oggi svolgo, si sarebbe sentito umiliato a sentirsi
assimilare al me di 16 anni, che faceva il terzo anno di liceo classico. A 29
anni non stimavo granché il me di 16 anni. Il me di 16 anni non era la parte
degli anni ’70 a cui mi sentivo legato. A 29 anni avrei voluto essere stato diverso a
16 anni. Viviamo in un’epoca in cui non si
riesce mai ad essere considerati adulti, eppure c’è chi s’è fatto largo
da ventenne. E, comunque, è da ventenni che si hanno certe idee geniali che poi
si cerca di sviluppare nel corso di una vita. Ma a 16 anni, quest’esigenza di farsi
largo è lontana da venire e anche
solo da essere pensata. Anch’io non ci pensavo. Però, a 16 anni, mi piaceva pensare che la società stesse
velocemente cambiando. Innanzi tutto c’era, per i giovani, più libertà dai
genitori, e, in generale, dall’ambiente familiare. Era cosa che apprezzavamo. Oggi la famiglia è tornata ad essere ancora
importante per i più giovani, in un’epoca di insicurezza generalizzata. All’epoca
un adolescente avrebbe voluto farne a meno velocemente.
Un anziano,
come in genere sono i saggi dei Sinodi ecclesiastici e dei Concili ecumenici, fatica a distinguere un
sedicenne da un ventinovenne: gli appaiono entrambi giovani. Eppure, quanto sono
diversi! Mia madre mi ebbe a ventisette anni. Era già farmacista, lavorava nell’azienda
di una sua zia. E, anche oggi, non è infrequente essere genitori da ventenni. E
comunque ci si pensa. Un sedicenne raramente riesce a pensarsi da genitore. Non
era così ai tempi biblici.Il Magnificat, dicono, fu cantato da una ragazzina più o meno di quell’età. E ancora c’è chi spinge
a sposarsi da molto giovani, come rimedio
alla concupiscenza, come si diceva
in tempi più bigotti di quelli di oggi. Oggi da un genitore si richiede una
diversa maturità, che significa anche formazione. Ma certi formatori si
fanno demonizzatori e disamorano. Un bel problema. I formatori
devono essere formati e dispensare ciò che serve, non di più, nel momento in cui serve e quando ve ne è la
necessità, vale a dire quando chi deve essere formato lo richiede. E questo va
fatto senza incrudelire con la dottrina. A volte ho sentito cose da mettere i
brividi. Per mia buona sorte non ho mai avuto formatori così. In Azione
Cattolica non ne ho mai trovati così.
Poi a trent’anni
si passa improvvisamente di categoria: si esce dai gruppi giovani. Ma che cambia tra uno di ventotto anni e uno di
trenta? E invece è tutto diverso tra uno di sedici e uno di ventinove. Uno
degli aspetti che cambia molto è come ci si comporta in amore, e anche
specificamente il sesso. E’ un campo in cui i nostri preti registrano una
disfatta su tutta la linea, rispetto alle loro pretese, che sono quelle dei
vescovi. Preti, vescovi, tutta gente che di amore e di sesso ha poca esperienza
personale e, quando ne ha da prete e vescovo, è travolta dai sensi di colpa e,
se scoperta, deve lasciare tutto e fare altro, e si sente fallita. Perché,
allora, ci stupiamo se, in fondo, in materia di amore non ci sono utili, salvo
quando ci richiamano alla coscienza e all’imperativo di non fare male agli
altri, in particolare a non trasformarli in nostri trastulli, perché non sono
stati creati per quello? L’amore e il sesso hanno un’importanza enorme tra i
16 e i vent’anni, progressivamente meno fino ai quarant’anni quando la fatica
della famiglia e del lavoro assorbe molte energie, poi, comunque, si è da essi
condizionati, fino a che si ha un filo di soffio di vita dentro, perché, per
quanto spirituali cerchiamo di sembrare, siamo sempre esseri naturali, e se fossimo
stati destinati ad essere solo spirito forse ci si sarebbe dovuti fare diversi
da come siamo. Non è solo malvagità, peccato, tutto questo nostro anelare in
materia di amore: è natura. Vorrei rasserenare i nostri giovani: l’etica
sessuale corrente in dottrina non è del tutto sostenibile, praticabile. E con questo non
dico che sia sbagliata, per carità! Dal punto di vista logico dottrinale tutto
torna. Si cerca di avvicinarvisi, e ci
si può anche riuscire, ma in genere non con continuità. I fondamentalisti e gli
integralisti, questi spiriti buoni che a fin di bene fanno a volte molto male a
sé stessi e agli altri, vogliono convincervi del contrario, ma, tranquilli!, è
come vi dico, e lo dico perché ho esperienza di vita. Come far tornare i conti
tra teologia morale, catechesi e vita vera del fedele? E’ semplice: mettendo di
mezzo la coscienza del fedele, responsabilizzandolo, come suggeriva una grande
anima come Carlo Maria Martini. E’ così che si cresce, abituandosi a divenire responsabili
e acquisendo la capacità di risollevarsi dopo ogni caduta e di riparare il male
fatto agli altri. Altrimenti si naufraga in un oceano di sensi di colpa e di
scrupoli. Accadeva così per i ragazzini di un tempo, e sono abbastanza anziano
da aver vissuto un po’ in quel clima, ma, ed è stato il bello degli anni ’70, ho anche vissuto l’esperienza di esserne
liberato. Si cresce e, di età in età, se si riesce a crescere veramente, si domina
anche l’amore, nel senso che lo si umanizza, anche se, siatene certi, il sesso
non sarà mai quello dipinto dai teologi morali, perché è natura, e la natura è
natura. Si diventa, in genere, tranquillamente genitori impegnati nel crescere
una prole, e certi eccessi a volte
risorgono, ma in un contesto di vita
molto diverso, non è più la sessualità del ragazzino che si è stati: e, allora,
non ci si capacita che certi esagitati
siano divenuti poi genitori così bravi. Ecco,
però, che, sbarrata la strada a certi
bigotti con i nuovi indirizzi pastorali, quelli tornano alla carica propinando, di frodo per così dire, bigotterie per bioetica. Non è sempre così, certo. Ma com'è che, in certi contesti ambientali, se sento proporre di parlare di bioetica per indirizzare bene i giovani, sento come un brivido lungo la schiena? Ipersensibilità come cicatrice psicologica di pregresse brutte esperienze? Chi mi dice che quello che si programma sarà come temo? C'è di mezzo il parroco, che è un persona seria, che sa come possono mettersi male le cose e sa come, invece, parlando di bioetica si può far bene. Che temo, dunque? La bioetica, del resto, è una
cosa seria, una scienza, una disciplina necessaria, perché, in tutto ciò che siamo e facciamo dobbiamo costruire un’etica, che significa essenzialmente che non
dobbiamo farci lecito di fare all’altro tutto ciò che ci conviene e ci piace, e
questo è molto importante quando si parla di vita umana che è il bio- nella bioetica.
La bioetica è un sistema di limiti, innanzi tutto a certi sviluppi della
medicina, ma anche a certi sviluppi della ricerca scientifica. Il dilemma è che
il progresso salva la vita e che, a volte, con il proposito di tutelare la vita umana,
limitando il progresso per ragioni di precauzione, se ne impedisce la salvezza: questo il
dilemma bioetico di tante scelte, non facile da risolvere. Ma è chiaro che
tutto questo non c’entra nulla con il come e con chi e a che scopo fare l’amore:
il campo dell’amore personale, di solito l’obiettivo
principale di chi, disinvoltamente, cerca di coinvolgerci in un chiacchiericcio
bioetico con lo scopo di darci istruzioni in quel campo, travolgendo la nostra
coscienza e demonizzandoci se obiettiamo, il metodo che solitamente usano
fondamentalisti e integralisti, con i quali, probabilmente lo avrete capito, non sono tanto d'accordo, perché mi sono formato in un altro contesto culturale.
Alcuni poi
tengono a convincerci che la società
finirà male, perché è in preda a pulsioni di morte, che si manifestano in
perversioni-aborti-eutanasia ecc., tutta roba che però non è da oggi, ma che ha
attraversato tutta la storia dell’uomo, anche le età dell’oro per i fondamentalisti/integralisti.
I più anziani, in particolare i sacerdoti, sanno bene che, ad esempio, l’aborto
era diffusissimo tra le donne cattoliche delle campagne di una volta, realizzato con metodi artigianali pericolosi per la salute, dolorosi, con una mortalità elevata tra di loro, e che
praticavano anche l’infanticidio (seppellivano, a volta ancora vivi, o abbandonavano all’aperto i neonati).
Era la povertà a indurle a tanto. Ma della povertà la Chiesa ha cominciato ad
occuparsi seriamente da non molto, fondamentalmente da un secolo e mezzo: l’era
della dottrina sociale moderna. Dicono che gli abusi sessuali dei preti con
ragazzi a loro affidati siano l’Undici
Settembre della Chiesa cattolica, riferendosi alla catastrofe dell’abbattimento
delle Torri Gemelle negli Stati Uniti nel 2001: davvero è credibile
che tutto ciò non sia mai successo prima? Ora sta venendo meno l’omertà ecclesiastica,
per cui si vincolavano le vittime al segreto canonico sugli abusi in loro danno
e ci si limitava a spostare i colpevoli, ritenendo forse che certe cose
rientrassero nella natura umana e che non ci si potesse fare nulla. E’
un fatto positivo questo far luce, ma ancora non si è diffusa la cultura dell’obbligo di
denunciare certi fatti alle autorità civili, non appena l’autorità
ecclesiastica ne venga a conoscenza. Un progresso, comunque, c’è stato, rispetto
ad un tremendo passato.
Demonizzare e
coprire non è mai servito a prevenire: occorre capire e combattere la cause di
certe cose, nella povertà, nella psicologia individuale. Comprenderlo è stata
una conquista culturale importante. C’è però chi vorrebbe tornare indietro. Perché
un giovane lo dovrebbe accettare?
Davvero, giovani
della parrocchia, pensate di non aver di meglio da fare quest’anno che impegnarvi in corsi di bioetica, con il rischio (dico solo il rischio, ma potrebbe anche andarvi bene, dipende da chi è chiamato a tenerli, e gente di valore c'è) di farvi
fare le solite prediche avvilenti sotto specie di bioetica?
Guardatevi
intorno!
Si sta per
celebrare un Sinodo a voi dedicato, ad ottobre, e tra Documento preparatorio e
Strumento di lavoro ci sarebbero un centinaio di pagine su cui ragionare.
Davvero pensate che, lasciando i saggi vegliardi del Concilio a dibattere su di
voi, senza di voi, ne uscirà qualcosa di serio per voi?
Incollo qui sotto quei documenti.
Leggo nel n.142 dello Strumento di
lavoro:
«la Chiesa “si fa” con i giovani,
permettendo loro un reale protagonismo e non mettendoli di fronte a un “si è
sempre fatto così”. Questa prospettiva, che determina uno stile pastorale e
anche un modo di organizzarsi e di essere istituzionale, è in grande consonanza
con la richiesta di autenticità che i giovani rivolgono alla Chiesa. Costoro si
aspettano di essere accompagnati non da un giudice inflessibile, né da un
genitore timoroso e iperprotettivo che genera dipendenza, ma da qualcuno che
non ha timore della propria debolezza e sa far risplendere il tesoro che, come
vaso di creta, custodisce al proprio interno (cfr. 2Cor 4,7).
Altrimenti, finiranno per rivolgersi altrove, specie in un tempo in cui le
alternative non mancano (cfr. RP 1.7.10).»
Che ne dite di indirizzare il
vostro protagonismo verso i temi del prossimo
Sinodo, per dare una mano ai vegliardi che in esso saranno tra poco impegnati.
Innanzi tutto: vi riconoscete nell’immagine
che di voi si dà in quei documenti? Io riscontro alcune carenze o insufficienze
che sono piuttosto evidenti. C’è chi ha detto che, sotto questo profilo, non si
parte tanto bene. Perché non dedicarvi un po’ di tempo?
Il prossimo Sinodo sarà il primo dopo la grande riforma istituzionale
deliberata da papa Francesco: la partecipazione del Sinodo al magistero
pontificio, una novità straordinaria. Il documento finale avrà una particolare
forza e, trattando di voi, si abbatterà su di voi (se mal congegnato) o vi
aiuterà a crescere nella fede (nell’altra ipotesi). Il metodo sinodale non si
esaurisce nella discussione e deliberazione in Assemblea, ma comprende un
lavoro preparatorio che consiste in una consultazione del popolo dei fedeli. C’è
stato anche in preparazione del Sinodo che sta per iniziare. Ritenete che sia
stato sufficiente? La consultazione ha
raggiunto anche voi?
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa –Roma, Monte Sacro,
Valli
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Documento preparatorio: I giovani, la fede e il discernimento vocazionale
INDICE
Introduzione
Sulle orme del discepolo amato
I – I GIOVANI NEL MONDO DI OGGI
1. Un mondo che cambia rapidamente
2. Le nuove generazioni. Appartenenza e partecipazione
Punti di riferimento personali e istituzionali. Verso una generazione
(iper)connessa
3. I giovani e le scelte
II – FEDE, DISCERNIMENTO, VOCAZIONE
1. Fede e vocazione
2. Il dono del discernimento
Riconoscere
Interpretare
Scegliere
3. Percorsi di vocazione e missione
4. L’accompagnamento
III – L’AZIONE PASTORALE
1. Camminare con i giovani
Uscire
Vedere
Chiamare
2. Soggetti
Tutti i giovani, nessuno escluso
Una comunità responsabile
Le figure di riferimento
3. Luoghi
La vita quotidiana e l’impegno sociale
Gli ambiti specifici della pastorale
Il mondo digitale
4. Strumenti
I linguaggi della pastorale
La cura educativa e i percorsi di evangelizzazione
Silenzio, contemplazione, preghiera
5. Maria di Nazareth
QUESTIONARIO
1. Raccogliere i dati
2. Leggere la situazione
3. Condividere le pratiche
Introduzione
«Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia
piena» (Gv 15,11): ecco il progetto di Dio per gli uomini
e le donne di ogni tempo e dunque anche per tutti i giovani e le giovani del
III millennio, nessuno escluso.
Annunciare la gioia del Vangelo è la missione che il Signore ha affidato
alla sua Chiesa. Il Sinodo sulla nuova evangelizzazione e l’Esortazione
Apostolica Evangelii
gaudium hanno affrontato come compiere questa missione nel mondo di oggi;
all’accompagnamento delle famiglie incontro a questa gioia sono stati invece
dedicati i due Sinodi sulla famiglia e l’Esortazione Apostolica
Postsinodale Amoris
laetitia.
In continuità con questo cammino, attraverso un nuovo percorso sinodale sul
tema: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», la Chiesa ha deciso
di interrogarsi su come accompagnare i giovani a riconoscere e accogliere la
chiamata all’amore e alla vita in pienezza, e anche di chiedere ai giovani
stessi di aiutarla a identificare le modalità oggi più efficaci per annunciare
la Buona Notizia. Attraverso i giovani, la Chiesa potrà percepire la voce del
Signore che risuona anche oggi. Come un tempo Samuele (cfr. 1Sam 3,1-21) e Geremia (cfr. Ger 1,4-10), ci sono giovani che sanno scorgere
quei segni del nostro tempo che lo Spirito addita. Ascoltando le loro
aspirazioni possiamo intravvedere il mondo di domani che ci viene incontro e le
vie che la Chiesa è chiamata a percorrere.
La vocazione all’amore assume per ciascuno una forma concreta nella vita
quotidiana attraverso una serie di scelte, che articolano stato di vita
(matrimonio, ministero ordinato, vita consacrata, ecc.), professione, modalità
di impegno sociale e politico, stile di vita, gestione del tempo e dei soldi,
ecc. Assunte o subite, consapevoli o inconsapevoli, si tratta di scelte da cui
nessuno può esimersi. Lo scopo del discernimento vocazionale è scoprire come
trasformarle, alla luce della fede, in passi verso la pienezza della gioia a
cui tutti siamo chiamati.
La Chiesa è consapevole di possedere «ciò che fa la forza e la bellezza dei
giovani: la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi senza
ritorno, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste» (Messaggio del Concilio Vaticano II ai giovani, 8
dicembre 1965); le ricchezze della sua tradizione spirituale offrono molti
strumenti con cui accompagnare la maturazione della coscienza e di un’autentica
libertà.
In questa prospettiva, con il presente Documento Preparatorio,
si dà avvio alla fase della consultazione di tutto il Popolo di Dio. Il Documento – indirizzato ai Sinodi dei Vescovi e ai
Consigli dei Gerarchi delle Chiese Orientali Cattoliche, alle Conferenze
Episcopali, ai Dicasteri della Curia Romana e all’Unione dei Superiori Generali
– termina con un questionario. È prevista inoltre una consultazione di tutti i
giovani attraverso un sito Internet, con un questionario sulle loro aspettative
e la loro vita. Le risposte ai due questionari costituiranno la base per la
redazione del Documento di lavoro o Instrumentum laboris, che sarà il punto di riferimento
per la discussione dei Padri sinodali.
Questo Documento Preparatorio propone
una riflessione articolata in tre passi. Si comincia delineando sommariamente
alcune dinamiche sociali e culturali del mondo in cui i giovani crescono e
prendono le loro decisioni, per proporne una lettura di fede. Si ripercorrono
poi i passaggi fondamentali del processo di discernimento, che è lo strumento principale
che la Chiesa sente di offrire ai giovani per scoprire, alla luce della fede,
la propria vocazione. Infine si mettono a tema gli snodi fondamentali di una
pastorale giovanile vocazionale. Si tratta quindi non di un documento compiuto,
ma di una sorta di mappa che intende favorire una ricerca i cui frutti saranno
disponibili solo al termine del cammino sinodale.
Sulle orme del
discepolo amato
Offriamo come ispirazione al percorso che inizia un’icona evangelica:
Giovanni, l’apostolo. Nella lettura tradizionale del Quarto Vangelo egli è sia
la figura esemplare del giovane che sceglie di seguire Gesù, sia «il discepolo
che Gesù amava» (Gv 13,23; 19,26; 21,7).
«Fissando lo sguardo su Gesù che passava, [Giovanni il Battista] disse:
“Ecco l’agnello di Dio!”. E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così,
seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse
loro: “Che cosa cercate?”. Gli risposero: “Rabbì – che, tradotto, significa
Maestro –, dove dimori?”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e
videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le
quattro del pomeriggio» (Gv 1,36-39).
Nella ricerca del senso da dare alla propria vita, due discepoli del
Battista si sentono rivolgere da Gesù la domanda penetrante: «Che cercate?».
Alla loro replica «Rabbì (che significa maestro), dove abiti?», segue la
risposta-invito del Signore: «Venite e vedrete» (vv. 38-39). Gesù li chiama al
tempo stesso a un percorso interiore e a una disponibilità a mettersi concretamente
in movimento, senza ben sapere dove questo li porterà. Sarà un incontro
memorabile, tanto da ricordarne perfino l’ora (v. 39).
Grazie al coraggio di andare e vedere, i discepoli sperimenteranno
l’amicizia fedele di Cristo e potranno vivere quotidianamente con Lui, farsi
interrogare e ispirare dalle sue parole, farsi colpire e commuovere dai suoi
gesti.
Giovanni, in particolare, sarà chiamato a essere testimone della Passione e
Resurrezione del suo Maestro. Nell’ultima cena (cfr. Gv 13,21-29), la sua intimità con Lui lo condurrà
a reclinare il capo sul petto di Gesù e ad affidarsi alla Sua parola. Nel
condurre Simon Pietro presso la casa del sommo sacerdote, affronterà la notte
della prova e della solitudine (cfr. Gv 18,13-27).
Presso la croce accoglierà il profondo dolore della Madre, cui viene affidato,
assumendosi la responsabilità di prendersi cura di lei (cfr. Gv 19,25-27). Nel mattino di Pasqua egli
condividerà con Pietro la corsa tumultuosa e piena di speranza verso il
sepolcro vuoto (cfr. Gv 20,1-10).
Infine, nel corso della straordinaria pesca presso il lago di Tiberiade
(cfr. Gv 21,1-14), egli riconoscerà il Risorto e ne darà
testimonianza alla comunità.
La figura di Giovanni ci può aiutare a cogliere l’esperienza vocazionale
come un processo progressivo di discernimento interiore e di maturazione della
fede, che conduce a scoprire la gioia dell’amoree la vita in pienezza nel dono
di sé e nella partecipazione all’annuncio della Buona Notizia.
I. I
GIOVANI NEL MONDO DI OGGI
Questo capitolo non traccia un’analisi completa della società e del mondo
giovanile, ma tiene presenti alcuni risultati delle ricerche in ambito sociale
utili per affrontare il tema del discernimento vocazionale, così da
«lasciarcene toccare in profondità e dare una base di concretezza al percorso
etico e spirituale» (Laudato Si', 15).
Il quadro, tracciato a livello planetario, richiederà di essere adattato
alla concretezza delle circostanze specifiche di ciascuna regione: pur in
presenza di tendenze globali, le differenze tra le diverse aree del pianeta
rimangono rilevanti. Per molti versi è corretto affermare che esiste una
pluralità di mondi giovanili, non uno solo. Fra le molte differenze, alcune
spiccano con particolare evidenza. La prima è effetto delle dinamiche
demografiche e separa i Paesi ad alta natalità, in cui i giovani rappresentano
una quota significativa e crescente della popolazione, da quelli in cui il loro
peso demografico si va riducendo. Una seconda differenza deriva dalla storia,
che rende diversi i Paesi e i continenti di antica tradizione cristiana, la cui
cultura è portatrice di una memoria da non disperdere, dai Paesi e continenti
la cui cultura è segnata invece da altre tradizioni religiose e in cui il
cristianesimo è una presenza minoritaria e spesso recente. Infine non possiamo
dimenticare la differenza tra il genere maschile e quello femminile: da una
parte essa determina una diversa sensibilità, dall’altra è origine di forme di
dominio, esclusione e discriminazione di cui tutte le società hanno bisogno di
liberarsi.
Nelle pagine che seguono il termine “giovani” indica le persone di età
compresa all’incirca tra 16 e 29 anni, nella consapevolezza che anche questo
elemento richiede di essere adattato alle circostanze locali. In ogni caso è
bene ricordare che la giovinezza, più che identificare una categoria di
persone, è una fase della vita che ciascuna generazione reinterpreta in modo
unico e irripetibile.
1. Un mondo che cambia
rapidamente
La rapidità dei processi di cambiamento e di trasformazione è la cifra
principale che caratterizza le società e le culture contemporanee (cfr. Laudato Si', 18). La combinazione tra
elevata complessità e rapido mutamento fa sì che ci troviamo in un contesto di
fluidità e incertezza mai sperimentato in precedenza: è un dato di fatto da
assumere senza giudicare aprioristicamente se si tratta di un problema o di una
opportunità. Questa situazione richiede di assumere uno sguardo integrale e
acquisire la capacità di programmare a lungo termine, facendo attenzione alla
sostenibilità e alle conseguenze delle scelte di oggi in tempi e luoghi remoti.
La crescita dell’incertezza incide sulla condizione di vulnerabilità, cioè
la combinazione di malessere sociale e difficoltà economica, e sui vissuti di
insicurezza di larghe fasce della popolazione. Rispetto al mondo del lavoro,
possiamo pensare ai fenomeni della disoccupazione, dell’aumento della
flessibilità e dello sfruttamento soprattutto minorile, oppure all’insieme di
cause politiche, economiche, sociali e persino ambientali che spiegano
l’aumento esponenzialedel numero di rifugiati e migranti. A fronte di pochi
privilegiati che possono usufruire delle opportunità offerte dai processi di
globalizzazione economica, molti vivono in situazione di vulnerabilità e di
insicurezza, il che ha impatto sui loro itinerari di vita e sulle loro scelte.
A livello globale il mondo contemporaneo è segnato da una cultura
“scientista”, spesso dominata dalla tecnica e dalle infinite possibilità che
essa promette di aprire, al cui interno però «sembrano moltiplicarsi le forme
di tristezza e solitudine in cui cadono le persone, e anche tanti giovani» (Misericordia
et misera, 3). Come insegna l’enciclica Laudato
Si’, l’intreccio tra paradigma tecnocratico e ricerca
spasmodica del profitto a breve termine sono all’origine di quella cultura
dello scarto che esclude milioni di persone, tra cui molti giovani, e che
conduce allo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali e al degrado
dell’ambiente, minacciando il futuro delle prossime generazioni (cfr. 20-22).
Non va trascurato poi il fatto che molte società sono sempre più
multiculturali e multireligiose. In particolare la compresenza di più
tradizioni religiose rappresenta una sfida e un’opportunità: può crescere il
disorientamento e la tentazione del relativismo, ma insieme aumentano le
possibilità di confronto fecondo e arricchimento reciproco. Agli occhi della
fede questo appare come un segno del nostro tempo, che richiede una crescita
nella cultura dell’ascolto, del rispetto e del dialogo.
2. Le nuove
generazioni
Chi è giovane oggi vive la propria condizione in un mondo diverso dalla
generazione dei propri genitori e dei propri educatori. Non solo il sistema di
vincoli e opportunità cambia con le trasformazioni economiche e sociali, ma
mutano, sottotraccia, anche desideri, bisogni, sensibilità, modo di
relazionarsi con gli altri. Inoltre, se da un certo punto di vista è vero che
con la globalizzazione i giovani tendono ad essere sempre più omogenei in ogni
parte del mondo, rimangono però, nei contesti locali, peculiarità culturali e
istituzionali che hanno ricadute nel processo di socializzazione e di
costruzione dell’identità.
La sfida della multiculturalità attraversa in modo particolare il mondo
giovanile, ad esempio con le peculiarità delle “seconde generazioni” (cioè di
quei giovani che crescono in una società e in una cultura diverse da quelle dei
loro genitori, a seguito dei fenomeni migratori) o dei figli di coppie in
qualche modo “miste” (dal punto di vista etnico, culturale e/o religioso).
In molte parti del mondo i giovani sperimentano condizioni di particolare durezza,
al cui interno diventa difficile aprire lo spazio per autentiche scelte di
vita, in assenza di margini anche minimi di esercizio della libertà. Pensiamo
ai giovani in situazione di povertà ed esclusione; a quelli che crescono senza
genitori o famiglia, oppure non hanno la possibilità di andare a scuola; ai
bambini e ragazzi di strada di tante periferie; ai giovani disoccupati,
sfollati e migranti; a quelli che sono vittime di sfruttamento, tratta e
schiavitù; ai bambini e ai ragazzi arruolati a forza in bande criminali o in
milizie irregolari; alle spose bambine o alle ragazze costrette a sposarsi
contro la loro volontà. Troppi sono nel mondo coloro che passano direttamente
dall’infanzia all’età adulta e a un carico di responsabilità che non hanno potuto
scegliere. Spesso le bambine, le ragazze e le giovani donne devono affrontare
difficoltà ancora maggiori rispetto ai loro coetanei.
Studi condotti a livello internazionale consentono di identificare alcuni
tratti caratteristici dei giovani del nostro tempo.
Appartenenza
e partecipazione
I giovani non si percepiscono come una categoria svantaggiata o un gruppo
sociale da proteggere e, di conseguenza, come destinatari passivi di programmi
pastorali o di scelte politiche. Non pochi tra loro desiderano essere parte
attiva dei processi di cambiamento del presente, come confermano quelle
esperienze di attivazione e innovazione dal basso che vedono i giovani come
principali, anche se non unici, protagonisti.
La disponibilità alla partecipazione e alla mobilitazione in azioni
concrete, in cui l’apporto personale di ciascuno sia occasione di
riconoscimento identitario, si articola con l’insofferenza verso ambienti in
cui i giovani sentono, a torto o a ragione, di non trovare spazio o di non
ricevere stimoli; ciò può portare alla rinuncia o alla fatica a desiderare,
sognare e progettare, come dimostra il diffondersi del fenomeno dei NEET (not in education, employment or
training, cioè giovani non impegnati in un’attività di studio né di
lavoro né di formazione professionale). La discrepanza tra i giovani passivi e
scoraggiati e quelli intraprendenti e vitali è il frutto delle opportunità
concretamente offerte a ciascuno all’interno del contesto sociale e familiare
in cui cresce, oltre che delle esperienze di senso, relazione e valore fatte
anche prima dell’inizio della giovinezza. Oltre che nella passività, la
mancanza di fiducia in se stessi e nelle proprie capacità può manifestarsi in
una eccessiva preoccupazione per la propria immagine e in un arrendevole conformismo
alle mode del momento.
Punti
di riferimento personali e istituzionali
Varie ricerche mostrano come i giovani sentano il bisogno di figure di
riferimento vicine, credibili, coerenti e oneste, oltre che di luoghi e
occasioni in cui mettere alla prova la capacità di relazione con gli altri (sia
adulti, sia coetanei) e affrontare le dinamiche affettive. Cercano figure in
grado di esprimere sintonia e offrire sostegno, incoraggiamento e aiuto a
riconoscere i limiti, senza far pesare il giudizio.
Da questo punto di vista, il ruolo di genitori e famiglie resta cruciale e
talvolta problematico. Le generazioni più mature tendono spesso a sottovalutare
le potenzialità, enfatizzano le fragilità e hanno difficoltà a capire le
esigenze dei più giovani. Genitori ed educatori adulti possono anche aver
presenti i propri sbagli e che cosa non vorrebbero che i giovani facessero, ma
spesso non hanno altrettanto chiaro come aiutarli a orientare il loro sguardo
verso il futuro. Le due reazioni più comuni sono la rinuncia a farsi sentire e
l’imposizione delle proprie scelte. Genitori assenti o iperprotettivi rendono i
figli più fragili e tendono a sottovalutare i rischi o a essere ossessionati
dalla paura di sbagliare.
I giovani non cercano però solo figure di riferimento adulte: forte è il
desiderio di confronto aperto tra pari. A questo scopo è grande il bisogno di
occasioni di interazione libera, di espressione affettiva, di apprendimento
informale, di sperimentazione di ruoli e abilità senza tensione e ansia.
Tendenzialmente cauti nei confronti di coloro che sono al di là della
cerchia delle relazioni personali, i giovani nutrono spesso
sfiducia,indifferenza o indignazioneverso le istituzioni. Questo non riguarda
solo la politica, ma investe sempre più anche le istituzioni formative e la
Chiesa, nel suo aspetto istituzionale. La vorrebbero più vicina alla gente, più
attenta ai problemi sociali, ma non danno per scontato che questo avvenga
nell’immediato.
Tutto ciò si svolge in un contesto in cui l’appartenenza confessionale e la
pratica religiosa diventano sempre più tratti di una minoranza e i giovani non
si pongono “contro”, ma stanno imparando a vivere “senza” il Dio presentato dal
Vangelo e “senza” la Chiesa, salvo affidarsi a forme di religiosità e
spiritualità alternative e poco istituzionalizzate o rifugiarsi in sette o
esperienze religiose a forte matrice identitaria. In molti luoghi la presenza
della Chiesa si va facendo meno capillare e risulta così più difficile
incontrarla, mentre la cultura dominante è portatrice di istanze spesso in
contrasto con i valori evangelici, che si tratti di elementi della propria
tradizione o della declinazione locale di una globalizzazione di stampo
consumista e individualista.
Verso
una generazione (iper)connessa
Le giovani generazioni sono oggi caratterizzate dal rapporto con le moderne
tecnologie della comunicazione e con quello che viene normalmente chiamato
“mondo virtuale”, ma che ha anche effetti molto reali. Esso offre possibilità
di accesso a una serie di opportunità che le generazioni precedenti non
avevano, e al tempo stesso presenta rischi. È tuttavia di grande importanza
mettere a fuoco come l’esperienza di relazioni tecnologicamente mediate
strutturi la concezione del mondo, della realtà e dei rapporti interpersonali e
con questo è chiamata a misurarsi l’azione pastorale, che ha bisogno di
sviluppare una cultura adeguata.
3. I giovani e le
scelte
Nel contesto di fluidità e precarietà che abbiamo delineato, la transizione
alla vita adulta e la costruzione dell’identità richiedono sempre più un
percorso “riflessivo”. Le persone sono forzate a riadattare i propri percorsi
di vita e a riappropriarsi continuamente delle proprie scelte. Inoltre, insieme
alla cultura occidentale si diffonde una concezione di libertà intesa come
possibilità di accedere a opportunità sempre nuove. Si rifiuta che costruire un
percorso personale di vita significhi rinunciare a percorrere in futuro strade
differenti: «Oggi scelgo questo, domani si vedrà». Nelle relazioni affettive
come nel mondo del lavoro l’orizzonte si compone di opzioni sempre reversibili
più che di scelte definitive.
In questo contesto i vecchi approcci non funzionano più e l’esperienza
trasmessa dalle generazioni precedenti diventa rapidamente obsoleta. Valide
opportunità e rischi insidiosi si intrecciano in un groviglio non facilmente
districabile. Diventano indispensabili adeguati strumenti culturali, sociali e
spirituali perché i meccanismi del processo decisionale non si inceppino e si
finisca, magari per paura di sbagliare, a subire il cambiamento anziché
guidarlo. Lo ha detto Papa Francesco: «“Come possiamo ridestare la grandezza e
il coraggio di scelte di ampio respiro, di slanci del cuore per affrontare
sfide educative e affettive?”. La parola l’ho detta tante volte: rischia! Rischia.
Chi non rischia non cammina. “Ma se sbaglio?”. Benedetto il Signore! Sbaglierai
di più se tu rimani fermo» (Discorso
a Villa Nazareth,
18 giugno 2016).
Nella ricerca di percorsi capaci di ridestare il coraggio e gli slanci del
cuore non si può non tenere in conto che la persona di Gesù e la Buona Notizia
da Lui proclamata continuano ad affascinare molti giovani.
La capacità di scegliere dei giovani è ostacolata da difficoltà legate alla
condizione di precarietà: la fatica a trovare lavoro o la sua drammatica
mancanza; gli ostacoli nel costruirsi un’autonomia economica; l’impossibilità
di stabilizzare il proprio percorso professionale. Per le giovani donne questi
ostacoli sono normalmente ancora più ardui da superare.
Il disagio economico e sociale delle famiglie, il modo in cui i giovani
assumono alcuni tratti della cultura contemporanea e l’impatto delle nuove
tecnologie richiedono maggiore capacità di rispondere alla sfida educativa
nella sua accezione più ampia: è questa l’emergenza educativa evidenziata da
Benedetto XVI nella Lettera
alla Città e alla Diocesi di Roma sull’urgenza dell’educazione (21
gennaio 2008). A livello globale bisogna tenere conto anche delle
disuguaglianze tra Paesi e del loro effetto sulle opportunità offerte ai
giovani nelle diverse società in termini di inclusione. Anche fattori culturali
e religiosi possono ingenerare esclusione, ad esempio per quanto riguarda i
divari di genere o la discriminazione delle minoranze etniche o religiose, fino
a spingere i giovani più intraprendenti verso l’emigrazione.
In questo quadro risulta particolarmente urgente promuovere le capacità
personali mettendole al servizio di un solido progetto di crescita comune. I
giovani apprezzano la possibilità di combinare l’azione in progetti concreti su
cui misurare la propria capacità di ottenere risultati, l’esercizio di un
protagonismo indirizzato a migliorare il contesto in cui vivono, l’opportunità
di acquisire e raffinare sul campo competenze utili per la vita e il lavoro.
L’innovazione sociale esprime un protagonismo positivo che ribalta la
condizione delle nuove generazioni: da perdenti che chiedono protezione dai
rischi del mutamento a soggetti del cambiamento capaci di creare nuove
opportunità. È significativo che proprio i giovani – spesso rinchiusi nello
stereotipo della passività e dell’inesperienza – propongano e pratichino
alternative che mostrano come il mondo o la Chiesa potrebbero essere. Se nella
società o nella comunità cristiana vogliamo far succedere qualcosa di nuovo,
dobbiamo lasciare spazio perché persone nuove possano agire. In altri termini,
progettare il cambiamento secondo i principi della sostenibilità richiede di
consentire alle nuove generazioni di sperimentare un nuovo modello di sviluppo.
Questo risulta particolarmente problematico in quei Paesi e contesti
istituzionali in cui l’età di chi occupa posti di responsabilità è elevata e
rallentano i ritmi di ricambio generazionale.
II. FEDE,
DISCERNIMENTO, VOCAZIONE
Attraverso il percorso di questo Sinodo, la Chiesa vuole ribadire il
proprio desiderio di incontrare, accompagnare, prendersi cura di ogni giovane,
nessuno escluso. Non possiamo né vogliamo abbandonarli alle solitudini e alle
esclusioni a cui il mondo li espone. Che la loro vita sia esperienza buona, che
non si perdano su strade di violenza o di morte, che la delusione non li
imprigioni nell’alienazione: tutto ciò non può non stare a cuore a chi è stato
generato alla vita e alla fede e sa di avere ricevuto un dono grande.
È in forza di questo dono che sappiamo che venire al mondo significa
incontrare la promessa di una vita buona e che essere accolto e custodito è
l’esperienza originaria che inscrive in ciascuno la fiducia di non essere
abbandonato alla mancanza di senso e al buio della morte e la speranza di poter
esprimere la propria originalità in un percorso verso la pienezza di vita.
La sapienza della Chiesa orientale ci aiuta a scoprire come questa fiducia
sia radicata nell’esperienza di “tre nascite”: la nascita naturale come donna o
come uomo in un mondo capace di accogliere e sostenere la vita; la nascita del
battesimo «quando qualcuno diventa figlio di Dio per grazia»; e poi una terza
nascita, quando avviene il passaggio «dal modo di vita corporale a quello
spirituale», che apre all’esercizio maturo della libertà (cfr. Discorsi di Filosseno di Mabbug,
vescovo siriano del V secolo, n. 9).
Offrire ad altri il dono che noi stessi abbiamo ricevuto significa
accompagnarli lungo questo percorso, affiancandoli nell’affrontare le proprie
fragilità e le difficoltà della vita, ma soprattutto sostenendo le libertà che
si stanno ancora costituendo.
Da tutto questo la Chiesa, a partire dai suoi Pastori, è chiamata a
mettersi in discussione e a riscoprire la sua vocazione alla custodia con lo
stile che Papa Francesco ha ricordato all’inizio del suo pontificato:
«Prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con
tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso,
lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del
debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione,
di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore» (Omelia
per l’inizio del ministero petrino, 19 marzo
2013).
In questa prospettiva saranno ora presentati alcuni spunti in vista di un
accompagnamento dei giovani a partire dalla fede, in ascolto della tradizione
della Chiesa e con il chiaro obiettivo di sostenerli nel loro discernimento
vocazionale e nell’assunzione delle scelte fondamentali della vita, a partire
dalla consapevolezza del carattere irreversibile di alcune di esse.
1. Fede e vocazione
La fede, in quanto partecipazione al modo di vedere di Gesù (cfr. Lumen
fidei, 18), è la fonte del discernimento
vocazionale, perché ne offre i contenuti fondamentali, le articolazioni
specifiche, lo stile singolare e la pedagogia propria. Accogliere con gioia e
disponibilità questo dono della grazia richiede di renderlo fecondo attraverso
scelte di vita concrete e coerenti.
«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché
andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che
chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi
amiate gli uni gli altri» (Gv 15,16-17).
Se la vocazione alla gioia dell’amore è l’appello fondamentale che Dio pone nel
cuore di ogni giovane perché la sua esistenza possa portare frutto, la fede è
insieme dono dall’alto e risposta al sentirsi scelti e amati.
La fede «non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della
vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura
che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché
il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra
fragilità» (Lumen
fidei, 53). Questa fede «diventa luce per
illuminare tutti i rapporti sociali», contribuendo a «costruire la fraternità
universale» tra gli uomini e le donne di ogni tempo (ibid.,
54).
La Bibbia presenta numerosi racconti di vocazione e di risposta di giovani.
Alla luce della fede, essi prendono gradualmente coscienza del progetto di
amore appassionato che Dio ha per ciascuno. È questa l’intenzione di ogni
azione di Dio, fin dalla creazione del mondo come luogo «buono», capace di accogliere la vita, e offerto
in dono come ordito di relazioni a cui affidarsi.
Credere significa mettersi in ascolto dello Spirito e in dialogo con la
Parola che è via, verità e vita (cfr. Gv 14,6) con
tutta la propria intelligenza e affettività, imparare a darle fiducia
“incarnandola” nella concretezza del quotidiano, nei momenti in cui la croce si
fa vicina e in quelli in cui si sperimenta la gioia di fronte ai segni di
risurrezione, proprio come ha fatto il “discepolo amato”. È questa la sfida che
interpella la comunità cristiana e ogni singolo credente.
Lo spazio di questo dialogo è la coscienza. Come insegna il Concilio
Vaticano II, essa «è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è
solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (Gaudium
et spes, 16). La
coscienza è dunque uno spazio inviolabile in cui si manifesta l’invito ad
accogliere una promessa. Discernere la voce dello Spirito dagli altri richiami
e decidere che risposta dare è un compito che spetta a ciascuno: gli altri lo
possono accompagnare e confermare, ma mai sostituire.
La vita e la storia ci insegnano che per l’essere umano non è sempre facile
riconoscere la forma concreta di quella gioia a cui Dio lo chiama e a cui il
suo desiderio tende, tantomeno ora in un contesto di cambiamento e di
incertezza diffusa. Altre volte la persona deve fare i conti con lo
scoraggiamento o con la forza di altri attaccamenti, che la trattengono nella
sua corsa verso la pienezza: è l’esperienza di tanti, ad esempio di quel
giovane che aveva troppe ricchezze per essere libero di accogliere la chiamata
di Gesù e per questo se ne andò triste anziché pieno di gioia (cfr. Mc 10,17-22). La libertà umana, pur avendo bisogno
di essere sempre purificata e liberata, non perde tuttavia mai del tutto la
radicale capacità di riconoscere il bene e di compierlo: «Gli esseri umani,
capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a
scegliere il bene e rigenerarsi, al di là di qualsiasi condizionamento
psicologico e sociale che venga loro imposto» (Laudato Si’, 205).
2. Il dono del
discernimento
Prendere decisioni e orientare le proprie azioni in situazioni di
incertezza e di fronte a spinte interiori contrastanti è l’ambito
dell’esercizio del discernimento. Si tratta di un termine classico della
tradizione della Chiesa, che si applica a una pluralità di situazioni. Vi è
infatti un discernimento dei segni dei tempi, che punta a riconoscere la
presenza e l’azione dello Spirito nella storia; un discernimento morale, che
distingue ciò che è bene da ciò che è male; un discernimento spirituale, che si
propone di riconoscere la tentazione per respingerla e procedere invece sulla
via della pienezza di vita. Gli intrecci tra queste diverse accezioni sono
evidenti e non si possono mai sciogliere completamente.
Tenendo presente ciò, ci concentriamo qui sul discernimento vocazionale,
cioè sul processo con cui la persona arriva a compiere, in dialogo con il
Signore e in ascolto della voce dello Spirito, le scelte fondamentali, a
partire da quella sullo stato di vita. Se l’interrogativo su come non sprecare
le opportunità di realizzazione di sé riguarda tutti gli uomini e le donne, per
il credente la domanda si fa ancora più intensa e profonda. Come vivere la
buona notizia del Vangelo e rispondere alla chiamata che il Signore rivolge a
tutti coloro a cui si fa incontro: attraverso il matrimonio, il ministero
ordinato, la vita consacrata? E qual è il campo in cui si possono mettere a
frutto i propri talenti: la vita professionale, il volontariato, il servizio
agli ultimi, l’impegno in politica?
Lo Spirito parla e agisce attraverso gli avvenimenti della vita di
ciascuno, ma gli eventi in se stessi sono muti o ambigui, in quanto se ne
possono dare interpretazioni diverse. Illuminarne il significato in ordine a
una decisione richiede un percorso di discernimento. I tre verbi con cui esso è
descritto in Evangelii gaudium, 51 – riconoscere,
interpretare e scegliere – possono aiutarci a delineare un itinerario adatto tanto
per i singoli quanto per i gruppi e le comunità, sapendo che nella pratica i
confini tra le diverse fasi non sono mai così netti.
Riconoscere
Il riconoscimento riguarda innanzi tutto gli effetti che gli avvenimenti
della mia vita, le persone che incontro, le parole che ascolto o che leggo
producono sulla mia interiorità: una varietà di «desideri, sentimenti,
emozioni» (Amoris
laetitia, 143) di segno molto diverso: tristezza,
oscurità, pienezza, paura, gioia, pace, senso di vuoto, tenerezza, rabbia,
speranza, tiepidezza, ecc. Mi sento attirato o spinto in una pluralità di
direzioni, senza che nessuna mi appaia come quella chiaramente da imboccare; è
il momento degli alti e dei bassi e in alcuni casi di una e vera e propria
lotta interiore. Riconoscere richiede di far affiorare questa ricchezza emotiva
e nominare queste passioni senza giudicarle. Richiede anche di cogliere il
“gusto” che lasciano, cioè la consonanza o dissonanza fra ciò che sperimento e
ciò che c’è di più profondo in me.
In questa fase la Parola di Dio riveste una grande importanza: meditarla
mette infatti in moto le passioni come tutte le esperienze di contatto con la
propria interiorità, ma al tempo stesso offre una possibilità di farle emergere
immedesimandosi nelle vicende che essa narra. La fase del riconoscere mette al
centro la capacità di ascolto e l’affettività della persona, senza sottrarsi
per paura alla fatica del silenzio. Si tratta di un passaggio fondamentale nel
percorso di maturazione personale, in particolare per i giovani che
sperimentano con maggiore intensità la forza dei desideri e possono anche
rimanerne spaventati, rinunciando magari ai grandi passi a cui pure si sentono
spinti.
Interpretare
Non basta riconoscere ciò che si è provato: occorre “interpretarlo”, o, in
altre parole, comprendere a che cosa lo Spirito sta chiamando attraverso ciò
che suscita in ciascuno. Tante volte ci si ferma a raccontare un’esperienza,
sottolineando che “mi ha colpito molto”. Più difficile è cogliere l’origine e
il senso dei desideri e delle emozioni provate e valutare se ci stanno
orientando in una direzione costruttiva o se invece ci stanno portando a
ripiegarci su noi stessi.
Questa fase di interpretazione è molto delicata; richiede pazienza,
vigilanza e anche un certo apprendimento. Bisogna essere capaci di rendersi
conto degli effetti dei condizionamenti sociali e psicologici. Richiede di
mettere in campo anche le proprie facoltà intellettuali, senza tuttavia cadere
nel rischio di costruire teorie astratte su ciò che sarebbe bene o bello fare:
anche nel discernimento «la realtà è superiore all’idea» (Evangelii gaudium, 231). Nell’interpretare
non si può neppure tralasciare di confrontarsi con la realtà e di prendere in
considerazione le possibilità che realisticamente si hanno a disposizione.
Per interpretare i desideri e i moti interiori è necessario confrontarsi
onestamente, alla luce della Parola di Dio, anche con le esigenze morali della
vita cristiana, sempre cercando di calarle nella situazione concreta che si sta
vivendo. Questo sforzo spinge chi lo compie a non accontentarsi della logica
legalistica del minimo indispensabile, per cercare invece il modo di
valorizzare al meglio i propri doni e le proprie possibilità: per questo
risulta una proposta attraente e stimolante per i giovani.
Questo lavoro di interpretazione si svolge in un dialogo interiore con il
Signore, con l’attivazione di tutte le capacità della persona; l’aiuto di una
persona esperta nell’ascolto dello Spirito è pero un sostegno prezioso che la
Chiesa offre e di cui è poco accorto non avvalersi.
Scegliere
Una volta riconosciuto e interpretato il mondo dei desideri e delle
passioni, l’atto di decidere diventa esercizio di autentica libertà umana e di
responsabilità personale, sempre ovviamente situate e quindi limitate. La
scelta si sottrae dunque alla forza cieca delle pulsioni, a cui un certo
relativismo contemporaneo finisce per assegnare il ruolo di criterio ultimo,
imprigionando la persona nella volubilità. Al tempo stesso si libera dalla
soggezione a istanze esterne alla persona e dunque eteronome, richiedendo
altresì una coerenza di vita.
Per lungo tempo nella storia le decisioni fondamentali della vita non sono
state prese dai diretti interessati; in alcune parti del mondo è ancora così,
come si è accennato anche nel I capitolo. Promuovere scelte davvero libere e
responsabili, spogliandosi da ogni connivenza con retaggi di altri tempi, resta
l’obiettivo di ogni seria pastorale vocazionale. Il discernimento ne è lo
strumento principe, che permette di salvaguardare lo spazio inviolabile della
coscienza, senza pretendere di sostituirsi a essa (cfr. Amoris laetitia, 37).
La decisione richiede di essere messa alla prova dei fatti in vista della
sua conferma. La scelta non può restare imprigionata in una interiorità che
rischia di rimanere virtuale o velleitaria – si tratta di un pericolo
accentuato nella cultura contemporanea –, ma è chiamata a tradursi in azione, a
prendere carne, a dare inizio a un percorso, accettando il rischio di
confrontarsi con quella realtà che aveva messo in moto desideri ed emozioni.
Altri ne nasceranno in questa fase: riconoscerli e interpretarli permetterà di
confermare la bontà della decisione presa o consiglierà di rivederla. Per
questo è importante “uscire”, anche dalla paura di sbagliare che, come abbiamo
visto, può diventare paralizzante.
3. Percorsi di
vocazione e missione
Il discernimento vocazionale non si compie in un atto puntuale, anche se
nel racconto di ogni vocazione è possibile identificare momenti o incontri
decisivi. Come tutte le cose importanti della vita, anche il discernimento
vocazionale è un processo lungo, che si snoda nel tempo, durante il quale
continuare a vigilare sulle indicazioni con cui il Signore precisa e specifica
una vocazione che è squisitamente personale e irripetibile. Il Signore ha
chiesto ad Abramo e Sara di partire, ma solo in un cammino progressivo e non
senza passi falsi si è chiarito quale fosse l’inizialmente misterioso «paese
che io ti indicherò» (Gn 12,1). Maria stessa
progredisce nella consapevolezza della propria vocazione attraverso la
meditazione sulle parole che ascolta e gli eventi che le accadono, anche quelli
che non comprende (cfr. Lc 2,50-51).
Il tempo è fondamentale per verificare l’orientamento effettivo della
decisione presa. Come insegna ogni pagina del testo biblico, non vi è vocazione
che non sia ordinata a una missione accolta con timore o con entusiasmo.
Accogliere la missione implica la disponibilità di rischiare la propria
vita e percorrere la via della croce, sulle orme di Gesù, che con decisione si
mise in cammino verso Gerusalemme (cfr. Lc 9,51) per
offrire la propria vita per l’umanità. Solo se la persona rinuncia a occupare
il centro della scena con i propri bisogni si apre lo spazio per accogliere il
progetto di Dio alla vita familiare, al ministero ordinato o alla vita
consacrata, come pure per svolgere con rigore la propria professione e
ricercare sinceramente il bene comune. In particolare nei luoghi dove la
cultura è più profondamente segnata dall’individualismo, occorre verificare
quanto le scelte siano dettate dalla ricerca della propria autorealizzazione
narcisistica e quanto invece includano la disponibilità a vivere la propria
esistenza nella logica del generoso dono di sé. Per questo il contatto con la
povertà, la vulnerabilità e il bisogno rivestono grande importanza nei percorsi
di discernimento vocazionale. Per quanto riguarda i futuri pastori, è opportuno
soprattutto vagliare e promuovere la crescita della disponibilità a lasciarsi
impregnare dall’“odore delle pecore”.
4. L’accompagnamento
Alla base del discernimento possiamo rintracciare tre convinzioni, ben
radicate nell’esperienza di ogni essere umano riletta alla luce della fede e
della tradizione cristiana. La prima è che lo Spirito di Dio agisce nel cuore
di ogni uomo e di ogni donna attraverso sentimenti e desideri che si legano a
idee, immagini e progetti. Ascoltando con attenzione, l’essere umano ha la
possibilità di interpretare questi segnali. La seconda convinzione è che il
cuore umano, per via della propria fragilità e del peccato, si presenta
normalmente diviso perché attratto da richiami diversi, o persino opposti. La
terza convinzione è che comunque il percorso della vita impone di decidere,
perché non si può rimanere all’infinito nell’indeterminazione. Occorre però
darsi gli strumenti per riconoscere la chiamata del Signore alla gioia
dell’amore e scegliere di darvi risposta.
Tra questi strumenti, la tradizione spirituale evidenzia l’importanza
dell’accompagnamento personale. Per accompagnare un’altra persona non basta
studiare la teoria del discernimento; occorre fare sulla propria pelle
l’esperienza di interpretare i movimenti del cuore per riconoscervi l’azione
dello Spirito, la cui voce sa parlare alla singolarità di ciascuno. L’accompagnamento
personale richiede di affinare continuamente la propria sensibilità alla voce
dello Spirito e conduce a scoprire nelle peculiarità personali una risorsa e
una ricchezza.
Si tratta di favorire la relazione tra la persona e il Signore,
collaborando a rimuovere ciò che la ostacola. Sta qui la differenza tra
l’accompagnamento al discernimento e il sostegno psicologico, che pure, se
aperto alla trascendenza, si rivela spesso di importanza fondamentale. Lo
psicologo sostiene una persona nelle difficoltà e la aiuta a prendere
consapevolezza delle sue fragilità e potenzialità; la guida spirituale rinvia
la persona al Signore e prepara il terreno all’incontro con Lui (cfr. Gv 3,29-30).
I brani evangelici che narrano l’incontro di Gesù con le persone del suo
tempo mettono in luce alcuni elementi che ci aiutano a tracciare il profilo
ideale di chi accompagna un giovane nel discernimento vocazionale: lo sguardo
amorevole (la vocazione dei primi discepoli, cfr. Gv 1,35-51); la parola autorevole (l’insegnamento
nella sinagoga di Cafarnao, cfr. Lc 4,32); la
capacità di “farsi prossimo” (la parabola del buon samaritano, cfr. Lc 10, 25-37); la scelta di “camminare accanto” (i
discepoli di Emmaus, cfr. Lc 24,13-35);
la testimonianza di autenticità, senza paura di andare contro i pregiudizi più
diffusi (la lavanda dei piedi nell’ultima cena, cfr. Gv 13,1-20).
Nell’impegno di accompagnamento delle giovani generazioni la Chiesa
accoglie la sua chiamata a collaborare alla gioia dei giovani piuttosto che
tentare di impadronirsi della loro fede (cfr. 2Cor 1,24).
Tale servizio si radica in ultima istanza nella preghiera e nella richiesta del
dono dello Spirito che guida e illumina tutti e ciascuno.
III. L’AZIONE
PASTORALE
Che cosa significa per la Chiesa accompagnare i giovani ad accogliere la
chiamata alla gioia del Vangelo, soprattutto in un tempo segnato
dall’incertezza, dalla precarietà, dall’insicurezza?
Lo scopo di questo capitolo è mettere a fuoco che cosa comporta prendere
sul serio la sfida della cura pastorale e del discernimento vocazionale,
tenendo in considerazione quali sono i soggetti, i luoghi e gli strumenti a
disposizione. In questo senso, riconosciamo una inclusione reciproca tra
pastorale giovanile e pastorale vocazionale, pur nella consapevolezza delle
differenze. Non si tratterà di una panoramica esaustiva, ma di indicazioni da
completare sulla base delle esperienze di ciascuna Chiesa locale.
1. Camminare con i
giovani
Accompagnare i giovani richiede di uscire dai propri schemi
preconfezionati, incontrandoli lì dove sono, adeguandosi ai loro tempi e ai
loro ritmi; significa anche prenderli sul serio nella loro fatica a decifrare
la realtà in cui vivono e a trasformare un annuncio ricevuto in gesti e parole,
nello sforzo quotidiano di costruire la propria storia e nella ricerca più o
meno consapevole di un senso per le loro vite.
Ogni domenica i cristiani tengono viva la memoria di Gesù morto e risorto,
incontrandolo nella celebrazione dell’Eucaristia. Nella fede della Chiesa molti
bambini sono battezzati e proseguono il cammino dell’iniziazione cristiana.
Questo, però, non equivale ancora a una scelta matura per una vita di fede. Per
arrivarci è necessario un cammino, che passa a volte anche attraverso strade
imprevedibili e lontane dai luoghi abituali delle comunità ecclesiali. Per
questo, come ha ricordato Papa Francesco, «la pastorale vocazionale è imparare
lo stile di Gesù, che passa nei luoghi della vita quotidiana, si ferma senza
fretta e, guardando i fratelli con misericordia, li conduce all’incontro con Dio
Padre» (Discorso
ai partecipanti al Convegno di pastorale vocazionale,
21 ottobre 2016). Camminando con i giovani si edifica l’intera comunità
cristiana.
Proprio perché si tratta di interpellare la libertà dei giovani, occorre
valorizzare la creatività di ogni comunità per costruire proposte capaci di
intercettare l’originalità di ciascuno e assecondarne lo sviluppo. In molti
casi si tratterà anche di imparare a dare spazio reale alla novità, senza
soffocarla nel tentativo di incasellarla in schemi predefiniti: non può esserci
una semina fruttuosa di vocazioni se restiamo semplicemente chiusi nel «comodo
criterio pastorale del “si è sempre fatto così”», senza «essere audaci e
creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e
i metodi evangelizzatori delle proprie comunità» (Evangelii gaudium, 33). Tre verbi, che nei
Vangeli connotano il modo con cui Gesù incontra le persone del suo tempo, ci
aiutano a strutturare questo stile pastorale: uscire, vedere, chiamare.
Uscire
Pastorale vocazionale in questa accezione significa accogliere l’invito di
Papa Francesco a uscire, anzitutto da quelle rigidità che rendono meno
credibile l’annuncio della gioia del Vangelo, dagli schemi in cui le persone si
sentono incasellate e da un modo di essere Chiesa che a volte risulta
anacronistico. Uscire è segno anche di libertà interiore da attività e
preoccupazioni abituali, così da permettere ai giovani di essere protagonisti.
Troveranno la comunità cristiana attraente quanto più la sperimenteranno
accogliente verso il contributo concreto e originale che possono portare.
Vedere
Uscire verso il mondo dei giovani richiede la disponibilità a passare del
tempo con loro, ad ascoltare le loro storie, le loro gioie e speranze, le loro
tristezze e angosce, per condividerle: è questa la strada per inculturare il
Vangelo ed evangelizzare ogni cultura, anche quella giovanile. Quando i Vangeli
narrano gli incontri di Gesù con gli uomini e le donne del suo tempo,
evidenziano proprio la sua capacità di fermarsi insieme a loro e il fascino che
percepisce chi ne incrocia lo sguardo. È questo lo sguardo di ogni autentico
pastore, capace di vedere nella profondità del cuore senza risultare invadente
o minaccioso; è il vero sguardo del discernimento, che non vuole impossessarsi
della coscienza altrui né predeterminare il percorso della grazia di Dio a
partire dai propri schemi.
Chiamare
Nei racconti evangelici lo sguardo di amore di Gesù si trasforma in una
parola, che è una chiamata a una novità da accogliere, esplorare e costruire.
Chiamare vuol dire in primo luogo ridestare il desiderio, smuovere le persone
da ciò che le tiene bloccate o dalle comodità in cui si adagiano. Chiamare vuol
dire porre domande a cui non ci sono risposte preconfezionate. È questo, e non
la prescrizione di norme da rispettare, che stimola le persone a mettersi in
cammino e incontrare la gioia del Vangelo.
2. Soggetti
Tutti i
giovani, nessuno escluso
Per la pastorale i giovani sono soggetti e non oggetti. Spesso nei fatti
essi sono trattati dalla società come una presenza inutile o scomoda: la Chiesa
non può riprodurre questo atteggiamento, perché tutti i giovani, nessuno
escluso, hanno diritto a essere accompagnati nel loro cammino.
Ciascuna comunità è poi chiamata ad avere attenzione soprattutto ai giovani
poveri, emarginati ed esclusi e a renderli protagonisti. Essere prossimi dei
giovani che vivono in condizioni di maggiore povertà e disagio, violenza e
guerra, malattia, disabilità e sofferenza è un dono speciale dello Spirito, in
grado di far risplendere lo stile di una Chiesa in uscita. La Chiesa stessa è
chiamata ad imparare dai giovani: ne danno una testimonianza luminosa tanti
giovani santi che continuano a essere fonte di ispirazione per tutti.
Una
comunità responsabile
Tutta la comunità cristiana deve sentirsi responsabile del compito di
educare le nuove generazioni e dobbiamo riconoscere che sono molte le figure di
cristiani che se lo assumono, a partire da coloro che si impegnano all’interno
della vita ecclesiale. Vanno anche apprezzati gli sforzi di chi testimonia la
vita buona del Vangelo e la gioia che ne scaturisce nei luoghi della vita
quotidiana. Occorre infine valorizzare le opportunità di coinvolgimento dei
giovani negli organismi di partecipazione delle comunità diocesane e
parrocchiali, a partire dai consigli pastorali, invitandoli a offrire il
contributo della loro creatività e accogliendo le loro idee anche quando
appaiono provocatorie.
Ovunque nel mondo sono presenti parrocchie, congregazioni religiose,
associazioni, movimenti e realtà ecclesiali capaci di progettare e offrire ai
giovani esperienze di crescita e di discernimento davvero significative.
Talvolta questa dimensione progettuale lascia spazio all’improvvisazione e
all’incompetenza: è un rischio da cui difendersi prendendo sempre più sul serio
il compito di pensare, concretizzare, coordinare e realizzare la pastorale
giovanile in modo corretto, coerente ed efficace. Anche qui si impone la necessità
di una preparazione specifica e continua dei formatori.
Le
figure di riferimento
Il ruolo di adulti degni di fede, con cui entrare in positiva alleanza, è
fondamentale in ogni percorso di maturazione umana e di discernimento
vocazionale. Servono credenti autorevoli, con una chiara identità umana, una
solida appartenenza ecclesiale, una visibile qualità spirituale, una vigorosa
passione educativa e una profonda capacità di discernimento. A volte, invece,
adulti impreparati e immaturi tendono ad agire in modo possessivo e
manipolatorio, creando dipendenze negative, forti disagi e gravi
controtestimonianze, che possono arrivare fino all’abuso.
Perché ci siano figure credibili, occorre formarle e sostenerle, fornendo
loro anche maggiori competenze pedagogiche. Questo vale in particolare per
coloro a cui è affidato il compito di accompagnatori del discernimento
vocazionale in vista del ministero ordinato e della vita consacrata.
Genitori
e famiglia: all’interno di ogni comunità cristiana va riconosciuto
l’insostituibile ruolo educativo svolto dai genitori e dagli altri familiari.
Sono in primo luogo i genitori, all’interno della famiglia, a esprimere ogni
giorno la cura di Dio per ogni essere umano nell’amore che li lega tra di loro
e ai propri figli. A questo riguardo sono preziose le indicazioni offerte da
Papa Francesco in uno specifico capitolo di Amoris
laetitia (cfr. 259-290).
Pastori: l’incontro con figure ministeriali, capaci di mettersi autenticamente
in gioco con il mondo giovanile dedicandogli tempo e risorse, grazie anche alla
testimonianza generosa di donne e uomini consacrati, è decisivo per la crescita
delle nuove generazioni. Lo ha ricordato anche Papa Francesco: «Lo chiedo
soprattutto ai pastori della Chiesa, ai Vescovi e ai Sacerdoti: voi siete i
principali responsabili delle vocazioni cristiane e sacerdotali, e questo
compito non si può relegare a un ufficio burocratico. Anche voi avete vissuto
un incontro che ha cambiato la vostra vita, quando un altro prete – il parroco,
il confessore, il direttore spirituale – vi ha fatto sperimentare la bellezza
dell’amore di Dio. E così anche voi: uscendo, ascoltando i giovani – ci vuole
pazienza! –, potete aiutarli a discernere i movimenti del loro cuore e a orientare
i loro passi» (Discorso
ai partecipanti al Convegno di pastorale vocazionale,
21 ottobre 2016).
Insegnanti
e altre figure educative: tanti insegnanti
cattolici sono impegnati come testimoni nelle università e nelle scuole di ogni
ordine e grado; nel mondo del lavoro molti sono presenti con competenza e
passione; nella politica tanti credenti cercano di essere lievito per una
società più giusta; nel volontariato civile molti si spendono per il bene
comune e la cura del creato; nell’animazione del tempo libero e dello sport
tanti sono impegnati con slancio e generosità. Tutti costoro danno
testimonianza di vocazioni umane e cristiane accolte e vissute con fedeltà e
impegno, suscitando in chi li vede il desiderio di fare altrettanto: rispondere
con generosità alla propria vocazione è il primo modo di fare pastorale
vocazionale.
3. Luoghi
La vita
quotidiana e l’impegno sociale
Diventare adulti significa imparare a gestire in autonomia dimensioni della
vita che sono al tempo stesso fondamentali e quotidiane: l’utilizzo del tempo e
dei soldi, lo stile di vita e di consumo, lo studio e il tempo libero,
l’abbigliamento e il cibo, la vita affettiva e la sessualità. Questo
apprendimento, con cui i giovani sono inevitabilmente alle prese, è l’occasione
per mettere ordine nella propria vita e nelle proprie priorità, sperimentando
percorsi di scelta che possono diventare una palestra di discernimento e
consolidare il proprio orientamento in vista delle decisioni più importanti: la
fede, quanto più è autentica, tanto più interpella la vita quotidiana e se ne
lascia interpellare. Una menzione particolare va alle esperienze, spesso
difficili o problematiche, della vita lavorativa o a quelle di mancanza di
lavoro: anch’esse sono occasione per cogliere o approfondire la propria
vocazione.
I poveri gridano e insieme a loro la terra: l’impegno ad ascoltare può
essere un’occasione concreta di incontro con il Signore e con la Chiesa e di
scoperta della propria vocazione. Come insegna Papa Francesco, le azioni
comunitarie con cui ci si prende cura della casa comune e della qualità della
vita dei poveri «quando esprimono un amore che si dona, possono trasformarsi in
intense esperienze spirituali» (Laudato Si’, 232) e quindi anche in
occasione di cammini e di discernimento vocazionale.
Gli
ambiti specifici della pastorale
La Chiesa offre ai giovani dei luoghi specifici di incontro e di formazione
culturale, di educazione e di evangelizzazione, di celebrazione e di servizio,
mettendosi in prima linea per un’accoglienza aperta a tutti e a ciascuno. La
sfida per questi luoghi e per coloro che li animano è di procedere sempre di
più nella logica della costruzione di una rete integrata di proposte, e di
assumere nel proprio modo di operare lo stile dell’uscire, vedere, chiamare.
- A livello mondiale spiccano le Giornate Mondiali della Gioventù. Inoltre
Conferenze Episcopali e Diocesi sentono sempre più un loro dovere offrire
eventi ed esperienze specifiche per i giovani.
- Le Parrocchie offrono spazi, attività, tempi e percorsi per le giovani
generazioni. La vita sacramentale offre occasioni fondamentali per crescere
nella capacità di accogliere il dono di Dio nella propria esistenza e invita
alla partecipazione attiva alla missione ecclesiale. Segno di attenzione al
mondo dei giovani sono i centri giovanili e gli oratori.
- Le università e le scuole cattoliche, con il loro prezioso servizio
culturale e formativo, sono un altro strumento di presenza della Chiesa tra i
giovani.
- Le attività sociali e di volontariato offrono l’opportunità di mettersi
in gioco nel servizio generoso; l’incontro con persone che sperimentano povertà
ed esclusione può essere un’occasione favorevole di crescita spirituale e di
discernimento vocazionale: anche da questo punto di vista i poveri sono
maestri, anzi portatori della buona notizia che la fragilità è il luogo in cui
si fa esperienza della salvezza.
- Le associazioni e i movimenti ecclesiali, ma pure tanti luoghi di
spiritualità, offrono ai giovani seri percorsi di discernimento; le esperienze
missionarie divengono momenti di servizio generoso e di scambio fecondo; la
riscoperta del pellegrinaggio come forma e stile di cammino appare valida e
promettente; in molti contesti l’esperienza della pietà popolare sostiene e
nutre la fede dei giovani.
- Un luogo di importanza strategica è rivestito dai seminari e dalle case
di formazione, che, anche attraverso un’intensa vita comunitaria, devono
permettere ai giovani che accolgono di fare l’esperienza che li renderà a loro
volta in grado di accompagnare altri.
Il
mondo digitale
Per le ragioni già ricordate, merita una menzione particolare il mondo
dei new media, che soprattutto per le giovani generazioni è
divenuto davvero un luogo di vita; offre tante opportunità inedite, soprattutto
per quanto riguarda l’accesso all’informazione e la costruzione di legami a
distanza, ma presenta anche rischi (ad esempio cyberbullismo, gioco d’azzardo,
pornografia, insidie delle chat room,
manipolazione ideologica, ecc.). Pur con molte differenze tra le diverse
regioni, la comunità cristiana sta ancora costruendo la propria presenza in
questo nuovo areopago, dove i giovani hanno certamente qualcosa da insegnarle.
4. Strumenti
I
linguaggi della pastorale
Talvolta ci accorgiamo che tra il linguaggio ecclesiale e quello dei
giovani si apre uno spazio difficile da colmare, anche se ci sono tante
esperienze di incontro fecondo tra le sensibilità dei giovani e le proposte
della Chiesa in ambito biblico, liturgico, artistico, catechetico e mediatico.
Sogniamo una Chiesa che sappia lasciare spazi al mondo giovanile e ai suoi
linguaggi, apprezzandone e valorizzandone la creatività e i talenti.
Riconosciamo in particolare nello sport una risorsa educativa dalle grandi
opportunità e nella musica e nelle altre espressioni artistiche un linguaggio
espressivo privilegiato che accompagna il cammino di crescita dei giovani.
La cura
educativa e i percorsi di evangelizzazione
Nell’azione pastorale con i giovani, dove occorre avviare processi più che
occupare spazi, scopriamo innanzi tutto l’importanza del servizio alla crescita
umana di ciascuno e degli strumenti pedagogici e formativi che possono
sostenerla. Tra evangelizzazione ed educazione si rintraccia un fecondo legame
genetico, che, nella realtà contemporanea, deve tenere conto della gradualità
dei cammini di maturazione della libertà.
Rispetto al passato, dobbiamo abituarci a percorsi di avvicinamento alla
fede sempre meno standardizzati e più attenti alle caratteristiche personali di
ciascuno: accanto a coloro che continuano a seguire le tappe tradizionali
dell’iniziazione cristiana, molti arrivano all’incontro con il Signore e con la
comunità dei credenti per altra via e in età più avanzata, ad esempio partendo
dalla pratica di un impegno per la giustizia o dall’incontro in ambiti
extraecclesiali con qualcuno capace di essere testimone credibile. La sfida per
le comunità è di risultare accoglienti per tutti, seguendo Gesù che sapeva
parlare con giudei e samaritani, con pagani di cultura greca e occupanti
romani, cogliendo il desiderio profondo di ciascuno di loro.
Silenzio,
contemplazione, preghiera
Infine e soprattutto, non c’è discernimento senza coltivare la familiarità
con il Signore e il dialogo con la sua Parola. In particolare la Lectio Divina è un metodo prezioso che la
tradizione della Chiesa ci consegna.
In una società sempre più rumorosa, che offre una sovrabbondanza di
stimoli, un obiettivo fondamentale della pastorale giovanile vocazionale è
offrire occasioni per assaporare il valore del silenzio e della contemplazione
e formare alla rilettura delle proprie esperienze e all’ascolto della
coscienza.
5. Maria di Nazareth
Affidiamo a Maria questo percorso in cui la Chiesa si interroga su come
accompagnare i giovani ad accogliere la chiamata alla gioia dell’amore e alla
vita in pienezza. Lei, giovane donna di Nazareth, che in ogni tappa della sua
esistenza accoglie la Parola e la conserva, meditandola nel suo cuore
(cfr. Lc 2,19), per prima ha compiuto questo cammino.
Ciascun giovane può scoprire nella vita di Maria lo stile dell’ascolto, il
coraggio della fede, la profondità del discernimento e la dedizione al servizio
(cfr. Lc 1,39-45). Nella sua “piccolezza”, la Vergine
promessa sposa a Giuseppe, sperimenta la debolezza e la fatica di comprendere
la misteriosa volontà di Dio (cfr. Lc 1,34). Anche
Lei è chiamata a vivere l’esodo da se stessa e dai suoi progetti, imparando ad
affidarsi e a confidare.
Facendo memoria delle «grandi cose» che l’Onnipotente ha compiuto in Lei
(cfr. Lc 1,49), la Vergine non si sente sola, ma pienamente
amata e sostenuta dal Non temere dell’angelo
(cfr. Lc 1,30). Nella consapevolezza che Dio è con Lei,
Maria schiude il suo cuore all’Eccomi e
inaugura così la strada del Vangelo (cfr. Lc 1,38). Donna
dell’intercessione (cfr. Gv 2,3), di
fronte alla croce del Figlio, unita al «discepolo amato», accoglie nuovamente
la chiamata ad essere feconda e a generare vita nella storia degli uomini. Nei
suoi occhi ogni giovane può riscoprire la bellezza del discernimento, nel suo
cuore può sperimentare la tenerezza dell’intimità e il coraggio della
testimonianza e della missione.
QUESTIONARIO
Scopo del questionario è aiutare gli Organismi aventi diritto a esprimere
la loro comprensione del mondo giovanile e a leggere la loro esperienza di
accompagnamento vocazionale, in vista della raccolta di elementi per la
redazione del Documento di lavoro o Instrumentum laboris.
Al fine di tener conto delle diverse situazioni continentali, sono state
inserite, dopo la domanda n. 15, tre domande specifiche per ciascuna area
geografica, cui sono invitati a rispondere gli Organismi interessati.
Per rendere più agevole e sostenibile questo lavoro si pregano i rispettivi
organismi di inviare in risposta indicativamente una pagina per i dati,
sette-otto pagine per la lettura della situazione, una pagina per ciascuna
delle tre esperienze da condividere. Se necessario e desiderato, si potranno
allegare altri testi a supporto o integrazione di questo dossier sintetico.
1. Raccogliere i dati
Si
prega di indicare possibilmente le fonti e gli anni di riferimento. Si possono
aggiungere in allegato altri dati sintetici a disposizione che sembrino
rilevanti per comprendere meglio la situazione dei diversi Paesi.
- Numero di abitanti nel Paese/nei Paesi e tasso di natalità.
- Numero e percentuale di giovani (16-29 anni) nel Paese/nei Paesi.
- Numero e percentuale di cattolici nel Paese/nei Paesi
- Età media (negli ultimi cinque anni) al matrimonio (distinguendo tra
uomini e donne), all’ingresso in seminario e all’ingresso nella vita consacrata
(distinguendo tra uomini e donne).
- Nella fascia 16-29anni, percentuale di: studenti, lavoratori (se
possibile specificare gli ambiti), disoccupati, NEET.
2. Leggere la
situazione
a)
Giovani, Chiesa e società
Queste
domande si riferiscono sia ai giovani che frequentano gli ambienti ecclesiali,
sia a quelli che ne sono più lontani o estranei.
1. In che modo ascoltate la realtà dei giovani?
2. Quali sono le sfide principali e quali le opportunità più significative
per i giovani del vostro Paese/dei vostri Paesi oggi?
3. Quali tipi e luoghi di aggregazione giovanile, istituzionali e non,
hanno maggior successo in ambito ecclesiale, e perché?
4. Quali tipi e luoghi di aggregazione giovanile, istituzionali e non,
hanno maggior successo fuori dall’ambito ecclesiale, e perché?
5. Che cosa chiedono concretamente i giovani del vostro Paese/i alla Chiesa
oggi?
6. Nel vostro Paese/i quali spazi di partecipazione hanno i giovani nella
vita della comunità ecclesiale?
7. Come e dove riuscite a incontrare i giovani che non frequentano i vostri
ambienti ecclesiali?
b) La
pastorale giovanile vocazionale
8. Quale è il coinvolgimento delle famiglie e delle comunità nel
discernimento vocazionale dei giovani?
9. Quali sono i contributi alla formazione al discernimento vocazionale da
parte di scuole e università o di altre istituzioni formative (civili o
ecclesiali)?
10. In che modo tenete conto del cambiamento culturale determinato dallo
sviluppo del mondo digitale?
11. In quale modo le Giornate Mondiali della Gioventù o altri eventi
nazionali o internazionali riescono a entrare nella pratica pastorale
ordinaria?
12. In che modo nelle vostre Diocesi si progettano esperienze e cammini di
pastorale giovanile vocazionale?
c) Gli
accompagnatori
13. Che tempi e spazi dedicano i pastori e gli altri educatori per
l’accompagnamento spirituale personale?
14. Quali iniziative e cammini di formazione vengono messi in atto per gli
accompagnatori vocazionali?
15. Quale accompagnamento personale viene proposto nei seminari?
d)
Domande specifiche per aree geografiche
AFRICA
a. Quali visioni e strutture di pastorale giovanile vocazionale rispondono
meglio ai bisogni del vostro continente?
b. Come interpretate la “paternità spirituale” in contesti dove si cresce
senza la figura paterna? Quale formazione offrite?
c. Come riuscite a comunicare ai giovani che c’è bisogno di loro per
costruire il futuro della Chiesa?
AMERICA
a. In che modo le vostre comunità si fanno carico dei giovani che
sperimentano situazioni di violenza estrema (guerriglia, bande, carcere,
tossicodipendenza, matrimoni forzati) e li accompagnano lungo percorsi di vita?
b. Quale formazione offrite per sostenere l’impegno dei giovani in ambito
socio-politico in vista del bene comune?
c. In contesti di forte secolarizzazione, quali azioni pastorali risultano
più efficaci per proseguire un cammino di fede dopo il percorso di iniziazione
cristiana?
ASIA E OCEANIA
a. Perché e come esercitano fascino sui giovani le proposte religiose
aggregative offerte loro da realtà esterne alla Chiesa?
b. Come coniugare i valori della cultura locale con la proposta cristiana,
valorizzando anche la pietà popolare?
c. Come utilizzate nella pastorale i linguaggi giovanili, soprattutto i
media, lo sport e la musica?
EUROPA
- Come aiutate i giovani a guardare al futuro con fiducia e speranza a
partire dalla ricchezza della memoria cristiana dell’Europa?
- Spesso i giovani si sentono scartati e rifiutati dal sistema politico,
economico e sociale in cui vivono. Come ascoltate questo potenziale di protesta
perché si trasformi in proposta e collaborazione?
- A quali livelli il rapporto intergenerazionale funziona ancora? E come
riattivarlo laddove non funziona?
3. Condividere le
pratiche
1. Elencate le tipologie principali di pratiche pastorali di
accompagnamento e discernimento vocazionale presenti nelle vostre realtà.
2. Scegliete tre pratiche che ritenete più interessanti e pertinenti da
condividere con la Chiesa universale, e presentatele secondo lo schema che
segue (massimo una pagina per esperienza).
a) Descrizione: Delineate in poche righe l’esperienza. Chi
sono i protagonisti? Come si svolge l’attività? Dove? Ecc.
b) Analisi: Valutate, anche in chiave narrativa,
l’esperienza, per coglierne meglio gli elementi qualificanti: quali sono gli
obiettivi? Quali sono le premesse teoriche? Quali sono le intuizioni più
interessanti? Come si sono evolute? Ecc.
c) Valutazione: Quali sono i traguardi raggiunti e non? I
punti di forza e di debolezza? Quali le ricadute a livello sociale, culturale,
ecclesiale? Perché e in che cosa l’esperienza è significativa/formativa? Ecc.
*******************************
XV ASSEMBLEA GENERALE
ORDINARIA
I
GIOVANI, LA FEDE
E IL
DISCERNIMENTO VOCAZIONALE
INSTRUMENTUM LABORIS
Città del Vaticano
2018
INDICE
Abbreviazioni
Presentazione
Introduzione
Le finalità del
Sinodo
Il metodo del
discernimento
La struttura del
testo
I PARTE
RICONOSCERE:
LA CHIESA IN ASCOLTO DELLA REALTÀ
Capitolo I: Essere giovani oggi
Un’articolata varietà
di contesti
Di fronte alla
globalizzazione
Il ruolo delle
famiglie
I rapporti
intergenerazionali
Le scelte di vita
Educazione, scuola e
università
Lavoro e professione
Giovani, fedi e
religioni
Capitolo II: Esperienze e linguaggi
Impegno e
partecipazione sociale
Spiritualità e
religiosità
I giovani nella vita
della Chiesa
La trasversalità del
continente digitale
La musica e le altre
forme di espressione artistica
Il mondo dello sport
Capitolo III: Nella cultura dello scarto
La questione del
lavoro
I giovani migranti
Le diverse forme di
discriminazione
Malattia, sofferenza
ed esclusione
Capitolo IV: Sfide antropologiche e culturali
Il corpo,
l’affettività e la sessualità
Nuovi paradigmi
conoscitivi e ricerca della verità
Gli effetti
antropologici del mondo digitale
La delusione
istituzionale e le nuove forme di partecipazione
La paralisi
decisionale nella sovrabbondanza delle proposte
Oltre la
secolarizzazione
Capitolo V: In ascolto dei giovani
La fatica di
ascoltare
Il desiderio di una
“Chiesa autentica”
Una Chiesa “più
relazionale”
Una comunità “impegnata
per la giustizia”
La parola dei
seminaristi e dei giovani religiosi
II PARTE
INTERPRETARE:
FEDE E DISCERNIMENTO VOCAZIONALE
Capitolo I: La benedizione della giovinezza
Cristo “giovane tra i
giovani”
La chiamata
universale alla gioia dell’amore
Vigore fisico,
fortezza d’animo e coraggio di rischiare
Incertezza, paura e
speranza
Caduta, pentimento e
accoglienza
Disponibilità
all’ascolto e necessità dell’accompagnamento
Maturazione della
fede e dono del discernimento
Progetto di vita e
dinamica vocazionale
Capitolo II: La vocazione alla luce della fede
La vita umana
nell’orizzonte vocazionale
Chiamati in Cristo
Ad uscire da se
stessi
Verso la pienezza
della gioia e dell’amore
La vocazione a
seguire Gesù
La vocazione
battesimale
La chiamata degli
apostoli
La vocazione della
Chiesa e le vocazioni nella Chiesa
I diversi percorsi
vocazionali
La famiglia
Il ministero ordinato
La vita consacrata
Professione e
vocazione
L’inedita condizione
dei “single”
Capitolo III: Il dinamismo del discernimento
vocazionale
La richiesta di
discernimento
Il discernimento nel
linguaggio ordinario e nella tradizione cristiana
La proposta del
discernimento vocazionale
Riconoscere,
interpretare, scegliere
Il ruolo della
coscienza
Il confronto con la
realtà
Capitolo IV: L’arte di accompagnare
“Accompagnamento” si
dice in molti modi
Accompagnamento
spirituale
Accompagnamento
psicologico
Accompagnamento e
sacramento della riconciliazione
Accompagnamento
familiare, formativo e sociale
Accompagnamento nella
lettura dei segni dei tempi
Accompagnamento nella
vita quotidiana e della comunità ecclesiale
Le qualità di coloro
che accompagnano
L’accompagnamento dei
seminaristi e dei giovani consacrati
III PARTE
SCEGLIERE:
CAMMINI DI CONVERSIONE PASTORALE E MISSIONARIA
Capitolo I: Una prospettiva integrale
Il discernimento come
stile di una Chiesa in uscita
Popolo di Dio in un
mondo frammentato
Una Chiesa generativa
Capitolo II: Immersi nel tessuto della vita quotidiana
L’accompagnamento
scolastico e universitario
L’esigenza di uno
sguardo e di una formazione integrali
La specificità e la
ricchezza delle scuole e università cattoliche
Economia, lavoro e
cura della casa comune
Alla ricerca di nuovi
modelli di sviluppo
Il lavoro di fronte
all’innovazione tecnologica
Collaborare alla
creazione di occupazione per tutti
Nella trama delle
culture giovanili
Formare alla
cittadinanza attiva e alla politica
Imparare ad abitare
il mondo digitale
La musica tra
interiorità e affermazione dell’identità
Sport e competizione
L’amicizia e
l’accompagnamento tra pari
Vicinanza e sostegno
nel disagio e nell’emarginazione
Disabilità e malattia
Dipendenze e altre
fragilità
Con i giovani
carcerati
In situazioni di
guerra e di violenza
Giovani migranti e
cultura dell’accoglienza
Di fronte alla morte
Accompagnamento e
annuncio
Capitolo III: Una comunità evangelizzata ed
evangelizzatrice
Un’idea evangelica di
comunità cristiana
Un’esperienza
familiare di Chiesa
La cura pastorale per
le giovani generazioni
La famiglia, soggetto
privilegiato dell’educazione
In ascolto e in
dialogo con il Signore
Alla scuola della
Parola di Dio
Il gusto e la
bellezza della liturgia
Nutrire la fede nella
catechesi
Accompagnare i
giovani verso il dono gratuito di sé
Comunità aperta e
accogliente verso tutti
Capitolo IV: Animazione e organizzazione della
pastorale
Il protagonismo
giovanile
La Chiesa nel
territorio
L’apporto della vita
consacrata
Associazioni e
movimenti
Reti e collaborazioni
a livello civile, sociale e religioso
La progettazione
pastorale
Il rapporto tra
eventi straordinari e vita quotidiana
Verso una pastorale
integrata
Seminari e case di formazione
Conclusione
La vocazione
universale alla santità
La giovinezza, un
tempo per la santità
Giovani santi e
giovinezza dei santi
Preghiera per il
Sinodo
________________________
ABBREVIAZIONI
AL
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DC
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CE
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Conferenza
Episcopale / Conferenze Episcopali
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CL
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DV
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Dicastero Vaticano
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PdV
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PO
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PP
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QoL
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Questionario on line per i giovani della Segreteria del
Sinodo
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RFIS
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RP
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SI
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Seminario
internazionale sulla condizione giovanile (11-15 settembre 2017)
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USG
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Unione Superiori
Generali
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VG
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VD
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PRESENTAZIONE
Il cammino sinodale è iniziato immediatamente con la redazione del Documento preparatorio (DP),
pubblicato il 13 gennaio 2017 insieme a una “Lettera ai giovani” del Santo Padre. Il DP comprendeva
un Questionario, destinato principalmente alle Conferenze
Episcopali, ai Sinodi delle Chiese Orientali Cattoliche e ad altri organismi
ecclesiali, con quindici domande per tutti, tre specifiche per ciascun
continente e la richiesta di condividere tre “buone pratiche”.
Dall’11 al 15 settembre 2017 si è tenuto un Seminario
internazionale sulla condizione giovanile con la presenza di
molti esperti e di vari giovani, che ha aiutato a mettere a fuoco la situazione
dei giovani nel mondo di oggi dal punto di vista scientifico.
A fianco di queste iniziative destinate a coinvolgere la Chiesa nel suo insieme,
non sono mancate occasioni di ascolto della voce dei giovani, perché fin da
subito si è inteso renderli protagonisti. In primo luogo è stato predisposto
un Questionario on line in diverse lingue e tradotto
da alcune Conferenze Episcopali, che ha raccolto le risposte di oltre centomila
giovani. Il materiale raccolto è immenso. Inoltre, ha avuto luogo la Riunione presinodale (Roma, 19-24 marzo 2018), che
si è conclusa la domenica delle Palme con la consegna al Santo Padre di
un Documento finale.
A questa iniziativa hanno partecipato circa trecento giovani provenienti dai
cinque Continenti e anche quindicimila giovani attraverso i social media.
L’evento, espressione del desiderio della Chiesa di mettersi in ascolto di
tutti i giovani, nessuno escluso, ha ottenuto notevole risonanza.
Il materiale raccolto
da queste quattro fonti principali – a cui si aggiungono alcune “Osservazioni”
giunte direttamente alla Segreteria del Sinodo – è certamente molto vasto.
Attraverso alcuni esperti è stato ampiamente analizzato, accuratamente
sintetizzato e infine raccolto nel presente “Strumento di lavoro” che è stato
approvato dal XIV Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei
Vescovi, alla presenza del Santo Padre.
Il testo è
strutturato in tre parti e riprende le tematiche in forma funzionale rispetto
all’andamento dell’Assemblea sinodale del prossimo ottobre, secondo il metodo
del discernimento: la I Parte, legata al verbo “riconoscere”, raccoglie in
cinque capitoli e secondo diverse prospettive vari momenti di ascolto della
realtà, facendo il punto sulla condizione giovanile; la II Parte, orientata dal
verbo “interpretare”, offre in quattro capitoli alcune chiavi di lettura delle
questioni decisive presentate al discernimento del Sinodo; la III Parte, con
l’obiettivo di arrivare a “scegliere”, in quattro capitoli raccoglie diversi
elementi per aiutare i Padri sinodali a prendere posizione rispetto agli
orientamenti e alle decisioni da prendere.
Il testo si conclude
con una significativa attenzione al tema della santità, in modo che l’Assemblea
sinodale riconosca in essa «il volto più bello della Chiesa» (GE 9) e lo sappia
proporre a tutti i giovani oggi.
Vaticano, 8 maggio 2018
Lorenzo Card. Baldisseri
Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi
* * *
INTRODUZIONE
Le finalità del Sinodo
1. Prendersi cura dei
giovani non è un compito facoltativo per la Chiesa, ma parte sostanziale della
sua vocazione e della sua missione nella storia. È questo in radice l’ambito
specifico del prossimo Sinodo: come il Signore Gesù ha camminato con i
discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35),
anche la Chiesa è invitata ad accompagnare tutti i giovani, nessuno escluso,
verso la gioia dell’amore.
I giovani possono, con la loro presenza e la loro parola, aiutare la Chiesa
a ringiovanire il proprio volto. Un filo ideale lega il Messaggio ai giovani del Concilio Vaticano II (8 dicembre 1965) e il Sinodo dei giovani (3-28 ottobre 2018), che il Santo
Padre ha esplicitato introducendo la Riunione presinodale: «Mi viene in mente
lo splendido Messaggio ai giovani del
Concilio Vaticano II. […] È un invito a cercare nuovi cammini e a percorrerli
con audacia e fiducia, tenendo fisso lo sguardo su Gesù e aprendosi allo
Spirito Santo, per ringiovanire il volto stesso della Chiesa», accompagnando i
giovani nel loro percorso di discernimento vocazionale in questo “cambiamento
d’epoca”.
Il metodo del discernimento
2. Nel discernimento
riconosciamo un modo di stare al mondo, uno stile, un atteggiamento
fondamentale e allo stesso tempo un metodo di lavoro, un percorso da compiere
insieme, che consiste nel guardare le dinamiche sociali e culturali in cui
siamo immersi con lo sguardo del discepolo. Il discernimento conduce a
riconoscere e a sintonizzarsi con l’azione dello Spirito, in un’autentica
obbedienza spirituale. Per questa via diventa apertura alla novità, coraggio di
uscire, resistenza alla tentazione di ridurre il nuovo al già noto. Il
discernimento è un atteggiamento autenticamente spirituale. In quanto obbedienza
allo Spirito, il discernimento è anzitutto ascolto, che può diventare anche
spinta propulsiva alla nostra azione, capacità di fedeltà creativa all’unica
missione da sempre affidata alla Chiesa. Il discernimento si fa così strumento
pastorale, in grado di individuare cammini vivibili da proporre ai giovani di
oggi, e di offrire orientamenti e suggerimenti per la missione non
preconfezionati, ma frutto di un percorso che permette di seguire lo Spirito.
Un cammino così strutturato invita ad aprire e non a chiudere, a porre quesiti
e suscitare interrogativi senza suggerire risposte prestabilite, a prospettare
alternative e sondare opportunità. In questa prospettiva è chiaro che anche la
stessa Assemblea sinodale del prossimo ottobre ha bisogno di essere affrontata
con le disposizioni proprie di un processo di discernimento.
La struttura del testo
3. L’Instrumentum laboris raccoglie e sintetizza i
contributi raccolti nel processo presinodale in un documento strutturato in tre
parti, che richiamano esplicitamente l’articolazione del processo di
discernimento scandita da EG 51: riconoscere, interpretare, scegliere. Le parti
non sono perciò indipendenti, ma configurano un cammino.
Riconoscere. Il primo passaggio è
quello dello sguardo e dell’ascolto. Richiede di prestare attenzione alla
realtà dei giovani di oggi, nella diversità di condizioni e di contesti nei
quali vivono. Richiede umiltà, prossimità ed empatia, così da entrare in
sintonia e percepire quali sono le loro gioie e le loro speranze, le loro
tristezze e le loro angosce (cfr. GS 1). Lo stesso sguardo e lo stesso ascolto,
pieno di sollecitudine e di cura, vanno rivolti verso ciò che vivono le
comunità ecclesiali presenti in mezzo ai giovani in tutto il mondo. In questo
primo passaggio l’attenzione si focalizza sul cogliere i tratti caratteristici
della realtà: le scienze sociali offrono un contributo insostituibile, peraltro
ben rappresentato nelle fonti utilizzate, ma il loro apporto è assunto e
riletto alla luce della fede e dell’esperienza della Chiesa.
Interpretare. Il secondo passaggio
è un ritorno su ciò che si è riconosciuto ricorrendo a criteri di
interpretazione e valutazione a partire da uno sguardo di fede. Le categorie di
riferimento non possono che essere quelle bibliche, antropologiche e teologiche
espresse dalle parole chiave del Sinodo: giovinezza, vocazione, discernimento
vocazionale e accompagnamento spirituale. Risulta perciò strategico costruire
un quadro di riferimento adeguato dal punto di vista teologico, ecclesiologico,
pedagogico e pastorale, che possa rappresentare un ancoraggio capace di
sottrarre la valutazione alla volubilità dell’impulso, pur riconoscendo «che
nella Chiesa convivono legittimamente modi diversi di interpretare molti
aspetti della dottrina e della vita cristiana» (GE 43). Per questo rimane
indispensabile assumere un dinamismo spirituale aperto.
Scegliere. Solo alla luce della
vocazione accolta è possibile comprendere a quali passi concreti ci chiama lo
Spirito e in che direzione muoverci per rispondere alla Sua chiamata. In questa
terza fase del discernimento occorre passare in esame strumenti e prassi
pastorali, e coltivare la libertà interiore necessaria per scegliere quelli che
meglio ci consentono di raggiungere lo scopo e abbandonare quelli che si
rivelano invece meno capaci di farlo. Si tratta dunque di una valutazione
operativa e di una verifica critica, non di un giudizio sul valore o sul
significato che quegli stessi mezzi hanno potuto o possono rivestire in
circostanze o epoche diverse. Questo passaggio potrà individuare dove è
necessario un intervento di riforma, un cambiamento delle prassi ecclesiali e
pastorali per sottrarle al rischio di cristallizzarsi.
RICONOSCERE:
LA CHIESA IN ASCOLTO DELLA REALTÀ
4. «La realtà è più
importante dell’idea» (cfr. EG 231-233): in questa I Parte siamo invitati ad
ascoltare e guardare i giovani nelle condizioni reali in cui si trovano, e
l’azione della Chiesa nei loro confronti. Non si tratta di accumulare dati ed
evidenze sociologiche, ma di assumere le sfide e le opportunità che emergono
nei vari contesti alla luce della fede, lasciando che ci tocchino in profondità
in modo da fornire una base di concretezza a tutto il percorso successivo (cfr.
LS 15). Evidenti ragioni di spazio limitano a pochi cenni la trattazione di
questioni ampie e complesse: i Padri sinodali sono chiamati a riconoscervi gli
appelli dello Spirito.
CAPITOLO I
ESSERE GIOVANI OGGI
5. Ci inseriamo fin da
subito nel dinamismo che Papa Francesco ha
dato al suo primo incontro ufficiale con i giovani: «Questo primo viaggio è
proprio per trovare i giovani, ma trovarli non isolati dalla loro vita, io
vorrei trovarli proprio nel tessuto sociale, in società. Perché quando noi
isoliamo i giovani, facciamo un’ingiustizia; togliamo loro l’appartenenza. I
giovani hanno una appartenenza, un’appartenenza a una famiglia, a una patria, a
una cultura, a una fede» (Viaggio apostolico a Rio de
Janeiro in occasione della XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù.
Incontro con i giornalisti durante il volo papale, 22 luglio 2013).
Un’articolata varietà
di contesti
6. Ci sono nel mondo
circa 1,8 miliardi di persone di età compresa tra i 16 e i 29 anni, che
rappresentano poco meno di un quarto dell’umanità, anche se le proiezioni
indicano un progressivo calo della quota dei giovani rispetto all’insieme della
popolazione. Le situazioni concrete in cui i giovani si trovano variano molto
da Paese a Paese, come mettono in evidenza le risposte delle Conferenze
Episcopali. Vi sono Paesi in cui i giovani rappresentano una fetta consistente
della popolazione (oltre il 30%), e altri in cui la loro quota è molto
inferiore (intorno al 15%, o meno), Paesi in cui la speranza di vita non arriva
ai 60 anni e altri in cui si possono in media superare gli 80. Le opportunità
di accedere a istruzione, servizi sanitari, risorse ambientali, cultura e
tecnologia, così come quelle di partecipazione alla vita civile, sociale e
politica, variano in maniera consistente da regione a regione. Anche
all’interno di uno stesso Paese possiamo trovare differenze, talvolta molto
profonde, ad esempio tra zone urbane e rurali.
7. Il processo di
consultazione presinodale ha evidenziato il potenziale che le giovani
generazioni rappresentano, le speranze e i desideri che le abitano: i giovani
sono grandi cercatori di senso e tutto ciò che si mette in sintonia con la loro
ricerca di dare valore alla propria vita suscita la loro attenzione e motiva il
loro impegno. Nel percorso sono emerse anche le loro paure e alcune dinamiche
sociali e politiche che, con diversa intensità nelle varie parti del mondo,
ostacolano il loro percorso verso un pieno e armonioso sviluppo, causando
vulnerabilità e scarsa autostima. Ne sono esempio: le forti disuguaglianze
sociali ed economiche che generano un clima di grande violenza e spingono
alcuni giovani nelle braccia della malavita e del narcotraffico; un sistema
politico dominato dalla corruzione, che mina la fiducia nelle istituzioni e
legittima il fatalismo e il disimpegno; situazioni di guerra ed estrema povertà
che spingono a emigrare in cerca di un futuro migliore. In alcune regioni pesa
il mancato riconoscimento delle libertà fondamentali, anche in campo religioso,
e delle autonomie personali da parte dello Stato, mentre in altre l’esclusione
sociale e l’ansia da prestazione spingono una parte del mondo giovanile nel
circuito delle dipendenze (droga e alcool in particolare) e dell’isolamento
sociale. In molti luoghi povertà, disoccupazione ed emarginazione fanno
aumentare il numero dei giovani che vivono in condizioni di precarietà tanto
materiale quanto sociale e politica.
Di fronte alla globalizzazione
8. Nonostante le
differenze regionali, l’influsso del processo di globalizzazione sui giovani
dell’intero pianeta risulta evidente e richiede loro di articolare livelli
diversi di appartenenza sociale e culturale (locale, nazionale e internazionale;
ma anche intra ed extra-ecclesiale). In generale assistiamo, come riferiscono
alcune CE, alla richiesta di spazi crescenti di libertà, autonomia ed
espressione a partire dalla condivisione di esperienze provenienti dal mondo
occidentale, magari mutuate dai social media. Altre
CE paventano il rischio che, a prescindere dai desideri profondi dei giovani,
finisca per prevalere una cultura ispirata a individualismo, consumismo,
materialismo ed edonismo, e in cui dominano le apparenze.
9. Molte CE non
occidentali si chiedono come accompagnare i giovani ad affrontare questo
cambiamento culturale che scardina le culture tradizionali, ricche dal punto di
vista della solidarietà, dei legami comunitari e della spiritualità, e sentono
di non avere strumenti adeguati. Inoltre, l’accelerazione dei processi sociali
e culturali aumenta la distanza tra le generazioni, anche all’interno della
Chiesa. Le risposte ricevute dalle CE indicano anche una certa fatica a leggere
il contesto e la cultura in cui vivono i giovani. Da parte di alcune di esse,
poi, la differenza di cui i giovani sono portatori è talvolta salutata non come
novità feconda, ma come decadenza dei costumi di cui lamentarsi.
10. In questo contesto,
la prospettiva più volte segnalata da Papa Francesco resta
un punto di riferimento: «C’è una globalizzazione poliedrica, c’è un’unità, ma
ogni persona, ogni razza, ogni Paese, ogni cultura sempre conserva la propria
identità: è l’unità nella diversità» (Incontro con i giovani
dell’Università di Roma Tre, 17 febbraio 2017,
Discorso pronunciato a braccio, pubblicato in
gina.uniroma3.it/download/1491300733.pdf). Vi fanno eco le dichiarazioni dei
giovani, ai cui occhi la diversità appare come una ricchezza e il pluralismo
come una opportunità all’interno di un mondo interconnesso: «Il
multiculturalismo ha il potenziale di facilitare un ambiente favorevole al
dialogo e alla tolleranza. Diamo valore alla diversità di idee nel nostro mondo
globalizzato, al rispetto per il pensiero dell’altro e alla libertà di
espressione. [...] Non dovremmo aver paura della nostra diversità ma
valorizzare le nostre differenze e tutto ciò che ci rende unici» (RP 2). Al
tempo stesso desiderano «preservare la [propria] identità culturale ed evitare
l’uniformità e la cultura dello scarto» (RP 2).
Il ruolo delle famiglie
11. In questo contesto di
cambiamento, la famiglia continua a rappresentare un riferimento privilegiato
nel processo di sviluppo integrale della persona: su questo punto concordano
tutte le voci che si sono espresse. Vi è dunque un profondo legame tra questo
Sinodo e il percorso di quelli immediatamente precedenti, che occorre mettere
in risalto. Non mancano però differenze significative nel modo di considerare
la famiglia. Lo affermano i giovani con parole vicine a quelle di varie CE: «In
molte parti del mondo, il ruolo degli anziani e la riverenza verso gli antenati
sono fattori che contribuiscono alla formazione delle loro identità. Tuttavia,
questo non è un dato universalmente condiviso, visto che i modelli di famiglia
tradizionale sono in declino in altre aree» (RP 1). I giovani sottolineano
anche come le difficoltà, le divisioni e le fragilità delle famiglie siano
fonte di sofferenza per tanti di loro.
12. Le risposte al
Questionario on Line mostrano come la figura materna sia il riferimento
privilegiato dei giovani, mentre appare necessaria una riflessione in merito a
quella paterna, la cui assenza o evanescenza in alcuni contesti, in particolare
quelli occidentali, produce ambiguità e vuoti che investono anche l’esercizio
della paternità spirituale. Alcune CE segnalano come particolarmente
significativo il ruolo dei nonni rispetto alla trasmissione della fede e dei
valori ai giovani, aprendo interrogativi rispetto all’evoluzione futura della
società. Si segnala anche l’aumento di famiglie monoparentali.
13. Il rapporto tra i
giovani e le loro famiglie non è comunque scontato: «Alcuni giovani si
allontanano dalle tradizioni familiari, sperando di essere più originali di ciò
che considerano come “bloccato nel passato” o “fuori moda”. In alcune parti del
mondo, invece, i giovani cercano la loro identità radicandosi nelle tradizioni
familiari e sforzandosi di essere fedeli all’educazione ricevuta» (RP 1).
Queste situazioni richiedono di indagare con maggiore profondità il rapporto
tra la cultura giovanile e la morale familiare. Diverse fonti segnalano uno
scarto crescente tra di esse; viene tuttavia ribadito da altri che vi sono
ancora giovani interessati a vivere relazioni autentiche e durature e che
trovano preziose le indicazioni della Chiesa. Matrimonio e famiglia restano per
molti tra i desideri e i progetti che i giovani tentano di realizzare.
I rapporti intergenerazionali
14. Tra i tratti del
nostro tempo, confermati da molte CE e dal Seminario Internazionale, oltre che
da numerose analisi sociali, vi è una sorta di rovesciamento nel rapporto tra
le generazioni: spesso oggi sono gli adulti a prendere i giovani come
riferimento per il proprio stile di vita, all’interno di una cultura globale
dominata da un’enfasi individualista sul proprio io. Come afferma un Dicastero
Vaticano, «il punto problematico è allora la liquidazione dell’età adulta, che
è la vera cifra dell’universo culturale occidentale. Non ci mancano solo adulti
nella fede. Ci mancano adulti “tout court”». Diverse CE affermano che oggi tra
giovani e adulti non vi è un vero e proprio conflitto generazionale, ma una
“reciproca estraneità”: gli adulti non sono interessati a trasmettere i valori
fondanti dell’esistenza alle giovani generazioni, che li sentono più come
competitori che come potenziali alleati. In questo modo il rapporto tra giovani
e adulti rischia di rimanere soltanto affettivo, senza toccare la dimensione
educativa e culturale. Dal punto di vista ecclesiale, il coinvolgimento
sinodale dei giovani è stato percepito come un segno importante di dialogo intergenerazionale:
«È stato entusiasmante sentirci presi sul serio dalla gerarchia ecclesiastica,
e sentiamo che questo dialogo tra la Chiesa giovane e quella matura è un
processo di ascolto vitale e fecondo» (RP 15).
15. A fianco dei rapporti
intergenerazionali non vanno dimenticati quelli tra pari, che rappresentano una
esperienza fondamentale di interazione con gli altri e di progressiva
emancipazione dal contesto familiare di origine. Alcune CE sottolineano il
valore fondamentale dell’accoglienza, dell’amicizia e del sostegno reciproco
che caratterizza i giovani oggi. Il rapporto con i coetanei, spesso anche in
gruppi più o meno strutturati, offre l’opportunità di rafforzare competenze
sociali e relazionali in un contesto in cui non si è valutati e giudicati.
Le scelte di vita
16. La giovinezza si
caratterizza come tempo privilegiato in cui la persona compie scelte che
determinano la sua identità e il corso della sua esistenza. Ne sono consapevoli
i giovani della RP: «I momenti cruciali per lo sviluppo della nostra identità
comprendono: decidere il corso di studi, scegliere la professione, decidere in
che cosa credere, scoprire la nostra sessualità e assumere impegni che cambiano
il corso dell’esistenza» (RP 1). Varia
molto, a causa di fattori sociali, economici, politici e culturali, il momento
in cui si lascia la famiglia di origine o si compiono le scelte fondamentali.
In alcuni Paesi in media ci si sposa, o si sceglie il sacerdozio o la vita
religiosa, anche prima dei 18 anni, mentre altrove questo avviene dopo i 30,
quando la giovinezza è ormai finita. In molti contesti la transizione all’età
adulta è diventata un percorso lungo, complicato, non lineare, in cui si
alternano passi in avanti e indietro, dove in genere la ricerca del lavoro
prevale sulla dimensione affettiva. Ciò rende più difficile per i giovani
compiere scelte definitive e, come sottolinea ad esempio una CE africana,
«evidenzia la necessità di creare un quadro formale per il loro sostegno
personalizzato».
17. Nella fase delle
decisioni importanti con le opportunità e i vincoli derivanti da un contesto
sociale in continuo mutamento, che genera precarietà e insicurezza (cfr. DP I,
3 e III, 1), interagiscono le potenzialità e le difficoltà psicologiche tipiche
della condizione giovanile, che vanno riconosciute, elaborate e sciolte durante
il processo di crescita, eventualmente con un opportuno sostegno. Tra le
difficoltà gli esperti ricordano rigidità o impulsività dei comportamenti,
instabilità negli impegni, freddezza e mancanza di empatia, ridotta intuizione
emotiva, incapacità o eccessiva paura di stabilire legami. Emergono anche, più
ordinariamente, atteggiamenti che segnalano la necessità di una purificazione e
liberazione: dipendenza affettiva, senso di inferiorità, mancanza di coraggio e
forza di fronte ai rischi, inclinazione alla gratificazione sessuale
autocentrata, atteggiamenti aggressivi, esibizionismo e bisogno di essere al
centro dell’attenzione. Sono invece risorse preziose da coltivare ed esercitare
nella concretezza della vita: l’empatia verso le persone che si incontrano, una
percezione equilibrata del senso di colpa, il contatto con la propria intimità,
la disponibilità ad aiutare e a collaborare, la capacità di distinguere i
propri bisogni e le proprie responsabilità da quelli altrui, di sostenere anche
nella solitudine le proprie scelte, di resistere e lottare di fronte alle
difficoltà e ai fallimenti, di portare a termine responsabilmente i compiti
assunti.
18. La giovinezza si
configura quindi non solo come una fase di transizione tra i primi passi verso
l’autonomia mossi nell’adolescenza e la responsabilità dell’età adulta, ma come
il momento di un salto di qualità dal punto di vista del coinvolgimento
personale nelle relazioni e negli impegni e della capacità di interiorità e
solitudine. Certo, è un tempo di sperimentazione, di alti e bassi, di
alternanza tra speranza e paura e di necessaria tensione tra aspetti positivi e
negativi, attraverso cui si apprende ad articolare e integrare le dimensioni
affettive, sessuali, intellettuali, spirituali, corporee, relazionali, sociali.
Questo cammino, che si snoda tra piccole scelte quotidiane e decisioni di
maggiore portata, permette a ciascuno di scoprire la propria singolarità e
l’originalità della propria vocazione.
Educazione, scuola e
università
19. Le istituzioni
educative e formative non sono solo il luogo dove i giovani passano buona parte
del loro tempo, ma soprattutto uno spazio esistenziale che la società mette a
disposizione della loro crescita intellettuale e umana e del loro orientamento
vocazionale. Non mancano però i problemi, legati per lo più a sistemi
scolastici e universitari che si limitano a informare senza formare, che non
aiutano la maturazione di uno spirito critico e l’approfondimento del senso
anche vocazionale dello studio. In molti Paesi sono evidenti disparità
nell’accesso al sistema scolastico, divari di opportunità formative tra zone
rurali e urbane e tassi di abbandono allarmanti: insieme rappresentano una
minaccia per il futuro dei giovani e della società. Ugualmente preoccupante in
alcuni Paesi è il fenomeno di coloro che né lavorano né studiano (i cosiddetti
“NEET”), che richiede attenzione anche in termini pastorali.
20. In molti Paesi in cui
il sistema formativo è carente, la Chiesa e le sue istituzioni educative
svolgono un fondamentale ruolo di supplenza, mentre altrove faticano a tenere
il passo con gli standard qualitativi
nazionali. Un ambito di particolare delicatezza è la formazione professionale,
che vede in molti Paesi le istituzioni scolastiche cattoliche svolgere un ruolo
molto importante: non si limitano a trasmettere competenze tecniche, ma aiutano
gli alunni a scoprire come mettere a frutto le proprie capacità, a prescindere
da quali e quante siano. Di grande importanza, specie nei contesti di maggiore
povertà e deprivazione, sono le iniziative di formazione a distanza o
informale, che offrono opportunità di rimediare ai divari di accesso alla
formazione scolastica.
21. Non c’è solo la
scuola: come afferma la RP, «l’identità dei giovani è anche formata dalle
interazioni esterne e dall’appartenenza a gruppi, associazioni e movimenti
specifici, attivi anche al di fuori della Chiesa. Talvolta le parrocchie non
sono più luoghi di incontro» (RP 1) . Resta grande anche il desiderio di trovare
modelli positivi: «Riconosciamo anche il ruolo di educatori e amici, quali i
responsabili dei gruppi giovanili, che possono diventare buoni esempi. Abbiamo
bisogno di modelli attraenti, coerenti e autentici» (RP 1).
Lavoro e professione
22. Il passaggio alla
vita lavorativa e professionale resta di grande importanza, e la distanza che
in alcuni luoghi si registra tra itinerario scolastico e universitario e
richieste del mondo del lavoro lo rende ancora più delicato. I giovani che
hanno risposto al QoL dichiarano che avere un lavoro stabile è fondamentale
(82,7%), perché comporta stabilità economica e relazionale, e possibilità di
realizzazione personale (89,7%). Il lavoro è il mezzo necessario, anche se non
sufficiente, per realizzare il proprio progetto di vita, come avere una
famiglia (80,4%) e dei figli.
23. Le preoccupazioni
sono maggiori dove la disoccupazione giovanile è particolarmente elevata. Nei
contesti più poveri, il lavoro acquista anche un significato di riscatto
sociale, mentre la sua mancanza è tra le principali cause dell’emigrazione
all’estero. In particolare in Asia i giovani crescono misurandosi con una
cultura del successo e del prestigio sociale e con un’etica del lavoro che
permea le aspettative dei genitori e struttura il sistema scolastico, generando
un clima di grande competizione, un orientamento fortemente selettivo e carichi
di lavoro molto intensi e stressanti. I giovani – afferma la RP – restano
convinti della necessità di «affermare la dignità intrinseca del lavoro» (RP
3), ma segnalano anche la fatica di coltivare la speranza e i sogni in
condizioni socioeconomiche di estrema durezza, che generano paura (cfr. RP 3).
Andrebbe indagato meglio – segnalano alcune CE – anche il rapporto tra
vocazione e professione e la diversa “intensità vocazionale” delle varie
professioni.
Giovani, fedi e religioni
24. Varietà e differenze
riguardano anche il contesto religioso in cui i giovani crescono: vi sono Paesi
in cui i cattolici rappresentano la maggioranza, mentre in altri non sono che
una sparuta minoranza, a volte socialmente accettata, altre discriminata e
perseguitata fino al martirio. Ci sono contesti in cui il cristianesimo deve
misurarsi con le conseguenze di scelte passate, anche politiche, che ne minano
la credibilità, altri in cui i cattolici si confrontano con la ricchezza
culturale e spirituale di altre tradizioni religiose o delle culture
tradizionali; ci sono contesti secolarizzati, che considerano la fede come
qualcosa di puramente privato, e altri in cui cresce a dismisura l’influenza di
sette religiose o proposte spirituali di altro genere (new age, ecc.). Ci sono
regioni in cui il cristianesimo e la religione sono considerati un retaggio del
passato, altre in cui rappresentano ancora l’asse strutturante della vita
sociale. In alcuni Paesi la comunità cattolica non è omogenea, ma comprende
minoranze in termini etnico-culturali (comunità indigene) e anche religiosi
(pluralità di riti); in altri è chiamata a fare spazio ai fedeli in arrivo da
percorsi di migrazione.
25. Come mostrano le
ricerche sociologiche, il contesto è variegato anche rispetto al rapporto con
la fede e l’appartenenza confessionale. Come si è evidenziato nel SI, «una
parte del disinteresse e dell’apatia dei giovani in tema di fede (e del
minor appealing delle Chiese) è imputabile alla
difficoltà delle grandi istituzioni religiose nel sintonizzarsi con la
coscienza moderna; e ciò in contesti sociali che pur pongono alle persone nuove
e laceranti domande di senso, a fronte delle molte incertezze che gravano sulla
vita individuale e collettiva. Del resto, in un mondo giovanile assai
differenziato al proprio interno, non mancano i segni di vitalità religiosa e
spirituale, riscontrabili sia nelle grandi Chiese che al di fuori di esse». E
ancora: «Questa diffusa compresenza di credenti, non credenti e “diversamente
credenti”, più che generare tensioni e conflitti sembra favorire – a certe
condizioni – situazioni di reciproco riconoscimento. Ciò vale in particolare
quando si è di fronte da un lato a un ateismo o a un agnosticismo dal volto più
umano, non arrogante, né presuntuoso; e dall’altro a una credenza religiosa più
dialogante che fanatica».
ESPERIENZE E LINGUAGGI
26. Come la RP ha messo
plasticamente in evidenza, le giovani generazioni sono portatrici di un
approccio alla realtà con tratti specifici, che rappresenta una risorsa e una
fonte di originalità; tuttavia può anche generare sconcerto o perplessità negli
adulti. Occorre però evitare giudizi sbrigativi. Questo approccio si sostanzia
nella priorità della concretezza e dell’operatività rispetto all’analisi
teorica. Non si tratta di un attivismo cieco e di un disprezzo per la
dimensione intellettuale: nel modo di procedere che risulta spontaneo ai
giovani, le cose si capiscono facendole e i problemi si risolvono nel momento
in cui si presentano. Altrettanto evidente è il fatto che per i giovani il
pluralismo, anche radicale, delle differenze, rappresenta un dato di fatto.
Questo non equivale a una rinuncia relativista all’affermazione delle identità,
ma comporta una consapevolezza originaria dell’esistenza di altri modi di stare
al mondo e uno sforzo deliberato per la loro inclusione, in modo che tutti
possano sentirsi rappresentati dal frutto del lavoro comune.
Impegno e partecipazione sociale
27. Di fronte alle
contraddizioni della società, numerose CE notano una sensibilità e un impegno
dei giovani, anche in forme di volontariato, segno di una disponibilità ad
assumersi responsabilità e di un desiderio di mettere a frutto talenti,
competenze e creatività di cui dispongono. Tra i temi che più stanno loro a
cuore emergono la sostenibilità sociale e ambientale, le discriminazioni e il
razzismo. Il coinvolgimento dei giovani segue spesso approcci inediti,
sfruttando anche le potenzialità della comunicazione digitale in termini di
mobilitazione e pressione politica: diffusione di stili di vita e modelli di
consumo e investimento critici, solidali e attenti all’ambiente; nuove forme di
impegno e di partecipazione nella società e nella politica; nuove modalità di welfare a garanzia dei soggetti più deboli. Come
mostrano anche alcuni esempi molto recenti in tutti i Continenti, i giovani
sono capaci di mobilitarsi, in particolare per cause in cui si sentono
direttamente coinvolti e quando possono esercitare un autentico protagonismo e
non semplicemente andare a rimorchio di altri gruppi.
28. I giovani
sottolineano come rispetto alla promozione della giustizia l’immagine della
Chiesa risulti “dicotomica”: da una parte vuole essere presente nelle pieghe
della storia a fianco degli ultimi, dall’altra ha ancora tanto da fare per
scardinare situazioni, anche gravi e diffuse, di corruzione, che le fanno
correre il rischio di conformarsi al mondo anziché essere portatrice di
un’alternativa ispirata al Vangelo.
Spiritualità e
religiosità
29. Come ha evidenziato
la RP, la varietà è la cifra che meglio esprime anche il rapporto dei giovani
nei confronti della fede e della pratica religiosa. In generale si dichiarano
aperti alla spiritualità, anche se il sacro risulta spesso separato dalla vita
quotidiana. Molti ritengono la religione una questione privata e si considerano
spirituali ma non religiosi (nel senso di appartenenti a una confessione
religiosa) (cfr. RP 7). La religione non è più vista come la via di accesso
privilegiata al senso della vita, ed è affiancata e talvolta rimpiazzata da
ideologie e altre correnti di pensiero, o dal successo personale o
professionale (cfr. RP 5).
30. La stessa varietà si
riscontra nel rapporto dei giovani con la figura di Gesù. Molti lo riconoscono
come Salvatore e Figlio di Dio e spesso gli si sentono vicini attraverso Maria,
sua madre. Altri non hanno con Lui una relazione personale, ma lo considerano
come un uomo buono e un riferimento etico. Per altri è una figura del passato
priva di rilevanza esistenziale, o molto distante dall’esperienza umana (così
come distante è percepita la Chiesa). Le false immagini di Gesù lo privano di
fascino agli occhi dei giovani, così come una concezione che considera la
perfezione cristiana come al di là delle capacità umane conduce a considerare
il cristianesimo uno standard irraggiungibile
(cfr. RP 6). In diversi contesti i giovani cattolici chiedono proposte di
preghiera e momenti sacramentali capaci di intercettare la loro vita
quotidiana, ma occorre riconoscere che non sempre i pastori sono capaci di
entrare in sintonia con le specificità generazionali di queste attese.
I giovani nella vita della Chiesa
31. Un certo numero di
giovani, variabile a seconda dei diversi contesti, si sente parte viva della Chiesa
e lo manifesta con convinzione, attraverso un impegno attivo al suo interno. Ci
sono giovani che «sperimentano una Chiesa vicina, come nel caso di Africa, Asia
ed America Latina, così come in diversi movimenti globali. Persino alcuni
giovani che non vivono il Vangelo sentono un legame con la Chiesa» (RP 7).
Varie CE notano che i giovani sono e vanno considerati parte integrante della
Chiesa e che l’impegno nei loro confronti è una dimensione fondamentale della
pastorale. Non è raro vedere gruppi giovanili, e anche membri di movimenti e
associazioni, poco inseriti nella vita delle comunità: il superamento di questa
dinamica di separazione è per alcune CE un traguardo sinodale.
32. Nonostante molti
giovani denuncino il rischio di essere relegati in un angolo, sono numerose le
attività ecclesiali che li vedono attivamente impegnati e anche protagonisti.
Spiccano le diverse forme di volontariato, tratto qualificante delle giovani
generazioni. L’animazione della catechesi e della liturgia, così come la cura dei
più piccoli, sono altri ambiti di azione, che nell’oratorio e in altre
strutture pastorali analoghe trovano particolare fecondità. Anche movimenti,
associazioni e congregazioni religiose offrono ai giovani opportunità di
impegno e corresponsabilità. In molti contesti la pietà popolare rimane un
accesso importante alla fede per le giovani generazioni, che trovano nel corpo,
nell’affettività, nella musica e nel canto canali importanti di espressione.
Insieme ad altri incontri nazionali, internazionali e continentali, la GMG
svolge un ruolo significativo nella vita di tanti giovani perché, come afferma
una CE, offre «una vivida esperienza di fede e di comunione, che li aiuta ad
affrontare le grandi sfide della vita e ad assumersi responsabilmente il loro posto
nella società e nella comunità ecclesiale».
33. Si notano tra i
giovani desiderio e capacità di lavorare in équipe, che
costituisce un punto di forza in molte situazioni. Talvolta questa
disponibilità si scontra con un eccessivo autoritarismo degli adulti e dei
ministri: «Spesso i giovani faticano a trovare uno spazio nella Chiesa in cui
possano partecipare attivamente e assumere ruoli di leadership. La loro esperienza li conduce a ritenere
che la Chiesa li consideri troppo giovani e inesperti per assumere ruoli
di leadership o prendere decisioni, in quanto non
farebbero che commettere errori» (RP 7). È altrettanto chiaro che dove i
giovani ci sono e sono valorizzati, lo stile di Chiesa e il suo dinamismo
acquistano una forte vitalità capace di attirare l’attenzione.
La trasversalità del continente digitale
34. È evidente quanto sia
pervasiva la presenza dei media digitali e sociali nel mondo giovanile. Lo
affermano con chiarezza i giovani nella RP: «L’impatto dei social media sulla
vita dei giovani non può essere sottovalutato. Sono una parte rilevante della
loro identità e del loro modo di vivere. Gli ambienti digitali hanno un
potenziale senza precedenti nella storia per unire persone geograficamente
distanti. Lo scambio di informazioni, ideali, valori e interessi comuni è oggi
più possibile di ieri. L’accesso a strumenti di formazione online ha aperto
opportunità educative per i giovani che vivono in aree remote e ha reso
l’accesso alla conoscenza a portata di click» (RP 4).
35. La rete rappresenta
anche un territorio di solitudine, manipolazione, sfruttamento e violenza, fino
al caso estremo del “dark web”. I giovani sono consapevoli della presenza di
rischi: «L’ambiguità della tecnologia si rende evidente quando favorisce lo
sviluppo di alcuni vizi. Questo pericolo si manifesta in forme di isolamento,
pigrizia, desolazione e noia. È evidente che i giovani di tutto il mondo
consumano prodotti multimediali in modo ossessivo. Sebbene viviamo in un mondo
iperconnesso, la comunicazione tra i giovani rimane limitata a persone tra loro
simili […]. L’avvento dei social media ha sollevato nuove sfide sul potere che
le aziende del settore esercitano sulla vita dei giovani» (RP 4). La
maturazione della capacità di un sereno confronto e dialogo con la diversità ne
risulta ostacolata e nei confronti dei giovani questo costituisce una vera e
propria sfida educativa. Su questa duplicità convergono anche le CE, pur
accentuando le valutazioni critiche. Anche per ignoranza e scarsa formazione, i
pastori e in generale gli adulti stentano a comprendere questo nuovo linguaggio
e hanno tendenzialmente paura, sentendosi di fronte a un “nemico invisibile e
onnipresente” che a volte demonizzano.
La musica e le altre forme di espressione artistica
36. Come notano
moltissime CE, la musica è un linguaggio fondamentale per i giovani:
costituisce la colonna sonora della loro vita, in cui sono costantemente
immersi, e contribuisce al cammino di formazione dell’identità in una maniera
che, pur nella consapevolezza quasi generalizzata della sua importanza, di rado
la Chiesa approfondisce. La musica fa provare emozioni, coinvolgendo anche
fisicamente, apre spazi di interiorità e aiuta a renderli comunicabili. Allo
stesso tempo trasmette messaggi, veicolando stili di vita e valori consonanti o
alternativi a quelli proposti da altre agenzie educative. In alcune culture
giovanili il mondo della musica può costituire una sorta di rifugio
inaccessibile agli adulti. Data la sua potenza, il mondo della musica è
facilmente influenzato e manipolato anche da interessi commerciali se non
speculativi.
37. La musica e la sua
condivisione attivano processi di socializzazione. I concerti radunano migliaia
di giovani: non senza ambiguità, vi si esprime l’esigenza di stare insieme
facendo passare in secondo piano le differenze individuali. I grandi eventi
musicali possono essere vissuti come esperienza totalizzante: spettacolo visivo
e acustico, danza, movimento, vicinanza e contatto fisico che permette di
uscire da sé e sentirsi in armonia con altri sconosciuti; allo stesso tempo
possono anche essere occasione di ascolto passivo, in cui l’effetto della
musica, a volte amplificato dall’uso di droghe, ha un ruolo spersonalizzante.
Anche la pratica musicale ha un valore personale e sociale. Molti giovani
compositori e musicisti sentono la responsabilità di interpretare il vissuto
della propria generazione e provano a comunicare ai loro coetanei messaggi su
temi sociali rilevanti, dalla sessualità alle relazioni interpersonali alla
valorizzazione delle culture tradizionali.
38. Pur meno pervasiva
della musica, la fruizione di molte altre forme di espressione artistica
riveste un ruolo fondamentale nella formazione dell’identità personale e
sociale dei giovani: pittura, scultura, cinema, arti visive, danza, teatro, fotografia,
fumetto, grafica, web art, scrittura, poesia, letteratura, ecc. Quando sono
praticate attivamente, permettono di esercitare la creatività personale e
partecipare all’elaborazione culturale, in particolare attraverso iniziative
sperimentali che sempre più spesso prevedono l’utilizzo delle nuove tecnologie.
Di grande interesse sono quelle forme di espressione artistica legate alle
tradizioni popolari e locali, con particolare riguardo a quelle delle minoranze
etniche, che connettono i giovani con l’eredità del passato e offrono occasioni
di pratica culturale a prescindere dal livello di scolarizzazione o dalla
disponibilità di strumenti tecnici o tecnologici.
Il mondo dello sport
39. Lo sport è un altro
grande ambito di crescita e di confronto per i giovani, nel quale la Chiesa sta
investendo in molte parti del mondo. Papa Francesco lo
inserisce nell’ambito dell’educazione informale, su cui invita a puntare a
fronte dell’impoverimento intellettualista di quella formale (cfr. Discorso ai Partecipanti al
Congresso mondiale promosso dalla Congregazione per
l’Educazione Cattolica, 21 novembre 2015).
Gli esperti ritengono che le nostre siano ormai “società sportivizzate”, e
questo vale in particolare per il mondo giovanile. Vanno interrogati però i
valori e i modelli che, al di là della retorica, la nostra società trasmette
attraverso la pratica sportiva, assai spesso focalizzata sul successo a ogni
costo, anche con l’imbroglio, relegando nell’oblio la fatica e l’impegno di chi
esce sconfitto.
40. Come i grandi
concerti, anche gli eventi sportivi di massa costituiscono esperienze di
costruzione di identità collettiva, con caratteri marcatamente rituali. Pure il
mondo dello sport non è esente da forme di manipolazione commerciale e
speculativa, da pratiche contrarie alla dignità della persona oltre che ai
valori del fair play (come il doping, diffuso anche a livello giovanile e
amatoriale, o la corruzione) e da contiguità con forme di violenza su cui
pesano anche scontento e tensioni sociali extrasportive. È anche un
potentissimo strumento di integrazione di quanti patiscono forme di esclusione
e marginalità, come provano molte esperienze, ad esempio quella del movimento
paraolimpico.
NELLA CULTURA DELLO SCARTO
41. La cultura dello
scarto è uno dei tratti della mentalità contemporanea che Papa Francesco non
cessa di denunciare. Le CE segnalano come assai frequentemente i giovani siano
tra le sue vittime, in diversi ambiti e con diverse modalità. Al tempo stesso,
non bisogna dimenticare che anche i giovani possono essere impregnati di questa
cultura e mettere in atto comportamenti che producono lo “scarto” di altre
persone o il degrado dell’ambiente a seguito di scelte di consumo
irresponsabili. Infine, dobbiamo riconoscere che a volte pure alcuni
responsabili ecclesiali sono conniventi con tale modo di pensare e di agire,
contribuendo a generare indifferenza ed esclusione.
42. La Chiesa, anche
attraverso questo Sinodo, è chiamata a rivolgere un’attenzione specifica ai
giovani vittime dell’ingiustizia e dello sfruttamento, attraverso un’opera
fondamentale di riconoscimento: l’apertura di spazi in cui possano esprimersi e
soprattutto trovare ascolto costituisce una riaffermazione della loro dignità
personale contro ogni pretesa di negazione, e restituisce un nome e un volto a
chi troppo spesso se lo vede negare dalla storia. Questo favorirà l’espressione
del potenziale di cui anche i giovani “scartati” sono portatori: sono capaci di
essere soggetti del proprio sviluppo e il loro punto di vista rappresenta un
contributo insostituibile alla costruzione del bene comune, in una dinamica di
continua crescita della speranza, a partire dall’esperienza concreta che le
pietre scartate dai costruttori possono diventare testate d’angolo (cfr. Sal 118,22; Lc 20,17; At 4,11; 1Pt 2,4).
La questione del lavoro
43. Come evidenziano le
CE, sono molti i Paesi in cui la disoccupazione giovanile raggiunge livelli che
non è esagerato definire drammatici. La conseguenza più grave non è di tipo
economico, perché spesso le famiglie, i sistemi di welfare o le istituzioni
caritative riescono a sopperire in qualche modo ai bisogni materiali dei
disoccupati. Il vero problema è che «il giovane che è senza lavoro ha l’utopia
anestetizzata, o è sul punto di perderla» (Francesco, Discorso ai membri della
Pontificia Commissione per l’America Latina, 28
febbraio 2014). I giovani della Riunione presinodale si sono espressi con
straordinaria consonanza: «A volte, finiamo per rinunciare ai nostri sogni.
Abbiamo troppa paura, e alcuni di noi hanno smesso di sognare. Ciò è legato
alle molteplici pressioni socio-economiche che possono inaridire la speranza
tra i giovani. A volte non abbiamo neanche più l’opportunità di continuare a
sognare» (RP 3).
44. Un effetto simile lo
hanno tutte quelle situazioni in cui le persone, giovani compresi, sono
costrette dalla necessità ad accettare un lavoro che non rispetta la loro
dignità: è il caso del lavoro nero e informale – spesso sinonimo di
sfruttamento –, della tratta di persone e delle tante forme di lavoro forzato e
di schiavitù che interessano milioni di persone nel mondo. Così come tanti nel
mondo, i giovani della RP hanno espresso preoccupazione nei confronti di un
progresso tecnologico che minaccia di rivelarsi nemico del lavoro e dei
lavoratori: «L’avvento dell’intelligenza artificiale e di nuove tecnologie come
la robotica e l’automazione mette a repentaglio le prospettive occupazionali di
intere categorie di lavoratori. La tecnologia può essere nociva alla dignità
umana se non è adoperata con coscienza e prudenza e se la stessa dignità umana
non è al centro del suo utilizzo» (RP 4).
I giovani migranti
45. Tra i migranti,
un’alta percentuale è costituita da giovani. Le ragioni che spingono a emigrare
sono varie, come ha messo in evidenza la RP: «I giovani sognano una vita
migliore, ma molti sono obbligati a emigrare per trovare migliori condizioni
economiche e ambientali. Aspirano alla pace, e sono in particolar modo attratti
dal “mito dell’Occidente”, così come è rappresentato dai media» (RP 3); ma
anche hanno «paura perché molti dei nostri Paesi vivono situazioni di instabilità
sociale, politica ed economica» (RP 1), e «un sogno condiviso che attraversa
Continenti e oceani è quello di trovare un posto a cui il giovane può sentirsi
di appartenere» (RP 3).
46. Situazioni di
particolare delicatezza sono rappresentate dai minori non accompagnati da un
famigliare adulto e da quanti arrivano in un Paese straniero in età scolare
avanzata (cfr. Francesco, Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2017.
Migranti minorenni, vulnerabili e senza voce, 8 settembre
2016). Molti rischiano di finire vittime della tratta di esseri
umani e alcuni spariscono letteralmente nel nulla. Ad essi vanno aggiunti i
giovani delle seconde generazioni, che sperimentano difficoltà in termini di
identità e di mediazione tra le culture a cui appartengono, particolarmente
quando c’è un grande divario sociale e culturale tra il Paese di partenza e
quello di arrivo.
47. Come numerose CE
sottolineano, la migrazione di giovani rappresenta un impoverimento di capitale
umano, intraprendente e coraggioso, nei Paesi di origine e una minaccia al loro
sviluppo sostenibile. Per le società – e le Chiese – che li ricevono si tratta
invece di un enorme potenziale di trasformazione, la cui espressione richiede
di essere accompagnata da programmi adeguati e lungimiranti. A riguardo,
tuttavia, i giovani della RP esprimono una cautela da cui lasciarci
interrogare: «Non c’è ancora un consenso vincolante sull’accoglienza di
migranti e rifugiati, o sulle cause dei fenomeni migratori, malgrado il
riconoscimento dell’imperativo universale di prendersi cura della dignità di
ogni persona umana» (RP 2). Insieme a quelli che emigrano, non bisogna
dimenticare i tanti giovani che continuano a vivere in condizioni di guerra o
di instabilità politica. I giovani della RP hanno però tenuto a dire che
«nonostante i tanti conflitti e le periodiche esplosioni di violenza, i giovani
continuano a sperare» (RP 3).
Le diverse forme di discriminazione
48. Le ricerche
internazionali evidenziano che molti giovani affrontano disuguaglianze e
discriminazioni a causa del loro genere, classe sociale, appartenenza
religiosa, orientamento sessuale, posizione geografica, disabilità o etnia. Si
tratta di un tema a cui i giovani sono molto sensibili e su cui la RP si è
espressa con grande chiarezza: «Il razzismo, a diversi livelli, colpisce i
giovani in varie parti del mondo» (RP 2). Lo stesso fenomeno è segnalato da
numerosissime CE. Un’attenzione specifica viene riservata dalla RP alle forme
di discriminazione che colpiscono le giovani donne, anche in ambito ecclesiale:
«Un problema diffuso nella società è che alle donne non vengono ancora
riconosciute pari opportunità. Ciò vale anche nella Chiesa» (RP 5). I giovani
quindi si chiedono «dove le donne possono realizzarsi all’interno della Chiesa
e della società?» (RP 5), nella consapevolezza che «la Chiesa può affrontare
questi problemi con un franco dibattito e una mente aperta a idee ed esperienze
diverse» (RP 5). Infine, i giovani segnalano il permanere di discriminazioni a
base religiosa, in particolare nei confronti dei cristiani. Questo vale sia in
quei contesti in cui essi rappresentano una minoranza, esposta alla violenza e
alla pressione della maggioranza che pretende la loro conversione, sia in
situazioni a elevata secolarizzazione (cfr. RP 2).
Malattia, sofferenza ed esclusione
49. Molte CE e la RP non
fanno mistero che molti giovani debbano fare i conti con le conseguenze di
eventi traumatici di diversa natura, o con varie forme di malattia, sofferenza
e disabilità. Contano anche sull’accoglienza e il sostegno da parte della
Chiesa, di cui hanno uguale bisogno le loro famiglie. In particolare nei Paesi
con tenore di vita elevato risultano sempre più diffuse, soprattutto tra i
giovani, forme di malessere psicologico, depressione, malattia mentale e
disordini alimentari, legati a vissuti di infelicità profonda o all’incapacità
di trovare una collocazione all’interno della società. Vi sono Paesi in cui il
suicidio è la prima causa di morte nella fascia di età compresa tra i 15 e i 44
anni.
50. Molte sono le CE, di
regioni diverse, che segnalano con grande allarme il diffondersi tra giovani, e
anche giovanissimi,, di abusi e dipendenze di vario genere (droghe tradizionali
e sintetiche, alcool, ludopatia e dipendenza da Internet, pornografia, ecc.),
così come di comportamenti devianti di vario genere (bullismo, violenza, abusi
sessuali). Per Papa Francesco è chiaro come in molti casi queste forme
di dipendenza non siano conseguenza del cedimento al vizio, ma un effetto delle
dinamiche di esclusione: «C’è tutto un armamento mondiale di droga che sta distruggendo
questa generazione di giovani che è destinata allo scarto!» (Discorso ai membri della Pontificia Commissione per l’America Latina,
28 febbraio 2014). In tutto ciò viene alla luce non solo la fragilità di coloro
che commettono questi atti, ma anche quella delle vittime, delle famiglie e
della società nel suo insieme. Abusi e dipendenze, così come reazioni di
violenza o devianza di fronte alle contraddizioni della società, sono tra le
ragioni che portano i giovani, anche minori, in carcere. Viste le difficoltà
del sistema penale di fornire occasioni di recupero sociale, è alto il rischio
che la detenzione di giovani a bassa pericolosità sociale li inserisca in un
circuito criminale da cui faticano a uscire, come dimostrano gli alti tassi di
recidività. È ugualmente noto come la detenzione colpisca in modo
sproporzionato i membri di alcuni gruppi etnici e sociali, come effetto anche
di pregiudizi e discriminazioni.
SFIDE ANTROPOLOGICHE E CULTURALI
51. Le società e le
culture del nostro tempo, anche se in forme diverse, sono segnate da alcuni
snodi. Il loro continuo ripresentarsi ce li fa riconoscere come segnali del
cambiamento d’epoca che stiamo vivendo a livello antropologico e culturale. I
giovani, sentinelle e sismografi di ogni epoca, li avvertono più di altri come
fonte di nuove opportunità e di inedite minacce. Alcuni analisti parlano di una
“metamorfosi” della condizione umana, che pone a tutti, e in particolare ai
giovani, enormi sfide nel cammino di costruzione di un’identità solida.
Il corpo,
l’affettività e la sessualità
52. Un primo snodo
riguarda la corporeità nelle sue molte sfaccettature. Da sempre il corpo,
frontiera e intersezione tra natura e cultura, segnala e custodisce il senso
del limite creaturale ed è dono da accogliere con gioia e gratitudine. Gli
sviluppi della ricerca e delle tecnologie biomediche generano una diversa
concezione del corpo. Le prospettive di integrazione sempre più spinta tra
corpo e macchina, tra circuiti neuronali ed elettronici, che trovano nel cyborg la loro icona, favoriscono un approccio
tecnocratico alla corporeità, anche dal punto di vista del controllo dei
dinamismi biologici. Si segnala in proposito che le donatrici di ovuli e le
madri surrogate sono preferibilmente giovani. Al di là delle valutazioni
squisitamente etiche, queste novità non possono non impattare sulla concezione
del corpo e della sua indisponibilità. Alcuni segnalano una fatica delle
giovani generazioni a riconciliarsi con la dimensione della propria
creaturalità. In alcuni contesti va segnalato anche il diffondersi del fascino
per esperienze estreme, fino al rischio della vita, come occasione di
riconoscimento sociale o di sperimentazione di forti emozioni. Inoltre la
sessualità precoce, la promiscuità sessuale, la pornografia digitale,
l’esibizione del proprio corpo on line e il
turismo sessuale rischiano di sfigurare la bellezza e la profondità della vita
affettiva e sessuale.
53. In ambito ecclesiale
si avverte l’importanza del corpo, dell’affettività e della sessualità, ma
molte volte non si riesce a farne il perno del cammino educativo e di fede,
riscoprendo e valorizzando il significato della differenza sessuale e le
dinamiche vocazionali proprie del maschile e del femminile. Gli studi
sociologici mostrano che molti giovani cattolici non seguono le indicazioni
della morale sessuale della Chiesa. Nessuna CE offre soluzioni o ricette, ma
molte sono del parere che «la questione della sessualità deve essere discussa
più apertamente e senza pregiudizi». La RP evidenzia che gli insegnamenti della
Chiesa su questioni controverse, quali «contraccezione, aborto, omosessualità,
convivenza, matrimonio» (RP 5) sono fonte di dibattito tra i giovani, tanto
all’interno della Chiesa quanto nella società. Ci sono giovani cattolici che
trovano negli insegnamenti della Chiesa una fonte di gioia e che desiderano che
essa «non solo continui ad attenervisi nonostante la loro impopolarità, ma che
li proclami insegnandoli con maggiore profondità» (RP 5). Quelli che invece non
li condividono, esprimono comunque il desiderio di continuare a far parte della
Chiesa e domandano una maggiore chiarezza a riguardo. Di conseguenza, la RP
chiede ai responsabili ecclesiali di «affrontare in maniera concreta argomenti
controversi come l’omosessualità e le tematiche del gender, su cui i giovani già discutono con libertà e
senza tabù» (RP 11).
Nuovi paradigmi conoscitivi
e ricerca della verità
54. Con intensità in
parte diversa, molti Paesi del mondo sono alle prese con il fenomeno
delle fake news, ossia della diffusione incontrollabile di
notizie false attraverso i mezzi di comunicazione (digitali e non solo) e della
crescente difficoltà a distinguerle da quelle vere. Nel dibattito pubblico la
verità e la forza dell’argomentazione sembrano aver perso la capacità di
persuasione. Per questo è stato coniato il termine “post-verità”. Come segnala
anche una CE, «nei social network e
nei media digitali non esiste una gerarchia di verità».
55. I giovani sono
particolarmente esposti a questo clima, date le loro abitudini comunicative, e
hanno bisogno di essere accompagnati per non rimanere disorientati. Nel mondo
della post-verità, la frase «Cristo è la Verità che rende la Chiesa diversa da
qualsiasi altro gruppo secolare in cui potremmo identificarci» (RP 11), che la RP utilizza, finisce inevitabilmente
per avere una pregnanza diversa rispetto ad altre epoche. Non si tratta di
rinunciare allo specifico più prezioso del cristianesimo per conformarsi allo
spirito del mondo, né è questo che i giovani chiedono, ma occorre trovare il
modo per veicolare l’annuncio cristiano in circostanze culturali mutate. In
linea con la tradizione biblica, è bene riconoscere che la verità ha una base
relazionale: l’essere umano scopre la verità nel momento in cui la sperimenta
da parte di Dio, l’unico veramente affidabile e degno di fiducia. Questa verità
va testimoniata e praticata e non solo argomentata e dimostrata, cosa di cui
sono consapevoli anche i giovani della RP: «Le storie delle persone che fanno
parte della Chiesa sono vie efficaci di evangelizzazione, in quanto sulle
esperienze personali non si può discutere» (RP 15).
56. È necessario oggi
essere consapevoli che alcuni meccanismi di funzionamento dei media digitali e
la necessità di selezionare a quali tra le infinite offerte di informazioni
accedere fanno sì che sempre più spesso le persone entrino in contatto solo con
chi la pensa allo stesso modo. Anche gruppi, istituzioni e associazioni
ecclesiali corrono il rischio di trasformarsi in circuiti chiusi (cfr. GE 115).
Gli effetti antropologici del mondo digitale
57. Da un punto di vista
antropologico, l’irruzione delle tecnologie digitali sta cominciando ad avere
impatti profondissimi sulla nozione di tempo e di spazio, sulla percezione di
sé, degli altri e del mondo, sul modo di comunicare, di apprendere, di
informarsi. Un approccio alla realtà che privilegia l’immagine rispetto all’ascolto
e alla lettura sta modificando il modo di imparare e lo sviluppo del senso
critico. In prospettiva non potrà non interrogare anche le modalità di
trasmissione di una fede che si basa sull’ascolto della Parola di Dio e sulla
lettura della Sacra Scrittura. Dalle risposte delle CE, si evince che non molte
sembrano pienamente consapevoli della metamorfosi in atto.
58. Un uso superficiale
dei media digitali espone al rischio di isolamento, anche estremo – è il
fenomeno noto con il termine giapponese hikikomori e
che interessa un numero crescente di giovani in molti Paesi, in particolare
asiatici – e di rifugio in una felicità illusoria e inconsistente che genera
forme di dipendenza. I giovani della RP ne sono consci: «Spesso i giovani
tendono a separare i loro comportamenti on-line da quelli off-line. È
necessario offrire formazione ai giovani su come vivere la propria vita
digitale. Le relazioni on-line possono diventare disumane. Gli spazi digitali
ci rendono ciechi alla fragilità dell’altro e ci impediscono l’introspezione.
Problemi come la pornografia distorcono la percezione della sessualità umana da
parte dei giovani. La tecnologia usata in questo modo crea una ingannevole
realtà parallela che ignora la dignità umana. Altri rischi includono: perdita
di identità collegata a una rappresentazione errata della persona, costruzione
virtuale della personalità e perdita del radicamento sociale. Inoltre, i rischi
a lungo termine includono: perdita di memoria, cultura e creatività dinanzi
all’immediatezza dell’accesso all’informazione e perdita di concentrazione
legata alla frammentazione. Poi, esistono una cultura e una dittatura
dell’apparenza» (RP 4).
La delusione istituzionale e le nuove forme di
partecipazione
59. Un altro tratto che
attraversa molte società contemporanee è la debolezza delle istituzioni e la
diminuzione della fiducia nei loro confronti, Chiesa compresa. Le risposte al
QoL evidenziano come solo una minoranza dei giovani (16,7%) ritenga di avere
possibilità di incidere sulla vita pubblica del proprio Paese: non che non
vogliano, ma si trovano con ridotte possibilità e spazi. La mancanza di
una leadership affidabile, a diversi livelli e in
ambito tanto civile quanto ecclesiale, è molto denunciata dai giovani. Una
fragilità particolarmente evidente è generata dal diffondersi della corruzione.
Le istituzioni dovrebbero avere a cuore il bene comune e, quando alcuni
riescono a piegarle ai propri interessi particolari, subiscono una drammatica
erosione di credibilità. Per questo la corruzione è una piaga che intacca nei
fondamenti molte società. La sfida della giustizia sociale passa
necessariamente attraverso la costruzione di istituzioni giuste, che si pongano
al servizio della dignità umana in senso integrale.
60. Il disincanto verso
le istituzioni può però risultare salutare se si apre a percorsi di
partecipazione e all’assunzione di responsabilità senza rimanere prigionieri
dello scetticismo. Parecchie CE fanno notare che, in un contesto di insicurezza
e di paura del futuro, i giovani si legano non più alle istituzioni in quanto
tali, ma alle persone che, al loro interno, comunicano valori con la
testimonianza della loro vita. A livello sia personale sia istituzionale
coerenza e autenticità risultano fattori fondamentali di credibilità.
La paralisi decisionale nella sovrabbondanza delle
proposte
61. Vari elementi sopra
ricordati concorrono a spiegare come mai, in alcune parti del mondo, viviamo
ormai immersi in una “cultura dell’indecisione”, che considera impossibile o
addirittura insensata una scelta per la vita. In un mondo dove le opportunità e
le proposte aumentano esponenzialmente diviene spontaneo reagire con scelte
sempre reversibili, anche se questo comporta una continua mortificazione del
desiderio. Il processo del discernimento vocazionale, lungo l’asse segnato
dalle tappe “riconoscere, interpretare, scegliere” si arena spesso proprio nel
momento della scelta e della sua attuazione. Talora si vorrebbero sicurezze
esterne, che non richiedono la fatica di camminare nella fede, consegnandosi
alla Parola; altre volte prevale la paura di abbandonare le proprie convinzioni
per aprirsi alle sorprese di Dio.
62. Anche l’insicurezza
delle condizioni lavorative e il precariato sociale bloccano ogni progettualità
di medio-lungo periodo. Alcune CE, soprattutto nel mondo occidentale, affermano
che è assai difficile per i giovani concretizzare un progetto matrimoniale
senza mettere a rischio l’autosufficienza economica. Inoltre, come testimoniano
le risposte al QoL, molti giovani si domandano come sia possibile una scelta
definitiva in un mondo in cui nulla sembra essere stabile, nemmeno la
distinzione tra vero e falso. Una delle sfide urgenti che caratterizza il
nostro tempo è quindi quella della decisione di vita come assunzione
responsabile della propria esistenza.
Oltre la secolarizzazione
63. Smentendo le
previsioni formulate lungo gli ultimi due secoli, la secolarizzazione non pare
affermarsi come il destino ineluttabile dell’umanità. Con accenti diversi, la
letteratura scientifica utilizza correntemente espressioni come “ritorno del
sacro” o altre simili. Questo fenomeno convive con il calo delle vocazioni
sacerdotali e religiose e lo svuotamento delle chiese che sta avvenendo in
alcune parti del mondo: non siamo dunque di fronte a un ritorno al passato, ma
all’emergere di un nuovo paradigma di religiosità, descritta come poco
istituzionalizzata e sempre più “liquida”, segnata da una radicale varietà di
percorsi individuali anche tra coloro che si dichiarano appartenenti alla
stessa confessione. Così, nel SI si è affermato che «in un mondo giovanile
assai differenziato al proprio interno, non mancano i segni di vitalità
religiosa e spirituale». L’insoddisfazione per una visione del mondo puramente
immanente, veicolata dal consumismo e dal riduzionismo scientista, apre il
campo alla ricerca del senso della propria esistenza attraverso itinerari
spirituali di varia natura. Afferma una CE: «Molti giovani dichiarano di essere
in cerca del senso della vita, di seguire ideali, di cercare una spiritualità e
una propria fede personale, ma solo raramente si rivolgono alla Chiesa». Di
questo mutamento di atteggiamento nei confronti della religione occorre mettere
a fuoco il profilo, così da poterne interpretare le cause e i possibili
approdi, identificando quali opportunità offra per l’annuncio evangelico e
quali rischi o ambiguità possa presentare. In molti luoghi si accompagna
infatti al fascino che proposte di matrice integralista o fondamentalista
suscitano almeno in alcune fasce del mondo giovanile: i fenomeni dei foreign fighters e della radicalizzazione a vari
livelli ne sono solo esempi. In senso totalmente diverso risulta significativo
anche quanto notano alcune CE dell’Europa centro-orientale rispetto al
progressivo spostamento delle pratiche religiose e spirituali dall’ambito del
precetto a quello delle opzioni per il tempo libero: in ciò emerge l’aspetto di
scelta personale, ma risulta chiaro che tali pratiche vengono poste in evidente
concorrenza con molte altre alternative.
CAPITOLO V
IN ASCOLTO DEI GIOVANI
64. L’attenzione e cura
per i giovani espressa nel DP è stata ribadita dalle CE. Le loro risposte alla
domanda: «Che cosa chiedono concretamente i giovani alla Chiesa del vostro
Paese?» sono state ampie e articolate. Nel QoL molti giovani si sono espressi
con grande libertà, cercando di comunicare il loro pensiero senza filtri. Nella
medesima direzione è stata interpretata dai giovani l’esperienza della RP. Sono
stati molti i modi in cui le CE si sono messe in ascolto dei giovani. Si nota
però che in genere viene privilegiata l’attenzione ai giovani che appartengono
alle realtà ecclesiali e vi sono attivi, col rischio di ritenerli
rappresentativi dell’intero mondo giovanile. Il QoL, com’era prevedibile, ha
visto una partecipazione maggioritaria di giovani già inseriti in circuiti
ecclesiali. È stato da molti ribadito che il modo migliore per ascoltare i
giovani è essere lì dove si trovano, condividendo la loro esistenza quotidiana.
I partecipanti alla RP hanno affermato con entusiasmo: «La nostra speranza è
che la Chiesa e le altre istituzioni possano imparare dal processo di
questa Riunione presinodale ad ascoltare la voce dei
giovani» (RP, Introduzione). Anche molti di coloro che sono intervenuti nel QoL
hanno espresso gratitudine e apprezzamento per questa opportunità.
La fatica di ascoltare
65. Come ben sintetizza
un giovane, «nel mondo contemporaneo il tempo dedicato all’ascolto non è mai
tempo perso» (QoL) e nei lavori della Riunione presinodale è emerso che
l’ascolto è la prima forma di linguaggio vero e audace che i giovani chiedono a
gran voce alla Chiesa. Va però registrata anche la fatica della Chiesa ad
ascoltare realmente tutti i giovani, nessuno escluso. Molti avvertono che la
loro voce non è ritenuta interessante e utile dal mondo degli adulti, in ambito
sia sociale sia ecclesiale. Una CE afferma che i giovani percepiscono che «la
Chiesa non ascolta attivamente le situazioni vissute dai giovani» e che «le
loro opinioni non sono considerate seriamente». È chiaro, invece, che i
giovani, secondo un’altra CE, «domandano alla Chiesa di avvicinarsi a loro con
il desiderio di ascoltarli e accoglierli, offrendo dialogo e ospitalità». Gli
stessi giovani affermano che «in alcune parti del mondo, i giovani stanno
lasciando la Chiesa in gran numero. Capire i motivi di questo fenomeno è
cruciale per poter andare avanti» (RP 7). Certamente
tra questi troviamo l’indifferenza e la mancanza di ascolto, oltre al fatto che
«molte volte la Chiesa appare come troppo severa ed è spesso associata a un
eccessivo moralismo» (RP 1).
Il desiderio di una “Chiesa autentica”
66. Un numero consistente
di giovani, provenienti soprattutto da aree molto secolarizzate, non chiedono
nulla alla Chiesa perché non la ritengono un interlocutore significativo per la
loro esistenza. Alcuni, anzi, chiedono espressamente di essere lasciati in
pace, poiché sentono la sua presenza come fastidiosa e perfino irritante. Tale
richiesta non nasce da un disprezzo acritico e impulsivo, ma affonda le sue
radici anche in ragioni serie e rispettabili: gli scandali sessuali ed
economici, su cui i giovani chiedono alla Chiesa di «rafforzare la sua politica
di tolleranza zero contro gli abusi sessuali all’interno delle proprie
istituzioni» (RP 11); l’impreparazione dei ministri ordinati che non sanno intercettare
adeguatamente la vita e la sensibilità dei giovani; il ruolo passivo assegnato
ai giovani all’interno della comunità cristiana; la fatica della Chiesa di
rendere ragione delle proprie posizioni dottrinali ed etiche di fronte alla
società contemporanea.
67. Anche quando sono
molto critici, in fondo, i giovani chiedono che la Chiesa sia un’istituzione
che brilli per esemplarità, competenza, corresponsabilità e solidità culturale.
Una CE afferma che «i giovani vogliono vedere una Chiesa che condivide la loro
situazione di vita alla luce del Vangelo piuttosto che fare prediche»! In
maniera sintetica, i giovani così si sono espressi: «I giovani di oggi
desiderano una Chiesa autentica. Con questo vogliamo esprimere, in particolar
modo alla gerarchia ecclesiastica, la nostra richiesta per una comunità
trasparente, accogliente, onesta, attraente, comunicativa, accessibile, gioiosa
e interattiva» (RP 11).
Una Chiesa “più relazionale”
68. Molti giovani
ritengono decisiva una rinnovata impostazione ecclesiale, soprattutto dal punto
di vista relazionale: innumerevoli CE affermano che i giovani desiderano una
Chiesa «meno istituzionale e più relazionale», capace di «accogliere senza
giudicare previamente», una Chiesa «amica e prossima», una comunità ecclesiale che
sia «una famiglia dove ci si sente accolti, ascoltati, custoditi e integrati».
Anche secondo la Riunione presinodale «abbiamo bisogno di una Chiesa
accogliente e misericordiosa, che apprezza le sue radici e i suoi tesori e ama
tutti, anche coloro che non seguono quelli che sono percepiti come standard» (RP 1).
69. I giovani più
partecipi della vita della Chiesa hanno espresso varie richieste specifiche.
Ritorna spesso il tema della liturgia, che vorrebbero viva e vicina, mentre
spesso non consente di fare un’esperienza di «alcun senso di comunità o di
famiglia in quanto Corpo di Cristo» (RP 7), e delle omelie, che molti ritengono
inadeguate per accompagnarli nel discernimento della loro situazione alla luce
del Vangelo. «I giovani sono attratti dalla gioia, che dovrebbe essere un segno
distintivo della nostra fede» (RP 7), ma che spesso le comunità cristiane non
sembrano in grado di trasmettere.
70. Un’altra richiesta
riguarda l’adozione di uno stile di dialogo interno ed esterno alla Chiesa: i
giovani ritengono necessario affrontare alcuni nodi del nostro tempo, come per
esempio il riconoscimento e la valorizzazione del ruolo della donna nella
Chiesa e nella società. Alcuni giovani incoraggiano la Chiesa ad approfondire
una elaborazione culturale della fede che permetta un dialogo fecondo con gli
altri saperi e le altre tradizioni religiose: «In un mondo globalizzato e
inter-religioso, la Chiesa ha bisogno non solo di un modello ma anche di un
approfondimento dei riferimenti teologici in vista di un dialogo pacifico e
costruttivo con persone di altre fedi e tradizioni» (RP 2).
Una comunità “impegnata per la giustizia”
71. In varie parti del
mondo poi, afflitte da molte povertà, i giovani chiedono aiuto materiale o un
accompagnamento nella guarigione dalle forme di sofferenza che li affliggono.
Dove invece la Chiesa è considerata come un’istituzione attivamente impegnata
per la promozione civile e sociale, essi chiedono che questa sua presenza
profetica possa continuare con coraggio e fortezza, nonostante il clima di
violenza, oppressione e persecuzione che circonda la vita di non poche comunità
cristiane. Molti giovani chiedono alla Chiesa una concretezza operativa, che
tocca vari punti: essere realmente a favore dei poveri, avere a cuore la
questione ecologica, fare scelte visibili di sobrietà e trasparenza, essere
autentica e chiara, e anche audace nel denunciare il male con radicalità non
solo nella società civile e nel mondo, ma nella Chiesa stessa. «La Chiesa
dovrebbe rafforzare le iniziative che combattono la tratta degli esseri umani e
le migrazioni forzate, così come il narcotraffico, tema urgente particolarmente
in America latina» (RP 14).
La parola dei seminaristi e dei giovani religiosi
72. Molti seminaristi,
giovani religiosi e religiose in formazione si sono espressi in varie modalità
sul tema del Sinodo, che è per loro motivo di grande gioia. Le loro indicazioni
e provocazioni ci orientano in tre direzioni precise.
La prima riguarda il
tema della fraternità: provenendo da contesti pesantemente segnati dalla
competizione e dall’individualismo chiedono una vita autenticamente fraterna,
che faccia dei legami e degli affetti condivisi il suo fulcro. Desiderano una
Chiesa che sia “profezia di fraternità”, una casa in grado di diventare la loro
famiglia.
Vi è poi la richiesta
di spiritualità, di una Chiesa nel cui centro ci sia la preghiera e l’intimità
con Dio. In alcune parti del mondo vi è una spontanea apertura alla
trascendenza; in altre, dominate da un “umanesimo esclusivo”, la richiesta alla
Chiesa è di essere mistica, capace di aprire spiragli di trascendenza nella
vita di uomini e donne. Per questo alcuni vedono la liturgia come occasione di
profezia.
Infine, è forte la
richiesta di radicalità, anche se non sempre sostenuta da coerenza personale:
al di là di alcuni contesti dove la scelta per la vita consacrata e il
ministero ordinato rimandano alla ricerca di sicurezze economiche e sociali, in
genere da parte dei giovani che si affacciano a queste forme di vita vi è una
scelta consapevole di radicalità evangelica, che richiede accompagnamento
specifico e graduale verso il dono generoso di sé per Dio e per il prossimo.
INTERPRETARE:
FEDE E DISCERNIMENTO VOCAZIONALE
73. In questa II Parte
siamo chiamati ad approfondire alcuni elementi e dinamiche che ci consentano di
interpretare adeguatamente le situazioni esposte nella I Parte. L’appello di
Cristo a vivere secondo le sue intenzioni è il nostro orizzonte di riferimento
e al tempo stesso rimane fonte di sana inquietudine e di benefica crisi: «Una
fede che non ci mette in crisi è una fede in crisi; una fede che non ci fa
crescere è una fede che deve crescere; una fede che non ci interroga è una fede
sulla quale dobbiamo interrogarci; una fede che non ci anima è una fede che
deve essere animata; una fede che non ci sconvolge è una fede che deve essere
sconvolta» (Francesco, Udienza alla Curia romana in
occsione della presentazione degli auguri natalizi,
21 dicembre 2017)
LA BENEDIZIONE DELLA GIOVINEZZA
74. Per comprendere la
verità della giovinezza, che non è solo una condizione odierna, ma un’età
specifica della vita che fa parte della condizione umana in quanto tale, è
opportuno offrire uno sguardo antropologico e biblico, perché la parola di Dio
ci offre elementi per comprendere ed interpretare questo momento decisivo
dell’esistenza. Se poi la Chiesa è davvero «la vera giovinezza del mondo», far
luce sui tratti caratteristici e universali della giovinezza significa avere
elementi preziosi per aiutarla a «ringiovanire il proprio volto» (Concilio
Vaticano II, Messaggio ai giovani),
perché il Sinodo «sarà anche un appello rivolto alla Chiesa, perché riscopra
un rinnovato dinamismo giovanile» (Francesco, Discorso alla Riunione presinodale, 2).
Cristo “giovane tra i giovani”
75. La giovinezza è una
età della vita originale ed entusiasmante, attraverso la quale Cristo stesso è
passato, santificandola con la sua presenza. Ireneo di Lione ci aiuta a far
luce su questa realtà, quando afferma che «Gesù non rifiutava né oltrepassava
la natura umana, né aboliva in se stesso la legge del genere umano, ma
santificava ogni età per la somiglianza che ciascuna aveva con lui. Egli è
venuto a salvare tutti per mezzo di se stesso; intendo dire tutti coloro che
rinascono in Dio: infanti, fanciulli, ragazzi, giovani e adulti. E per questo è
passato attraverso ogni età: si è fatto infante per gli infanti, per
santificare gli infanti; fanciullo tra i fanciulli, per santificare coloro che
avevano questa stessa età divenendo contemporaneamente per loro esempio di
pietà, di giustizia e di sottomissione; giovane tra i giovani per divenire
esempio per i giovani e consacrarli al Signore» (Contro le eresie,
II,22,4). Gesù dunque, “giovane tra i giovani”, vuole incontrarli camminando
con loro, così come fece con i discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35). Desidera ancora oggi offrire se
stesso perché ognuno di loro abbia la vita in abbondanza (cfr. Gv 10,10).
La chiamata universale alla gioia dell’amore
76. Rispondendo al QoL,
un giovane assicura che «credere in Dio è fonte di amore e di gioia, non di
tristezza!». Un motivo ricorrente nel tempo della giovinezza è quello della
gioia: «Godi, o giovane, della tua giovinezza, e si rallegri il tuo cuore nei
giorni della tua gioventù» (Qo 11,9;
cfr. Sap 2,6). L’imperativo della gioia abita la
giovinezza con una certa naturalità, facendo perno intorno alla bellezza fisica
che diventa attenzione e attrazione per l’altro. Il corpo nella sua piena
luminosità e pienezza diviene lo spazio dell’amore, percepito come lo stesso mistero
dell’essere umano, destinato all’eternità proprio perché intessuto di amore.
Per questo amore che «tutto spera» (1Cor 13,7), ogni
giovane è chiamato a divenire un annunciatore di risurrezione (cfr. Mc 16,6). Tutto il Cantico
dei Cantici celebra l’amore tra due giovani che si cercano e si
desiderano come il simbolo reale dell’amore concreto tra Dio e il suo popolo,
mostrando come la vocazione alla gioia attraverso l’amore sia universale e
insopprimibile. Molti rilevano la necessità che la Chiesa rinvigorisca la
propria chiamata ad essere collaboratrice della gioia dei giovani in forma
gratuita e disinteressata (cfr. 2Cor 1,24).
Vigore fisico, fortezza d’animo e coraggio di
rischiare
77. «Vanto dei giovani è
la loro forza» (Pr 20,29). Un atteggiamento
naturalmente propositivo nei confronti dell’esistenza caratterizza la
giovinezza: momento di massima espansione della propria energia fisica, porta
con sé una fortezza unica nell’affrontare le sfide della vita e nell’osare
sentieri nuovi. Nella figura biblica di Giosuè, servitore di Mosè fin
dall’adolescenza, emergono queste caratteristiche, proprio nel momento in cui è
chiamato a guidare il popolo alla conquista della Terra promessa. Varie volte
gli viene ripetuto l’invito «sii forte e coraggioso», sia da parte di Mosè (Dt 31,7.23) che da parte di Dio (Gs 1,6.7.9). Questa stessa parola la Chiesa
desidera rivolgere ad ogni giovane che si affaccia verso le sfide e i rischi
della vita, seguendo l’indicazione dell’apostolo Giovanni: «Scrivo a voi,
giovani, perché siete forti e la Parola di Dio rimane in voi e avete vinto il
maligno» (1Gv 2,14). Nella I Parte l’analisi della situazione
ci ha mostrato come sia facile per i giovani d’oggi perdere i tratti della
fortezza e del coraggio, tipici di questa età della vita, lasciandosi vincere
dalla paura e dallo sconforto. La Chiesa stessa rischia di smarrire
l’entusiasmo che le viene dalla propria chiamata al rischio della fede,
rinchiudendosi in false sicurezze mondane. Occorre recuperare questi dinamismi.
Incertezza, paura e speranza
78. Di fronte alla vita,
soprattutto nel nostro tempo, i giovani sperimentano la contingenza e la
frammentazione esistenziale. La mancanza di sicurezze crea incertezza, la
molteplicità di opzioni disponibili genera confusione e la presenza dell’odio e
della violenza riempie di paura le nuove generazioni, abbassando la stima nelle
proprie risorse. Come può un giovane essere profeta di speranza in un mondo
dove regnano la corruzione e l’ingiustizia? È la situazione in cui si trova il
profeta Geremia, che di fronte alla chiamata ad essere profeta delle nazioni
mette davanti al Signore la sua giovane età: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non
so parlare, perché sono giovane» (Ger 1,6). Sente
il bisogno di un Dio vicino che attraverso la Sua grazia porti una speranza
affidabile nella sua fragile esistenza.
La giovinezza, d’altra parte, è portatrice di inesperienza e quindi di un
giusto timore e di un’incertezza strutturale di fronte ai grandi compiti che la
vita riserva. Ogni giovane chiede compagnia, sostegno, vicinanza, prossimità.
Geremia si pacifica solo nel momento in cui Dio stesso gli rivolge questa
parola: «Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per
proteggerti» (Ger 1,8). Tanti giovani chiedono per questo una
Chiesa che sia madre e che non si dimentichi mai di loro (cfr. Is 49,15-16).
Caduta, pentimento e accoglienza
79. La messa a punto
della capacità di amare resta la bellezza e il rischio della giovinezza, perché
l’amore, nel momento in cui è cercato e vissuto in modo disordinato, può
diventare una passione sregolata e una pulsione distruttiva, portando alla
tristezza. Il male e il peccato abitano anche la vita dei giovani e la loro
richiesta di accoglienza e di perdono è un grido che dobbiamo percepire. Una
delle parabole più note del Vangelo, che narra la storia di due figli e
fratelli, è quella del “padre misericordioso”, che si potrebbe chiamare anche
“parabola del padre che esce due volte” (Lc 15,11-32):
una prima volta ad accogliere il figlio minore dopo il tempo della spensieratezza
e della sregolatezza, e una seconda per pregare il figlio maggiore, il cui
cuore si è irrigidito e spento, a rientrare per far festa e condividere la
gioia del ritorno del fratello. Il Padre di questa parabola è la vera figura di
“adulto” che tanti giovani cercano nella loro esistenza e che purtroppo non
trovano. Questa parabola ha a che fare con un padre coraggioso, che permette ai
propri figli di sperimentare il rischio della libertà, senza imporre dei gioghi
che ne mortifichino le scelte. Insieme è un padre il cui cuore è tanto grande
da non escludere nessuno e da voler reintegrare tutti nella sua casa. La Chiesa
è chiamata a far sì che tutti i giovani che incontra sul suo cammino
sperimentino questi atteggiamenti paterni e materni.
Disponibilità
all’ascolto e necessità dell’accompagnamento
80. Nel DP la figura di
Giovanni e quella di Maria hanno offerto un’immagine efficace a proposito della
disponibilità all’ascolto e della volontà di intraprendere un cammino di
discernimento vocazionale che non si compie in un atto puntuale, ma diventa un
percorso esistenziale accompagnato continuamente dalla presenza di Gesù, che si
fa maestro, modello e amico di ogni giovane.
81. Una delle chiamate
bibliche che riguarda direttamente un giovane è quella di Samuele (cfr. 1Sam 3,1-21). Qui si vede molto bene che il tempo
della giovinezza è il tempo dell’ascolto, ma insieme anche quello
dell’incapacità di comprendere da soli la parola della vita e la stessa Parola
di Dio. Rispetto a un adulto, al giovane manca l’esperienza: gli adulti
infatti, dovrebbero essere coloro che «mediante l’esperienza, hanno le facoltà
esercitate a distinguere il bene e il male» (Eb 5,14). Essi
dovrebbero quindi brillare soprattutto per la loro retta coscienza, che viene
dall’esercizio continuo di scegliere il bene ed evitare il male.
L’accompagnamento delle giovani generazioni non è un optional rispetto al compito di educare ed
evangelizzare i giovani, ma un dovere ecclesiale e un diritto di ogni giovane.
Solo la presenza prudente e saggia di Eli permette a Samuele di dare la
corretta interpretazione alla parola che Dio gli sta rivolgendo. In questo
senso i sogni degli anziani e le profezie dei giovani accadono solo insieme
(cfr. Gl 3,1), confermando la bontà delle alleanze
intergenerazionali.
Maturazione della fede e dono del discernimento
82. La fede è prima di
tutto un dono da accogliere e la sua maturazione un cammino da percorrere.
Certamente, però, a monte di tutto questo va riaffermato che «all’inizio
dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì
l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo
orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva» (DC 1; EG 7). Da questo incontro
prende corpo un’esperienza che trasforma l’esistenza, orientandola in forma
dialogica e responsabile. Crescendo, ogni giovane si rende conto che la vita è
più grande di lui, che egli non controlla tutto della sua esistenza; prende
coscienza che egli è quello che è grazie alla cura che altri, in prima battuta
i suoi genitori, gli hanno riservato; si convince che per vivere bene la sua
storia deve diventare responsabile di altri, riproponendo quegli atteggiamenti
di cura e servizio che lo hanno fatto crescere. Soprattutto è chiamato a
chiedere il dono del discernimento, che non è una competenza che ci si può
costruire da soli, ma prima di tutto un dono da ricevere, che poi implica
esercizio prudente e sapiente perché si sviluppi. E un giovane che ha ricevuto
e sa far fruttificare il dono del discernimento è fonte di benedizione per
altri giovani e per il popolo intero.
83. Il giovane re
Salomone, nel momento in cui viene invitato a chiedere a Dio ciò che vuole in
vista del suo decisivo ruolo, domanda «un cuore docile» (1Re 3,9). E l’apprezzamento di Dio non si fa
attendere: «Poiché hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco,
faccio secondo le tue parole» (1Re 3,11-12).
Effettivamente ogni giovane è in qualche modo “re” della propria esistenza,
ma ha bisogno di essere aiutato perché possa chiedere il discernimento, e di
essere accompagnato perché giunga a pienezza nel dono di sé. Istruttiva, a
questo proposito, è anche la vicenda della giovane regina Ester che,
accompagnata e sostenuta dalla preghiera del popolo (cfr. Est 4,16), rinuncia ai suoi privilegi e mette a
repentaglio con coraggio la propria esistenza per la salvezza della sua gente,
dimostrando fin dove può arrivare l’ardimento giovanile e la dedizione
femminile.
Progetto di vita e dinamica vocazionale
84. Nella fase della
giovinezza prende corpo la costruzione della propria identità. In questo tempo,
segnato da complessità, frammentazione e incertezza per il futuro, progettare
la vita diventa faticoso, se non impossibile. In questa situazione di crisi,
l’impegno ecclesiale è molte volte orientato a sostenere una buona
progettualità. Nei casi più fortunati e laddove i giovani sono più disponibili,
questo tipo di pastorale li aiuta a scoprire la loro vocazione, che rimane, in
fondo, una parola per pochi eletti e dice il culmine di un progetto. Ma questo
modo di procedere non rischia di ridurre e compromettere la verità piena del
termine “vocazione”?
A questo proposito è molto utile richiamare alla nostra attenzione
l’incontro tra Gesù e il giovane ricco (Mt 19,16-22; Mc 10,17-22; Lc 10,25-28).
Qui vediamo che il Maestro di Nazareth non sostiene il progetto di vita del
giovane e nemmeno ne propone il coronamento; non consiglia un impegno in più e
nemmeno, in fondo, vuole colmare un vuoto del giovane, che pure aveva chiesto:
«Che altro mi manca?»; perlomeno, non vuole colmarlo confermando la logica
progettuale del giovane. Gesù non riempie un vuoto, ma chiede al giovane di
svuotarsi, di fare spazio ad una nuova prospettiva orientata al dono di sé
attraverso una nuova impostazione della propria vita generata dall’incontro con
colui che è «la via, la verità e la vita» (cfr. Gv 14,6).
In tal modo, attraverso un vero e proprio disorientamento, Gesù chiede al
giovane una riconfigurazione della propria esistenza. È una chiamata al
rischio, a perdere il già acquisito, alla fiducia. È provocazione a rompere con
la mentalità progettuale che, se esasperata, porta al narcisismo e alla
chiusura in se stessi. Gesù invita il giovane a entrare in una logica di fede,
che mette in gioco la propria vita nella sequela, preceduta e accompagnata da
un intenso sguardo d’amore: «Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli
disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e
avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi”» (Mc 10,21).
CAPITOLO II
LA VOCAZIONE ALLA LUCE DELLA FEDE
85. I giovani, nel
documento finale della RP, affermano: «Cerchiamo una Chiesa che ci aiuti a
trovare la nostra vocazione, in tutti i suoi significati» (RP 3). Per fare
questo è necessario chiarire il senso del termine “vocazione”. Avendo a cuore
tutti i giovani, nessuno escluso, al Sinodo è chiesto di illuminare in maniera
convincente l’orizzonte vocazionale dell’esistenza umana in quanto tale. I
giovani stessi chiedono alla Chiesa di aiutarli a «trovare una semplice e
chiara comprensione del significato di “vocazione”» (RP 8). Dalle risposte
delle diverse CE, e anche da tante parole dei giovani stessi, si evince che il
termine vocazione è generalmente utilizzato per indicare le vocazioni al
ministero ordinato e quelle di speciale consacrazione. Una CE afferma che una
«debolezza della pastorale nel discernimento della vocazione dei giovani
risiede nel fatto che restringe la comprensione della vocazione solo alla
scelta del sacerdozio ministeriale o della vita consacrata».
86. Se confrontiamo
questa visione “ristretta” anche solo con il cammino dei due precedenti Sinodi,
dove si afferma che «il matrimonio è una vocazione» e che quindi «la decisione
di sposarsi e di formare una famiglia dev’essere frutto di un discernimento
vocazionale» (AL 72), non è difficile comprendere che una visione riduttiva del
termine “vocazione” crea un forte pregiudizio nei giovani, che vedono nella
pastorale vocazionale un’attività finalizzata esclusivamente al “reclutamento”
di sacerdoti e religiosi. A partire da questo immaginario ecclesiale condiviso,
vi è quindi la necessità di mettere le basi per una “pastorale giovanile
vocazionale” di ampio respiro capace di essere significativa per tutti i
giovani.
La vita umana nell’orizzonte vocazionale
87. Il Concilio Vaticano
II ha recuperato chiaramente l’orizzonte vocazionale dell’umanità quando ha
utilizzato tale terminologia per esprimere sia la destinazione di tutti gli
uomini alla comunione con Cristo (cfr. LG 3.13; GS 19.32) sia la chiamata
universale alla santità (cfr. LG 39-42), inserendo poi in tale orizzonte
interpretativo la comprensione delle singole vocazioni: quelle al ministero
ordinato e alla vita consacrata come pure la vocazione laicale (cfr. LG 31),
specialmente nella forma coniugale (cfr. LG 35; GS 48.49.52). Su questa linea
si è mosso anche il magistero successivo, che riconosce anche il carattere
analogico del termine “vocazione” e le molte dimensioni che connotano la realtà
che esso designa in ordine alla missione personale di ciascuno e in vista della
comunione tra tutte le persone.
Chiamati in Cristo
88. Affermando che tutte
le cose sono state create per mezzo di Cristo e in vista di Lui (cfr. Col 1,16), la Scrittura orienta a leggere il
mistero della vocazione come una realtà che segna la stessa creazione di Dio,
illuminando così misteriosamente l’esistenza di ogni uomo e di ogni donna. Se
già il Beato Paolo VI aveva affermato che «ogni vita è vocazione» (PP
15), Benedetto XVI ha insistito sul fatto che l’essere umano è
creato da Dio come essere dialogico: la Parola creatrice «chiama ciascuno in
termini personali, rivelando così che la vita stessa è vocazione in rapporto a
Dio» (VD 77). In questo senso solo un’antropologia vocazionale sembra essere
adeguata per comprendere l’umano in tutta la sua verità e pienezza. È stato
significativo che durante la RP alcuni giovani non credenti e di altre
religioni abbiano testimoniato il loro desiderio di discernere la loro
vocazione nel mondo e nella storia (cfr. RP 8).
Ad uscire da se stessi
89. Parlare della vita
come vocazione consente di evidenziare alcuni elementi che sono molto
importanti per la crescita di un giovane: significa escludere che essa sia
determinata dal destino o frutto del caso, come anche che sia un bene privato
che si può gestire in proprio. Se nel primo caso non c’è vocazione perché non
c’è il riconoscimento di una destinazione degna dell’esistenza, nel secondo un
essere umano pensato “senza legami” diventa “senza vocazione”. Il discernimento
vocazionale in questa direzione assume i tratti di un cammino di
riconciliazione con il proprio corpo e il proprio sé, con gli altri e con il
mondo.
Verso la pienezza della gioia e dell’amore
90. Positivamente la
concezione della vita come vocazione invita l’essere umano a rinunciare alla
menzogna dell’autofondazione e all’illusione dell’autorealizzazione
narcisistica, per lasciarsi interpellare attraverso la storia dal disegno con
cui Dio ci destina gli uni al bene degli altri. Si tratta così di dare origine
a una rinnovata cultura vocazionale, che è sempre legata alla gioia della
comunione d’amore che genera vita e speranza. La pienezza della gioia infatti
si può sperimentare solo nel momento in cui si scopre di essere amati e di
conseguenza personalmente chiamati ad amare a propria volta nelle circostanze
concrete in cui ciascuno vive (famiglia, lavoro, impegno sociale e civile).
La vocazione a
seguire Gesù
91. L’evento cristologico
porta a compimento la creazione poiché è il Mistero che la muove fin da
principio: «Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il
mistero dell’uomo […] Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il
mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e
gli manifesta la sua altissima vocazione» (GS 22). In Gesù ci si scopre
chiamati ad andare oltre se stessi; l’ascolto della Sua parola invita, infatti,
a «prendere il largo» (cfr. Lc 5,4) e ad
aprirsi a orizzonti che con le proprie sole forze non si potrebbero nemmeno immaginare.
La vocazione battesimale
92. Nel Nuovo Testamento,
però, la chiamata riguarda anche l’invito ad alcune persone a seguirlo più da
vicino. Il racconto evangelico dell’incontro di Gesù con i primi discepoli
(cfr. Gv l,36-39), presentato nel DP, rimane
paradigmatico di questa chiamata. La meta della chiamata di Gesù infatti si
dischiude solo dall’interno della sequela, che è dialogo e relazione con il
Maestro. Essa non può stagliarsi davanti nitida fin dall’inizio, quasi fosse
l’esito di un progetto di cui siamo padroni e di cui possediamo la chiave, così
da poterne prevedere tutti i dettagli. Essa si profila allo sguardo della fede
che, come ha scritto Papa Francesco,
«“vede” nella misura in cui cammina, in cui entra nello spazio aperto dalla
Parola di Dio» (LF 9).
93. Non si può trascurare
poi che ogni percorso vocazionale, affondando le sue radici nell’esperienza di
filiazione divina donata nel battesimo (cfr. Rm 6,4-5;
8,14-16), è un cammino pasquale, che implica l’impegno a rinnegare se stessi e
a perdere la vita, per riceverla rinnovata. Il Cristo che ci chiama a seguirlo
è Colui che «di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla
croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio» (Eb 12,2). Il credente dunque, anche quando
sperimenta che il discepolato implica rinunce e una sofferta fedeltà, non si
perde d’animo e continua a seguire il Signore, che ci ha preceduti alla destra
del Padre e ci accompagna con il suo Spirito.
La chiamata degli apostoli
94. Tra coloro che lo
seguono, Gesù ne sceglie alcuni per uno speciale ministero. È ciò che si
ritrova con evidenza nella vocazione degli apostoli: «Ne costituì Dodici – che
chiamò apostoli –, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il
potere di scacciare i demòni» (Mc 3,14-15),
invitandoli a prendersi cura del suo gregge (cfr. Gv 21, 15-19); così pure Paolo, «servo di Gesù
Cristo, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il Vangelo di Dio» (Rm 1,1; cfr. 1Cor1,1). Nei testi
che si riferiscono a una chiamata speciale per la missione viene sottolineata
con forza la libera e gratuita elezione di Dio, la scelta fin dal grembo
materno, la rivelazione al chiamato del mistero di Cristo e l’incarico storico
salvifico. Talvolta tale vocazione è accompagnata dalla designazione del
chiamato con un nome nuovo.
95. È importante
sottolineare che le “chiamate” particolari sono comprensibili soltanto entro
l’orizzonte “vocazionale” della Chiesa intera. Nello stesso nome ecclesia, infatti, è indicata la fisionomia vocazionale
della comunità dei discepoli, la sua identità di assemblea di convocati (cfr. 1Cor 1,26; PdV 34). Al suo interno le vocazioni a
un compito speciale non hanno il senso di introdurre un privilegio, ma
piuttosto di rendere evidente, con il conferimento di una peculiare missione,
la grazia con cui Dio chiama tutti alla salvezza: così, mentre Gesù dice
«seguimi» al pubblicano Levi facendone un apostolo della Chiesa (Mc 2, 14), annuncia a tutti di non essere venuto
«a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2,17).
La vocazione della Chiesa e le vocazioni nella Chiesa
96. La vocazione della
Chiesa trova la sua anticipazione reale e la sua piena realizzazione nella
persona di Maria, giovane donna che con il suo “sì” ha reso possibile
l’incarnazione del Figlio e, di conseguenza, ha creato le condizioni perché
ogni altra vocazione ecclesiale possa essere generata. Il “principio mariano”
precede ed eccede ogni altro principio ministeriale, carismatico e giuridico
nella Chiesa e tutti li sostiene e li accompagna.
97. Non è poi possibile
intendere in pienezza il significato della vocazione battesimale se non si
considera che essa è intrinsecamente connessa alla missionarietà della Chiesa,
che ha come finalità fondamentale la comunione con Dio e tra tutte le persone.
Le diverse vocazioni ecclesiali sono, infatti, espressioni molteplici e
articolate attraverso cui essa realizza la sua chiamata a essere segno reale
del Vangelo accolto in una comunità fraterna. La pluralità delle forme di
sequela di Cristo articolano, ciascuna a modo proprio, la missione di
testimoniare l’evento di Gesù, nel quale ogni uomo e ogni donna trovano la
salvezza.
98. San Paolo ritorna più
volte nelle sue lettere su questo tema, richiamando l’immagine della Chiesa
come corpo costituito da varie membra e ponendo in risalto che ciascun membro è
necessario e allo stesso tempo relativo all’insieme, poiché solo l’armonica
unità di tutti rende il corpo vivente e armonico. L’origine di questa comunione
è trovata dall’Apostolo nello stesso mistero della Santissima Trinità. Scrive
infatti Paolo ai Corinti: «Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito;
vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività,
ma uno solo è Dio che opera tutto in tutti» (1Cor 12, 4-6).
99. Le diverse forme di
vita cristiana, dunque, non possono essere pensate né comprese in modo
autonomo, ma solo nella reciprocità che disegnano e nello scambio di doni che
realizzano (cfr. CL 55; VC 31). Solo in questo modo è possibile per la Chiesa
divenire un’immagine integrale del volto di Gesù nella storia degli uomini. La
recente lettera Iuvenescit Ecclesia, sulla relazione tra doni gerarchici e carismatici
per la vita e la missione della Chiesa, ha offerto indicazioni preziose per
elaborare una corretta teologia dei carismi, in modo da accogliere con
riconoscenza e valorizzare con sapienza i doni di grazia che lo Spirito fa
continuamente sorgere nella Chiesa per ringiovanirla.
I diversi percorsi vocazionali
100. L’elaborazione di una
prospettiva vocazionale di ampio respiro ci invita infine ad avere
un’attenzione al discernimento vocazionale che non escluda potenzialmente
nessuno perché, come dice Papa Francesco,
«parlare di pastorale vocazionale è affermare che ogni azione pastorale della
Chiesa è orientata, per sua stessa natura, al discernimento vocazionale. […] Il
servizio vocazionale deve essere visto come l’anima di tutta l’evangelizzazione
e di tutta la pastorale della Chiesa» (Messaggio ai partecipanti al
convegno internazionale sul tema: «Pastorale vocazionale e vita consacrata.
Orizzonti e speranze», 25 novembre 2017).
La famiglia
101. I due recenti Sinodi
per la famiglia e l’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia hanno
offerto un ricco contributo circa la vocazione della famiglia nella Chiesa e
l’apporto insostituibile che le famiglie sono chiamate a dare alla
testimonianza del Vangelo attraverso l’amore reciproco, la generazione e l’educazione
dei figli. È importante riprendere tale messaggio in ottica vocazionale e
renderlo comprensibile per i giovani, all’interno della cultura affettiva in
cui sono inseriti. Riflettere sui percorsi di preparazione al matrimonio e
accompagnare le giovani coppie sembrano essere i due punti strategici su cui
investire energie pastorali.
Il ministero ordinato
102. La Chiesa ha da
sempre riconosciuto le vocazioni al ministero ordinato come decisive in ordine
alla vita cristiana e alla salvezza di tutti gli uomini. Per questo ha avuto
un’attenzione singolare per la cura, la formazione e l’accompagnamento dei
candidati a questo stato di vita. È anche innegabile la preoccupazione di molte
Chiese per il calo numerico dei candidati; ciò rende necessaria una rinnovata
riflessione sulla vocazione al ministero ordinato e su una pastorale
vocazionale che sappia far sentire il fascino della chiamata di Gesù a divenire
pastori del suo gregge.
La vita consacrata
103. Anche la
testimonianza profetica della vita consacrata ha bisogno di essere riscoperta e
meglio presentata ai giovani nel suo incanto originario, come antidoto alla
“paralisi della normalità” e come apertura alla grazia che scompiglia il mondo
e le sue logiche. Risvegliare il fascino della radicalità evangelica nelle
giovani generazioni, così da poter riscoprire la profezia della castità,
povertà e obbedienza come anticipazione del Regno e realizzazione piena della
propria vita è un aspetto che non può essere messo in secondo piano in un tempo
dominato da logiche consumistiche e mercificanti.
Professione e vocazione
104. Chiamato alla santità
e unto dallo Spirito, il cristiano impara a cogliere in ottica vocazionale
tutte le scelte dell’esistenza, anzitutto quella centrale dello stato di vita,
ma anche quelle di carattere professionale. Per questo motivo alcune CE si
augurano che il Sinodo possa trovare le vie per aiutare tutti i cristiani a
riscoprire il legame tra professione e vocazione in tutta la sua fecondità per
la vita di ognuno e in vista dell’orientamento professionale dei giovani in
ottica vocazionale.
L’inedita condizione dei “single”
105. Infine, alcune CE si
chiedono qual è la collocazione vocazionale di persone che scelgono di rimanere
“single” senza alcun riferimento ad una consacrazione particolare né al
matrimonio. Visto il loro aumento numerico nella Chiesa e nel mondo, è
importante che il Sinodo rifletta sulla questione.
IL DINAMISMO DEL DISCERNIMENTO VOCAZIONALE
La richiesta di discernimento
106. Durante la Riunione
presinodale un giovane ha ben espresso l’importanza del discernimento per la
vita: «Oggi, come migliaia di altri giovani, credenti o non credenti, devo fare
delle scelte, soprattutto per quanto riguarda il mio orientamento
professionale. Tuttavia, sono indeciso, perso e preoccupato. […] Mi trovo ora
come di fronte a un muro, quello di dare senso profondo alla mia vita. Penso di
aver bisogno di discernimento di fronte a questo vuoto». Il lavoro di quei
giorni ha confermato, articolato, approfondito a più riprese la sua domanda,
oltre a mettere in evidenza le difficoltà che i giovani incontrano: «Molti
giovani non sanno rispondere quando si chiede loro quale sia il senso della
vita. Non sempre fanno un collegamento tra vita e trascendenza» (RP 5). Spesso
infatti i giovani si muovono tra approcci estremi quanto ingenui: dal
considerarsi in balia di un destino già scritto e inesorabile, al sentirsi
sopraffatti da un astratto ideale di eccellenza, in un quadro di competizione
sregolata e violenta. In questa situazione è possibile riconoscere una
opportunità per la Chiesa, anche se i giovani faticano a percepirla come in
grado di fornire aiuto: «Molti giovani non sanno come intraprendere il processo
di discernimento, e questo offre alla Chiesa l’opportunità di accompagnarli» (RP
9). Lo ha riconosciuto anche Papa Francesco: «Dobbiamo dire, su questo punto,
che tante comunità ecclesiali non sanno farlo o manca ad esse la capacità di
discernimento. È uno dei problemi che noi abbiamo, ma non bisogna spaventarsi»
(Francesco, Riunione presinodale, risposta alla
domanda n. 2)
Il discernimento nel linguaggio ordinario e nella
tradizione cristiana
107. I giovani della
Riunione presinodale fanno presente anche la difficoltà a comprendere il
termine discernimento, che non rientra nel loro linguaggio, anche se il bisogno
a cui esso si riferisce è sentito: «Discernere la propria vocazione può essere
una sfida, specialmente alla luce degli equivoci che circondano questa parola.
Ma i giovani saranno all’altezza di questa sfida. Discernere la propria
vocazione può essere un’avventura che accompagna il corso della vita» (RP 9).
108. In effetti c’è una
pluralità di accezioni del termine discernimento, che non si contrappongono ma
nemmeno coincidono. In un senso più ampio discernimento indica il processo in
cui si prendono decisioni importanti; in un secondo, più proprio della
tradizione cristiana, corrisponde alla dinamica spirituale attraverso cui una
persona, un gruppo o una comunità cercano di riconoscere e di accogliere la
volontà di Dio nel concreto della loro situazione. Inoltre, come già ricordava
il DP, il termine si applica a una pluralità di situazioni e pratiche diverse:
«Vi è infatti un discernimento dei segni dei tempi, che punta a riconoscere la
presenza e l’azione dello Spirito nella storia; un discernimento morale, che
distingue ciò che è bene da ciò che è male; un discernimento spirituale, che si
propone di riconoscere la tentazione per respingerla e procedere invece sulla
via della pienezza di vita. Gli intrecci tra queste diverse accezioni sono
evidenti e non si possono mai sciogliere completamente» (DP II, 2).
La proposta del discernimento vocazionale
109. Una pluralità di
livelli entra in gioco anche nello specifico del discernimento vocazionale.
Come evidenzia anche l’intervento di Papa Francesco alla
Riunione presinodale, c’è un livello che accomuna tutti gli uomini e le donne:
«Tutti noi abbiamo bisogno del discernimento. Per questo nel titolo del Sinodo
c’è questa parola, non è così? E quando c’è questo vuoto, questa inquietudine,
bisogna discernere» (Francesco, Riunione presinodale,
risposta alla domanda n. 2). In questo senso fin dall’inizio il Sinodo intende
occuparsi di «tutti i giovani, nessuno escluso» (DP 2), offrendo la
disponibilità ad accompagnarli nel processo che conduce a fare chiarezza e
verità su se stessi, accogliere il dono della vita e trovare il contributo che
si è chiamati a offrire alla società e nel mondo. Il Santo Padre ha inoltre
messo in evidenza come la Chiesa fondi su una convinzione di fede la proposta
del discernimento che rivolge a tutti: «Dio ama ciascuno e a ciascuno rivolge
personalmente una chiamata. È un dono che, quando lo si scopre, riempie di
gioia (cfr. Mt 13,44-46). Siatene certi:
Dio ha fiducia in voi, vi ama e vi chiama. E da parte sua non verrà meno,
perché è fedele e crede davvero in voi» (Francesco, Discorso a Riunione presinodale, 2).
110. Per i giovani
credenti, la prospettiva del discernimento assume un altro spessore, in quanto
si colloca all’interno di una dinamica di relazione personale con il Signore:
punta quindi esplicitamente a scoprire le possibili strade per dare risposta
all’amore di Dio, partecipando come membri della Chiesa alla missione di
annunciare e testimoniare la Buona Notizia. La prospettiva è dunque ben più
ampia e più fondamentale di quella riduttiva che, come mostrano le risposte di
tante CE, conduce responsabili ecclesiali e molti fedeli a identificare il
discernimento vocazionale con il percorso di scelta dello stato di vita
(matrimonio, sacerdozio, vita consacrata). Il discernimento vocazionale può
riguardare anche la scelta dell’impegno sociale o politico, o quella della
professione.
111. Soprattutto il
discernimento vocazionale non termina con l’assunzione della decisione tra
alternative, ma si prolunga nel tempo accompagnando i passi concreti con cui la
si mette in atto. In questo senso, il discernimento è anche uno stile di vita:
«È necessario non solo in momenti straordinari, o quando bisogna risolvere
problemi gravi, oppure quando si deve prendere una decisione cruciale. È uno
strumento di lotta per seguire meglio il Signore. Ci serve sempre: per essere
capaci di riconoscere i tempi di Dio e la Sua grazia, per non sprecare le
ispirazioni del Signore, per non lasciar cadere il suo invito a crescere. Molte
volte questo si gioca nelle piccole cose, in ciò che sembra irrilevante, perché
la magnanimità si rivela nelle cose semplici e quotidiane» (GE 169). Il
discernimento è dono e rischio, e questo può spaventare.
Riconoscere, interpretare, scegliere
112. Come abbiamo visto,
per la Chiesa la possibilità del discernimento si basa su una convinzione di
fede: lo Spirito di Dio agisce nell’intimo – nel “cuore”, dice la Bibbia; nella
“coscienza”, secondo la tradizione teologica – di ogni persona, a prescindere
dal fatto che professi esplicitamente la fede cristiana, attraverso sentimenti
e desideri, suscitati da ciò che accade nella vita e che si legano a idee,
immagini e progetti. Proprio dall’attenzione ai dinamismi interiori vengono i
tre “passaggi” del discernimento che Papa Francesco indica
in EG 51 e il DP riprende: riconoscere, interpretare, scegliere.
113. Riconoscere significa
“dare nome” alla grande quantità di emozioni, desideri e sentimenti che abitano
ciascuno. Giocano un ruolo fondamentale e non vanno occultati o sopiti. Lo
ricordava il Papa: «È importante aprire tutto, non truccare i sentimenti, non
mimetizzare i sentimenti. I pensieri che vengono su siano [portati] nel
discernimento» (Riunione presinodale, risposta alla
domanda n. 2). Un percorso di discernimento vocazionale richiede quindi di
prestare attenzione a ciò che emerge nelle diverse esperienze (famiglia,
studio, lavoro, amicizie e rapporti di coppia, volontariato e altri impegni,
ecc.) che la persona compie, oggi sempre più spesso lungo itinerari non lineari
e progressivi, con i successi e i fallimenti che inevitabilmente si registrano:
dove un giovane si sente a casa? Dove prova un “gusto” più intenso? Questo però
non basta, perché i vissuti sono ambigui e se ne possono dare interpretazioni
diverse: qual è l’origine di questo desiderio? Sta effettivamente spingendo
verso la “gioia dell’amore”? Sulla base di questo lavoro di interpretazione
diventa possibile operare una scelta che non è solo frutto delle pulsioni o
delle pressioni sociali, ma esercizio di libertà e responsabilità.
114. In quanto atto della
libertà umana, il discernimento è esposto al rischio dell’errore. Come ricordava
il DP, «il cuore umano, per via della propria fragilità e del peccato, si
presenta normalmente diviso perché attratto da richiami diversi, o persino
opposti» (DP II, 4). È così indispensabile infatti che la persona che discerne
continui a formare la propria affettività, la propria intelligenza, il proprio
stile.
115. Per chi la accoglie e
vi si ispira, la sapienza cristiana offre strumenti preziosi tra cui la scuola
della Parola, l’insegnamento della Chiesa, l’accompagnamento spirituale; sono
tutti aiuti per confrontarsi con la norma vivente che è Gesù, per conoscerlo
intimamente e arrivare ad “avere il suo cuore”. Un autentico percorso di
discernimento richiede quindi un atteggiamento di ascolto e di preghiera, la
docilità verso un maestro e la disponibilità ad assumere una decisione che
costa. È di questo che parlano anche i giovani della Riunione presinodale:
«Dedicare tempo al silenzio, all’introspezione e alla preghiera, così come
leggere la Scrittura e approfondire la conoscenza di sé sono opportunità di cui
pochissimi giovani si avvalgono. C’è bisogno di essere meglio introdotti in
questi ambiti. Anche far parte di gruppi, movimenti e comunità di ispirazione
cristiana può sostenere i giovani nel loro discernimento» (RP 9). Fondamentale
in questa direzione è quell’esercizio che la tradizione chiama “esame di
coscienza” e che punta proprio a rendere la persona attenta ai segni della
presenza di Dio e capace di riconoscerne la voce nella concretezza della vita
quotidiana. Per questo Papa Francesco lo
ripropone oggi a tutti i cristiani, e a maggior ragione ai giovani che cercano
la loro strada: «Chiedo a tutti i cristiani di non tralasciare di fare ogni
giorno, in dialogo con il Signore che ci ama, un sincero esame di coscienza»
(GE 169). All’interno di questo dialogo con Cristo, Via, Verità e Vita, può
avvenire quanto auspicato per i giovani da un DV: «Una formazione della loro
affettività, che li aiuti a legarsi più al bene e alla verità che non ai loro
comodi e interessi».
Il ruolo della coscienza
116. Per il discernimento
è dunque centrale il ruolo della coscienza. Come ricorda un DV, «se formazione
deve essere (e deve essere!), essa può solo configurarsi come educazione alla
libertà e alla coscienza». Mentre Papa Francescosottolinea
come la coscienza «dev’essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa» (AL
303), le risposte delle CE mostrano come spesso nei fatti si stenti a darle
spazio. Il ruolo della coscienza non si riduce al riconoscimento di essere
nell’errore o nel peccato: nella consapevolezza dei limiti personali o della
situazione, e di tutte le difficoltà a orientarsi, essa aiuta a riconoscere
quale dono possiamo offrire e quale contributo portare, anche se magari non
pienamente all’altezza degli ideali.
117. La coscienza, come
ricorda il Concilio Vaticano II, è «il nucleo più segreto e il sacrario
dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (GS
16). A partire da questa prospettiva di fede, risulta chiaro come l’esercizio
della coscienza rappresenti un valore antropologico universale: interpella ogni
uomo e ogni donna, non soltanto i credenti, e tutti sono tenuti a risponderle.
Ogni persona, grazie all’esperienza di essere amata nella propria unicità
all’interno della rete di relazioni sociali che sostengono la sua vita, scopre
e riceve la chiamata ad amare, che interpella la sua coscienza come esigenza
imperativa, facendosi norma. Questa valorizzazione della coscienza si radica
nella contemplazione del modo di agire del Signore: è nella propria coscienza
che Gesù, in dialogo intimo con il Padre, prende le decisioni, anche quelle più
dure e laceranti, come quella dell’Orto degli Ulivi. È lui la vera norma di
ogni agire cristiano e di ogni vocazione particolare.
Il confronto con
la realtà
118. I giovani
sperimentano i limiti della propria libertà e quindi del discernimento: «Molti
fattori influenzano la capacità di un giovane di discernere la propria
vocazione: la Chiesa, le differenze culturali, le esigenze lavorative, il mondo
digitale, le aspettative delle famiglie, la salute mentale e lo stato d’animo,
il rumore, la pressione dei coetanei, gli scenari politici, la società, la
tecnologia, ecc.» (RP 9). Ma proprio questa realtà concreta, che prima di tutto
è un dono e un’alterità che ci attraversa, con i vincoli che impone, è lo
strumento attraverso cui trovare conferma a quanto si è intuito nell’intimo del
cuore: anche per il discernimento vale il principio che la realtà è superiore
all’idea. In termini teologici, ogni desiderio, anche il più sublime, è
chiamato a incarnarsi in una scelta concreta e coerente, necessariamente
limitata, aprendo lo spazio a quell’ascesi senza cui non vi è cammino verso la
santità e la pienezza di vita.
119. Il confronto con la
quotidianità può svolgere un ruolo di stimolo in particolare quando le
circostanze impongono una sorta di “sospensione” o “rallentamento” nella marcia
verso il raggiungimento dei propri traguardi. È quanto sperimentano oggi i
giovani di molti Paesi, vuoi per la mancanza di reali opportunità di mettere a
frutto le proprie competenze e talenti, vuoi per la necessità di tempi anche
lunghi per cominciare a emergere nella propria carriera. Queste circostanze
possono rivelarsi molto feconde, obbligando la persona ad attraversare una
tappa di salutare “disincanto” e a prendere coscienza che nessun successo
professionale o traguardo esistenziale soddisfa la sete di vita, di pienezza,
di eternità che porta nel cuore. Nasce così la spinta a una ricerca più
profonda della propria autenticità e della propria vocazione. Uno dei problemi
del nostro tempo è che le circostanze portano spesso a rinviare questa fase,
collocandola in un momento in cui la persona ha già assunto decisioni
vincolanti, ad esempio dal punto di vista affettivo, o definito il proprio
stile di vita e preso impegni – anche finanziari – da cui non è possibile
o agevole recedere.
CAPITOLO IV
L’ARTE DI ACCOMPAGNARE
120. L’intera tradizione
della spiritualità insiste su quanto sia fondamentale l’accompagnamento, in
particolare durante il processo di discernimento vocazionale. I giovani della
RP hanno a più riprese espresso lo stesso bisogno, sottolineando in modo
particolare l’importanza della testimonianza e dell’umanità degli
accompagnatori. Anche molte CE sottolineano che i giovani chiedono la
disponibilità a questo servizio da parte dei responsabili ecclesiali ed
evidenziano che spesso questi hanno difficoltà ad assicurarlo.
“Accompagnamento” si dice in molti modi
121. «Tutti i giovani,
nessuno escluso, hanno diritto a essere accompagnati nel loro cammino» (DP III,
2). L’accompagnamento vocazionale è un processo in grado di liberare la
libertà, la capacità di dono e di integrazione delle diverse dimensioni della
vita in un orizzonte di senso. Per questo un accompagnamento autentico si
sforzerà di presentare la vocazione non come un destino prefissato, un compito
da svolgere, un copione già scritto, da accettare scoprendo come esserne buoni
esecutori. Dio prende sul serio la libertà che ha donato agli esseri umani e
rispondere alla sua chiamata è un impegno che esige lavoro, fantasia, audacia,
disponibilità a procedere anche per tentativi.
122. Le risposte ricevute
mostrano che alcune CE intendono l’accompagnamento in modo “ampio”
(comprendendo quindi incontri occasionali, buoni consigli, momenti di confronto
su temi diversi), per altre è qualcosa di molto specifico nell’ottica di un “coaching cristiano”. Coloro che accompagnano
possono essere uomini e donne, religiosi e laici, coppie; inoltre la comunità
svolge un ruolo decisivo. L’accompagnamento dei giovani da parte della Chiesa
assume così una varietà di forme, dirette e indirette, interseca una pluralità
di dimensioni e ricorre a molteplici strumenti, a seconda del contesto in cui
si colloca e del grado di coinvolgimento ecclesiale e di fede di chi è
accompagnato.
Accompagnamento spirituale
123. Molte CE vedono
l’accompagnamento spirituale personale come luogo privilegiato se non unico del
discernimento vocazionale. È di fatto l’occasione per imparare a riconoscere,
interpretare, scegliere in una prospettiva di fede, in ascolto di quanto lo
Spirito suggerisce all’interno della vita di ogni giorno (cfr. EG 169-174).
Nella relazione personale di accompagnamento è importante essere consapevoli
delle differenze tra un approccio maschile e uno femminile, sia per quanto
riguarda gli accompagnatori, sia nei confronti di coloro che sono accompagnati.
In questo va salvaguardata e approfondita la ricchezza della tradizione che
parla di paternità e maternità spirituali.
124. L’accompagnamento
spirituale ha tratti caratteristici che lo distinguono da altre forme di
accompagnamento personalizzato quali counseling, coaching, mentoring, tutoria, ecc. Vi sono però anche rapporti e
connessioni. Per evitare di smarrire l’unità della persona e l’integralità
della relazione di accompagnamento, occorre piuttosto esplorare la
complementarità tra l’accompagnamento spirituale in senso stretto e le altre
forme di vicinanza in cui, all’interno della vita quotidiana, possono emergere
figure capaci di aiutare a discernere e di contribuire alla formazione della
coscienza e della libertà.
Accompagnamento psicologico
125. Come insegna Papa Francesco,
«il discernimento spirituale non esclude gli apporti delle sapienze umane,
esistenziali, psicologiche, sociologiche o morali. Però le trascende» (GE 170).
In particolare è bene segnalare che cosa distingue l’accompagnamento spirituale
da quello psicologico o psicoterapeutico, che pure, se aperto alla
trascendenza, può rivelarsi fondamentale per un cammino di integrazione e
crescita. Il secondo focalizza l’attenzione sulle risorse, i limiti e
l’evoluzione della persona nel realizzare i propri desideri. L’accompagnamento
spirituale, invece, punta più specificamente a innescare nella preghiera un
dialogo intimo tra la persona e Dio, a partire dal Vangelo e da tutta la
Scrittura, per trovare il modo più personale per rispondere alla chiamata del
Signore. Una pedagogia attenta permetterà di integrare la dimensione
psicologica nell’accompagnamento spirituale: non solo ascolto ed empatia, ma
anche discernimento nel confronto con la Parola; non solo fiducia, ma anche
lotta riconoscendo che la gioia del Vangelo risveglia la grandezza del
desiderio; non solo coltivazione di sogni, ma passi concreti nelle strettoie
della vita.
Accompagnamento e sacramento della riconciliazione
126. Il carisma
dell’accompagnamento spirituale non è necessariamente legato al ministero
ordinato. Nell’antica tradizione, padri e madri spirituali sono laici, spesso
monaci, ma non chierici. La prassi che lo colloca tra i ruoli del presbitero
rischia di restringerlo a un dialogo che spesso si sovrappone alla celebrazione
del sacramento della penitenza. Pur nella vicinanza, ministro della
riconciliazione e accompagnatore spirituale hanno finalità, modalità e
linguaggi differenti. L’accompagnamento vocazionale in senso stretto non è
“materia” specifica e propria del sacramento della riconciliazione, che è il
perdono dei peccati; l’incontro nel sacramento con la misericordia di Dio è
però indispensabile per procedere nel cammino. Va infine riconosciuto che nel
rapporto tra accompagnamento e sacramento le molteplici tradizioni spirituali
hanno maturato sensibilità differenti.
Accompagnamento
familiare, formativo e sociale
127. I contesti in cui si
svolge la vita ordinaria offrono numerose opportunità per una vicinanza che si
fa accompagnamento al percorso di crescita, in senso specificamente spirituale
o più ampiamente umano. Ci sono situazioni in cui questo accompagnamento
rientra tra i compiti istituzionali di chi lo svolge, e altre in cui si fonda
sulla disponibilità, la capacità e l’impegno delle persone coinvolte.
Varie CE segnalano il
ruolo indispensabile che la famiglia svolge nel discernimento vocazionale,
soprattutto quando i genitori rappresentano un modello di fede e di dedizione
che è fonte di ispirazione: i genitori sono sempre i primi testimoni, e lo sono
ancora di più nei contesti segnati dalla scarsità di ministri ordinati. Si
segnalano però anche casi opposti, quando cioè l’enfasi che la famiglia pone
sul successo in termini economici o di carriera finisce per ostacolare la
possibilità di un serio cammino di discernimento vocazionale. Talvolta il
fallimento familiare porta i giovani a disilludersi sulla possibilità di
progettare il futuro in termini di speranze a lungo termine.
L’accompagnamento,
anche sotto nomi diversi, è al centro dell’attenzione di molti sistemi
formativi, in ambito sia scolastico sia universitario. Prima che un compito di
alcune figure specifiche, è un atteggiamento pedagogico di fondo e una
mentalità che permea l’intera comunità educante. Anche il tutoraggio nella
formazione professionale, nell’ottica dell’avviamento al lavoro, è assai
prezioso. Come specificano varie CE, questi tipi di accompagnamento sono «il
canale più importante attraverso cui scuole, università e altre istituzioni
educative contribuiscono al discernimento vocazionale dei giovani», oltre che
una opportunità di stimolare un approccio critico alla realtà a partire da una
prospettiva cristiana e dall’ascolto della voce di Dio.
Vi sono infine molti
altri contesti, ruoli e professioni in cui gli adulti che entrano in contatto
con i giovani, magari a partire da problemi specifici, possono esercitare un
ruolo di accompagnamento che favorisce la loro maturazione umana o la soluzione
di nodi problematici: possiamo pensare al ruolo degli allenatori in ambito
sportivo, a chi ha compiti educativi o comunque opera in alcuni tipi di
istituzioni (carceri, comunità di accoglienza di vario genere, consultori e
ambulatori) o svolge determinate professioni (medici, psicologi, insegnanti,
ecc.). Pur nello specifico delle loro funzioni, anche professionali, bisogna
riconoscere che queste forme di accompagnamento possono avere pure una valenza
spirituale e svolgere un ruolo in un processo di discernimento vocazionale.
Accompagnamento nella lettura dei segni dei tempi
128. I giovani sono interpellati
dalla realtà sociale a cui si affacciano e che spesso suscita in loro emozioni
molto forti: la loro lettura richiede un accompagnamento e può diventare uno
strumento per identificare i segni dei tempi che lo Spirito indica
all’attenzione dei giovani e della Chiesa. La rabbia dei giovani di fronte alla
corruzione dilagante, alla crescente disuguaglianza strutturale, al disprezzo
per la dignità umana, alla violazione dei diritti umani, alla discriminazione
delle donne e delle minoranze, alla violenza organizzata, all’ingiustizia non
sembra essere tenuta in debita considerazione dalle risposte delle CE. Nelle
comunità cristiane sembrano mancare spazi per discutere questi problemi. In
molte parti del mondo, poi, i giovani si trovano in mezzo alla violenza, come
attori o come vittime, e facilmente sono preda della manipolazione da parte
degli adulti. Responsabili religiosi e politici senza scrupoli sanno sfruttare
le aspirazioni idealistiche dei giovani per il proprio tornaconto. In altri
contesti la persecuzione religiosa, il fanatismo religioso e la violenza
politica stanno sradicando dal cuore dei giovani la speranza di un futuro
pacifico e prospero. Anche queste sono frontiere su cui deve misurarsi la
capacità profetica di accompagnamento della Chiesa.
Accompagnamento nella vita quotidiana e della comunità
ecclesiale
129. Vi è infine un
accompagnamento quotidiano, spesso silenzioso ma non per questo di secondaria
importanza, offerto da tutti coloro che con la loro testimonianza interpretano
la vita in maniera pienamente umana. Altrettanto fondamentale, anche in
prospettiva vocazionale, è l’accompagnamento da parte della comunità cristiana
nel suo insieme, che, attraverso la rete di relazioni che genera, propone uno
stile di vita e affianca chi si mette in cammino verso la propria forma di
santità. Come afferma un DV, «l’aspetto individuale dell’accompagnamento nel
discernimento potrà essere fecondo soltanto se inserito in un’esperienza
cristiana teologale, fraterna e feconda. Dalla comunità nasce infatti il
desiderio del dono di sé, presupposto al giusto discernimento dei modi
specifici di viverlo».
Le qualità di coloro che accompagnano
130. Chi accompagna è
chiamato a rispettare il mistero che ogni persona racchiude e ad avere fiducia
che il Signore sta già operando in lei. L’accompagnatore è invitato a essere
consapevole di rappresentare un modello che influisce con quello che è, prima
che con quello che fa e propone. La profonda interazione affettiva che si crea
nello spazio dell’accompagnamento spirituale – non a caso la tradizione si
esprime parlando di paternità e maternità spirituali, dunque di una relazione
generativa profondissima – richiede all’accompagnatore una solida formazione e
la disponibilità a lavorare prima di tutto su di sé sotto il profilo spirituale
e in qualche misura anche psicologico. Solo in questo modo potrà autenticamente
mettersi al servizio, nell’ascolto e nel discernimento, ed evitare i rischi più
frequenti del suo ruolo: sostituirsi a chi è accompagnato nella ricerca e nella
responsabilità delle scelte, negare o rimuovere l’emergere della problematica
sessuale e, infine, varcare i confini coinvolgendosi in modo improprio e
distruttivo con chi sta aiutando nel cammino spirituale, fino alla possibilità
di veri e propri abusi e dipendenze. Quando ciò accade, oltre ai traumi
generati nelle persone coinvolte, si diffonde un clima di sfiducia e di paura,
che scoraggia la pratica dell’accompagnamento.
131. Un certo numero di CE
è consapevole che l’accompagnamento è un servizio esigente dal punto di vista
delle qualità personali di chi lo svolge: «I giovani chiedono [...]
accompagnatori efficaci, affidabili, pieni di fede; imitatori di Cristo che
vivono una vita autenticamente felice promuovendo una relazione con Dio e la
Chiesa». Papa Francescoricordava come l’accompagnatore deve saper
suscitare fiducia ed essere una persona saggia, «che non si spaventa di nulla,
che sa ascoltare e che ha il dono del Signore per dire la parola giusta al
momento giusto» (Riunione presinodale, risposta alla
domanda n. 2).
132. I giovani della
Riunione presinodale descrivono con precisione il profilo dell’accompagnatore:
«Essere un cristiano fedele impegnato nella Chiesa e nel mondo; essere in
continua ricerca della santità; essere un confidente che non giudica; ascoltare
attivamente i bisogni dei giovani e dare risposte adeguate; essere pieno
d’amore e di consapevolezza di sé; riconoscere i propri limiti ed essere
esperto delle gioie e dei dolori della vita spirituale» (RP 10). Ai loro occhi è di particolare importanza il
riconoscimento della propria umanità e fallibilità: «A volte gli accompagnatori
vengono messi su un piedistallo, e la loro caduta può avere effetti devastanti
sulla capacità dei giovani di continuare a impegnarsi nella Chiesa» (RP 10). Aggiungono anche che «gli accompagnatori non
dovrebbero guidare i giovani come se questi fossero seguaci passivi, ma
camminare al loro fianco, consentendo loro di essere parte attiva del viaggio.
Dovrebbero rispettare la libertà che fa parte del processo di discernimento di
un giovane, fornendo gli strumenti per compierlo al meglio. Un accompagnatore
dovrebbe essere profondamente convinto della capacità di un giovane di prendere
parte alla vita della Chiesa e coltivare i semi della fede nei giovani, senza
aspettarsi di vedere immediatamente i frutti dell’opera dello Spirito Santo. Il
ruolo di accompagnatore non è e non può essere riservato solo a sacerdoti e
religiosi, ma anche i laici devono ricevere gli strumenti per ricoprirlo. Tutti
gli accompagnatori dovrebbero ricevere una solida formazione e impegnarsi nella
formazione permanente» (RP 10).
L’accompagnamento dei seminaristi e dei giovani
consacrati
133. «L’accompagnamento
personale rappresenta un indispensabile strumento della formazione» (RFIS 44)
dei seminaristi, ma la stessa considerazione può essere facilmente estesa alle
religiose e ai religiosi in formazione. Si tratta in primo luogo di un servizio
al discernimento vocazionale e all’autenticazione dei carismi: tanto le singole
persone quanto la Chiesa hanno infatti bisogno di sottoporre a verifica la
scelta compiuta. A questo scopo è indispensabile che chi accompagna custodisca
in sé un reale spazio di libertà: dare fiducia richiede di rinunciare a forme
di controllo poco trasparenti, mentre la scoperta dell’opportunità di
interrompere il cammino formativo e l’aiuto a scoprire una diversa collocazione
non possono essere esclusi a priori, né considerati una sconfitta, anche in
situazioni di carenza di ministri ordinati e di consacrate e consacrati. Al
tempo stesso questo accompagnamento risulterà un servizio alla maturazione
umana e cristiana di quanti sono in formazione e un vero investimento
formativo, che punterà a rendere disponibili donne e uomini in possesso delle
qualità per poter a loro volta accompagnare altri a scoprire la propria
vocazione e a seguirla. L’accompagnamento si impara innanzi tutto accettando di
essere accompagnati.
134. L’esperienza dei
formatori mostra che i candidati al ministero ordinato e alla vita consacrata
sono giovani del nostro tempo e condividono con i loro coetanei i tratti
caratteristici di una cultura e di un approccio al mondo, a partire dalla
pervasività dei social media e della
comunicazione digitale. L’accompagnamento dovrà puntare a un approfondimento
della vita spirituale personale, così come dello slancio apostolico,
promuovendo l’integrazione di fatiche, delusioni e momenti di aridità; laddove
emergano difficoltà a livello psicologico, un accompagnamento specifico, che
affianchi quello spirituale, risulterà di grande aiuto. Al tempo stesso
l’accompagnamento spirituale mirerà a evitare la dispersione, aiutando la
persona a radicarsi nella tappa che sta vivendo, pur provvisoria, e a non
vivere nell’attesa di quando la formazione sarà terminata. L’incontro con il
Signore si gioca nell’oggi anche per chi vive in una casa di formazione.
135. Una sfida che il
nostro tempo pone in modo sempre più intenso è quella dell’integrazione delle
differenze. Specie in quei contesti formativi che riuniscono persone di Paesi e
culture diverse, i giovani dovranno essere accompagnati ad affrontare il
confronto interculturale, allenandosi così a quello che l’ambiente sociale
richiederà loro terminata la formazione. Se da una parte i giovani sono
predisposti all’incontro con altre culture, dall’altra hanno reali difficoltà a
misurarsi con la differenza, in quanto provengono da una società che fa uso di
potenti strumenti di immunizzazione verso le diversità, pretendendo a volte di
negarle, uniformarle o svalutarle.
136. L’accompagnamento
risulterà cruciale anche per tenere adeguato conto degli itinerari di
provenienza, oggi sempre più differenziati per età all’ingresso, grado di
istruzione, percorsi formativi, esperienze professionali e affettive pregresse,
provenienza ecclesiale (parrocchie, associazioni, movimenti, ecc.).
L’accompagnamento è uno strumento chiave per permettere una reale
personalizzazione del percorso formativo che i giovani mostrano di apprezzare,
mentre trovano mortificanti proposte standardizzate. Questo potrà riguardare
anche lo specifico dell’accompagnamento didattico nel percorso degli studi.
III PARTE
SCEGLIERE:
CAMMINI DI CONVERSIONE PASTORALE E MISSIONARIA
137. Sulla base degli
elementi interpretativi del contesto emersi nella II Parte, ora si tratta di
concentrarsi sulla determinazione della prospettiva, dello stile e degli
strumenti più opportuni per permettere alla Chiesa di adempiere alla propria
missione nei confronti dei giovani: aiutarli a incontrare il Signore, sentirsi
da Lui amati e rispondere alla Sua chiamata alla gioia dell’amore. In questa
dinamica di discernimento la Chiesa stessa, mentre si impegna ad accompagnare
tutti i giovani, potrà riappropriarsi di un rinnovato e gioioso slancio apostolico,
attraverso un cammino di conversione pastorale e missionaria.
CAPITOLO I
UNA PROSPETTIVA INTEGRALE
Il discernimento come stile di una Chiesa in uscita
138. Papa Francesco,
incontrando i giovani all’inizio della RP, ha dichiarato che il Sinodo è «anche
un appello rivolto alla Chiesa, perché riscopra un rinnovato dinamismo giovanile. […] Anche nella Chiesa
dobbiamo imparare nuove modalità di presenza e di vicinanza» (Discorso alla Riunione presinodale, 3). Con grande
chiarezza una CE afferma che «i giovani chiedono alla Chiesa un monumentale
cambiamento di atteggiamento, orientamento e pratica». Un’altra, rendendo conto
dei cammini di rinnovamento in atto nel proprio territorio, scrive: «La vera
domanda che sta dietro a questi tentativi riguarda più in generale la forma di
Chiesa che stiamo cercando e che intendiamo proporre: la formula “Chiesa in
uscita” individua in modo pertinente il problema generale, ma siamo ancora in
ricerca di indicazioni operative utili alla sua attuazione». Ciò richiede «un
deciso processo di discernimento, purificazione e riforma» (EG 30) e anche un
onesto e approfondito ascolto dei giovani che partecipano a pieno titolo
del sensus fidei fidelium.
139. In questa prospettiva,
“scegliere” non significa dare risposte una volta per tutte ai problemi
incontrati, ma innanzi tutto individuare passi concreti per crescere nella
capacità di compiere come comunità ecclesiale processi di discernimento in
vista della missione. Del resto, non possiamo pensare che la nostra offerta di
accompagnamento al discernimento vocazionale risulti credibile per i giovani a
cui è diretta se non mostreremo di saper praticare il discernimento nella vita
ordinaria della Chiesa, facendone uno stile comunitario prima che uno strumento
operativo. Proprio come i giovani, molte CE hanno espresso la difficoltà di
orientarsi in un mondo complesso di cui non hanno la mappa. In questa
situazione, questo stesso Sinodo è un esercizio di crescita in quella capacità
di discernimento evocata nel suo tema.
Popolo di Dio in un mondo frammentato
140. Il percorso sinodale,
in quanto “cammino fatto insieme”, contiene un invito pressante a riscoprire la
ricchezza dell’identità di “popolo di Dio” che definisce la Chiesa un segno
profetico di comunione in un mondo spesso lacerato da divisioni e discordie.
Questo popolo «ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel
cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio. Ha per legge il
nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati (cfr. Gv13,34). E finalmente, ha per fine il regno di Dio»
(LG 9). Nella sua concretezza storica, il popolo di Dio è un popolo dai molti
volti, poiché «si incarna nei popoli della Terra, ciascuno dei quali ha la propria
cultura» (EG 115). Al suo interno, lo Spirito Santo «suscita una molteplice e
varia ricchezza di doni e al tempo stesso costruisce un’unità che non è mai
uniformità ma multiforme armonia che attrae» (EG 117). Questa identità dinamica
spinge la Chiesa in direzione del mondo, la rende Chiesa missionaria e in
uscita, non abitata dalla preoccupazione di «essere il centro» (EG 49), ma da
quella di riuscire, con umiltà, a essere fermento anche al di là dei propri
“confini”, consapevole di avere qualcosa da dare e qualcosa da ricevere nella
logica dello scambio di doni.
In questo movimento
la Chiesa non potrà che assumere il dialogo come stile e come metodo, favorendo
la consapevolezza dell’esistenza di legami e connessioni in una realtà
complessa ma che sarebbe riduttivo considerare composta di frammenti, e la
tensione verso una unità che, senza trasformarsi in uniformità, permetta la
confluenza di tutte le parzialità salvaguardando l’originalità di ciascuna e la
ricchezza che essa rappresenta per il tutto (cfr. EG 236). Nessuna vocazione,
in particolare all’interno della Chiesa, può collocarsi al di fuori di questo
dinamismo di uscita e di dialogo e ogni autentico sforzo di accompagnamento al
discernimento vocazionale non potrà fare a meno di misurarsi con questo
orizzonte, riservando un’attenzione privilegiata ai più poveri e ai più
vulnerabili.
Una Chiesa generativa
141. Questo dinamismo di
uscita da sé per dare la vita e spendersi al servizio della possibilità che
tutti, singolarmente e insieme, incontrino la gioia dell’amore, attraversa
anche il modo in cui la Chiesa esercita l’autorità che le è stata affidata, in
modo che sia autenticamente generativa e quindi creatrice di comunione. Secondo
alcune analisi, in senso etimologico l’autorevolezza è proprio la capacità di
“far crescere” (augeo, in latino, da cui auctor e auctoritas) ogni
creatura in quella originalità che il Creatore ha pensato e voluto per lei.
Esercitare l’autorità diventa assumere la responsabilità di un servizio allo
sviluppo e alla liberazione della libertà, non un controllo che tarpa le ali e
mantiene incatenate le persone.
142. Di conseguenza, la
Chiesa “si fa” con i giovani, permettendo loro un reale protagonismo e non
mettendoli di fronte a un “si è sempre fatto così”. Questa prospettiva, che
determina uno stile pastorale e anche un modo di organizzarsi e di essere
istituzionale, è in grande consonanza con la richiesta di autenticità che i
giovani rivolgono alla Chiesa. Costoro si aspettano di essere accompagnati non
da un giudice inflessibile, né da un genitore timoroso e iperprotettivo che
genera dipendenza, ma da qualcuno che non ha timore della propria debolezza e
sa far risplendere il tesoro che, come vaso di creta, custodisce al proprio
interno (cfr. 2Cor 4,7). Altrimenti, finiranno
per rivolgersi altrove, specie in un tempo in cui le alternative non mancano
(cfr. RP 1.7.10).
143. Per essere generativo
l’accompagnamento al discernimento vocazionale non può che assumere una
prospettiva integrale. La vocazione infatti non è mai un principio di
alienazione, ma piuttosto un fulcro di integrazione di tutte le dimensioni
della persona, che renderà feconde: dai talenti naturali al carattere con le
sue risorse e i suoi limiti, dalle passioni più profonde alle competenze
acquisite attraverso lo studio, dalle esperienze di successo ai fallimenti che
ogni storia personale contiene, dalla capacità di entrare in relazione e di
amare fino a quella di assumere il proprio ruolo con responsabilità all’interno
di un popolo e di una società. Per questo il servizio dell’accompagnamento si
misura con una serie di elementi che solo in apparenza risultano disparati o
poco spirituali e non può prescindere dall’alleanza tra istanze formative.
CAPITOLO II
IMMERSI NEL TESSUTO DELLA VITA QUOTIDIANA
144. La chiamata alla
gioia e alla vita in pienezza si colloca sempre all’interno di un contesto
culturale e di relazioni sociali. È di fronte alle circostanze della vita
quotidiana che i giovani desiderano essere accompagnati, formati, resi
protagonisti. Per questo la Chiesa è chiamata a «uscire, vedere, chiamare» (DP
III, 1.3), cioè a investire tempo per conoscere e misurarsi con i vincoli e le
opportunità dei diversi contesti sociali e culturali e a farvi risuonare in
modo comprensibile la chiamata alla gioia dell’amore. Allo stesso tempo le
relazioni sociali e interpersonali e le dinamiche della vita quotidiana
(amicizia, affettività, rapporto con il tempo e il denaro, ecc.) favoriscono
l’emergere di desideri, idee, emozioni e sentimenti che un percorso di
accompagnamento aiuterà a riconoscere e interpretare. Una prospettiva integrale
richiede di assumere i nessi che collegano ambiti e contesti in cui si svolge
la vita dei giovani, esigenze di conversione delle prassi pastorali e bisogni
formativi degli accompagnatori.
145. In particolare,
l’esperienza o l’incontro con le fragilità personali, proprie e altrui, di un
gruppo o di una comunità, di una società o di una cultura sono tanto faticosi
quanto preziosi. Per i giovani può essere l’occasione per scoprire risorse nascoste
e per far nascere interrogativi anche in prospettiva vocazionale, spingendoli a
uscire da una ricerca continua di piccole sicurezze. Accompagnando questi
percorsi la Chiesa scoprirà nuove frontiere e nuove risorse per compiere la
propria missione.
L’accompagnamento scolastico e universitario
146. Praticamente tutte le
CE sottolineano la rilevanza che scuola, università e istituzioni formative di
vario genere hanno nell’accompagnamento dei giovani nel loro percorso di
ricerca di un progetto personale di vita e per lo sviluppo della società. In
molte regioni sono il principale, se non l’unico, luogo non dichiaratamente
ecclesiale in cui molti giovani entrano in contatto con la Chiesa. In alcuni
casi diventano persino un’alternativa alle parrocchie, che molti giovani non
conoscono né frequentano. Anche i giovani della Riunione presinodale
sottolineano l’importanza dell’impegno della Chiesa in questi contesti: «Le
risorse investite in questi campi non sono mai sprecate: si tratta dei luoghi
in cui molti giovani trascorrono la maggior parte del loro tempo e spesso si
confrontano con persone di diversa estrazione sociale ed economica» (RP 13). In
particolare è richiesta attenzione per i numerosi giovani che abbandonano la
scuola o non hanno possibilità di accedervi.
L’esigenza di uno sguardo e di una formazione integrali
147. In molte scuole e
università, anche cattoliche, istruzione e formazione sono finalizzate in
chiave eccessivamente utilitaristica, enfatizzando la spendibilità delle
nozioni acquisite nel mondo del lavoro più che la crescita delle persone.
Occorre invece collocare le competenze tecniche e scientifiche in una
prospettiva integrale, il cui orizzonte di riferimento è la “cultura ecologica”
(cfr. LS 111). È necessario, tra l’altro, coniugare intelletto e desiderio,
ragione e affettività; formare cittadini responsabili, capaci di affrontare la
complessità del mondo contemporaneo e di dialogare con la diversità; aiutarli a
integrare la dimensione spirituale nello studio e nell’impegno culturale; renderli
capaci di discernere non solo percorsi di senso personali, ma traiettorie di
bene comune per le società di cui sono parte.
148. Questa concezione
integrale dell’educazione richiede una conversione sistemica, che coinvolge
tutti i membri delle comunità educanti e anche le strutture materiali,
economiche e istituzionali di cui si servono. Insegnanti, professori, tutor e
tutte le figure coinvolte nei percorsi educativi, in particolare coloro che
operano in zone abbandonate e disagiate, svolgono un servizio prezioso, di cui
la Chiesa è grata. È necessario un rinnovato investimento nella loro formazione
integrale, per facilitare cammini di riscoperta e riappropriazione di quella
che è un’autentica vocazione: sono chiamati non solo a trasmettere contenuti, ma
a essere testimoni di una maturità umana, avviando dinamiche generative di
paternità o maternità spirituale in grado di rendere i giovani soggetti e
protagonisti della loro stessa avventura.
La specificità e la
ricchezza delle scuole e università cattoliche
149. Non poche CE di tutto
il mondo esprimono apprezzamento per scuole e università cattoliche. Il loro
obiettivo, come ha detto Papa Francesco,
non è fare proselitismo, ma «portare avanti i giovani, i bambini nei valori
umani in tutta la realtà, e una di queste realtà è la trascendenza» (Discorso ai partecipanti al Congresso mondiale promosso dalla
Congregazione per l’Educazione cattolica, 21 novembre 2015). Questa
prospettiva le impegna a collaborare con le altre agenzie educative del
territorio, e al tempo stesso mostra come, all’interno di società libere e
aperte che hanno la necessità di far dialogare diverse identità, non abbiano
più senso chiusure ideologiche nei loro confronti.
150. La fedeltà alla loro
missione esige da parte di tali istituzioni l’impegno a verificare l’effettiva
recezione da parte degli alunni dei valori proposti e a promuovere una cultura
della valutazione e autovalutazione continua. Al di là delle dichiarazioni astratte,
dobbiamo chiederci quanto le nostre scuole aiutino i giovani a considerare la
loro preparazione scolastica come una responsabilità per i problemi del mondo,
per i bisogni dei più poveri e per la cura dell’ambiente. Per le università
cattoliche – lo diceva Papa Francesco a
quella portoghese – non basta analizzare e descrivere la realtà, ma occorre
creare «spazi di vera ricerca, dibattiti che generino alternative per i
problemi di oggi» e «includere la dimensione morale, spirituale e religiosa
nella loro ricerca. Scuole e università cattoliche sono invitate a mostrare in
pratica in che cosa consista una pedagogia inclusiva e integrale» (Udienza alla Comunità dell’Università Cattolica Portoghese,
26 ottobre 2017).
151. In particolare per
università, facoltà e istituti ecclesiastici – ma analogamente per tutte le
scuole e università cattoliche – è importante tener conto di alcuni criteri
ispiratori: la contemplazione spirituale, intellettuale ed esistenziale
del kerygma; il dialogo a tutto campo;
l’inter-disciplinarità esercitata con sapienza e creatività; la necessità
urgente di “fare rete” (cfr. VG 4).
Economia, lavoro e cura della casa comune
Alla ricerca di nuovi modelli di sviluppo
152. L’accompagnamento
verso la piena maturità umana include la dimensione della cura della casa
comune. Questo richiede anche alla Chiesa e alle sue istituzioni di assumere la
prospettiva della sostenibilità e di promuovere stili di vita conseguenti,
oltre che combattere i riduzionismi oggi dominanti (paradigma tecnocratico,
idolatria del profitto, ecc.). Laudato Si’ ci
invita ad aver fiducia che la conversione ecologica è possibile. Per generare
un dinamismo di cambiamento duraturo questa deve coinvolgere non solo le scelte
individuali, ma anche quelle comunitarie e sociali, includendo forme di
pressione sui leader politici. Per questo
l’apporto dei giovani è indispensabile, come afferma una CE africana: «Molti
responsabili ecclesiali riconoscono il dinamismo dei giovani del nostro Paese,
il loro coinvolgimento responsabile nella Chiesa e nelle politiche di sviluppo
sociale». Promuovere la sostenibilità richiede di invitare i giovani ad
applicarvi le loro risorse intellettuali, nelle varie discipline oggetto dei loro
studi, e a orientare in tale direzione le successive scelte professionali.
153. Risulta cruciale il
contributo specifico che la Chiesa può dare all’elaborazione di una
spiritualità che sappia riconoscere il valore dei piccoli gesti e possa
ispirare le scelte secondo una logica diversa dalla cultura dello scarto. Come
ricorda Papa Francesco, «tutte le comunità cristiane hanno un ruolo
importante da compiere in questa educazione. Spero altresì che nei nostri
seminari e nelle case religiose di formazione si educhi ad una austerità
responsabile, alla contemplazione riconoscente del mondo, alla cura per la
fragilità dei poveri e dell’ambiente» (LS 214).
Il lavoro di fronte all’innovazione tecnologica
154. I processi di
innovazione e di penetrazione delle tecnologie digitali e informatiche nel
mondo produttivo generano il fenomeno globalmente noto come “Industria 4.0”,
con ricadute anche sul mondo del lavoro. Le comunità cristiane sono invitate a
interrogarsi maggiormente su questi aspetti nel loro impegno educativo e di
accompagnamento dei giovani. In uno scenario segnato da cambiamenti costanti,
dalla impossibilità di tracciare oggi il profilo delle competenze che saranno
necessarie domani e dal rischio che coloro che non sapranno adeguarsi
rimarranno tagliati fuori, la formazione e l’accompagnamento professionale
emergono come ambiti di responsabilità perché i talenti di tutti i giovani
possano esprimersi e nessuno sia lasciato indietro o considerato inutile.
L’obiettivo è che lo sviluppo delle competenze professionali e della capacità
di dare senso al proprio lavoro e di difendere il diritto di tutti a un lavoro
dignitoso tenga il passo dell’innovazione tecnologica. Le giovani generazioni
sono portatrici di un approccio alla realtà che può recare importanti
contributi all’umanizzazione del mondo del lavoro: stile collaborativo, cultura
del rispetto delle differenze e della loro inclusione, capacità di lavoro di
squadra, armonizzazione tra impegno lavorativo e altre dimensioni della vita.
Collaborare alla creazione di occupazione per tutti
155. La promozione di un
modello economico nuovo richiede di favorire lo sviluppo di quelle alternative
che spontaneamente nascono nelle periferie e tra i gruppi che patiscono le
conseguenze della cultura dello scarto, ma che conservano valori e pratiche di
solidarietà che altrove sono andati smarriti. Sostenere queste esperienze,
permettendo la creazione di opportunità di lavoro in particolare per i giovani,
specie in quei contesti dove è più elevata la disoccupazione giovanile,
richiede innanzi tutto di cercare risorse. Come è emerso da alcune osservazioni
ricevute, in alcuni Paesi si chiede di individuare forme attraverso cui la
Chiesa possa partecipare a questa ricerca con i suoi patrimoni fondiari,
immobiliari e artistici, in modo da valorizzarli con iniziative e progetti
imprenditoriali di giovani, e renderli così “generativi” in termini sociali, al
di là del semplice ritorno economico.
Nella trama delle culture giovanili
Formare alla cittadinanza attiva e alla politica
156. Alcune CE segnalano
la sensibilità dei giovani verso i temi di etica sociale (libertà, giustizia,
pace, ecologia, economia, politica), che richiede di essere accompagnata,
sostenuta e incoraggiata. Il comandamento dell’amore ha una valenza
intrinsecamente sociale, che comprende l’opzione preferenziale per i poveri e
l’impegno per l’edificazione di una società meno corrotta e più giusta.
L’impegno sociale e politico costituiscono, almeno per alcuni, una vera e
propria vocazione, la cui maturazione richiede di essere accompagnata anche dal
punto di vista spirituale. In ogni caso, nessun discernimento vocazionale può
focalizzarsi solo sulla ricerca del proprio posto nel mondo, senza mettere a
tema in maniera creativa anche l’identificazione del contributo specifico che
ciascuno è chiamato a dare al bene comune.
157. Attraverso l’impegno
sociale, molti giovani si interrogano e (ri)scoprono un interesse per la fede
cristiana. Inoltre l’impegno per la giustizia e con i poveri è occasione di
incontro e dialogo con non credenti e persone che professano altre fedi. Molte
CE praticano o ricercano nuove modalità di formazione all’impegno civile,
sociale e politico in particolare stimolando la partecipazione e l’assunzione
di responsabilità da parte dei giovani e il confronto tra pari. Emerge
l’importanza di alcuni elementi: valorizzare le competenze professionali e il
percorso di studi dei giovani, fornendo opportunità di protagonismo; offrire
esperienze concrete di servizio e di contatto con gli ultimi e con ambienti
sociali diversi da quelli di provenienza, comprese esperienze internazionali e
di cura dell’ambiente e della natura; fornire elementi per la lettura e la
valutazione del contesto, a partire da una migliore comprensione della dottrina
sociale della Chiesa – di cui anche la RP sottolinea il valore (cfr. RP 3) – e
dell’ecologia integrale; favorire la maturazione di una spiritualità della
giustizia, valorizzando l’aiuto che la Bibbia offre all’interpretazione delle
dinamiche sociali; sostenere percorsi di cambiamento degli stili di vita, che
mettano a tema l’importanza dei gesti quotidiani senza perdere di vista lo
sbocco alla dimensione strutturale e istituzionale.
158. Inoltre, i giovani
sono generalmente molto sensibili alla lotta contro la corruzione e alla
questione delle discriminazioni. In modo particolare, la RP afferma con
convinzione che «la Chiesa può rivestire un ruolo di vitale importanza per
garantire che questi giovani non siano esclusi, ma si sentano accettati» (RP
5), indicando come primo ambito di impegno la promozione della dignità delle
donne. Società sempre più multiculturali, segnate da fenomeni migratori o dalla
presenza di minoranze etniche, culturali o religiose richiedono la predisposizione
di percorsi che aiutino a combattere i pregiudizi e a superare le diverse forme
di discriminazione razziale o di casta.
159. Sempre rispetto
all’impegno sociale e civile, il percorso presinodale ha sottolineato anche
alcuni ambiti a cui prestare attenzione. Il primo è quello dei giovani inseriti
nelle forze armate e di polizia, che vanno aiutati ad appropriarsi di alcuni
valori e a integrare la dimensione di servizio alla popolazione implicita nella
loro funzione, che alcune circostanze mettono in particolare evidenza (missioni
di pace, disastri naturali, ecc.). Un secondo ambito è quello dei giovani che
compiono esperienze di servizio a tempo pieno, che nel mondo assumono
denominazioni diverse (servizio civile, gap year, anno di
volontariato sociale, ecc.); come sottolinea la RP, sono spesso anche un tempo
propizio di discernimento sul proprio futuro (cfr. RP 15). Va evitato il
rischio di considerare i giovani impegnati in queste esperienze come manodopera
a buon mercato a cui affidare i compiti che nessuno vuole o può svolgere.
Imparare ad abitare il mondo digitale
160. Tanto molte CE quanto
la RP riconoscono la necessità di affrontare con decisione la questione
dell’accompagnamento a un uso consapevole delle tecnologie digitali. La RP ha
suggerito una strada: «In primo luogo, impegnandosi in un dialogo con i
giovani, la Chiesa dovrebbe approfondire la propria comprensione della
tecnologia in modo da poterci accompagnare a discernere come utilizzarla.
Inoltre la Chiesa dovrebbe considerare la tecnologia - in particolare Internet - come un terreno fertile per la Nuova
Evangelizzazione. […] In secondo luogo, la Chiesa dovrebbe affrontare la
diffusa crisi della pornografia, senza tralasciare gli abusi in rete sui minori
e il cyberbullismo, e le loro pesantissime conseguenze dal punto di vista
umano» (RP 4).
161. Molte CE riconoscono
le potenzialità di Internet come
strumento di contatto pastorale e anche di orientamento vocazionale, in
particolare dove per varie ragioni la Chiesa fatica a raggiungere i giovani con
altri mezzi. In questo senso le competenze dei nativi digitali sono da
valorizzare anche all’interno della Chiesa. Non si può invece ancora
considerare acquisito che social media e
universo digitale non sono solo strumenti da utilizzare per la pastorale, né
rappresentano una realtà virtuale da contrapporre a quella reale, ma
costituiscono un luogo di vita con una propria cultura da evangelizzare.
Pensiamo solamente all’ambito dei “video-giochi”, che in alcuni Paesi
rappresenta una sfida di primordine per la società e per la Chiesa, perché
plasma nei giovani una visione discutibile dell’essere umano e del mondo, che
alimenta uno stile relazionale improntato alla violenza.
La musica tra
interiorità e affermazione dell’identità
162. Tra tutti i linguaggi
artistici, la musica è in modo particolare connessa con la dimensione
dell’ascolto e dell’interiorità. Il suo impatto sulla sfera emotiva può
rappresentare una opportunità di formazione al discernimento. Inoltre, la
scelta dei generi e dei musicisti che si ascoltano è uno degli elementi che
definiscono l’identità, soprattutto sociale, dei giovani. Si apre uno spazio
per una produzione musicale che aiuti lo sviluppo della spiritualità. Vi è
inoltre la necessità di curare il canto e la musica all’interno della vita e
del cammino di fede della comunità, come già avviene in alcuni contesti. Alcuni
giovani sono attratti dalla qualità della musica delle diverse tradizioni
cristiane (come il canto gregoriano, quello del monachesimo ortodosso o il
gospel). A volte, invece, le proposte che emulano i linguaggi musicali
contemporanei più commerciali non favoriscono il raccoglimento e l’ascolto
interiore. Alcune CE fanno notare che le proposte di altre confessioni e
religioni risultano attraenti per i giovani, anche cattolici, in virtù di un
linguaggio più semplice e immediato, grazie a «musica vivace e di alta
qualità».
163. Un’attenzione
particolare va rivolta anche ai grandi eventi musicali: andrebbero promosse
occasioni per riscoprire il valore autenticamente festivo e socializzante della
musica, a partire da produzioni che gli stessi giovani riconoscono essere di
qualità. Le GMG e i grandi eventi nazionali o regionali possono rappresentare
la proposta di un modo alternativo di intendere i grandi eventi, integrando
la musica in un programma di incontro ecclesiale tra i giovani.
Sport e competizione
164. Visto l’influsso
dello sport, molte CE suggeriscono la necessità di valorizzarlo in chiave
educativa e pastorale. La cura e la disciplina del corpo, la dinamica di
squadra che esalta la collaborazione, il valore della correttezza e del
rispetto delle regole, l’importanza dello spirito di sacrificio, generosità,
senso di appartenenza, passione, creatività, fanno dello sport una occasione
educativa promettente per percorrere un vero cammino di unificazione personale.
Successo e insuccesso scatenano dinamiche emotive che possono diventare
palestre di discernimento. Perché questo accada occorre che siano proposte ai
giovani esperienze di sana competizione, che sfuggano al desiderio di successo
a tutti i costi, e che permettano di trasformare la fatica dell’allenamento in
una occasione di maturazione interiore. Occorrono quindi società sportive – e
questo vale in particolare per quelle che fanno riferimento alla Chiesa – che
scelgano di essere autentiche comunità educanti a tutto tondo, e non solo
centri che erogano servizi. Per questo è fondamentale sostenere la
consapevolezza del ruolo educativo di allenatori, tecnici e dirigenti, curando
la loro formazione continua. Al di là della sfera strettamente agonistica,
sarebbe opportuno pensare a nuove configurazioni dei luoghi educativi che
contribuiscano a rinsaldare il riconoscimento reciproco, il tessuto sociale e i
legami comunitari, soprattutto in ambito interculturale.
L’amicizia e l’accompagnamento tra pari
165. È importante
riconoscere il gruppo dei coetanei come uno strumento di emancipazione dal
contesto familiare, di consolidamento dell’identità e di sviluppo di competenze
relazionali. Grande rilievo hanno le occasioni di crescita nell’amicizia, come
i momenti di tempo libero o di vacanza condivisi, nonché le occasioni che
permettono ai giovani di diventare a loro volta accompagnatori di coetanei o di
chi è ancora più giovane, scoprendo la bellezza della responsabilità e il gusto
del servizio. Il legame di comunanza, la condivisione di riferimenti, la
facilità a identificarsi nell’altro e a comunicare sono alla base del successo
delle iniziative di peer education, e
delle “comunità di apprendimento” che generano. In particolare esse sono utili
quando riguardano questioni su cui la parola degli adulti risulterebbe più
lontana, meno credibile (sessualità, prevenzione delle dipendenze, ecc.) e
quindi meno capace di produrre un cambiamento nei comportamenti.
Vicinanza e sostegno nel disagio e nell’emarginazione
Disabilità e malattia
166. Nella vita di tanti
giovani il dolore segna il corpo e anche l’anima in maniera imprevedibile e
incomprensibile. Malattie e deficit psichici, sensoriali e fisici possono
talvolta spegnere la speranza e trasformare affettività e sessualità in una
fonte di sofferenza. Come raccontava nel suo contributo al percorso presinodale
un giovane con disabilità, «non si è mai abbastanza preparati a vivere con una
disabilità: spinge a porsi domande sulla propria vita, invita a interrogarsi
sulla propria finitudine». Anche i giovani che vivono in queste situazioni sono
chiamati a scoprire come declinare la chiamata alla gioia e alla missione –
«come si può portare la gioia del Vangelo quando la sofferenza è all’ordine del
giorno?» – e a scoprire le proprie forze interiori: «Piangere può essere un
diritto, ma lottare e amare sono miei doveri». Questi giovani contano
sull’aiuto dei loro coetanei, ma insegnano ai loro amici a misurarsi con il
limite, aiutandoli a crescere in umanità. Particolarmente benefici sono
movimenti e comunità che sanno integrare i giovani con qualche forma di
disabilità e malattia, sostenendo le loro famiglie e valorizzando l’apporto che
essi possono dare agli altri giovani e a tutti. È inesauribile la creatività
con cui la comunità animata dalla gioia del Vangelo può diventare
un’alternativa al disagio. Ad esempio in alcuni contesti, soprattutto africani,
sono attivi cammini innovativi di integrazione nella pastorale giovanile dei
giovani portatori di HIV o affetti da AIDS.
Dipendenze e
altre fragilità
167. L’utilizzo di droghe,
alcool e altre sostanze che alterano gli stati di coscienza, così come altre
vecchie e nuove dipendenze, rendono schiavi molti giovani e minacciano la loro
vita. Alcuni di essi, immersi in tali situazioni di disagio, possono comunque
incrociare la buona opportunità di una ripartenza, anche grazie all’approdo in
istituzioni come case-famiglia, comunità educative o di recupero. Hanno bisogno
di essere accompagnati a riconoscere i propri errori e a discernere come
indirizzare diversamente i propri passi, oltre che di sostegno per affrontare
il reinserimento in un contesto sociale che spesso tende a stigmatizzarli e
ghettizzarli. L’impegno di alcune istituzioni ecclesiali su questo fronte è
notevole e merita di essere sostenuto dalle comunità cristiane nel loro
insieme, superando la tentazione della chiusura. Di grande importanza è la
formazione degli operatori e dei volontari impegnati in queste strutture, anche
dal punto di vista spirituale. Questo impegno comunque non può esimere dal
promuovere una cultura della prevenzione e dal prendere posizione come Chiesa
nella lotta ai narcotrafficanti e a chi specula su meccanismi di dipendenza.
Con i giovani carcerati
168. Il recupero dei
giovani detenuti richiede di coinvolgerli in progetti personalizzati,
stimolando, attraverso un’azione educativa, la rilettura delle esperienze
passate, il riconoscimento degli errori commessi, la riconciliazione con i
traumi subiti e l’acquisizione di competenze sociali e lavorative in vista del
reinserimento. La dimensione spirituale e quella religiosa possono rivestire un
ruolo di grande importanza e la Chiesa è grata verso quanti operano per
renderla presente in questi contesti (cappellani carcerari, volontari, ecc.),
svolgendo nei confronti dei detenuti un ruolo di accompagnamento. Tra l’altro,
essi chiedono di trovare le modalità perché il Sinodo coinvolga e dia speranza
anche ai giovani detenuti. Non va sminuita infine l’importanza della formazione,
umana e professionale, e dell’accompagnamento di quanti operano all’interno del
sistema penitenziario (guardie carcerarie, psicologi, educatori, ecc.), che si
trovano confrontati con situazioni anche di estrema complessità e difficoltà.
In situazioni di guerra e di violenza
169. Nel mondo sono molto
numerosi i giovani che vivono in situazioni di guerra o di conflitti armati di
diversa intensità. Alcuni vengono arruolati a forza o con la manipolazione in
gruppi paramilitari o in bande armate, mentre alcune giovani donne vengono
rapite e abusate. Coloro che sopravvivono soffrono varie conseguenze
psicologiche e sociali. In generale, diventare adulti in contesti di grande
violenza rappresenta un ostacolo alla maturazione personale, che richiede uno sforzo
educativo e un accompagnamento specifico, specie per la ricostruzione delle
capacità relazionali e il superamento dei traumi subiti. Si tratta di elementi
di cui tenere conto anche nei cammini di discernimento vocazionale, perché la
chiamata alla gioia è diretta anche a questi giovani. Altrettanto importanti
sono i percorsi di riconciliazione a livello locale o nazionale, perché offrono
un contesto in cui le vite dei giovani che hanno vissuto violenze anche brutali
possono ritrovare e offrire energie preziose per superare divisioni, rancori,
vendette.
Giovani migranti e cultura dell’accoglienza
170. Il continuo aumento
del numero di migranti e rifugiati, e in modo particolare la condizione delle
vittime di tratta e sfruttamento, richiedono di attivare percorsi a tutela
giuridica della loro dignità e capacità di azione e al tempo stesso di
promuovere cammini di integrazione nella società in cui arrivano. Per questo
sono di grande importanza le iniziative di molti organismi ecclesiali, e il
coinvolgimento di tutta la comunità cristiana. L’accompagnamento dei giovani
migranti, di prima e seconda generazione, a trovare la propria strada verso la
gioia e la possibilità di contribuire allo sviluppo della società rappresenta
una sfida peculiare in termini di accompagnamento al discernimento vocazionale,
in quanto deve fare i conti con la dimensione dell’interculturalità. Con grande
delicatezza e attenzione andranno accompagnati anche i percorsi delle coppie
miste dal punto di vista culturale e anche religioso, e coloro che provenendo
da percorsi migratori si sentono chiamati al sacerdozio ministeriale o alla
vita religiosa. Nei contesti che vedono la presenza di culture diverse
all’interno della comunità cristiana, la pastorale tutta, quindi anche quella
giovanile, è chiamata a evitare forme di ghettizzazione e promuovere reali
occasioni di incontro.
Di fronte alla morte
171. Non è purtroppo
infrequente imbattersi nell’esperienza della morte dei giovani, come anche in
giovani che hanno commesso omicidi. In questo campo la maternità della Chiesa e
la sua capacità di ascolto e accompagnamento è decisiva. La morte è talvolta il
punto di arrivo del fallimento di un mondo, di una società e di una cultura che
illude, sfrutta e infine scarta i giovani; in altre è l’incontro traumatico con
il limite della vita umana attraverso l’esperienza della malattia e il mistero
del dolore; vi è anche la sconvolgente esperienza del suicidio giovanile, che
crea in molti ferite difficili a guarirsi; in altre situazioni la morte di giovani
a causa della loro fede, vero e proprio martirio, si fa testimonianza profetica
e feconda di santità. In ogni caso la morte, in particolare quella dei giovani,
diventa fonte di sommi interrogativi per tutti. Se per la Chiesa questa
esperienza è sempre motivo per un rinnovato confronto con la morte e la
risurrezione di Gesù, dal punto di vista pastorale alcune CE si chiedono in che
modo la morte dei giovani può divenire motivo di annuncio e invito per tutti
alla conversione.
Accompagnamento e annuncio
172. Chi è impegnato nei
tanti ambiti sociali, educativi e pastorali in cui l’accompagnamento avviene
può testimoniare come ciascuno dei giovani porti impressa indelebilmente
l’immagine del Creatore e come lo Spirito parli nel cuore di ciascuno di loro,
anche quando non sono in grado o non sono disponibili a riconoscerlo. La Chiesa
è chiamata a collaborare all’opera di Dio, avviando percorsi che aiutino i
giovani ad assumere la vita come dono e a lottare contro la cultura dello
scarto e della morte. Questo impegno è parte integrante della missione di
annuncio della Chiesa: «La proposta è il Regno di Dio (Lc 4,43) […]. Nella misura in cui Egli riuscirà a
regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di
giustizia, di pace, di dignità per tutti» (EG 180). Proprio per questo la
Chiesa non può accettare di essere soltanto una ONG o un’agenzia filantropica:
i suoi membri non possono esimersi dal confessare il nome di Gesù (cfr. EN 22),
rendendo la loro opera un segno eloquente del Suo amore che condivide,
accompagna, perdona.
173. Ogni accompagnamento
è un modo di proporre la chiamata alla gioia e può così diventare il terreno
adatto per annunciare la buona notizia della Pasqua e favorire l’incontro con
Gesù morto e risorto: un kerygma «che
esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa,
che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà, che possieda
qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, ed un’armoniosa completezza» (EG
165). Al tempo stesso, ogni servizio di accompagnamento è occasione di crescita
nella fede per chi lo compie e per la comunità di cui fa parte. Per questo, il
requisito principale del buon accompagnatore è aver gustato in prima persona
“la gioia dell’amore”, che smaschera la falsità delle gratificazioni mondane e
riempie il cuore del desiderio di comunicarla agli altri.
174. Questa inquietudine
evangelica preserva dalla tentazione di colpevolizzare i giovani per la loro
lontananza dalla Chiesa o di lamentarsene, per parlare invece, come fanno alcune
CE, di una “Chiesa lontana dai giovani” chiamata a intraprendere cammini di
conversione, senza far ricadere su altri le proprie mancanze di slancio
educativo e di timidezza apostolica. Superare la “sindrome di Giona” rimane
ancora, per molti aspetti, un traguardo (cfr. GE 134). Mandato ad annunciare
agli abitanti di Ninive la misericordia di Dio, il profeta fugge perché il suo
cuore non condivide l’intenzione che anima il cuore di Dio. La vera questione
che la vicenda di Giona mette in evidenza è quella dell’evangelizzazione degli
evangelizzatori e della qualità cristiana della comunità dei credenti, poiché
solo una comunità evangelizzata può evangelizzare.
CAPITOLO III
UNA COMUNITÀ EVANGELIZZATA ED EVANGELIZZATRICE
Un’idea
evangelica di comunità cristiana
175. Durante il SI si è
chiarito che l’esperienza comunitaria rimane essenziale per i giovani: se da
una parte hanno “allergia alle istituzioni”, è altrettanto vero che sono alla
ricerca di relazioni significative in “comunità autentiche” e di contatti
personali con “testimoni luminosi e coerenti” (cfr. RP 5.1.10). Varie CE hanno
manifestato il desiderio che il Sinodo riaffermi la natura aperta e inclusiva
della Chiesa, chiamata ad accompagnare i giovani nell’ottica della salvaguardia
sia dell’integralità dell’annuncio che della gradualità della proposta,
rispettando così i ritmi di maturazione della loro libertà, che si costituisce
in una vicenda storica concreta e quotidiana. Sull’esempio di Gesù, «il primo e
il più grande evangelizzatore» (EN 9; EG 12), anche la comunità dei credenti è
chiamata ad uscire e ad incontrare i giovani lì dove sono, riaccendendo i loro
cuori e camminando con loro (cfr. Lc 24,13-35).
176. Il rischio di
rinchiudersi in un’appartenenza elitaria e giudicante fu già una grande tentazione
presente nella cerchia dei discepoli di Gesù. Per questo il Signore loda la
fede della donna siro-fenicia, che pur non appartenendo al popolo eletto,
manifesta una fede grande (Mt 15,22-28);
rimprovera aspramente i discepoli che vorrebbero far scendere un fuoco che
consumi i samaritani che non accolgono il suo passaggio (Lc 9,51-55); dichiara che un’appartenenza al
popolo eletto e un’osservanza legale non offrono un accesso automatico alla
salvezza (Lc 18,10-14); mostra che l’esperienza della lontananza
può essere una premessa ad una rinnovata comunione e la vita nella casa del
Padre un’esperienza che rende incapaci di amare (Lc 15,11,32).
Così, mentre Pietro rinnega per tre volte l’amato Maestro e Giuda lo tradisce,
il centurione romano lo riconosce per primo come Figlio di Dio (Mc 15,39). La comunità cristiana è chiamata ad
uscire dalla presunzione di “vedere” con i propri occhi (cfr. Gv 9,41) e di giudicare con criteri diversi da
quelli che vengono da Dio.
177. Come già accennava il
DP, «rispetto al passato, dobbiamo abituarci a percorsi di avvicinamento alla
fede sempre meno standardizzati e più attenti alle caratteristiche personali di
ciascuno» (DP III, 4). La comunità cristiana vive così di
diversi livelli di appartenenza, riconosce con gratitudine i piccoli passi di
ognuno e cerca di valorizzare il seme della grazia presente in ciascuno,
offrendo a tutti rispetto, amicizia e accompagnamento, perché «un piccolo
passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita
esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare
importanti difficoltà» (EG 44; AL 305). I giovani stessi quindi, con le loro
esperienze di vita frammentate e i loro cammini di fede incerti, aiutano la
Chiesa ad assumere la sua naturale forma poliedrica (cfr. EG 236).
Un’esperienza familiare di Chiesa
178. Uno degli esiti più
fecondi emersi dalla rinnovata attenzione pastorale alla famiglia vissuta in
questi ultimi anni è stata la riscoperta dell’indole familiare della Chiesa. L’
affermazione che Chiesa e parrocchia sono «famiglia di famiglie» (cfr. AL
87.202) è forte e orientativa rispetto alla sua forma. Ci si riferisce a stili
relazionali, dove la famiglia fa da matrice all’esperienza stessa della Chiesa;
a modelli formativi di natura spirituale che toccano gli affetti, generano
legami e convertono il cuore; a percorsi educativi che impegnano nella
difficile ed entusiasmante arte dell’accompagnamento delle giovani generazioni
e delle famiglie stesse; alla qualificazione delle celebrazioni, perché nella
liturgia si manifesta lo stile di una Chiesa convocata da Dio per essere sua
famiglia. Molte CE desiderano superare la difficoltà a vivere relazioni
significative nella comunità cristiana e chiedono che il Sinodo offra elementi
concreti in questa direzione. Una CE afferma che «nel bel mezzo della vita
rumorosa e caotica molti giovani chiedono alla Chiesa di essere una casa
spirituale». Aiutare i giovani a unificare la loro vita continuamente
minacciata dall’incertezza, dalla frammentazione e dalla fragilità è oggi
decisivo. Per molti giovani che vivono in famiglie fragili e disagiate, è
importante che essi percepiscano la Chiesa come una vera famiglia in grado di
“adottarli” come figli propri.
La cura pastorale per le giovani generazioni
179. Molte CE hanno
avvertito con chiarezza l’intima connessione tra evangelizzazione e educazione,
ben sviluppata da tanti Istituti di vita consacrata maschili e femminili che da
secoli puntano su questo binomio e offrono a tutta la Chiesa un’esperienza feconda
di pastorale giovanile connotata da una spiccata attenzione ai percorsi
educativi. Parecchie risposte delle CE segnalano che diverse comunità cristiane
e molti pastori hanno una carente sensibilità educativa. Una di loro dice che
in tante situazioni «i giovani non sono nel cuore di molti Vescovi, sacerdoti e
religiosi». Quando una comunità di credenti è invece consapevole del suo
compito educativo e si appassiona ad esso, è in grado di liberare forze
spirituali e materiali che concretizzano una vera e propria “carità educativa”,
capace di mettere in campo insospettate energie e passione verso le giovani
generazioni.
180. Merita una parola
speciale la realtà dell’oratorio o di attività pastorali simili, che vedono la
Chiesa soggetto proponente di un’esperienza che in vari contesti rappresenta,
come dice una CE, «la cura specifica di una comunità cristiana nei confronti
delle giovani generazioni. I suoi strumenti sono i più diversi e passano
attraverso la creatività di una comunità educativa che sa mettersi al servizio,
ha uno sguardo prospettico sulla realtà e sa affidarsi allo Spirito Santo per
agire in modo profetico». Dove c’è l’oratorio le giovani generazioni non sono
dimenticate e assumono un ruolo centrale e attivo nella comunità cristiana.
Alcune CE si aspettano dal Sinodo un rilancio di questa esperienza.
La famiglia, soggetto privilegiato dell’educazione
181. Per quanto riguarda
il legame tra pastorale giovanile e famiglia sarà importante approfondire in
ottica sinodale il capitolo VII di Amoris Laetitia dedicato
al tema dell’educazione dei figli, che merita una più adeguata valorizzazione
pastorale. È evidente che «la famiglia è la prima scuola dei valori umani, dove
si impara il buon uso della libertà» (AL 274). I giovani stessi, durante la
Riunione presinodale, hanno chiaramente affermato che tra i luoghi che aiutano
lo sviluppo della propria personalità, la famiglia occupa una posizione
privilegiata (cfr. RP 1). Varie CE hanno preso coscienza che investire energie
per formare buone famiglie non significa sottrarre forze alla cura dei giovani.
Quindi la predilezione e l’impegno a favore dei giovani è chiamata ad aprirsi
decisamente alla pastorale familiare.
182. Molte CE chiedono al
Sinodo di approfondire il ruolo indispensabile della famiglia come agente
pastorale attivo nell’accompagnamento e nel discernimento vocazionale dei
figli. Molte altre chiedono un aiuto per qualificare l’accompagnamento dei
giovani durante il tempo del fidanzamento, nell’immediata preparazione al
matrimonio e anche nella fase successiva alla celebrazione del sacramento. I
dati provenienti dalle CE attestano un panorama di situazioni assai
contrastanti circa il ruolo della famiglia rispetto al tema sinodale. Tra i
Paesi più secolarizzati, in linea di massima, come dice una CE, «la maggior
parte delle famiglie cattoliche non sono coinvolte “attivamente” o
“intenzionalmente” nel discernimento vocazionale dei loro figli, e alcune sono
attivamente contrarie». In altri contesti invece, dove la dimensione
comunitaria della fede è più viva, la famiglia svolge un ruolo dinamico e
propositivo.
In ascolto e in dialogo con il Signore
183. Molte CE, presentando
le loro “buone pratiche”, hanno privilegiato l’ascolto e il dialogo con Dio:
giornate di ritiro, esercizi spirituali, momenti di stacco dalla routine quotidiana, pellegrinaggi nazionali e
diocesani, esperienze condivise di preghiera. Santuari, centri di spiritualità
e case di Esercizi Spirituali dove vi sia una sensibilità per l’accoglienza e
l’accompagnamento dei giovani hanno grande attrattiva in varie parti del mondo.
Una CE afferma: «Sappiamo che il successo non viene da noi stessi ma da Dio e
per questo cerchiamo di mostrare ai giovani che la preghiera è una leva che
cambia il mondo». In un tempo di confusione molti giovani si rendono conto che
solo la preghiera, il silenzio e la contemplazione offrono il giusto “orizzonte
di trascendenza” entro cui poter maturare scelte autentiche. Percepiscono che
solo al cospetto di Dio si può prendere posizione con verità e affermano che
«il silenzio è il luogo dove possiamo ascoltare la voce di Dio e discernere la
sua volontà su di noi» (RP 15).
184. Nella preghiera, che
talvolta può essere un’esperienza di “combattimento spirituale” (cfr. GE
159-165), si affina la propria sensibilità allo Spirito, ci si educa alla
capacità di intendere i segni dei tempi e si attinge la forza di agire in modo
che il Vangelo possa incarnarsi di nuovo oggi. Nella cura della vita spirituale
si gusta la fede come felice relazione personale con Gesù e come dono di cui
essergli grati. Non per nulla la vita contemplativa suscita ammirazione e stima
tra i giovani. È quindi evidente che nella qualità spirituale della vita della
comunità risiedono grandi opportunità per avvicinare i giovani alla fede e alla
Chiesa e nell’accompagnarli nel loro discernimento vocazionale.
Alla scuola della Parola di Dio
185. Le esperienze
pastorali di maggior efficacia evangelizzatrice ed educativa presentate da
molte CE mettono al centro il confronto con la forza della Parola di Dio in
ordine al discernimento vocazionale: Lectio divina,
scuole della Parola, catechesi bibliche, approfondimento della vita di giovani
presenti nella Bibbia, uso degli strumenti digitali che facilitano l’accesso
alla Parola di Dio sono pratiche di successo tra i giovani. Per molte CE il
rinnovamento della pastorale passa dalla sua qualificazione biblica, e per
questo chiedono al Sinodo riflessione e proposte. In territori dove sono
presenti altre Chiese o comunità cristiane, varie CE fanno notare il valore
ecumenico della Bibbia, che può creare convergenze significative e progetti
pastorali condivisi.
186. Già Benedetto XVI, come frutto del Sinodo sulla Parola di Dio,
chiedeva alla Chiesa intera di «incrementare la “pastorale biblica” non in
giustapposizione con altre forme della pastorale, ma come animazione biblica
dell’intera pastorale» (VD 73). Dopo aver affermato che «lampada per i miei
passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal119,105), il
salmista si chiede: «Come potrà un giovane tenere pura la sua via? Osservando
la tua parola» (Sal 119,9).
Il gusto e la bellezza della liturgia
187. Una CE afferma che i
giovani «non vengono in Chiesa per trovare qualcosa che potrebbero ottenere
altrove, ma cercano un’esperienza religiosa autentica e persino radicale».
Molte risposte al questionario segnalano che i giovani sono sensibili alla
qualità della liturgia. In maniera provocatoria la RP dice che «i cristiani
professano un Dio vivente, ma nonostante questo, troviamo celebrazioni e
comunità che appaiono morte» (RP 7). A proposito del linguaggio e della qualità
delle omelie, una CE fa notare che «i giovani sentono mancanza di sintonia con
la Chiesa», e aggiunge: «Sembra che non comprendiamo il vocabolario, e quindi
anche le necessità, dei giovani». Indicazioni preziose in merito si trovano in
EG 135-144.
188. Tenendo conto che «la
fede ha una struttura sacramentale» (LF 40), alcune CE chiedono che venga
sviluppato il legame genetico tra fede, sacramenti e liturgia nella
progettazione di percorsi di pastorale giovanile, a partire dalla centralità
dell’Eucaristia, «fonte e culmine di tutta la vita cristiana» (LG 11) e «fonte
e culmine di tutta l’evangelizzazione» (PO 5). Varie CE assicurano che dove la liturgia
e l’ars celebrandi sono ben curate vi è sempre una
presenza significativa di giovani attivi e partecipi. Considerando che nella
sensibilità giovanile a parlare non sono tanto i concetti quanto le esperienze,
non le nozioni quanto le relazioni, alcune CE osservano che le celebrazioni
eucaristiche e altri momenti celebrativi – spesso considerati punti d’arrivo –
possono diventare luogo e occasione per un rinnovato primo annuncio ai giovani.
Le CE di alcuni Paesi testimoniano l’efficacia della “pastorale dei
ministranti” per far gustare ai giovani lo spirito della liturgia; sarà
comunque opportuno riflettere su come offrire un’adeguata formazione liturgica
a tutti i giovani.
189. Merita anche
attenzione il tema della pietà popolare che in vari contesti offre ai giovani
un accesso privilegiato alla fede, sia perché legata alla cultura e alle
tradizioni locali, sia anche perché valorizza il linguaggio del corpo e degli
affetti, elementi che talvolta nella liturgia stentano a trovare spazio.
Nutrire la fede nella catechesi
190. Varie CE si sono
interrogate, a partire dal tema sinodale, sui percorsi catechistici in atto
nella comunità cristiana. La catechesi non gode sempre di una buona fama tra i
giovani, perché ricorda a molti di loro «un percorso obbligato e non scelto
nella fanciullezza» (QoL). Ponendo attenzione alla necessaria e naturale
continuità con la pastorale degli adolescenti e dei giovani, alcune CE chiedono
di rivedere le forme complessive dell’offerta catechistica verificandone la sua
validità per le nuove generazioni.
191. Un DV invita ad
evitare l’opposizione tra catechesi esperienziale e contenutistica, perché
ricorda che l’esperienza della fede è già apertura conoscitiva alla verità e il
cammino di interiorizzazione dei contenuti della fede porta a un incontro
vitale con Cristo. In tale originaria circolarità la comunità ecclesiale svolge
un ruolo insostituibile di mediazione.
192. Alcune CE e i giovani
stessi consigliano di seguire nella catechesi la “via della bellezza”,
valorizzando l’immenso patrimonio artistico e architettonico della Chiesa, il
contatto autentico con la creazione di Dio e l’incanto della liturgia della
Chiesa in tutte le sue forme e riti. Ci sono esperienze ben riuscite di
catechesi con i giovani. In genere si presentano come un itinerario
esperienziale di incontro vivo con Cristo, che diventa fonte di unità dinamica
tra la verità del Vangelo e la propria esperienza di vita. In tal modo si
creano le condizioni per lo sviluppo di una fede forte, che si concretizza in
un impegno missionario.
193. In alcuni contesti la
catechesi è svolta all’interno dei percorsi scolastici e quindi l’insegnamento
della religione riveste una grande importanza per la maturazione vocazionale
dei giovani. Tutto ciò invita il Sinodo a riflettere sul rapporto tra scuola e
comunità cristiana in termini di alleanza educativa.
Accompagnare i
giovani verso il dono gratuito di sé
194. Numerose esperienze
presentate al termine delle risposte al questionario del DP fanno riferimento a
pratiche in cui i giovani sono accompagnati nella logica di una “fede in atto”
che si realizza nel servizio della carità. Una Chiesa che serve è una Chiesa
matura che attrae i giovani, perché testimonia la sua vocazione all’imitazione
di Cristo che «da ricco che era, si è fatto povero per voi» (2Cor 8,9). Nelle risposte di molte CE è stata ben
colta e sviluppata la connessione espressa in vari paragrafi del DP tra
esperienze di servizio gratuito e discernimento vocazionale. Gli stessi giovani
fanno notare che «periodi di tempo spesi in servizio con movimenti e
associazioni caritatevoli danno ai giovani un’esperienza di missione e uno
spazio dove praticare il discernimento » (RP 15). Tante sono, nel QoL, le
testimonianze di giovani che hanno riscoperto la vita di fede grazie ad esperienze
di servizio e a contatto con la “Chiesa che serve”. D’altra parte, la Chiesa
potrà rinnovare i suoi dinamismi di servizio confrontandosi con le esigenze dei
giovani che spingono verso uno stile trasparente, disinteressato e non
assitenzialistico. In sintesi, un DV invita a promuovere una rinnovata “cultura
della gratuità”.
195. Per molti giovani il
“volontariato internazionale” risulta capace di coniugare la sensibilità alla
solidarietà con l’aspirazione al viaggio e alla scoperta di altre culture e
mondi sconosciuti: si tratta anche di un luogo di incontro e di collaborazione
con giovani lontani dalla Chiesa e non credenti. Il “volontariato missionario”,
curato e sviluppato in molti Paesi e da parecchi Istituti di vita consacrata
maschili e femminili, è un dono particolare che la Chiesa può offrire a tutti i
giovani: la preparazione, l’accompagnamento e la ripresa in ottica vocazionale
di un’esperienza missionaria è un campo privilegiato per il discernimento
vocazionale dei giovani.
Comunità aperta e accogliente verso tutti
196. La Riunione
presinodale ha visto la partecipazione non solo di giovani cattolici, ma anche
di giovani di altre confessioni cristiane, di altre religioni e perfino di non
credenti. È stata un segno che i giovani hanno accolto con gratitudine, perché
ha mostrato il volto di una Chiesa ospitale e inclusiva in grado di riconoscere
la ricchezza e l’apporto che può venire da ciascuno per il bene di tutti.
Sapendo che la fede autentica non può generare un atteggiamento di presunzione verso
gli altri, i discepoli del Signore sono chiamati a valorizzare tutti i germi di
bene presenti in ogni persona e in ogni situazione. L’umiltà della fede aiuta
la comunità dei credenti a lasciarsi istruire anche da persone di posizioni o
culture diverse, nella logica di un beneficio reciproco in cui si dona e si
riceve.
197. Per esempio, nel SI
alcuni esperti hanno fatto notare come il fenomeno migratorio possa divenire
un’opportunità per un dialogo interculturale e per il rinnovamento di comunità
cristiane a rischio di involuzione. Alcuni giovani LGBT, attraverso vari
contributi giunti alla Segreteria del Sinodo, desiderano «beneficiare di una
maggiore vicinanza» e sperimentare una maggiore cura da parte della Chiesa,
mentre alcune CE si interrogano su che cosa proporre «ai giovani che invece di
formare coppie eterosessuali decidono di costituire coppie omosessuali e,
soprattutto, desiderano essere vicini alla Chiesa».
Il dialogo ecumenico e interreligioso, che in alcuni Paesi assume i tratti
di una vera e propria priorità per i giovani, nasce e si sviluppa in un clima
di reciproca stima e di naturale apertura di una comunità che si mette in gioco
con «dolcezza e rispetto, con una retta coscienza» (1Pt 3,16).
Anche il dialogo con i non credenti e con il mondo secolare nel suo insieme è
in alcuni contesti decisivo per i giovani, soprattutto in ambito accademico e
culturale, dove a volte sentono di essere discriminati in nome della fede che
professano: iniziative come quella della “Cattedra dei non credenti” e del
“Cortile dei gentili” sono di grande interesse per le giovani generazioni,
perché li aiutano ad integrare la loro fede nel mondo in cui vivono e anche ad
assumere un metodo di dialogo aperto e di confronto fecondo tra posizioni
diverse.
CAPITOLO IV
ANIMAZIONE E ORGANIZZAZIONE DELLA PASTORALE
198. Per accompagnare i
giovani nel loro discernimento vocazionale non servono solo persone competenti,
ma anche strutture adeguate di animazione non solo efficienti ed efficaci, ma
soprattutto attrattive e luminose per lo stile relazionale e le dinamiche
fraterne che generano. Alcune CE sentono il bisogno di una “conversione
istituzionale”. Rispettando e integrando le nostre legittime differenze,
riconosciamo nella comunione la via privilegiata per la missione, senza la
quale è impossibile sia educare che evangelizzare. Diventa sempre più
importante quindi verificare, come Chiesa, non solo “che cosa” stiamo facendo
per e con i giovani, ma anche “in che modo” lo stiamo facendo.
Il protagonismo giovanile
199. A nome di molti
altri, un giovane rispondendo al QoL dice: «Noi desideriamo essere coinvolti,
valorizzati, sentirci corresponsabili in quello che si sta facendo». In quanto
battezzati, anche i giovani sono chiamati ad essere “discepoli missionari”, e
si stanno facendo passi importanti in questa direzione (cfr. EG 106). Sulla
scia del documento conciliare Apostolicam Actuositatem, San Giovanni Paolo II affermava che i giovani «non devono
essere considerati semplicemente come l’oggetto della sollecitudine pastorale
della Chiesa: sono, di fatto, e devono venire incoraggiati ad esserlo, soggetti
attivi, protagonisti dell’evangelizzazione e artefici del rinnovamento
sociale» (CL 46). Qui sta per molte CE il vero punto qualificante
della pastorale giovanile: passare con coraggio dal fare pastorale “per i
giovani” a fare pastorale “con i giovani”.
Benedetto XVI ha spesso invitato i giovani a essere
protagonisti della missione: «Cari giovani, voi siete i primi missionari tra i
vostri coetanei!» (Messaggio per la XXVIII GMG 2013, 18 ottobre
2012), perché «il modo migliore di evangelizzare un giovane è
arrivare a lui attraverso un altro giovane» (QoL). Saranno da individuare i
campi privilegiati per il protagonismo giovanile. Alcune CE denunciano la
realtà del “clericalismo” come un problema a volte insormontabile: una CE
afferma che «molti dei nostri giovani pensano che la Chiesa sia solo l’insieme
dei ministri ordinati e dei consacrati che la rappresentano». Scardinare questa
visione rimane un traguardo che molte CE si augurano venga raggiunto con una
presa di posizione chiara da parte del Sinodo.
La Chiesa nel territorio
200. Tutto il popolo di
Dio è soggetto della missione cristiana (cfr. EG 120) e ciò si esplica con
diverse responsabilità e a vari livelli di animazione.
Il successore di
Pietro manifesta continuamente una predilezione per i giovani, che loro stessi
riconoscono e apprezzano. Il suo essere centro di unità visibile della Chiesa e
il suo impatto mediatico universale lo mettono in una posizione di guida che
riconosce e incoraggia l’apporto di tutti i carismi e le istituzioni a servizio
delle giovani generazioni.
Molte CE offrono un
servizio centrale qualificato alla pastorale dei giovani, ma il soggetto
privilegiato rimane comunque la Chiesa particolare, che il Vescovo presiede e
anima con i suoi collaboratori, favorendo sinergie e valorizzando le buone
esperienze di comunione tra tutti coloro che si adoperano per il bene dei
giovani. Se molte CE affermano che vi è un servizio di qualità in questo ambito
della pastorale, in alcune parti del mondo vi è molta improvvisazione e poca
organizzazione.
Dal punto di vista
territoriale la parrocchia, Chiesa tra le case, è il luogo ordinario della
pastorale e la sua validità è stata chiaramente riaffermata nel nostro tempo
(cfr. EG 28). Un giovane nel QoL afferma che «dove i sacerdoti sono liberi
dalle incombenze finanziarie e organizzative, possono concentrarsi nel lavoro
pastorale e sacramentale che tocca la vita delle persone». Se alcune CE fanno
notare la vitalità delle parrocchie, per altre queste non sembrano più essere
uno spazio adeguato per i giovani, che si rivolgono ad altre esperienze di
Chiesa che intercettano meglio la loro mobilità, i loro luoghi di vita e la
loro ricerca spirituale.
L’apporto della vita consacrata
201. Molte CE attestano la
loro sincera gratitudine per le tante e qualificate presenze dei consacrati nel
loro territorio che sanno “educare evangelizzando ed evangelizzare educando” in
tante forme e stili diversi. I consacrati stanno vivendo oggi una fase
delicata: se in alcuni Paesi, in special modo nel Sud del mondo, c’è
un’espansione e una vitalità che fanno ben sperare, in zone più secolarizzate
vi è una diminuzione numerica consistente e anche una crisi identitaria,
generata dal fatto che la società oggi sembra non avere più alcuna necessità
dei consacrati. Alcune CE notano che la vita consacrata è un luogo specifico di
espressione del “genio femminile”. Talvolta vi è però un’incapacità ecclesiale
di riconoscere, dare spazio e incentivare questa creatività unica e tanto
necessaria oggi, e di evitare usi strumentali dei diversi carismi: ciò implica
una necessaria e coraggiosa “conversione culturale” della Chiesa.
202. Convinti che i
giovani sono la vera risorsa per il “ringiovanimento” dei dinamismi ecclesiali,
l’USG si chiede: «Siamo veramente sensibili ai giovani? Comprendiamo le loro
necessità ed attese? Sappiamo capire la loro esigenza di fare esperienze
significative? Siamo capaci di superare le distanze che ci separano dal loro
mondo?». Dove ai giovani viene offerto ascolto, accoglienza e testimonianza in
modo creativo e dinamico, nascono sintonie e simpatie che stanno portando
frutto. Per l’USG sarebbe opportuna l’istituzione di un “Osservatorio
permanente” sui giovani a livello di Chiesa universale.
Associazioni e movimenti
203. Molti giovani vivono
e riscoprono la fede attraverso l’appartenenza convinta e attiva a movimenti e
associazioni che offrono loro una intensa vita fraterna, impegnativi cammini di
spiritualità, esperienze di servizio, spazi adeguati per l’accompagnamento e
persone competenti per il discernimento. Per questo la loro presenza è in genere
apprezzata. Dove la Chiesa fatica a mantenere una presenza visibile e
significativa, i movimenti conservano un dinamismo vitale e rimangono un
presidio importante; pure in altri luoghi sono una presenza positiva: lo stile
comunitario e lo spirito di preghiera, la valorizzazione della Parola di Dio e
il servizio ai più poveri, l’appartenenza gioiosa e la rivalutazione della
sfera corporea ed emotiva, il coinvolgimento attivo e la spinta al protagonismo
sono alcuni degli elementi di indubbio interesse che spiegano il loro grande
successo tra i giovani. Alcune CE, pur riconoscendo la fecondità di tutto ciò,
chiedono che il Sinodo rifletta e offra orientamenti concreti per vincere la
tentazione di autoreferenzialità di alcuni movimenti e associazioni, perché è
necessario «rendere più stabile la partecipazione di queste aggregazioni
all’interno della pastorale d’insieme della Chiesa» (EG 105). In questa
direzione sarebbe opportuno valorizzare i criteri offerti da IE 18.
Reti e collaborazioni a livello civile, sociale e
religioso
204. La Chiesa è chiamata
ad entrare decisamente in relazione con tutti coloro che hanno la
responsabilità dell’educazione dei giovani in ambito civile e sociale.
L’attuale sensibilità verso l’“emergenza educativa” in atto è patrimonio comune
della Chiesa e della società civile e chiede unità di intenti per ricreare
un’alleanza nel mondo degli adulti. “Fare rete” è uno dei punti qualificanti da
sviluppare nel terzo millennio. In un mondo in cui la Chiesa prende sempre più
coscienza di non essere l’unico soggetto agente della società, ma riconosce di
essere una “minoranza qualificata”, diventa necessario imparare l’arte della
collaborazione e la capacità di tessere relazioni in vista di un progetto
comune. Lungi dal pensare che entrare in dialogo con diversi organismi sociali
e civili significhi la perdita della propria identità, alcune CE affermano che
la capacità di unire risorse e progettare insieme con altri cammini di
rinnovamento aiuta tutta la Chiesa ad assumere un autentico dinamismo “in
uscita”.
205. Non solo a livello
civile e sociale, ma anche in ambito ecumenico e interreligioso alcune CE
testimoniano che perseguire obiettivi condivisi in vari campi – per esempio
l’ambito dei diritti umani, la salvaguardia del creato, l’opposizione a
qualsiasi tipo di violenza e di abuso sui minori, il rispetto della libertà
religiosa – aiutano i diversi soggetti ad aprirsi, conoscersi, stimarsi e
cooperare insieme.
La progettazione pastorale
206. Una denuncia
trasversale da parte di molte CE è la disorganizzazione, l’improvvisazione e la
ripetitività. Nella RP è stato detto che «a volte, nella Chiesa, è difficile
superare la logica del “si è sempre fatto così”» (RP 1).
Talvolta viene evidenziata l’impreparazione di alcuni pastori, che non si sentono
all’altezza per affrontare le complicate sfide del nostro tempo e rischiano
così di rinchiudersi in visioni ecclesiologiche, liturgiche e culturali ormai
superate. Una CE afferma che «si nota spesso assenza di mentalità per
progettare cammini» e per varie altre sarebbe utile chiedersi come accompagnare
le Diocesi in questo campo, visto che oggi, afferma una CE, «emerge l’istanza
di maggior coordinamento, dialogo, progettualità e anche studio, in rapporto
alla pastorale giovanile vocazionale». Altre CE accennano a una sorta di
contrapposizione tra progettazione operativa e discernimento spirituale. In
realtà un buon progetto pastorale dovrebbe essere il frutto maturo di un
autentico cammino di discernimento nello Spirito, che porta tutti ad andare in
profondità. Ogni membro della comunità è chiamato a crescere nella capacità di
ascolto, nel rispetto della disciplina dell’insieme che valorizza l’apporto di
ciascuno e nell’arte di unire gli sforzi in vista di una progettazione che
diventi per i membri della comunità un processo trasformativo.
Il rapporto tra eventi straordinari e vita quotidiana
207. Molte CE hanno
offerto riflessioni sul rapporto tra alcuni “grandi eventi” della pastorale
giovanile – in primo luogo la GMG, ma anche raduni giovanili internazionali,
continentali, nazionali e diocesani – e la vita ordinaria di fede dei giovani e
delle comunità cristiane. Vi è grande apprezzamento per la GMG perché, come
dice una CE, «offre ottime opportunità per il pellegrinaggio, lo scambio
culturale e la costruzione di amicizie in contesti locali e internazionali».
Alcune CE ne chiedono però una verifica e un rilancio: alcune la ritengono
un’esperienza troppo elitaria e altre la desiderano più interattiva, aperta e
dialogica.
208. Nella RP, i giovani
si sono domandati come «colmare il divario tra gli eventi ecclesiali di portata
più ampia e la parrocchia» (RP 14). Se i grandi eventi svolgono un ruolo
significativo per tanti giovani, molte volte si fatica a inserire nel
quotidiano l’entusiasmo che viene dalla partecipazione a simili iniziative, che
rischiano così di diventare momenti di evasione e fuga rispetto alla vita di
fede ordinaria. Una CE afferma, a questo proposito, che «gli eventi
internazionali possono diventare parte della pastorale giovanile ordinaria, e
non solo eventi unici, se la relazione tra questi eventi diventa più chiara e
le tematiche sottostanti a questi eventi si traducono in riflessione e in
pratica nella vita personale e comunitaria quotidiana». Alcune CE mettono in
guardia dall’illusione che alcuni eventi straordinari risolvano il cammino di
fede e la vita cristiana dei giovani: in questo senso l’attenzione ai processi
virtuosi, ai percorsi educativi e agli itinerari di fede appare decisamente
necessaria. Perché, come dice una CE, «il modo migliore di proclamare il
Vangelo in questa nostra epoca è di viverlo nel quotidiano con semplicità e
saggezza», mostrando così che esso è sale, luce e lievito di ogni giorno.
Verso una pastorale integrata
209. Una CE, come tante
altre, a proposito della relazione tra pastorale giovanile e pastorale
vocazionale, afferma: «Anche se ci sono significative esperienze in proposito,
c’è una forte necessità di articolare strutturalmente la pastorale giovanile e
la pastorale vocazionale. Inoltre, c’è l’esigenza di lavorare insieme con la
pastorale familiare, educativa, culturale e sociale attorno alla costruzione
del progetto personale di vita di ogni battezzato». Emerge ovunque una ricerca
sincera di maggior coordinamento, sinergia e integrazione tra i diversi ambiti
pastorali che hanno come obiettivo comune quello di aiutare tutti i giovani a
giungere alla «misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13). Di
fronte ad una moltiplicazione di “uffici” che crea frammentazione progettuale e
operativa, difficoltà di chiarificazione delle diverse competenze e fatica a
gestire i diversi livelli relazionali, l’idea di “pastorale integrata”, che fa
leva sulla centralità dei destinatari, sembra essere per alcune CE una
direzione di marcia da consolidare e incrementare.
210. La chiave di volta
per raggiungere questa unità integrata è per molti l’orizzonte vocazionale
dell’esistenza, perché «la dimensione vocazionale della pastorale giovanile non
è qualcosa che si deve proporre solo alla fine di tutto il processo o a un
gruppo particolarmente sensibile a una chiamata vocazionale specifica, ma che
si deve proporre costantemente nel corso di tutto il processo di
evangelizzazione e di educazione nella fede degli adolescenti e dei giovani»
(Francesco, Messaggio ai partecipanti al
convegno internazionale sul tema: «Pastorale vocazionale e vita consacrata.
Orizzonti e speranze», 25 novembre 2017).
Seminari e case di formazione
211. I giovani candidati
al ministero ordinato e alla vita consacrata vivono nelle stesse condizioni
degli altri giovani: condividono le risorse e le fragilità dei loro coetanei, a
seconda dei Continenti e dei Paesi in cui risiedono. Per questo è necessario
offrire indicazioni adatte alle diverse situazioni locali. A livello generale,
a proposito del discernimento vocazionale alcune CE individuano due grandi
problemi: il narcisismo, che tende a rinchiudere la persona sulle proprie
esigenze, e la tendenza a comprendere la vocazione nell’ottica esclusiva
dell’autorealizzazione. Entrambi hanno una radice comune in una concentrazione
potenzialmente patologica su di sé. Due pericoli che anche i cammini di
formazione corrono sono l’individualismo centrato
sul soggetto autonomo, che esclude il riconoscimento, la gratitudine e la
collaborazione all’azione di Dio; l’intimismo, che
chiude la persona nel mondo virtuale e in una falsa interiorità, dove viene
esclusa la necessità di avere a che fare con gli altri e con la comunità (cfr. PD e GE 35-62). Vanno progettati cammini
formativi capaci di liberare la generosità dei giovani in formazione, facendo
crescere in loro una profonda coscienza di essere al servizio del popolo di Dio.
Si rende necessario garantire équipe formative di qualità capaci di interagire
con le necessità concrete dei giovani di oggi e con il loro bisogno di
spiritualità e di radicalità. L’organizzazione di tempi, spazi e attività nelle
case di formazione dovrebbero rendere possibile una vera esperienza di vita
comune e fraterna.
La
vocazione universale alla santità
212. La cifra sintetica e
unificante della vita cristiana è la santità, perché «il Signore Gesù, maestro
e modello divino di ogni perfezione, a tutti e ai singoli suoi discepoli di
qualsiasi condizione ha predicato la santità della vita, di cui egli stesso è
l’autore e il perfezionatore» (LG 40). La santità comprende dal punto di vista
qualitativo e globale ogni altra dimensione dell’esistenza credente e della
comunione ecclesiale, portate a pienezza secondo i doni e le possibilità di
ciascuno. Per questo San Giovanni Paolo II la proponeva all’inizio del terzo
millennio come «misura alta della vita cristiana ordinaria» (NMI 31). La
ripresa del tema in GE offre un approfondimento sulla santità nel mondo
contemporaneo e richiama a tutti la volontà del Signore Gesù, che «ci vuole
santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre,
annacquata, inconsistente» (GE 1). Il tutto si gioca chiaramente nella pratica
della vita quotidiana: «La forza della testimonianza dei santi sta nel vivere
le Beatitudini e la regola di comportamento del giudizio finale. Sono poche parole,
semplici, ma pratiche e valide per tutti, perché il cristianesimo è fatto
soprattutto per essere praticato» (GE 109).
La giovinezza, un
tempo per la santità
213. Convinti che «la
santità è il volto più bello della Chiesa» (GE 9), prima di proporla ai giovani
siamo chiamati tutti a viverla da testimoni, divenendo così una comunità
“simpatica”, come narrano in varie occasioni gli Atti degli Apostoli (cfr. GE
93). Solo a partire da questa coerenza diventa importante accompagnare i
giovani sulle vie della santità. Se sant’Ambrogio affermava che «ogni età è
matura per la santità» (De Virginitate, 40),
senza dubbio lo è anche la giovinezza! Nella santità di numerosi giovani la
Chiesa riconosce la grazia di Dio che previene e accompagna la storia di
ciascuno, la valenza educativa dei sacramenti dell’Eucaristia e della
Riconciliazione, la fecondità di cammini condivisi nella fede e nella carità,
la carica profetica di questi “campioni” che spesso hanno sigillato nel sangue
il loro essere discepoli di Cristo e missionari del Vangelo. Se è vero, come
hanno affermato i giovani durante la Riunione presinodale, che la testimonianza
autentica è il linguaggio più richiesto, la vita dei giovani santi è la vera
parola della Chiesa e l’invito ad intraprendere una vita santa è l’appello più
necessario per i giovani di oggi. Un autentico dinamismo spirituale e una
feconda pedagogia della santità non deludono le aspirazioni profonde dei
giovani: il loro bisogno di vita, di amore, di espansione, di gioia, di
libertà, di futuro e anche di misericordia e riconciliazione. Per molte CE
rimane una grande sfida proporre la santità come orizzonte di senso accessibile
a tutti i giovani e realizzabile nella ferialità della vita.
Giovani santi e giovinezza dei santi
214. Gesù invita ogni suo
discepolo al dono totale della vita, senza calcolo e tornaconto umano. I santi
accolgono quest’invito esigente e si mettono con umile docilità alla sequela di
Cristo crocifisso e risorto. La Chiesa contempla nel cielo della santità una
costellazione sempre più numerosa e luminosa di ragazzi, adolescenti e giovani
santi e beati che dai tempi delle prime comunità cristiane giungono fino a noi.
Nell’invocarli come protettori, li indica ai giovani come riferimenti per la
loro esistenza. Varie CE chiedono di valorizzare la santità giovanile per
l’educazione, e i giovani stessi riconoscono di essere «più recettivi di fronte
a “una narrativa della vita” che a un astratto sermone teologico» (RP, Parte II, Introduzione). Visto che i giovani affermano
che «le vite dei Santi per noi sono ancora rilevanti» (RP 15), diventa
importante presentarli in modo adatto alla loro età e condizione.
Un posto del tutto speciale spetta alla Madre del Signore, che ha vissuto
da prima discepola del suo amato Figlio ed è modello di santità per ogni
credente. Nella sua capacità di custodire e meditare nel proprio cuore la
Parola (cfr. Lc2,19.51), Maria è per tutta la
Chiesa madre e maestra del discernimento.
Merita anche
ricordare che accanto ai “Santi giovani” vi è la necessità di presentare ai
giovani la “giovinezza dei Santi”. Tutti i Santi, infatti, sono passati
attraverso l’età giovanile e sarebbe utile ai giovani di oggi mostrare in che
modo i Santi hanno vissuto il tempo della loro giovinezza. Si potrebbero così
intercettare molte situazioni giovanili non semplici né facili, dove però Dio è
presente e misteriosamente attivo. Mostrare che la Sua grazia è all’opera
attraverso percorsi tortuosi di paziente costruzione di una santità che matura
nel tempo per tante vie impreviste può aiutare tutti i giovani, nessuno
escluso, a coltivare la speranza di una santità sempre possibile.
PREGHIERA PER IL
SINODO
Signore Gesù,
la tua Chiesa in cammino verso il Sinodo
volge lo sguardo a tutti i giovani del mondo.
Ti preghiamo perché con coraggio
prendano in mano la loro vita,
mirino alle cose più belle e più profonde
e conservino sempre un cuore libero.
Accompagnati da guide sagge e generose,
aiutali a rispondere alla chiamata
che Tu rivolgi a ciascuno di loro,
per realizzare il proprio progetto di vita
e raggiungere la felicità.
Tieni aperto il loro cuore ai grandi sogni
e rendili attenti al bene dei fratelli.
Come il Discepolo amato,
siano anch’essi sotto la Croce
per accogliere tua Madre, ricevendola in dono da Te.
Siano testimoni della tua Risurrezione
e sappiano riconoscerti vivo accanto a loro
annunciando con gioia che Tu sei il Signore.
Amen.
(Papa Francesco)