Piazzetta Achille Ardigò
L'altro Ieri a Bologna hanno intitolato una piazzetta
del centro, vicino alle Due Torri, a mio zio professore Achille Ardigò. C’erano
i suoi amici dell’università, il nuovo arcivescovo, il sindaco.
Mio zio fu il mio padrino di Cresima, che ricevetti
qui nella nostra parrocchia. Per tutta la mia vita svolse questo ministero come la Chiesa si attende che si faccia. La mia fede da adulto è stata in gran parte
modellata dai suoi insegnamenti e dal suo esempio.
Il sindaco ha detto che mio zio fu un uomo del fare, ed è vero. E’ stato anche ricordato che fu un
uomo di pace in molti sensi, capace di suscitare quello che evocava con l’espressione
latina concordia discors, che
significa l’armonia nella diversità, il miracolo della vera e buona politica.
Dovendo riassumere la biografia di mio zio
Achille, una lunga vita di studio e di impegno nelle istituzioni, il suo lavoro di formatore di generazioni di giovani che gli volevano molto bene e
frequentavano numerosi, con passione, i suoi difficilissimi corsi avanzati di sociologia,
vedo nella sua fede religiosa il fattore unificante di tutto.
Si formò alla scuola dei Cappuccini di Modena,
uno dei pochi luoghi liberi in un contesto in cui il fascismo si era mangiato
tutto. Fu uomo del Terz’ordine francescano, fin da ragazzo. Poi venne l’impegno
in FUCI, gli universitari cattolici, e da lì, appena ventenne, quello nella
Resistenza, che, al di là del suo significato militare di opposizione armata al
regime, significò l’impegno politico per progettare una nuova società. A quei
tempi risale la sua amicizia con Giuseppe Dossetti, professore di diritto
ecclesiastico della Cattolica di Milano, animatore culturale e religioso, capo
politico e partigiano.
Poi venne
per mio zio l’attività giornalistica e politica. Qui a Roma, con
Dossetti, visse intensamente la fase costituente, in cui il Dossetti dette un
contributo fondamentale, scrivendo in particolare alcuni dei più importanti
articoli della Costituzione.
Quindi l’università: mio zio Achille,
stimolato in ciò da Dossetti e da altri giovani studiosi dell’epoca, contribuì
a introdurre in Italia gli studi sociologici di tipo scientifico, sul modello
statunitense.
E la politica, nella DC, vissuta a stretto contatto con il Dossetti e con il cugino Giovanni Galloni, negli anni in cui si costruì l'Italia democratica e solidale come la conosciamo.
Mio zio Achille scrisse tanti libri, in gran
parte scientifici, accessibili ad un pubblico di studiosi, ma anche alcuni
libri divulgativi, in particolare uno sulla crisi sociale italiana, che
manifestatasi nel corso degli anni ’70 dura tuttora, e la vide originata dalla
crisi di quelli che chiamava mondi vitali,
e un altro sulla riforma sociale come linea guida del cattolicesimo
democratico, prendendo spunto dalla figura di Giuseppe Toniolo. Ne scrisse uno
anche sulla sua esperienza politica alle elezioni comunali di Bologna del ’56,
quando Dossetti fu spinto a presentarsi dall’arcivescovo: le elezioni furono
perse, come era prevedibile per la grande popolarità che aveva il sindaco
comunista Giuseppe Dozza, un politico di grande levatura umana, un protagonista
della resistenza, una persona capace e dotata di forte etica, ma alcune idee
del programma di Dossetti, in parte studiato con mio zio, furono adottate dalla
nuova giunta, in particolare l’istituzione dei quartieri.
Ecco, appunto, la concordia discors.
Mi scrisse diversi anni fa mio zio Achille, nella
dedica di quel libro:
“Nel 1955, avevo 34 anni, Dossetti - mio leader prima politico poi
spirituale - mi affidò la preparazione del programma civico per la sua lista DC,
in cui, da indipendente, sostenne l’improbabile candidatura a sindaco di
Bologna per le amministrative del 1956, cui era stato convinto dal card.
Lercaro.
Dopo quasi mezzo secolo ho
voluto salvare ampia memoria di quel lontano evento che, di nuovo, mi riscalda
il cuore”.
Vennero
gli anni ’60 e il Concilio Vaticano 2°, in cui il Dossetti, come esperto dell’arcivescovo di Bologna,
ebbe un ruolo molto importante, analogo a quello che aveva avuto nella fase
costituente italiana. Anche mio zio Achille fu coinvolto nell’intenso lavoro culturale sottostante all’evento. Il
Concilio non fu fatto solo nella basilica Vaticana, nelle adunanze plenarie, e
non solo dai padri che vi partecipavano.
L’ultima lunga fase della vita pubblica di mio zio Achille iniziò con l’elaborazione
della riforma sanitaria, alla fine degli anni ’70, che lo vide come
protagonista. Fu allora che l’assistenza sanitaria fu data a tutti i cittadini,
a prescindere se e dove lavorassero. In precedenza era di tipo mutualistico
e dipendeva dal lavoro che si faceva. La riforma creò una vasta e completa rete
di ospedali pubblici. Oggi la riteniamo un fatto scontato e invece, nella gran
parte del mondo, non lo è. Ad esempio negli Stati Uniti d’America, dove solo di
recente, sotto la presidenza Obama, è stata introdotta una riforma che gli si
avvicina. In Italia anche chi è povero ha diritto di essere curato.
Mio zio in Emilia fu un riformatore nel
settore sanitario. Amministrò a lungo l’Istituto ortopedico Rizzoli e promosse
l’introduzione in Emilia, tra le prime regioni in Italia a istituirlo, del
Centro unico di prenotazione, per cui chi ha bisogno di assistenza sanitaria
specialistica, non deve dannarsi girando per mari e per monti ma può risolvere
tutto telefonicamente, e del fascicolo sanitario del cittadino che consente ai
medici curanti di avere rapidamente le informazioni necessarie per inquadrare i
casi clinici dei pazienti.
Parallelamente al ruolo di amministratore, mio
zio pubblicò molti contributi sul tema sanitario, ragionando sulla sua
esperienza concreta e proponendo riforme, in particolare per venire incontro
alle persone più fragili, ai malati, agli anziani.
Da amministratore sanitario pretese il miglioramento dell’accoglienza
dei pazienti.
In Emilia la sanità pubblica funziona molto bene, e quella privata,
tanto rigogliosa nel Centro-Sud, è ai minimi termini. La gente non sente il
bisogno di stipulare costose polizze sanitarie private per pararsi dalle
inefficienze del settore pubblico.
Il sindaco, nella cerimonia di intitolazione
della piazzetta bolognese, ha ricordato che mio zio fu per certi versi un uomo
scomodo, perché libero. Ed è vero.
In particolare, da anziano fu per
un tempo lunghissimo emarginato e incompreso nella Chiesa bolognese. Tutto iniziò
quando polemizzò con l’arcivescovo di allora sulla questione degli immigrati,
se ben ricordo.
Nel 2001 gli scrisse, in una lettera aperta su La Repubblica:
Mi sembra, in primis,
che lei corregga la sua consueta concezione intransigente dell'
"identità" cattolica (come trascendenza dentro la Chiesa) quando
scrive che «non è da sottovalutare la libera azione illuminante che è propria
dello Spirito Santo» il quale spira dove vuole. Sicché anche di fronte a un non
credente - lei arguisce - «non possiamo trascurare di ascoltarlo con qualche
speranza. Noi dobbiamo sempre cercare di avvalorare (e rendere auspicabilmente
feconda di verità) l' iniziale conformità a Cristo che si trova in ogni uomo».
Mi pare che la sua presa di posizione non gli sia stata perdonata per molto tempo. Dopo
la sua morte, la frattura si è poi, lentamente, ricomposta.
La sua memoria riconciliata. Era il tipo di laico di fede adulto del quale i nostri
capi religiosi spesso diffidano. Lontano dal modello teologico del gregge docile.
Mio zio fu, in tutti sensi, un uomo utile,
in particolare alla sua città.
Pochi minuti dopo che era stata scoperta la targa con l’intitolazione
della piazzetta, quando la piccola folla che aveva partecipato all’intitolazione
se ne era appena andata, un signore ha assicurato con una catena la sua
bicicletta al palo che la regge, secondo l’uso dei bolognesi. Così, vedete, mio
zio continua ad essere utile ai suoi concittadini.
Mario Ardigò - Azione Cattolica
in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli