Salvezze
|
La Pietà Vaticana, dello scultore Michelangelo Buonarroti, del Quattrocento |
Da bambini e
da ragazzi si è poco o per nulla interessati alla salvezza come ci viene
di solito presentata dai teologi. Si vive giorno per giorno. Il problema è
nella quotidianità e nel giorno dopo quello corrente. Gli adulti, preti e
catechisti compresi, non hanno ricette di vita valide per i più giovani, che
quindi devono arrangiarsi da soli.
Alla mia età, per uno che tra pochi mesi avrà
sessant’anni, è un po’ lo stesso. Un anziano non può credere veramente che una
persona più giovane di lui, anche un prete, possa insegnargli a vivere. E
quelli più anziani, sempre meno numerosi con l’avanzare dell’età, sono troppo più anziani per dare consigli. Da vecchi è
come da bambini: un anno di età in più
fa una grande differenza.
Per certe persone, i più giovani e i più
anziani, le spiritualità religiose basate sulla promessa di salvezza personale non hanno senso.
Lo stesso può dirsi per i malati gravi: anche loro vivono giorno per
giorno e cercano di non pensare tanto al dopodomani. Per loro è vero che ad
ogni giorno basta la sua pena. Un buon sonno è già una buona dose di
salvezza. Non parlo per sentito dire.
Ma, a ben considerare, anche per gli adulti
sani è un po’ lo stesso. Finché hanno qualcuno di cui occuparsi va tutto bene,
poi la vita sembra perdere senso e la salvezza dei teologi non aiuta.
Una buona parte della catechesi corrente è
quindi inutile perché non raggiunge molte persone. Infatti è centrata sull’idea
di salvezza che hanno i teologi, non su quella che serve alla gente comune.
La salvezza dei teologi è un salvarsi. Questo però non appaga. La
salvezza che appaga è un salvare qualcun altro.
La vera salvezza arriva quindi quando la si pianta
di pensare tanto alla propria salvezza.
Sono amato dal mio Creatore? I teologi me ne
parlano, ma a me interessa fino ad un certo punto. L’importante è che io possa amarlo. L’essenziale è che io me ne possa prendere cura.
Quando erano bambine ho portato le mie figlie
in San Pietro, in quel chiesone che non amo, a contemplare la Pietà di Michelangelo, (scolpita dal Michelangelo giovane), l’unica opera d’arte in quel
coacervo di vano orgoglio principesco sovramisura che mi coinvolge veramente. Mi
sono fatto largo tra la folla di turisti che scioccamente fotografa una delle
statue le cui immagini, riprese da professionisti, sono più presenti sul WEB, e
mostrando loro quella donna giovane che tiene tra le braccia il figlio morto ho
detto loro: «questa è la nostra
Chiesa». Quella statua rappresenta la Chiesa come la idealizza una persona giovane. E' tanto bella che attrae irresistibilmente la gente. Eppure contiene tanto dolore. Una madre che tiene tra le braccia il figlio morto!
Con gli dei dell’antico Olimpo si contrattava, il nostro è
un Dio sofferente perché vivente: è per questo che lo si può amare.
E invece, qualche volta, la cosiddetta economia
della salvezza mi pare che ricaschi
sul passato. Vi è stata (vi è?) coinvolta anche la faccenda dei Giubilei, che infatti storicamente non
hanno fatto tanto bene alla fede: ci hanno affibbiato quel tronfio chiesone
vaticano e hanno prodotto una lacerazione che ancora non si riesce a
rimarginare.
Si sa che i più giovani possono essere molto
generosi e altruisti. Gli adulti,
allora, si preoccupano presto di disilluderli. Nella loro mentalità non c’è salvezza nell’essere così. Ma poi anche loro ci cascano,
con i figli. Una faccenda del tutto insensata sotto il profilo economico, del dare/avere. Se non riescono ad averli,
in genere si ingegnano per superare gli ostacoli per cui non arrivano. Per
questo vengono molto criticati in società. Uno non ha diritto ad avere figli, li
rimproverano. E allora com’è che la natura,
questa natura veramente tanto idolatrata anche in religione, ci ha messo
dentro questa gran smania di averli? Everybody
needs somebody to love, fa un blues
molto noto degli anni Sessanta, “ognuno
ha bisogno di qualcuno da amare”: sentitelo
su You Tube a questo indirizzo
<https://www.youtube.com/watch?v=EHV0zs0kVGg>.
Certi
preti pensano di farmi contento dispensandomi ricette per migliorarmi la vita.
Io faccio finta di credere a quello che dicono. Sono protettivo nei loro
confronti, non voglio disilluderli. Devo sostenerli. Sono volenterosi, si
spendono per gli altri, dimenticando sé stessi. Le loro promesse di salvezza e
di felicità mi lasciano indifferente, ma il loro esempio mi coinvolge. Però non seguo metodi religiosi che mi
promettono la felicità e la salvezza: so che sono cose fuori della portata di
chi li propone.
In Italia il volontariato, religioso e non, è
un fatto sociale molto importante. Tutta la molta gente che vi è coinvolta
cerca la salvezza dimenticando sé stessa, in uno slancio altruistico. Teniamone
conto nel riorganizzare le attività parrocchiali.
Certe volte ho sentito fare in parrocchia
promesse che non possono essere mantenute. Meglio essere sinceri. Altrimenti,
poi, la disillusione che segue allontana la gente dalla fede. In religione proviamo a volerci bene, ma non
sempre ci riesce. A volte riusciamo a lenire certe sofferenze, ma salvare veramente qualcuno è molto raro. E ogni
comunità prima o poi delude, anche la famiglia, pur animata dalle migliori
intenzioni. Le comunità religiose non sono diverse. Del resto non ci è stata
promessa, nella nostra fede, la gioia comunitaria. Anzi, fin dalle origini
abbiamo avuto molti problemi in questo.
Con certe promesse si va poco lontano. Si
attira gente che soffre: anche per essa la salvezza dei teologi ha poco senso
perché ha la mentalità dei malati gravi. Il disinganno viene presto, perché le
forze sono quelle che sono. Allora la si colpevolizza, perché non
ha creduto abbastanza. Così si aggiunge sofferenza a sofferenza. E’ quello
che accade con le promesse della pubblicità commerciale. Non si è mai veramente
appagati, né nel dare né nel ricevere.
La nostra via religiosa è quella della Croce, a
questo credo. “Per essere gioia del mondo
non dobbiamo chiedere al Signore di scendere dalla Croce, ma di salirvi con
lui”, scrisse Vittorio Bachelet, a cui si deve la rifondazione dell’Azione
Cattolica dopo il Concilio Vaticano 2°. E ci diede anche l’esempio. E’
paradossale, ma è ancora bello percorrerla, per la salvezza di molti. Non si
tratta, come sento dire spesso, di dare un senso alla sofferenza, dal
momento che la sofferenza in fondo non ha mai veramente senso, i malati gravi
lo sanno bene, ma di contribuire alla salvezza altrui a costo della propria
sofferenza: questo sembra avere un senso per gli esseri umani, un valore
inestimabile, è la perla rara, il tesoro prezioso, una effettiva via di salvezza, per cui si lascia tutto, e
si accetta anche di soffrire. E’ per questo che ammiriamo certe grandi anime, religiose e non.
Se mettiamo la religione sul mercato delle ricette di vita buona, saremo
surclassati. Certe comunità-fortezza,
comunità-serra, comunità prigione, comunità-gruppo
di psicoterapia religiosa a livello hobbistico, non possono competere con
altri allestimenti correnti in società. Nel ramo misericordia abbiamo invece
pochi concorrenti, anche se non dobbiamo pensare di avere l’esclusiva. La
misericordia può addirittura essere avvertita come offensiva da chi ne è
oggetto. Coinvolge prevalentemente nel lato attivo, vale a dire chi la pratica.
E’ concreta, è l’inizio di un mondo nuovo, una profezia che si autorealizza (è
un’immagine che è stata proposta in una delle messe delle scorse settimane). E’
su questo che dovremmo puntare. Non promettere di dare qualcosa a chi ci avvicina,
ma promettergli un ingaggio nel campo
della misericordia. Non piazzisti di merce religiosa, ma reclutatori di gente di fede dovremmo essere. O, detto
evangelicamente, pescatori di esseri umani. E’ lì che mi
pare la religione funzioni meglio. Perché? Ciascuno ha una sua spiegazione. Ne rende ragione.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli