Parlare
della Passione, Morte e Resurrezione ai bambini del catechismo
In Quaresima bisogna parlare ai bambini della
Passione, Morte e Resurrezione. Ma come farlo perché intendano ciò che si vuole
comunicare loro?
Mi rendo conto che quando, da bambino, a
catechismo, mi parlarono di quelle cose non capii quasi nulla. E si tratta di
argomenti centrali nella fede.
Quali sono
i problemi?
Innanzi tutto c’è la questione della morte.
Può sembrare strano ma, a pensarci bene, si tratta di una realtà di cui nessuno
fa esperienza. La morte infatti interrompe la possibilità di fare esperienze. Possiamo osservare la morte degli altri, può accadere anche a
dei bambini. Ma allora non facciamo esperienza della morte: guardiamo solo dei morti. Nella Passione si racconta una
morte, ma anche si parla della nostra morte ed è difficile farlo anche rivolgendosi
ad un adulto.
Poi c’è il problema della sofferenza, della
Passione, a cui è collegata la Morte di cui dobbiamo parlare.
Un bambino è un essere naturale: sa che può
soffrire. Accetta la sofferenza come viene, giorno per giorno. L’ho osservato
quando ho frequentato i reparti di ematologia, dove ho incontrato diversi
bambini malati. Quello che non riuscivo a capire, da bambino, è perché
l’avessero voluto far soffrire tanto, Lui, una persona buona, innocente.
La questione della Resurrezione è più
semplice: è la vita eterna. E’ una realtà a cui non sempre noi adulti di fede
crediamo veramente. Ma se un catechista dice a un bambino del catechismo che
siamo destinati alla vita eterna non sbaglia e probabilmente lui non chiederà
altro, perché il futuro del dopodomani è già oltre le sue prospettive di bimbo.
Come sarà la vita eterna, potrebbe chiedere? Quando arriveremo, vedremo,
risponderei. E anche questa è la realtà. Inutile proporgli tante congetture. Lo
annoierebbero solo, non capirebbe. Con i bambini è meglio essere sinceri e
parlare loro di ciò che effettivamente sappiamo, delle cose come veramente
sono.
C’è poi che i carnefici furono soldati romani. E noi viviamo a Roma. Da un lato, da noi, si è
in fondo orgogliosi di discendere dai romani, dall’altro sono proprio loro che l’hanno
giustiziato.
C’è anche la questione dell’atteggiamento del
popolo di Gerusalemme. Nella storia evangelica della Passione c’è un
voltafaccia che i bambini, e innanzi tutto io da bambino, faticano a capire. E
i sacerdoti di quel tempo, di quella città? Che differenza
c’è con i nostri? Un bambino non lo
sa. Da certi racconti potrebbe nascere una sfiducia sul vivere la fede in
comunità a contatto con i sacerdoti. Ma anche raccontare che certe brutte cose
sono accadute a quei tempi in Palestina perché là si era ebrei sarebbe
sbagliato, perché sono accadute anche dopo e proprio tra gente della nostra
fede. Bisogna essere accorti a non suscitare i pregiudizi del passato, anche
recente, contro l’ebraismo. ll Maestro non volle rompere con l’ebraismo del suo
tempo, tanto è vero che le nostre concezioni religiose sono piene di storie e
concezioni da esso provenienti, e innanzi tutto consideriamo testi sacri i suoi
stessi testi sacri. Egli dichiarò di essere venuto per salvare innanzi tutto i suoi correligionari. Li criticava perché
cambiassero vita, al modo degli antichi profeti dell’ebraismo. E la salvezza
che ci ha portato si è diffusa a partire da Gerusalemme: erano tutti ebrei gli
apostoli, coloro che mandò ad evangelizzare il mondo.
C’è un modo di raccontare la Passione che
punta molto sulle sofferenze del condannato.
Alle medie cominciai a leggere i romanzi
d’avventura di Salgari del ciclo dei pirati della Malesia, in cui c’è
moltissima violenza, tanto sangue, moltissimi morti ammazzati in battaglie.
All’epoca mi ci appassionai, adesso quei testi mi disturbano. Che può
significare? Un bambino accetta la violenza e la morte se inserite in un
racconto epico. Da bambini si gioca alla guerra e si mimano le uccisioni che si
sono viste al cinema, in televisione o nei videogiochi. Ma la Morte di cui
dobbiamo parlare in Quaresima è una brutta morte. E’ una esecuzione capitale,
una condanna a morte. E’ tutta un’altra cosa.
Perché quella morte è stata necessaria per
procurarci la vita eterna, per sconfiggere la morte?
Che si possa morire nel tentativo di salvare
altri il bambino lo capisce: di cose come queste sono pieni i film che gli
fanno vedere in televisione e al cinema. Ad esempio l’ultimo episodio di Guerre Stellari. Teniamo conto che
quando parliamo ai bambini dei romani, del loro impero e dei problemi che
avevano e che crearono nella Gerusalemme di cui si racconta nelle narrazioni
della Passione, un bambino può andare a ripescare nella sua mente immagini dell’impero
galattico di quel film. E questo anche se, all’età del catechismo per la Prima
Comunione è in grado di rendersi conto della differenza tra realtà e fantasia.
Il rischio però è che collochi i racconti della Passione nello stesso scaffale mentale di quelli della saga di Guerre Stellari.
Un bambino del catechismo non è in grado di
capire le complesse questioni teologiche che stanno dietro alle liturgie della
Quaresima.
Infine un bambino vive la sua vita giorno per giorno,
vive nel presente. Se è sicuro che c’è qualcuno che si occupa, oggi,
di lui, non ha molte altre vere
preoccupazioni. Ha bisogno di sapere quando i genitori verranno a prenderlo dal
catechismo: se non li vede quando si aspetta che ci siano, allora sì che si
preoccupa. Non ha il timore della morte che sviluppiamo noi adulti. Gli
psicologi dicono che per rassicurarli, quando ci chiedono quando si muore, basta
rispondere che si muore quando si è finito di vivere, che
poi è la verità.
Allora come presentare queste storie bibliche
che sono tanto importanti nella nostra fede?
Un catechista dovrebbe seguire una linea
concordata con i sacerdoti della parrocchia o comunque, nel caso di catechesi
non parrocchiale, raccordarsi con la linea della diocesi. La catechesi è un servizio della fede che ha come punto di
riferimento obbligato il vescovo.
Nel mio lavoro di genitore ho presentato la
cosa come segue.
Tanti anni fa Roma aveva creato un impero e
aveva conquistato le terre intorno al mare Mediterraneo e anche la Palestina,
dove vivevano gli ebrei, un posto in Oriente, al di là di quel mare. Vi avevano
mandato dei soldati e un governatore. I romani avevano una loro idea del bene e
del male e avevano le loro leggi, che avevano imposto anche in Palestina.
Anche gli ebrei di allora avevano una loro
idea del bene e del male e le loro leggi. I romani avevano consentito loro di
continuare a seguirle in molte cose.
Ebrei e romani non si volevano bene. Gli ebrei
avrebbero preferito che i romani se ne andassero, per poter continuare a seguire
in tutto la loro fede religiosa, e i romani invece, che ne seguivano un’altra,
volevano rimanere.
A quei tempi, quando una persona faceva un
male grave la uccidevano, sia i romani che gli ebrei.
Gli ebrei di quel tempo, sottomessi dai
romani, si aspettavano un intervento liberatore dal loro Dio. Non avevano le
forze per fare da soli. Come avevano insegnato gli antichi profeti pensavano
che bisognasse innanzi tutto cambiare vita, perché era stato loro spiegato che la loro terra era
stata occupata e il loro popolo sottomesso quando si erano allontanati dal bene
insegnato dalla loro religione. E aspettavano un inviato dal Cielo, una persona
consacrata, che li guidasse nella
liberazione e nella giusta via per fare il bene.
Gesù presentò sé stesso come l’inviato di Dio
che era atteso. Ma egli manifestò di essere molto di più di ciò che gli ebrei
di allora attendevano: sostenne di essere il Figlio di Dio, Dio lui stesso. Non
disse quindi di essere solo una guida
per liberare il suo popolo, gli ebrei, ma presentò sé stesso come la salvezza
di quel popolo e di tutti i popoli della terra, anche quindi di quelli che non
facevano parte del suo popolo. La sua era una salvezza che andava molto oltre
la liberazione degli ebrei di allora dai romani. Era salvezza da tutto il male
che c’è nella vita degli esseri umani. Insegnò che la via di salvezza dal male che c’era
sulla terra era nel seguirlo, ascoltarlo, unirsi a lui nella
maniera in cui lui ci mostrò e che
ancora noi oggi seguiamo nella Messa.
I capi degli ebrei di quel tempo e i romani
che occupavano la Palestina di allora non gli credettero, anche se egli,
guarendo tante persone malate, aveva dimostrato di avere il potere di
realizzare quanto diceva. Rimasero attaccati
alle loro vie per fare il bene. I capi degli ebrei di allora non accettarono
che egli fosse Dio, la considerarono una cosa impossibile, un inganno e una
grave mancanza contro la loro fede religiosa, punita con la morte secondo la
loro legge religiosa. Guidarono il popolo degli ebrei di Gerusalemme contro di
lui. I romani pensarono che egli volesse liberare il suo popolo dal loro
dominio, come già altri avevano tentato di fare, e questo per loro era punito
con la morte. Per questo Gesù fu condannato a morte e giustiziato dai romani. Anche i capi religiosi della Gerusalemme di quel tempo lo volevano punito con la morte, secondo la loro legge religiosa, e nei Vangeli si racconta che spinsero il popolo di Gerusalemme a chiedere ai romani che fosse giustiziato. Gesù non si sottrasse a quella morte: la accettò come volontà di Dio; ci
amava e ci amò fino alla fine. Amò anche i suoi nemici. Non fece loro del male. Amando, come Dio ama,
ci ha aperto la via della salvezza. Perché Dio non ci abbandona mai, si occupa
sempre di noi. I genitori che si occupano dei loro bambini, non li abbandonano, danno loro tutto ciò che serve e innanzi tutto l'affetto, seguono la via di Dio, amano.
Per noi cristiani Gesù era effettivamente Dio e Dio lo liberò dalla morte, lo fece risorgere. Perché la sua era ed è ancora la via di Dio, quella che porta a Dio, la via della vita eterna. La morte non poteva tenerlo in suo potere. Egli è ancora la nostra guida e vive la vita di Dio, a cui tutti noi siamo destinati: questa è la vita eterna. Risurrezione è entrare nella vita eterna in Dio.
Anche a noi può succedere di avere una nostra idea del bene e del male e di volerla
seguire anche a costo di fare del male agli altri. Ma la salvezza dal male che
c’è nella vita degli esseri umani è seguire la via di Dio, che è quella dell’amore. Seguire la via di Dio significa convertirsi.
Non seguire la via di Dio conduce lontano da Dio: è il peccato. Dio non ci abbandona nel peccato, perché ci ama e vuole il nostro bene. Ha mandato Gesù per farci tornare sempre sulla via di Dio. Gesù stesso è quella via. Andando verso di lui si va verso Dio. Amare anche chi ha abbandonato la via di Dio e cercare di riportarvelo è la misericordia. Gesù ha mandato tutti noi che crediamo in lui, la sua Chiesa, ad aiutare il mondo a trovare la via di Dio.
E' misericordia anche aiutare tutti quelli che soffrono, come fece Gesù. Perché amare è anche vestire, sfamare, curare, proteggere, istruire, tenere al sicuro in una casa, non lasciare soli, quelli che ne hanno bisogno, come i genitori fanno con i bambini.
Questo modo di presentare i fatti della
Passione ha funzionato con le mie figlie. Ma ci sono altri modi per farlo. Ogni
modo deve essere adattato alla capacità di comprensione di chi ascolta. Quindi
consiglio di cercare di capire che cosa i bambini a cui si parla sanno della
cosa. E di rispondere puntualmente, senza troppo allargare il discorso, alle
domande che faranno, quando ascolteranno i testi biblici che vengono loro proposti.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente Papa - Roma, Monte Sacro, Valli