INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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lunedì 29 febbraio 2016

Coalizzare forze giovani

Coalizzare forze giovani

[Dall’enciclica Laudato si,  del papa Francesco, del maggio 2015]

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228. La cura per la natura è parte di uno stile di vita che implica capacità di vivere insieme e di comunione. Gesù ci ha ricordato che abbiamo Dio come nostro Padre comune e che questo ci rende fratelli. L’amore fraterno può solo essere gratuito, non può mai essere un compenso per ciò che un altro realizza, né un anticipo per quanto speriamo che faccia. Per questo è possibile amare i nemici. Questa stessa gratuità ci porta ad amare e accettare il vento, il sole o le nubi, benché non si sottomettano al nostro controllo. Per questo possiamo parlare di una fraternità universale.
229. Occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti. Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera cultura della cura dell’ambiente.
230. L’esempio di santa Teresa di Lisieux ci invita alla pratica della piccola via dell’amore, a non perdere l’opportunità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasi piccolo gesto che semini pace e amicizia. Un’ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo. Viceversa, il mondo del consumo esasperato è al tempo stesso il mondo del maltrattamento della vita in ogni sua forma.
231. L’amore, pieno di piccoli gesti di cura reciproca, è anche civile e politico, e si manifesta in tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore. L’amore per la società e l’impegno per il bene comune sono una forma eminente di carità, che riguarda non solo le relazioni tra gli individui, ma anche «macro-relazioni, rapporti sociali, economici, politici». Per questo la Chiesa ha proposto al mondo l’ideale di una «civiltà dell’amore» [espressione ripresa dal Messaggio per la Giornata Mondiale  della Pace del 1997 del papa Paolo 6° - Montini].  L’amore sociale è la chiave di un autentico sviluppo: «Per rendere la società più umana, più degna della persona, occorre rivalutare l’amore nella vita sociale – a livello, politico, economico, culturale - facendone la norma costante e suprema dell’agire» [citazione dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 582, diffuso nel 2004 dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace]. In questo quadro, insieme all’importanza dei piccoli gesti quotidiani, l’amore sociale ci spinge a pensare a grandi strategie che arrestino efficacemente il degrado ambientale e incoraggino una cultura della cura che impregni tutta la società. Quando qualcuno riconosce la vocazione di Dio a intervenire insieme con gli altri in queste dinamiche sociali, deve ricordare che ciò fa parte della sua spiritualità, che è esercizio della carità, e che in tal modo matura e si santifica.
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 Abbiamo bisogno di coalizzare forze giovani. Non parlo di indottrinarle, anche in quella modalità più dolce che è il catechizzarle. Intendo proprio  coalizzarle: vale a dire radunarle  in un impegno collettivo. Tempo fa ho definito questa attività come una vera e propria  leva, al  modo di quella che un tempo si faceva per i militari.
  Derivo la mia opinione sui giovani dalla mia esperienza di giovane degli anni ’70 e ’80 e da quella di padre nel primo decennio del nuovo millennio. Si tratta quindi di vita vissuta, ma di vita ormai datata. Ad un cinquantenne inoltrato che non sia in qualche modo coinvolto in attività educative la vita dei più giovani è, del resto, preclusa. Come sono i giovani d’oggi? Non lo so. Da quello che ne leggo, chi se ne occupa non finisce mai di stupirsi per le esperienze positive che se ne possono fare. Le cronaca recente ci ha rimandato la storia delle splendide vite di due ragazzi  italiani uccisi in fatti di violenza a sfondo politico, a Parigi e a Il Cairo: una ragazza e un ragazzo d’oro in ogni senso, i figli che ogni genitore vorrebbe avere. Erano usciti dalla nostra Italia di oggi, da famiglie normali come tante altre. E si è scoperto che, intorno a loro, ce n’erano tanti altri come loro. Ce ne sono sicuramente anche da noi, alle Valli, non c’è motivo per dubitarne. E’ di persone come loro che abbiamo bisogno. Ne abbiamo tanta nostalgia.
  Perché ho parlato di reclutamento? Un’esperienza collettiva non può iniziare dai giovani stessi? Può avvenire, indubbiamente, anche in religione. A Roma un movimento come quello di S. Egidio è stato iniziato da dei liceali. Ma in genere ci sono sempre dei riferimenti a persone più adulte: un giovane in un certo senso attende sempre una chiamata, una  vocazione. Questo è particolarmente vero in religione: si ritiene che uno dei  criteri di ecclesialità  di un’esperienza collettiva sia di non essere sorta completamente da sola, di non essere completamente autoreferenziale.
  Radunare i dispersi  è uno dei principali compiti di una collettività religiosa secondo la nostra fede. Non ci si raduna però come un gregge  in un ovile: questa è l’insufficienza delle immagini analogiche di tipo pastorale. Ci si raduna per un impegno collettivo: per trasformare la Terra intera in un solo popolo, per radunare  tutti.
 Gli adulti devono parlare ai giovani di questo lavoro, che nello stesso tempo è  propriamente missione.  Non sempre lo fanno. Certe volte presentano la vita di fede solo come la ciliegina sulla torta, come la guarnizione di una vita. Da giovane questo modo di vivere la religione non mi coinvolgeva per nulla. L’idea di  missione, invece, mi appassionava di più. Ma c’era poco tempo per pensarci.
  La vita di un adulto tra i trenta e i sessant’anni è totalmente presa da lavoro e famiglia, c’è di solito poco tempo per altro. Gli adulti, allora, pensano che quella dei giovani sia una vita di svago, piena di tempo libero, ma sbagliano, hanno dimenticato la loro vita da giovani.
 La vita dei più giovani è trasformazione e frenesia. Bisogna imparare a fare tantissime cose in brevissimo tempo. Si vive in un mondo di coetanei che può essere  molto crudele. Se si finisce fuori della corrente si ha tempo libero, ma è tempo perso, tempo inutile, da emarginati. Se non si tiene conto di questa realtà, si lavora a vuoto con i giovani.
  Un giovane deve, per sua natura, per la vita che per natura si trova a vivere, concentrarsi su ciò che veramente  gli serve per crescere.
  C’è ancora, in religione, qualcosa che può essere utile a un giovane nel lavoro che fa per crescere? Molte delle cose che proponiamo ai giovani nella fede sono solo impedimenti e, anche, spesso, inutili  impedimenti.
  Nella vita dei giovani ha un’importanza enorme l’amore. Se pretendiamo che vi rinuncino li perdiamo.  C’entra la scoperta della sessualità, ma, quando concentrano tutto su di essa, in realtà i giovani copiano atteggiamenti di gente più adulta, di gente che all’amore, ad un certo punto, ha rinunciato. Dall’amore scaturisce una mentalità sociale, un’idea di società. L’amore si vive in società, perché la società è indispensabile all’amore. E’ per questo che le persone omosessuali hanno tanto desiderato una legge che in società riconoscesse il loro amore. La società giusta per l’amore può essere anche quella buona idealizzata  dalla religione, fatta di gente che si vuole bene. Per il semplice sesso, invece, la società non è necessaria e neanche il volersi bene: tutto si può consumare rapidamente anche in una qualche squallido tugurio, fisico o  morale. Certi metodi catechistici del passato e del presente pretendono di esercitare un’estenuante polizia sessuale collezionando insuccessi su insuccessi e non sanno confrontarsi con l’amore, far emergere l’amore, si occupano solo di sesso. E’, in fondo, una visione clericale del problema, di persone che si vietano l’amore. L’intrusione sessuale è inutile, in religione: l’obiettivo non deve essere il divieto, ma l’equilibrio, che ad un certo punto, in genere ma non sempre, si raggiunge da adulti, in modo sempre precario però, quando si sviluppa la capacità di amare veramente. Essa non è innata come il sesso, si impara e occorre farne tirocinio. Tra l’amore e il sesso sta la coscienza personale, l’origine della dignità della persona, e il lavoro catechistico la deve rispettare.
 Il pensiero sociale prodotto dalla nostra esperienza religiosa, che è qualcosa di più vasto della dottrina sociale  (argomento secondo Pierpaolo Donati in Pensiero sociale cristiano e società post-moderna, AVE, 1997, un libro che mi fu donato nel 2013 dal nostro Lorenzo Daniele), è molto interessante e utile anche per un giovane d’oggi, perché contiene molte rappresentazioni di vie per costruire società amorevoli, adatte a sviluppare l’amore.  Di solito su di esso si sorvola nella catechesi, ed è per questo, credo, che i giovani ci lasciano. La religione come ciliegina sulla torta di una vita è inutile per loro.  Al centro di quel pensiero sociale vi è l’idea di riforma sociale: se ne può cogliere un bell’esempio nell’ultima enciclica di papa Bergoglio, la Laudato si’. Ma l’idea stessa di riforma, qualunque essa sia, è considerata con sospetto negli ambienti clerico-moderati nazionali, ai quali spesso ci si riferisce parlando di “la Chiesa”.
 Una prima via per fare largo a giovani in parrocchia può essere allora quella di essere meno bacchettoni, intrusivi e conservatori  e di disfarsi dei molti pregiudizi sui giovani che da adulti attempati, con sempre meno esperienza dei giovani, si tende a maturare.
  Il problema di un giovane è, in fondo, quello di  sempre: costruire una società in cui far vivere e fruttificare il suo amore. L’ordine sociale in questo è molto duro, tende a sfruttare e tiranneggiare i giovani e a presentare ogni loro sogno di bene come una sciocca illusione infantile. Vuole che si accontentino, sesso invece di amore, vita da proletari, dannarsi per la semplice sussistenza, invece che sviluppo della propria realtà professionale e familiare,  e via dicendo.  La società, in fondo non vuole cambiare, non vuole fare spazio ai giovani. Quella italiana è particolarmente accanita in questo. Questo l’ha portata ai margini del progresso sociale, ma anche in molti altri campi.
  Un’alternativa è possibile, la fede religiosa ce lo conferma. Vuole realizzare una civiltà dell’amore, nientedimeno (cfr enclica Laudato si’, n.231). E’ cosa che richiede un impegno collettivo, innanzi tutto di forze giovani. La legge della giungla proposta dall’ordine economico contemporaneo, la lotta di tutti contro tutti per la sopravvivenza del più forte, del più spregiudicato, del più violento, è profondamente inumana e istintivamente rigettata da un giovane nel pieno dell’amore. Ma noi, in religione, del suo amore spesso ci occupiamo solo per fini repressivi di polizia sessuale.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli.



  

domenica 28 febbraio 2016

Domenica 28-2-16 – 3° Domenica di Quaresima - Letture e sintesi dell’omelia della Messa delle nove – avvisi del parroco e di A.C.

Domenica 28-2-16 – 3° Domenica di Quaresima - Lezionario dell’anno C per le domeniche e le solennità – – colore liturgico:  viola – 3° settimana del salterio -   Letture e sintesi dell’omelia della Messa delle nove – avvisi del parroco  e di  A.C.

Osservazioni ambientali: 16° C, nuvoloso.
Canti: ingresso,  Lodate Dio; offertorio, Mistero della Cena; comunione, Eccomi!; finale Andate per le strade.
 Nel post del 27-2-16 è stato pubblicato il foglietto parrocchiale dei canti scelti per la Quaresima 2016.

 Alla Messa delle nove il gruppo di A.C. era nei banchi di sinistra, a fianco dell’altare, guardando l’abside.


L'ambone e il presbiterio della chiesa parrocchiale oggi, qualche minuto prima delle nove



Come funziona il Sacramento della Penitenza - schema trovato e fotografato in sala rossa nel corso della riunione di AC 



Buona domenica a tutti i lettori!

Incontro in parrocchia con don Luigi Ciotti
 Sabato 5 marzo prossimo, alle ore 19:00, nella chiesa parrocchiale incontreremo don Luigi Ciotti. Sarà l'occasione per chiedergli buoni consigli.
Biografia su
http://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-ciotti/

Pillola di Concilio
[Dalla Dichiarazione sulle religioni della Chiesa con le religione non cristiana  Nel nostro tempo - Nostra aetate, del Concilio Vaticano 2° (1962-1965)]

Fraternità universale
5. Non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio. L'atteggiamento dell'uomo verso Dio Padre e quello dell'uomo verso gli altri uomini suoi fratelli sono talmente connessi che la Scrittura dice: «Chi non ama, non conosce Dio » (1 Gv 4,8).
Viene dunque tolto il fondamento a ogni teoria o prassi che introduca tra uomo e uomo, tra popolo e popolo, discriminazioni in ciò che riguarda la dignità umana e i diritti che ne promanano.
In conseguenza la Chiesa esecra, come contraria alla volontà di Cristo, qualsiasi discriminazione tra gli uomini e persecuzione perpetrata per motivi di razza e di colore, di condizione sociale o di religione. E quindi il sacro Concilio, seguendo le tracce dei santi apostoli Pietro e Paolo, ardentemente scongiura i cristiani che, « mantenendo tra le genti una condotta impeccabile » (1 Pt 2,12), se è possibile, per quanto da loro dipende, stiano in pace con tutti gli uomini, affinché siano realmente figli del Padre che è nei cieli.

Tutte e singole le cose stabilite in questo Decreto, sono piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E Noi, in virtù della potestà Apostolica conferitaci da Cristo, unitamente ai Venerabili Padri, nello Spirito Santo le approviamo, le decretiamo e le stabiliamo; e quanto stato così sinodalmente deciso, comandiamo che sia promulgato a gloria di Dio.
Roma, presso San Pietro, 28 ottobre 1965.

Prima lettura
Dal libro dell’Esodo (Es 3,1-8a.13-15)

  In quei giorni, mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb.
 L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava.
 Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio.
 Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele».
 Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?».
 Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».

Salmo responsoriale
Dal salmo 102 (103)


Ritornello:
Il Signore ha pietà del suo popolo.

Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici. 
 
Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia. 
 
Il Signore compie cose giuste,
difende i diritti di tutti gli oppressi.
Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie,
le sue opere ai figli d’Israele. 
 
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Perché quanto il cielo è alto sulla terra,
così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono. 

Seconda lettura
Dalla prima  lettera di san Paolo ai Corinzi (1Cor 10,1-6.10-12

Non voglio che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto.
 Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono.
 Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere.

Vangelo
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 13,1-9)
  In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
  Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Sintesi dell’omelia della Messa delle nove

  Con le letture bibliche della Messa di oggi la Chiesa madre ci nutre, nella preparazione alla Quaresima.
  Nel brano evangelico è narrato come Gesù, prendendo spunto da dolorosi fatti di cronaca, ci ha esortati ad essere sempre  pronti.
 Le disgrazie che ci possono accadere non sono una vendetta di Dio per i nostri peccati, perché Dio, sia quello dell’Antico Testamento sia quello del Nuovo, è il medesimo Dio lento all’ira e misericordioso.
  Ogni giorno della nostra vita può accaderci di doverci presentare davanti a Dio. Bisogna sforzarsi di rimanere in grazia di Dio. Di essere sempre pronti.
 Gesù vuole frutti da noi, come da quell’albero di fico del  Vangelo di oggi. Li attendeva da quell’albero anche se non era la stagione dei frutti. Bisogna essere sempre pronti e dare frutti secondo la volontà di Dio, non quando pare a noi giusto produrli.
 Nella prima lettura Dio si presenta come “Io sono colui che sono”. Egli non ha bisogno, per sussistere, di qualcuno o qualcosa al di fuori di lui. Siamo noi che ne abbiamo bisogno, nelle nostre miserie. Ma, in Dio, la salvezza ci è data senza che occorra meritarcela: basta accoglierla.
 L’atteggiamento giusto è quello di Maria: dire, come lei, “avvenga di me quello che hai detto”; fidarsi di Dio.

Sintesi di Mario Ardigò, per come ha compreso le parole del celebrante

Avvisi del parroco:


-ogni mercoledì di Quaresima, dopo la messa vespertina, si terrà una riflessione sulle opere di misericordia;
-ogni giovedì di Quaresima, dopo la messa vespertina, si terrà la Lectio Divina:
-ogni venerdì di Quaresima, dopo la messa vespertina, si pregherà con il pio esercizio della Via Crucis.

Avvisi di A.C.
-  la riunione infrasettimanale del gruppo parrocchiale di AC si terrà martedì 1-3-16, alle ore 17, in sala rossa. Proveremo i canti della Messa per la Quaresima. I membri del  gruppo sono invitati a riflettere, con il metodo della Lectio Divina, sulle letture della Messa di domenica 6-3-16 (4° di Quaresima),  Gs 5,9a.10-12; Sal 33 (34); 2Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32, in modo da poter dare un contributo personale nel corso della meditazione che, con il prezioso aiuto dell’assistente ecclesiastico, su di esse si farà insieme nel corso della riunione









Capire la parrocchia. I neocatecumenali

Capire la parrocchia. I  neocatecumenali

 Vivo nel quartiere dall’età di due anni e me ne solo allontanato solo tra il  gennaio 1987 e il febbraio 1991 per ragioni di sede di lavoro prima e, tornato a Roma e per alcuni  mesi, nell’attesa che fosse risistemata la casa che ho  dalle nostre parti. Posso dire quindi di conoscere bene la parrocchia, la sua storia, i suoi problemi.
 Che ne direi ai nuovi preti che sono giunti tra noi?
 Direi loro che, prima di tutto, occorre informarsi sui neocatecumenali, perché dall’inizio degli anni ’90 la nostra è sostanzialmente diventata una parrocchia neocatecumenale. E li avvertirei che non è facile farlo, soprattutto per chi è abituato a cercare di farsi una prima idea delle cose ricercando sul WEB. Lì si trovano due tipi di fonti: quelle del movimento e quelle dei fuoriusciti del movimento. Io le ritengo entrambe poco affidabili perché troppo ideologizzate, in un caso a favore e nell’altro in senso contrario. Nelle visioni ideologiche non si colgono le sfumature, tutto è bianco o nero. La vita vera, però, è diversa.
 In parrocchia abbiamo a che fare con delle  persone neocatecumenali, non con castelli ideologici. Per una persona acculturata viene facile criticare un’ideologia, si tratta di lavorare sui concetti, ma confrontarsi con le persone è più difficile.
 Chi sono i neocatecumenali come persone? Sono persone buone. Bisogna sempre ricordarlo.  Lo attesto perché ne ho fatta diretta esperienza personale.
 Queste persone buone sono inquadrate in un sistema di vita religiosa che ha originato molti dei problemi che la parrocchia sta vivendo. E questo mentre ne ha risolti altri. Anche questo dobbiamo ricordarlo. La via neocatecumenale, come stile di vita religiosa personale, è, in sé, buona. I problemi sono sorti quando, di fatto, se ne è fatta l’unica  praticabile nella parrocchia. Lo si è fatto in buona fede, con buone  intenzioni, per rinnovare la vita religiosa della parrocchia. E non dobbiamo nemmeno imputare questa scelta alle singole persone neocatecumenali. Non saprei nemmeno ricostruire la catena di comando che l’ha adottata. E, di ciò che non so, non parlo né scrivo.
 Bisogna tener conto di un’altra cosa importante, nell’affrontare la questione neocatecumenale nella nostra parrocchia. L’organizzazione neocatecumenale, che è un ente ecclesiastico, è molto più di un movimento di spiritualità: si propone, di fatto, la riforma integrale delle nostre collettività religiose, di trasformarle a sua immagine. Questo non è scritto nei suoi statuti, ma di fatto è cosi. Ha istituito propri seminari e ha preti propri, formatisi al suo interno. Ha cominciato ad avere dei vescovi   di riferimento. Tra i movimenti di riforma ecclesiastica sorti in concomitanza, e per certi versi in alternativa, con quello indotto dall’ultimo concilio mi sembra senz’altro il più originale. In particolare è l’unico non clericale. E’ fondamentalmente reazionario, nel senso che si propone di reagire alla secolarizzazione incalzante della società, in particolare di quella occidentale. Costituisce punti di resistenza collettiva religiosa intorno a piccole comunità caratterizzate da rapporti di solidarietà personale, affettiva ed economica molto intensi. Crea artificialmente quelle che mio zio Achille in un suo libro che ebbe molta notorietà negli anni ’80 definiva   realtà di mondo vitale.  Queste piccole comunità non sono tra loro federate, ma semplicemente  accostate  l’una all’altra. La coerenza del sistema è data da un corpo di specialisti catechisti, formati nel movimento, che di fatto esercitano una direzione spirituale nelle piccole comunità di perfezionamento religioso. Per come mi appare, la linea di comando e gli indirizzi, religiosi e non, non salgono dal basso, ma scendono dall’alto. Mi pare quindi una via non democratica, al contrario di quella seguita, ad esempio, in AC. Il movimento segue indirizzi catechistici propri, ha sviluppato una propria liturgia, un proprio gergo religioso, una propria simbologia, una propria arte figurativa, musicale e canora, una propria architettura. Tutto questo ha improntato profondamente la nostra parrocchia. Le molte particolarità della via religiosa neocatecumenale rendono piuttosto difficile, in genere, per un prete non formato alle consuetudini del movimento, esercitare il proprio ministero pastorale  nelle piccole comunità neocatecumenali. Queste difficoltà si moltiplicano per un parroco non neocatecumenale, al quale compete anche l’esercizio di un’autorità  religiosa, su mandato del vescovo.
 Da un certo punto di vista mi è sempre apparso piuttosto problematico il coordinamento tra il ministero ordinato e quello catechistico proprio del movimento e, in particolare, quindi tra preti e catechisti neocatecumenali. In passato la situazione si è risolta per il fatto che preti e catechisti facevano riferimento al medesimo movimento. E ora?
 Di fatto, negli anni passati l’indirizzo catechistico neocatecumenale è stato quello della parrocchia e il percorso della prima formazione religiosa portava prima o poi, inevitabilmente, i ragazzi al contatto con catechisti neocatecumenali che proponevano loro di seguire la via del Cammino, anche se non necessariamente ad aderire a quel movimento.
 L’indirizzo catechistico neocatecumenale presenta diversi aspetti critici, per come la vedo io naturalmente. E io mi sono formato in ambiente cattolico-democratico di ispirazione dossettiana.
 Il primo, veramente macroscopico, riguarda la questione femminile e su questo non sto a dilungarmi, perché ne ho trattato diffusamente in altri precedenti interventi.
 Il secondo riguarda la sessualità nell’adolescenza: l’approccio, quando si è trattato di seguire la formazione delle mie figlie, mi è apparso troppo intrusivo e io non l’ho adottato con le mie ragazze, avendolo trovato intollerabile quando ero stato della loro età (sono un ragazzo degli anni ’70).
 Il terzo concerne l’atteggiamento verso il  mondo  di fuori, visto essenzialmente come la sede del male, da cui tenersi quindi lontani, in ogni senso. Questo comporta, mi è apparso, una scarsa considerazione dell’importanza di conoscere e fare tirocinio del grande pensiero sociale espresso nella nostra fede religiosa negli ultimi due secoli.  E la mancata pratica delle procedure democratiche, la grande conquista culturale prodottasi dal secondo dopoguerra negli ambienti religiosi della nostra fede.
 Il quarto è, infine, specificamente attinente alle nostre collettività e consiste nella profonda diffidenza con cui vengono guardate tutte le altre vie religiose. Non di rado la diffidenza è reciproca. Si diffida e si teme. Questo limita molto la possibilità di intesa. Vivendo lontani si finisce anche per conoscersi sempre meno e, conoscendosi sempre meno, a diffidare ancor di più.
  Per come la vedo io, la parrocchia dovrebbe avere un unico indirizzo catechistico generale ed esso dovrebbe essere quello stabilito dal vescovo locale d’intesa con i suoi confratelli riuniti nella Conferenza episcopale nazionale.  Tutti i diversi metodi particolari dovrebbero armonizzarsi con esso. Questo non mi pare sia accaduto nella nostra parrocchia. Del resto si è assistito ad un progressivo avvicinamento del direttorio catechistico generale, valido a livello mondiale, a quello neocatecumenale: questo si è avuto durante il regno religioso del papa Wojtyla. Questa tendenza è cambiata con il suo successore e ancor più con il Papa ora regnante.
  Come sarebbe un universo religioso della nostra fede totalmente rigenerato secondo il metodo neocatecumenale? Nella nostra parrocchia ne vediamo una approssimazione. Vi è stato attuato un esperimento di quella che ho chiamato  neocatecumenalizzazione spinta  e questo che vediamo ne è il risultato. Se ci si vuole discostare un po’ dal Cammino, ad esempio recuperando il pluralismo delle origini, quello che vediamo ancora praticato nelle parrocchie intorno, si incontrano molte difficoltà, per la profonda e quasi totale integrazione tra le strutture del movimento neocatecumenale e quelle della parrocchia. Tutti i front office  sono gestiti dai neocatecumenali.
 Il principale problema creatosi in quell’esperimento di cui dicevo è la progressiva profonda estraneità tra parrocchia e quartiere. Questo perché la via neocatecumenale non è per tutti, in particolare per quegli aspetti critici che ho presentato. Penso che ci sia gente che si è sentita rifiutata, anche ingiustamente criticata per  i suoi stili di vita, in particolare familiari (per i conviventi, separati e divorziati, sempre più numerosi tra i credenti), e si è allontanata e poi, allora,  non ci porta i sui figli per la formazione religiosa. Così io mi spiego il crollo delle iscrizioni al catechismo per la Prima Comunione degli anni passati.
  Che consiglio dare allo staff di nuovi preti che ci è stato inviato in missione dalla diocesi per porre rimedio ai vari problemi che abbiamo?
   E’ questo: frequentate molto più da vicino i neocatecumenali, cercate di capirli uno per uno e nell’insieme. Chiedete, ma anche  pretendete, di partecipare alle loro liturgie, convivenze e via dicendo. Ne avete diritto e anche il dovere, e mi scuso del carattere perentorio che stona da parte di un laico che si rivolge a dei preti. Non giudicate mai solo per sentito dire, anche sulla base delle mie chiacchiere,  o solo per averne letto, andate a vedere  di persona che cosa c’è, chi sono e come vivono realmente la fede le persone neocatecumenali di cui vi dovete occupare nel vostro ministero, questa parte del vostro gregge che tanta importanza ha nella vita della parrocchia. Io, ad esempio, pur avendo vissuto da tanto tempo in parrocchia,  non so veramente  che cosa c’è e quindi non ve ne posso nemmeno parlare.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli










venerdì 26 febbraio 2016

Un cosa nuova

Un cosa nuova

  Nei ritagli di tempo sto leggendo un romanzo di Gabriel Garcia Marquez in cui c’è un vescovo di una città colombiana di qualche secolo fa che vive in un grande palazzo con tante stanze chiuse, disabitate: gliene bastano due e un grande terrazzo. L’edificio ha l’aspetto diruto. Oltre alle stanze frequentate del vescovo, c’è un altro ambiente abitato ed è una grande e fornita biblioteca, in cui passa quasi tutto il suo tempo un prete  suo antico discepolo e attuale collaboratore. L’ambiente religioso è quello cupo dell’Inquisizione spagnola. Intorno si muove una città per la quale la religione ha una rilevanza superficiale, dedita al traffico di schiavi e piena di superstizioni. A voler essere pessimisti potremmo vedervi  l’evocazione di un’immagine della nostra parrocchia e del quartiere intorno.
  Ma in religione si può essere pessimisti?
  Si comincia ad essere pessimisti cronici più o meno alla mia età, intorno ai sessanta e questo per tanti motivi, ma fondamentalmente per i molti segni di declino fisico che cominciano ad essere avvertiti, anche se la civiltà in cui viviamo, che ci preserva da certe grandi fatiche del passato, consente di conservarci più  a lungo.
 In un momento come quello che stiamo vivendo, un anziano coglie solo il tramonto triste di ciò che ha vissuto, di tutto un mondo.
 Uno più giovane potrebbe invece viverlo come l’aurora di un mondo nuovo, come l’occasione per una rifondazione. I nostri testi sacri si chiudono con una visione del genere, con un  far nuove tutte le cose.
 Gli stati aurorali portano con sé una forte emotività, che viene descritta come sentimento di stato nascente. E’ ciò che si vive nell’innamoramento.
 Si tratta di un’esperienza che non è preclusa ai più anziani. Per loro però la difficoltà sta nell’aspetto relazionale che richiede: infatti essa si manifesta in nuovi rapporti umani. La rifondazione richiede di farsi nuovi amici. Per un anziano questo è più difficile per questioni innanzi tutto fisiologiche. E’ più difficoltoso per uno come lui, avvicinarsi emotivamente agli altri e anche essere avvicinato. E’ invece del tutto naturale  per un giovane. I più anziani, ad un certo punto, cominciano purtroppo a fare esperienza di essere diventati come invisibili per il mondo intorno a loro.
 In religione ci sono molti ostacoli alle rifondazioni. Innanzi tutto è difficile trovare un quadro culturale per attuarle. Bisogna convivere con istituzioni piuttosto pesanti che tendono a ricondurre tutto a schemi antichi. C’è poi una teologia che, mentre non ha in genere un’immagine realistica dell’umanità intorno a sé, tende ad essere fondamentalmente un’istanza critica del nuovo, alla costante ricerca di una verità che sempre le sfugge. La nuova teologia, quella che fu all’origine dell’ideologa dell’ultimo Concilio, che, sostengono alcuni, era già stato scritto  ancor prima di iniziare, si era molto appassionata a noi laici e ora invece ne è piuttosto delusa e tende ad intrattenersi solo con sé stessa. Ha qualche problema a concepirsi come attività di ricerca, al modo delle altre scienze umane. Non ha abbandonato, in fondo, il sogno impossibile di raccontarci la  verità su tutto.
 In secondo luogo: come fare  una rifondazione se sono rimasti solo anziani, che ne sono fisiologicamente meno capaci, o persone più giovani che però temono le rifondazioni in ciò che veramente nuovo  possono portare? Le rifondazioni umane si basano su nuove amicizie, che sono gli strumenti per moltiplicare le relazioni tra le persone, per costruire un nuovo ambiente sociale.  Tra i dodici e i vent’anni, gli anni in cui si vivono le amicizie più intense, quelle che possono durare una vita, si è impavidi nell’accostare persone nuove: è il momento dell’espansione delle personalità. Prima non se ne è ancora capaci: non lo sono i bambini del catechismo dell’infanzia. Dopo ci si concentra sulla famiglia e sul lavoro, che prendono quasi tutto il tempo. Ecco che, allora, riportare in parrocchia i liceali e gli universitari è molto importante per creare l’ambiente umano che serve per la rifondazione. Si tratta però di persone in veloce metamorfosi fisica e psicologica, per le quali l’amore sessuale ha un’importanza enorme. Questo rende difficoltoso gestirle per un’ideologia religiosa piuttosto conformista, bacchettona e clericale come talune di quelle che qualche volta vedo attuate qui a Roma, in giro. A volte mi pare che si preferisca, ad un certo punto, prendere congedo  da quei giovani, quando risulta impossibile inquadrarli in qualche modo, per poi  recuperarli  dopo una quindicina d’anni o giù di lì, quando chiedono aiuto per la formazione dei figli piccoli. Ma,  a quel punto, saranno diventati solo degli  utenti  religiosi e la storia poi si ripeterà con i loro figli. E’ così che, mi pare, sia iniziata la decadenza della nostra esperienza parrocchiale.
  In questa situazione, un settore critico è quello del catechismo per la prima formazione religiosa. E’ lì infatti che, mentre si fa educazione alla fede, bisogna individuare e coltivare le persone giuste, con il cuore e la forza per farci ripartire. A volte è difficile figurarsele in  certi bambini irrequieti delle nostre classi di catechismo. Ma quei bimbi cresceranno presto e non dobbiamo più perderne nemmeno uno: li dobbiamo mettere subito al servizio della fede, devono, da subito, essere molto più che scolari. Da lì devono uscire gli animatori dei futuri gruppi  giovani.  Attraverso di loro possiamo agganciare i trentenni e quarantenni loro genitori e coinvolgerli. Ma, nell’attività di rifondazione, gli adulti saranno al seguito dei più giovani. Accade sempre così, a ben vedere.
 Infine: teniamo conto che le rifondazioni richiedono anche di essere espresse artisticamente. L’arte arriva dove la teologia non riesce a giungere. I giovani hanno bisogno di aver sempre una canzone nel cuore.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli



giovedì 25 febbraio 2016

Un lungo lavoro da fare

Un lungo lavoro da fare

   Una considerazione realistica della parrocchia come è diventata dopo tanti anni in cui le cose sono andate come sono andate porta a prevedere che per uscire dalla situazione in cui siamo sarà necessario un lungo lavoro. Lungo quanto?
  Mancano le persone, mancano alcune generazioni addirittura.
  Se si correggeranno i problemi che si sono creati nella formazione religiosa di secondo livello, probabilmente avremo un ambiente umano capace di attirare gente giovane da fuori tra una decina d’anni. Nelle classi di età più avanti negli anni, trentenni e quarantenni, forse potremo arrivare prima a questo risultato, se i genitori dei ragazzi dei gruppi giovani non saranno tenuti lontano.
 Il risultato andrà però di pari passo alla rivitalizzazione sociale del quartiere: i problemi della parrocchia sono, in fondo, gli stessi del quartiere. Anche l’ambiente cittadino intorno a noi ha cominciato ad avere un aspetto un po’ diruto, come quello del complesso parrocchiale, con l’incredibile quantità di buche che vediamo nelle nostre strade e l’abbandono del complesso scolastico della vecchia scuola elementare Parini  a piazza Capri. La situazione del quartiere è rappresentata, in qualche modo, dalle rovine dell’un tempo frequentatissimo ex bar Paranà a via Val Padana, bruciato due volte, e la reiterazione dell’incendio, la seconda volta, mentre si stava ricostruendo il locale dopo il primo, può segnalare che si tratta di fatti dolosi, collegati alla pressione malavitosa sui commercianti del quartiere.
  Non c’è da perdersi d’animo naturalmente. Don Ciotti, che verrà tra  noi tra qualche giorno, ha affrontato situazioni molto più difficili. Potrà darci qualche buon consiglio.
 Ma dobbiamo prendere atto che non si può pensare che ogni cosa torni al suo posto solo per il lavoro degli ottimi preti della parrocchia. Occorre un impegno più forte di tutti laici noi del quartiere. Ripartire con la parrocchia farà bene anche al quartiere, perché la parrocchia è la struttura sociale non commerciale più grande delle nostre parti, con tanti grandi spazi oggi non più utilizzati.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli


mercoledì 24 febbraio 2016

Religione senza amicizia

Religione senza amicizia


   Per tutta la nostra vita andiamo in cerca dell’amicizia e non siamo veramente appagati se non la troviamo. La cerchiamo anche nell’amore sessuale, una volta placata la tempesta emotiva che esso suscita e anche certe relazioni di sopraffazione che comporta, come, sembra, tutto ciò che è puramente naturale. L’amore sessuale non dura a lungo, la sua logica naturale non è fatta per questo, anche se sull’amore eterno si è scritta molta poesia e si è fatta anche molta ideologia. Però può essere la base per una buona amicizia, di una relazione molto intensa, di una vicinanza tra due persone che non si può avere in altro modo: questa amicizia può continuare anche per una vita, e comunque per molti anni. Solo in questo modo l’amore sessuale appaga veramente. Ed è il miglior risultato che si può ottenere da una relazione coniugale.
  Anche nella religione cerchiamo l’amicizia. Il detto evangelico  “Vi ho chiamato amici” viene incontro ad una nostra profonda esigenza interiore. Essa è stata spesso trascurata nella costruzione delle nostre collettività di fede.
  Il movimento per il rinnovamento della catechesi che  è stato iniziato nel 1970 con la diffusione del Documento di base (che può senz’altro essere una lettura utile anche per i catechisti di oggi, lo trovate sul WEB all’indirizzo
http://www.educat.it/documenti/download/Il%20Rinnovamento%20della%20Catechesi_sito.pdf)
ha fatto sempre più conto sull’elemento comunitario come coadiuvante nella catechesi. Si è capito che la comunità può sostenere la fede. Ma in genere, quando in religione si tratta di queste cose, si sorvola abbastanza sul fondamento umano delle collettività di fede, intrattenendosi molto sulle questioni teologiche che sono implicate negli aspetti comunitari  della religione. Questo dipende fondamentalmente dalla particolare formazione avuta dai preti e dai religiosi, tutta indirizzata a privilegiare un’amicizia per così dire soprannaturale. Ad essi si insegna, nella formazione specifica al loro ufficio, a vietarsi rapporti di amicizia troppo intensi. C’entrano le questioni sull’impegno al celibato, naturalmente, ma anche una certa diffidenza verso i rapporti puramente umani, visti come sempre precari e anche fonte di sviamento.
  Mettendo a confronto il Documento di base,  del 1970, e il Direttorio Generale per la catechesi  del 1997 si nota subito che nel secondo l’aspetto comunitario è molto più trattato che nel primo. Due esperienze storiche indussero a farvi più conto: quella delle  comunità di base  dell’America Latina,  a cui fece riferimento il papa Montini nell’esortazione apostolica L’annunzio del Vangelo,  del 1975, e quella della Chiesa polacca, che si riflette nell’esortazione apostolica  La catechesi,  diffusa nel 1979 dal papa Wojtyla. Nella prima era centrale l’idea di  liberazione  sociale mediante un’azione collettiva ispirata dalla fede, nella seconda quella di  difesa  sociale della religione da una politica di ateismo militante. La prima si costituì storicamente dalla base, appunto, dei fedeli e successivamente la gerarchia religiosa, radunata nel CELAM, il Consiglio Episcopale Latino-Americano  l’assecondò, nel corso di sue storiche conferenze generali, a partire da quella di Medellin (in Colombia) del 1968, l’assecondò costruendovi sopra una strategia di lungo respiro e anche una teologia; la seconda si organizzò all’origine intorno alla gerarchia religiosa.  Entrambe furono fortemente impegnate in politica e solo superficialmente le si potrebbero considerare su fronti opposti. In realtà esse reagivano a problemi sociali locali, a diverse forme di oppressione del popolo alle quali si riconosceva un significato religioso: le dittature dell’America Latina schierate a difesa dei più ricchi e dei discendenti della colonizzazione europea contro i più poveri e i nativi americani; la società totalitaria dominata da un regime comunista ateo.
  In Italia ha avuto corso a lungo un modello comunitario che combinava quelle due esperienze. Essenzialmente si è pensato di sfruttare a favore della vita di fede quel tanto di pressione che un gruppo può esercitare sugli individui che gli appartengono.
 In Italia l’esigenza di  liberazione  riguarda da vicino solo settori limitati della popolazione e non vi sono, in fondo, esigenze di  difesa  dalla società intorno, perché viviamo in un contesto profondamente infiltrato dalla religione e anche in una società marcatamente clericale. Insomma, il tipo di  comunità  - sostegno che si è cercato di realizzare da noi, liberamente ispirato a quei due modelli a cui sopra ho accennato, era privo di quei caratteri politici  che caratterizzava questi ultimi. Mancava infatti il collante sociale che era costituito dall’esigenza di  reagire  a problemi anche politici della società che influivano sulla vita di fede.
 Fondamentalmente il modello  comunitario  che si è cercato di attuare da noi ha avuto un fondamento teologico ed  è stato visto essenzialmente come un sostegno alla  catechesi  allo sviluppo della fede e alla formazione religiosa. Lo possiamo quindi considerare un modello di tipo  catechistico. Nella nostra parrocchia lo troviamo realizzato nelle comunità neocatecumenali. Il suo limite è nella   sua settorializzazione, per cui tutto è subordinato alla formazione religiosa. Ma la catechesi  è solo una  delle manifestazioni comunitarie della fede.
  Avvicinandoci a una comunità cerchiamo l’amicizia, un appagamento che solo lì possiamo trovare. Ed è anche nella comunità che cerchiamo l’amore sessuale. Dell’una e dell’altro si fa esperienza insieme agli altri. Si tratta di realtà che non sono indifferenti alla fede, ma che non sempre si riesce a gestire al meglio nelle realtà concrete. Le comunità religiose tendono sempre ad essere troppo  fredde  e a  manifestare anche un certo dispotismo, per cui pretendono di saperla lunga sugli altri e di saperli plasmare, ricostruire. A volte l’appoggio che danno ha un caro prezzo. Ma è proprio necessario pretenderlo?
  In parrocchia viviamo una fase di  rifondazione. Ciclicamente esse avvengono in ogni collettività. L’istituzione religiosa  rimane, perché  è strutturata proprio a questo scopo, ma se non si  rifonda, quanto occorre, la collettività a cui è destinata, essa diviene priva di senso e, alla lunga, decade anch’essa. Diverse cose, quindi, stanno cambiando. Si vorrebbe avvicinare più gente, la molta gente che adesso ha perso familiarità con la parrocchia: lo si può fare in spirito di amicizia e questo richiede di cambiare mentalità e metodi; potenziare l’aspetto dell’amicizia rende necessario provare a conoscere meglio, senza pregiudizi, quelli a cui ci rivolgiamo, per capirne realisticamente le vite, le esigenze, le mentalità. Bisognerà far meno conto sulle abitudini e conservare sufficiente capacità di ripensamento, riflessione, autocritica: lo consiglio Joseph Colomb nel manuale di catechetica che ho citato ieri. Scrive:
“… il catechista deve spogliarsi della sua scienza teologica non assimilata, della sua cultura e del so vocabolario di adulto e di uomo di Chiesa, del suo desiderio di riuscire, di ottenere risultati appariscenti e persino di vedere nella vita l’influsso del proprio insegnamento. Da tutte queste ricchezze egli prende solamente quello che  è necessario per la vita spirituale dei suoi uditori, pe cui rassomiglia a Dio infinitamente ricco che «si annienta» nel suo stesso dono, cioè si dà nella misura della nostra debolezza. proprio  questa «benignità» di Dio nel suo dono attira la nostra confidenza e nulla provoca il nostro dono più del Bambino Gesù e dell’Uomo-Dio”. [Joseph Colomb, Al servizio della fede - manuale di catechetica, LDC, 1970, pag.26].
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
 



martedì 23 febbraio 2016

Stasera in AC abbiamo giocato con la "Bibbia Enigmistica"

Stasera in AC abbiamo giocato con la "Bibbia Enigmistica"

  Nella riunione di stasera del gruppo di AC abbiamo giocato con la pagina che vedete qui sotto, tratta dalla "Bibbia Enigmistica", un libretto molto interessante di Claudio Monetti, edito nella collana Guida alla Bibbia da Edizioni San Paolo, €6,90, attualmente in commercio, acquistabile anche su San Paolo store, <http://www.edizionisanpaolo.it/religione_1/bibbia/guida-alla-bibbia/libro/la-bibbia-enigmistica.aspx>
  Provate anche voi a cimentarvi!




La lezione della storia

La lezione della storia

  Mia madre, negli anni ’70, quando frequentò da studentessa di Scienze dell’Educazione il vicino Ateneo Salesiano divenendo forse la laica più informata dei temi della catechetica della parrocchia, cosa che le costò l’estromissione dal servizio catechistico per i fanciulli, studiò su un corposo manuale di catechetica della fine degli anni 60, che ancor oggi viene consigliato dai formatori di catechisti, Al servizio della fede - Manuale di Catechetica, edito da LDC nel 1970, ora acquistabile solo usato e consultabile nelle biblioteche religiose, del francese Joseph Colomb (1902-1979), uno dei teologi promotori del rinnovamento della catechesi dopo l’ultimo Concilio ecumenico.
  A pag. 15 di quel libro leggo:
La mancanza di tempo di cui siamo vittime ci obbliga sovente a procedere alla svelta, sbrigativamente, col risultato che ci preoccupiamo più di far imparare che di far «scoprire» e capire, e tralasciamo importanti aspetti del messaggio.
 Nella nota che c’è dopo questa proposizione si legge:
Un esempio: in un tempo in cui la storia e la storicità sono elementi essenziali di ogni conoscenza profana, l’insegnamento della storia della Chiesa è quasi totalmente trascurato dai cattolici: la fede cattolica trascura la propria «memoria».
  E una realtà che anche oggi possiamo constatare nel servizio della catechesi.
  In parte questo è dovuto all’insufficiente formazione dei catechisti, anche di quelli che hanno raggiunto livelli più elevati di istruzione.
 A motivo dell’acuta polemica politica con il papato romano, nell’Ottocento, nel quadro della questione nazionale italiana, che vide i Papi schierarsi sul fronte reazionario contrario all’unità nazionale, gli studi teologici furono soppressi in Italia nelle università pubbliche e confinati in quelle religiose, alle dirette dipendenze dei Pontefici. Questo ha avuto conseguenze gravi nell’acculturazione religiosa dei ceti colti. Di certi argomenti di storia religiosa non si è più informati.
  E in religione dei temi storici che riguardano le nostre collettività religiose si ha difficoltà a parlare in spirito di verità perché gran parte di quelle memorie contengono elementi insopportabili.
  Emerge, in particolare, che l’incapacità di accettare diversità di pensiero che riguardavano temi sui quali era impossibile raggiungere vere certezze, perché relativi a realtà soprannaturali che ci si sottraggono, ha danneggiato duramente gli sviluppi dell’evangelizzazione, in particolare nel lavoro che si stava cominciando a fare, addirittura intorno al Quinto secolo, verso l’Asia e l’Africa. Questi processi conflittuali ebbero come protagonisti i nostri capi religiosi, in particolare i Papi romani e gli altri patriarchi dell’Oriente che dall’antichità  gli contendevano il dominio teologico sui fedeli di allora, e poi altri ancora ciclicamente insediatisi a dominare le loro collettività religiose. Tra i due poli della verità e della carità, che dovrebbero sempre rimanere vitalmente collegati, ci si incaponì sul primo a spese del secondo e questo generò una grande e bellicosa teologia che poi venne strumentalizzata in continue lotte di potere. Su questa teologia si sono formati i nostri preti e i nostri vescovi. Intorno ad essa si sono creati degli interdetti che sono difficili da superare, per quanto essi, cambiata la situazione politica che li aveva originati, vadano perdendo senso.
  La lezione che un laico di fede dovrebbe trarre da una realistica considerazione della nostra storia religiosa è, in fondo, quella biblica secondo la quale «solo tre cose contano: fede speranza amore. La più grande di tutte è l’amore» (1Cor 13,13).  Questo in fondo è il senso dell’evento in corso del Giubileo della misericordia, che viene dopo un lungo tempo in cui si è posto l’accento sulla necessità di conformità a certe dottrine ritenute non negoziabili.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli



lunedì 22 febbraio 2016

Parlare della Passione, Morte e Resurrezione ai bambini del catechismo

Parlare della Passione, Morte e Resurrezione ai bambini del catechismo

  In Quaresima bisogna parlare ai bambini della Passione, Morte e Resurrezione. Ma come farlo perché intendano ciò che si vuole comunicare loro?
 Mi rendo conto che quando, da bambino, a catechismo, mi parlarono di quelle cose non capii quasi nulla. E si tratta di argomenti centrali nella fede.
 Quali sono  i problemi?
  Innanzi tutto c’è la questione della morte. Può sembrare strano ma, a pensarci bene,  si tratta di una realtà di cui nessuno fa esperienza. La morte infatti interrompe la possibilità di fare esperienze. Possiamo osservare la morte degli altri, può accadere anche a dei bambini. Ma allora non facciamo esperienza della morte: guardiamo  solo dei morti. Nella Passione si racconta una morte, ma anche si parla della nostra  morte ed è difficile farlo anche rivolgendosi ad un adulto.
 Poi c’è il problema della sofferenza, della Passione, a cui è collegata la Morte di cui dobbiamo parlare.
 Un bambino è un essere naturale: sa che può soffrire. Accetta la sofferenza come viene, giorno per giorno. L’ho osservato quando ho frequentato i reparti di ematologia, dove ho incontrato diversi bambini malati. Quello che non riuscivo a capire, da bambino, è perché l’avessero voluto far soffrire tanto, Lui, una persona buona, innocente.
 La questione della Resurrezione è più semplice: è la vita eterna. E’ una realtà a cui non sempre noi adulti di fede crediamo veramente. Ma se un catechista dice a un bambino del catechismo che siamo destinati alla vita eterna non sbaglia e probabilmente lui non chiederà altro, perché il futuro del dopodomani è già oltre le sue prospettive di bimbo. Come sarà la vita eterna, potrebbe chiedere? Quando arriveremo, vedremo, risponderei. E anche questa è la realtà. Inutile proporgli tante congetture. Lo annoierebbero solo, non capirebbe. Con i bambini è meglio essere sinceri e parlare loro di ciò che effettivamente sappiamo, delle cose come veramente sono.
 C’è poi che i carnefici furono soldati romani. E  noi viviamo a Roma. Da un lato, da noi, si è in fondo orgogliosi di discendere  dai romani, dall’altro sono proprio loro che l’hanno giustiziato.
 C’è anche la questione dell’atteggiamento del popolo di Gerusalemme. Nella storia evangelica della Passione c’è un voltafaccia che i bambini, e innanzi tutto io da bambino, faticano a capire. E i sacerdoti  di quel tempo, di quella città? Che differenza c’è con i nostri? Un bambino non lo sa. Da certi racconti potrebbe nascere una sfiducia sul vivere la fede in comunità a contatto con i sacerdoti. Ma anche raccontare che certe brutte cose sono accadute a quei tempi in Palestina perché là si era ebrei sarebbe sbagliato, perché sono accadute anche dopo e proprio tra gente della nostra fede. Bisogna essere accorti a non suscitare i pregiudizi del passato, anche recente, contro l’ebraismo. ll Maestro non volle rompere con l’ebraismo del suo tempo, tanto è vero che le nostre concezioni religiose sono piene di storie e concezioni da esso provenienti, e innanzi tutto consideriamo testi sacri i suoi stessi testi sacri. Egli dichiarò di essere venuto per salvare innanzi tutto i suoi correligionari. Li criticava perché cambiassero vita, al modo degli antichi profeti dell’ebraismo. E la salvezza che ci ha portato si è diffusa a partire da Gerusalemme: erano tutti ebrei gli apostoli, coloro che mandò ad evangelizzare il mondo.
 C’è un modo di raccontare la Passione che punta molto sulle sofferenze  del condannato.
 Alle medie cominciai a leggere i romanzi d’avventura di Salgari del ciclo dei pirati della Malesia, in cui c’è moltissima violenza, tanto sangue, moltissimi morti ammazzati in battaglie. All’epoca mi ci appassionai, adesso quei testi mi disturbano. Che può significare? Un bambino accetta la violenza e la morte se inserite in un racconto epico. Da bambini si gioca alla guerra e si mimano le uccisioni che si sono viste al cinema, in televisione o nei videogiochi. Ma la Morte di cui dobbiamo parlare in Quaresima è una brutta morte. E’ una esecuzione capitale, una  condanna  a morte. E’ tutta un’altra cosa.
  Perché quella morte è stata necessaria per procurarci la vita eterna, per sconfiggere la morte?
  Che si possa morire nel tentativo di salvare altri il bambino lo capisce: di cose come queste sono pieni i film che gli fanno vedere in televisione e al cinema. Ad esempio l’ultimo episodio di Guerre Stellari. Teniamo conto che quando parliamo ai bambini dei romani, del loro impero e dei problemi che avevano e che crearono nella Gerusalemme di cui si racconta nelle narrazioni della Passione, un bambino può andare a ripescare nella sua mente immagini dell’impero galattico di quel film. E questo anche se, all’età del catechismo per la Prima Comunione è in grado di rendersi conto della differenza tra realtà e fantasia. Il rischio però è che collochi i racconti della Passione nello stesso scaffale mentale  di quelli della saga di  Guerre Stellari.
 Un bambino del catechismo non è in grado di capire le complesse questioni teologiche che stanno dietro alle liturgie della Quaresima.
 Infine un bambino vive la sua vita giorno per giorno, vive nel presente. Se è sicuro che c’è qualcuno che si occupa,  oggi,  di lui, non ha molte altre vere preoccupazioni. Ha bisogno di sapere quando i genitori verranno a prenderlo dal catechismo: se non li vede quando si aspetta che ci siano, allora sì che si preoccupa. Non ha il timore della morte che sviluppiamo noi adulti. Gli psicologi dicono che per rassicurarli, quando ci chiedono  quando si muore, basta rispondere che  si muore quando si è finito di vivere, che poi è la verità.
 Allora come presentare queste storie bibliche che sono tanto importanti nella nostra fede?
  Un catechista dovrebbe seguire una linea concordata con i sacerdoti della parrocchia o comunque, nel caso di catechesi non parrocchiale, raccordarsi con la linea della diocesi. La catechesi  è un  servizio della fede che ha come punto di riferimento obbligato il vescovo.
  Nel mio lavoro di genitore ho presentato la cosa come segue.
  Tanti anni fa Roma aveva creato un impero e aveva conquistato le terre intorno al mare Mediterraneo e anche la Palestina, dove vivevano gli ebrei, un posto in Oriente, al di là di quel mare. Vi avevano mandato dei soldati e un governatore. I romani avevano una loro idea del bene e del male e avevano le loro leggi, che avevano imposto anche in Palestina.
 Anche gli ebrei di allora avevano una loro idea del bene e del male e le loro leggi. I romani avevano consentito loro di continuare a seguirle in molte cose.
 Ebrei e romani non si volevano bene. Gli ebrei avrebbero preferito che i romani se ne andassero, per poter continuare a seguire in tutto la loro fede religiosa, e i romani invece, che ne seguivano un’altra, volevano rimanere.
 A quei tempi, quando una persona faceva un male grave la uccidevano, sia i romani che gli ebrei.
 Gli ebrei di quel tempo, sottomessi dai romani, si aspettavano un intervento liberatore dal loro Dio. Non avevano le forze per fare da soli. Come avevano insegnato gli antichi profeti pensavano che bisognasse innanzi tutto cambiare vita, perché  era stato loro spiegato che la loro terra era stata occupata e il loro popolo sottomesso quando si erano allontanati dal bene insegnato dalla loro religione. E aspettavano un inviato dal Cielo, una persona consacrata,  che li guidasse nella liberazione e nella giusta via per fare il bene.
  Gesù presentò sé stesso come l’inviato di Dio che era atteso. Ma egli manifestò di essere molto di più di ciò che gli ebrei di allora attendevano: sostenne di essere il Figlio di Dio, Dio lui stesso. Non disse quindi di essere  solo una guida per liberare il suo popolo, gli ebrei, ma presentò sé stesso come la salvezza di quel popolo e di tutti i popoli della terra, anche quindi di quelli che non facevano parte del suo popolo. La sua era una salvezza che andava molto oltre la liberazione degli ebrei di allora dai romani. Era salvezza da tutto il male che c’è nella vita degli esseri umani.  Insegnò che la via di salvezza dal male che c’era sulla terra era nel  seguirlo, ascoltarlo, unirsi a lui nella maniera in cui lui ci mostrò e  che ancora noi oggi seguiamo nella Messa.
  I capi degli ebrei di quel tempo e i romani che occupavano la Palestina di allora non gli credettero, anche se egli, guarendo tante persone malate, aveva dimostrato di avere il potere di realizzare quanto diceva.  Rimasero attaccati alle loro vie per fare il bene. I capi degli ebrei di allora non accettarono che egli fosse Dio, la considerarono una cosa impossibile, un inganno e una grave mancanza contro la loro fede religiosa, punita con la morte secondo la loro legge religiosa. Guidarono il popolo degli ebrei di Gerusalemme contro di lui. I romani pensarono che egli volesse liberare il suo popolo dal loro dominio, come già altri avevano tentato di fare, e questo per loro era punito con la morte. Per questo Gesù fu condannato a morte e giustiziato dai romani. Anche i capi religiosi della Gerusalemme di quel tempo lo volevano punito con la morte, secondo la loro legge religiosa, e nei Vangeli si racconta che spinsero il popolo di Gerusalemme a chiedere ai romani che fosse giustiziato. Gesù non si sottrasse a quella  morte: la accettò come volontà di Dio; ci amava e ci amò fino alla fine. Amò anche i suoi nemici. Non fece loro del male. Amando, come Dio ama, ci ha aperto la via della salvezza. Perché Dio non ci abbandona mai, si occupa sempre di noi. I genitori che si occupano dei loro bambini, non li abbandonano, danno loro tutto ciò che serve  e innanzi tutto l'affetto, seguono la via di Dio, amano.
 Per noi cristiani Gesù era effettivamente Dio e Dio lo liberò dalla morte, lo fece risorgere. Perché la sua era ed è ancora la via di Dio, quella che porta a Dio, la via della vita eterna. La morte non poteva tenerlo in suo potere. Egli è ancora la nostra guida e vive la vita di Dio, a cui tutti noi siamo destinati: questa è la vita eterna. Risurrezione è entrare nella vita eterna in Dio.
  Anche a noi può succedere di avere una  nostra idea del bene e del male e di volerla seguire anche a costo di fare del male agli altri. Ma la salvezza dal male che c’è nella vita degli esseri umani è seguire la via di Dio, che è quella dell’amore. Seguire la via di Dio significa convertirsi. 
  Non seguire la via di Dio conduce lontano da Dio: è il peccato. Dio non ci abbandona nel peccato, perché ci ama e vuole il nostro bene. Ha mandato Gesù per farci tornare sempre sulla via di Dio. Gesù stesso è quella via. Andando verso di lui  si va  verso Dio. Amare anche chi ha abbandonato la via di Dio e cercare di riportarvelo è la misericordia. Gesù ha mandato tutti noi che crediamo in lui, la sua Chiesa, ad aiutare  il mondo a trovare la via di Dio. 
 E' misericordia anche aiutare tutti quelli che soffrono, come fece Gesù. Perché amare è anche vestire, sfamare, curare, proteggere, istruire, tenere al sicuro in una casa, non lasciare soli,  quelli che ne hanno bisogno, come i genitori fanno con i bambini.  
 Questo modo di presentare i fatti della Passione ha funzionato con le mie figlie. Ma ci sono altri modi per farlo. Ogni modo deve essere adattato alla capacità di comprensione di chi ascolta. Quindi consiglio di cercare di capire che cosa i bambini a cui si parla sanno della cosa. E di rispondere puntualmente, senza troppo allargare il discorso, alle domande che faranno, quando ascolteranno i testi biblici che vengono loro proposti.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente Papa - Roma, Monte Sacro, Valli