INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

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Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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domenica 28 dicembre 2014

Famiglie

Famiglie




1. Famiglia/famiglie
 Nell’ultimo incontro del MEIC romano è stato osservato che la famiglia è divenuta da isola arcipelago. La famiglia può essere considerata isola nella sua funzione di protezione  dei suoi membri dal grande oceano sociale in cui sono immersi. Se diviene arcipelago è perché diventano correnti diversi modelli di famiglia. In religione questa metamorfosi è vista in genere come negativa perché si ritiene che il modello familiare debba essere uno solo, quello che troviamo tratteggiato, ad esempio, nei nostri catechismi e che rimanda al magistero dei nostri capi religiosi. In realtà anche questo modello religioso in concreto si articola in diverse interpretazioni, che tutte pretendono di essere riconosciute come valide ed efficaci. Tra di esse può esserci una certa tensione, quando si pensa che una o alcune siano da preferirsi ad altre. La tensione è più marcata rispetto ad altri modelli correnti nella società, che non si richiamano a principi religiosi.
2. Cellula  originaria della società
 L’antica tradizione del diritto romano considerava la famiglia come la base della società e vivaio della politica. Dalla famiglia uscivano i cittadini e in essa i giovani si formavano alla partecipazione attiva al governo dello stato. Questa concezione è stata recepita anche dalla nostra dottrina religiosa.  Il tema è trattato in moltissimi documenti del magistero e testi teologici, ma possiamo fare riferimento, per tutti, alla formulazione che troviamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica  (1992-1997), al n. 2207, inserito nel paragrafo 2° La famiglia e la società, a sua volta compreso nell’articolo 4 Il Quarto Comandamento, del capitolo 2° “Amerai il prossimo come te stesso”, della  Sezione 2° I Dieci Comandamenti,  della parte 3° La vita in Cristo (il catechismo è stato costruito come un’opera sistematica, al modo di un codice giuridico, per poter più facilmente rintracciare i principi di dottrina specifici per ciascun caso della vita):
“La famiglia è la cellula  originaria della società. E’ la società naturale in cui l’uomo e la donna sono chiamati al dono di sé nell’amore e nel dono della vita. L’autorità, la stabilità e la vita di relazione in seno alla famiglia costituiscono i fondamenti della libertà, della sicurezza, della fraternità nell’ambito della società. La famiglia è la comunità nella quale, fin dall’infanzia, si possono apprendere i valori morali, si può incominciare ad onorare Dio e a fare buon uso della libertà. La vita di famiglia è un’iniziazione alla vita nella società”.
3. Concezioni religiose sulla famiglia
  Nella concezione religiosa la famiglia  ha anche significati specificamente teologici, in quanto le relazioni del popolo dei fedeli con il soprannaturale vengono presentate, su base biblica, come un’alleanza nuziale. E ciò con particolare riferimento all’amore che lega il Maestro alla collettività che a lui si richiama. Leggiamo ancora nel Catechismo della Chiesa cattolica, nell’articolo 7 Il sacramento del matrimonio,  inserito nella Parte 2°La celebrazione del mistero cristiano:
n.1612: L’Alleanza nuziale tra Dio e il suo popolo Israele aveva preparato l’Alleanza nuova ed eterna  nella quale il Figlio di Dio, incarnandosi e offrendo la propria vita, in certo modo ha unito a sé tutta l’umanità da lui salvata, preparando così «le nozze dell’Agnello».
[…]
n.1617: Tutta la vita cristiana porta il segno dell’amore sponsale di Cristo e della Chiesa. Già il Battesimo, che introduce nel popolo di Dio, è mistero nuziale: è per così dire, il lavacro di nozze, che precede il banchetto di nozze, l’Eucaristia. Il Matrimonio cristiano diventa, a sua volta, segno efficace, sacramento dell’Alleanza di Cristo e della Chiesa. Poiché ne significa e ne comunica la grazia, il Matrimonio fra battezzati è un vero sacramento della nuova alleanza [viene qui citato un deliberato del Concilio di Trento, svoltosi nel Cinquecento, alla quale risale l’attuale disciplina religiosa relativa al  matrimonio].
 E fare di tutti i popoli della terra un’unica famiglia viene presentato come un ideale anche religioso. Possiamo considerare, ad esempio, questo testo della Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes (=la gioia e la speranza), approvato nel corso del Concilio Vaticano 2°:
Per questo il Concilio, testimoniando e proponendo la fede di tutto intero il popolo di Dio riunito dal Cristo, non potrebbe dare una dimostrazione più eloquente di solidarietà, di rispetto e d'amore verso l'intera famiglia umana, dentro la quale è inserito, che instaurando con questa un dialogo sui vari problemi sopra accennati, arrecando la luce che viene dal Vangelo, e mettendo a disposizione degli uomini le energie di salvezza che la Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo, riceve dal suo Fondatore. Si tratta di salvare l'uomo, si tratta di edificare l'umana società. [dal n.3 del Proemio]
 O quest’altro testo, tratto dal medesimo documento:
Iddio, che ha cura paterna di tutti, ha voluto che tutti gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero tra loro come fratelli. Tutti, infatti, creati ad immagine di Dio « che da un solo uomo ha prodotto l'intero genere umano affinché popolasse tutta la terra » (At17,26), sono chiamati al medesimo fine, che è Dio stesso. Perciò l'amor di Dio e del prossimo è il primo e più grande comandamento. La sacra Scrittura, da parte sua, insegna che l'amor di Dio non può essere disgiunto dall'amor del prossimo, «e tutti gli altri precetti sono compendiati in questa frase: amerai il prossimo tuo come te stesso. La pienezza perciò della legge è l'amore » (Rm13,9); (1Gv4,20).[dal n.24 L’indole comunitaria dell’umana vocazione nel piano di Dio, inserito nel capitolo 2° La comunità degli uomini].
 La famiglia fondata sul matrimonio sacramentale è anche considerata come primo nucleo della Chiesa:
E infine i coniugi cristiani, in virtù del sacramento del matrimonio, col quale significano e partecipano il mistero di unità e di fecondo amore che intercorre tra Cristo e la Chiesa (cfr. Ef 5,32), si aiutano a vicenda per raggiungere la santità nella vita coniugale; accettando ed educando la prole essi hanno così, nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al popolo di Dio. Da questa missione, infatti, procede la famiglia, nella quale nascono i nuovi cittadini della società umana, i quali per la grazia dello Spirito Santo diventano col battesimo figli di Dio e perpetuano attraverso i secoli il suo popolo. In questa che si potrebbe chiamare Chiesa domestica, i genitori devono essere per i loro figli i primi maestri della fede e secondare la vocazione propria di ognuno, quella sacra in modo speciale.
[dalla Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium (=luce per le genti), del Concilio Vaticano 2° (1962-1965)].
 In teologia è ritenuta particolarmente significativa la Santa Famiglia di Gesù, Maria, e Giuseppe:
Cristo ha voluto nascere in seno alla santa Famiglia di Giuseppe e di Maria. La Chiesa non è altro che la “famiglia di Dio”.
[dal Catechismo della Chiesa cattolica, n.1655]
4. Famiglia e natura
  Caricate di tutte queste attese, spesso le famiglie si ritengono inadeguate e come tali vengono anche considerate. Insomma, la realtà finisce con il deludere.  Da un lato ci si sforza di migliorarsi e dall’altro ci si sente oggetto di varie pressioni per modificare i propri stili di vita secondo quello che in società di ritiene preferibile. E’ difficile che, vivendo la famiglia, ci si limiti semplicemente a lasciarsi andare, come accade  quando ci si abbandona ai moventi naturali, come quando si respira, si mangia e si beve e ci si muove.
 In effetto poi, quando in religione si parla della famiglia come  società naturale lo si fa in modo diverso dalla filosofia e dall’antropologia. Semplificando, in teologia naturale  significa  secondo il disegno soprannaturale della creazione. In altri ambiti invece il riferimento alla natura viene inteso nel senso di una struttura biologica e di corrispondenti funzioni ed azioni che non sono il prodotto dell’ingegno umano o delle dinamiche sociali, ma derivano dalla lunghissima storia evolutiva degli organismi viventi e, come tali, sono più difficilmente modificabili.
 In genere, in società e anche in religione, non si accetta di abbandonarsi in tutto ai moti naturali. Si pensa infatti che la civiltà abbia  elevato  gli esseri umani dalla loro condizione semplicemente naturale, che li accomuna agli altri esseri animati che vivono sulla terra, quelli che chiamiamo  animali per distinguerli dagli umani. Nelle nostre concezioni religiose quest’idea assume un particolare aspetto, nel senso che in teologia riteniamo che la natura sia  decaduta e non risponda all’originario disegno creatore. Questo pensiero è sintetizzato molto efficacemente, con specifico riferimento al matrimonio, nel Catechismo della Chiesa cattolica:
n.1606. Ogni uomo fa l’esperienza del male, attorno a sé e in se stesso. Questa esperienza si fa sentire anche nelle relazioni fra l’uomo e la donna. Da sempre la loro unione è stata minacciata dalla discordia, dallo spirito di dominio, dall’infedeltà, alla gelosia e dai conflitti che possono arrivare fino all’odio e alla rottura. Questo disordine può manifestarsi in modo più o meno acuto, e può essere più o meno superato, secondo le culture, le epoche, gli individui, ma sembra proprio avere un carattere universale.
n.1607. Secondo la fede questo disordine che noi constatiamo con dolore, non deriva dalla natura dell’uomo e della donna, né dalla natura delle loro relazioni, ma dal peccato. Rottura con Dio, il primo peccato, ha come prima conseguenza la relazione originale dell’uomo e della donna. […]
  Quindi, mentre nelle scienze umane, in particolare nell’antropologia, si vede la civilizzazione come un processo in progredire che ha portato l’umanità da una condizione simile a quella degli animali a quella che si ritiene propria degli esseri umani, in religione il progresso viene visto come un  ritorno  a una originaria condizione ideale, infranta dalla violazione della legge soprannaturale, quindi come un rialzarsi dopo una caduta.
 In ambito non religioso, in particolare  a partire dagli scorsi anni  ’60, il richiamo alla natura è stato anche concepito in funzione di liberazione dalle costrizioni sociali, religiose e non,  che riguardano il matrimonio e la famiglia. La naturalità  delle unioni a carattere sessuale, intesa come lasciarsi condurre in quelle relazioni dalle affinità psicologiche e fisiologiche tra individui, preesistenti  alle norme sociali e indipendenti  dagli influssi sociali, è stata vista come un fattore di liberazione  dall’oppressione sociale, in polemica in particolare con le costrizioni a carattere religioso. Il libero amore viene contrapposto allora all’ordinamento sociale riguardante la famiglia.
 In qualche modo affine a questa concezione è quella che, in religione, vede come base dell’unione coniugale il consenso libero basato sull’amore e non, ad esempio, l’intesa tra le rispettive famiglie, come storicamente accadeva nei matrimoni combinati.  
5. Influssi sociali sulla famiglia
 La famiglia è stata sempre molto importante nelle società umane e, specialmente in quelle del passato, ha avuto anche una rilevanza politica. L’organizzazione  tribale, basta su rapporti di famiglia,   è stata infatti la prima organizzazione politica delle civiltà umane. Ancora oggi le monarchie ereditarie si basano su rapporti di famiglia. E i costumi morali di una società sono in larga misura riferiti alla famiglia. In conclusione, la cultura di una società, come insieme dei costumi e delle concezioni in essa correnti, sono in buona parte riferiti alla famiglia. Così,  è considerato ancora molto importante, nel giudizio che si dà su una persona, sapere come si comporta in famiglia. E le norme sociali, quella morali e quelli propriamente giuridiche, si occupano molto della famiglia. L’ordinamento della famiglia è stato sempre considerato molto importante per la stabilità di una società e i gruppi sociali che hanno storicamente dominato le società umane hanno cercato sempre di influire su di esso. Questa influenza è stata particolarmente significativa in religione. In Italia, il regime totalitario fascista, che ha dominato la nostra società dal primo dopoguerra fino alla metà degli scorsi anni ’40 ha espresso una propria marcata ideologia sulla famiglia, che ha limitato e, in parte, anche deformato quella religiosa. In quell’epoca, infatti, le nostre collettività religiose giunsero a un compromesso con quel regime, che ha lasciato tracce profonde nella nostra cultura, in particolare nel campo della famiglia. E questo nonostante che l’organizzazione dei nostri capi religiosi abbia chiaramente avvertito il rischio dell’influenza totalitaria sull’ideologia riguardante la famiglia e abbiano sempre cercato di mantenere uno spazio di autonomia.
 Come è stato ricordato nell’ultimo incontro del MEIC, l’ideologia fascista sulla famiglia era di tipo paternalistico e autoritario: nella figura del marito/padre vedeva rappresentata l’autorità dello stato. La moglie e i figli obbedivano al marito/padre e quest’ultimo obbediva all'autorità, a sua volta accentrata, dello stato. La famiglia veniva ad essere una articolazione dello stato e ad essere subordinata ai suoi fini.  Nel codice civile promulgato nel 1942, nell’ultima fase del regime fascista, e tuttora vigente, benché modificato in molte norme per renderlo conforme ai nuovi principi costituzionali repubblicani, era prevista una potestà maritale sulla moglie, analoga a quella  patria  sui figli. Il marito era definito come il capo della famiglia e la moglie seguiva la sua condizione civile ed era obbligata a seguirla ovunque egli ritenesse opportuno fissare la propria dimora. Il diritto di famiglia contenuto in quel codice fu modificato solo nel 1975, all’esito di un processo in cui fu fondamentale il progredire dell’emancipazione femminile nella società italiana e a cui partecipò anche il pensiero sociale della nostra fede. Voglio dire che, rispetto a quel processo, la posizione delle nostre collettività di fede non fu solo reazionaria, anche se la componente reazionaria è stata sempre molto sensibile. I testi che ho sopra citato, tratti da documenti normativi del Concilio Vaticano 2° risalenti quindi alla metà degli scorsi anni Sessanta, lo dimostrano chiaramente.
 Nella Costituzione  della Repubblica Italiana, all’art.29, 1° comma, si legge:
La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
 Con questa norma si volle impedire un influsso sulla famiglia analogo a quello che il regime totalitario fascista aveva preteso di esercitare e di fatto  esercitato.  In esso si sente il richiamo alla concezione religiosa della nostra fede, della famiglia come società naturale.  Nondimeno l’espressione è priva di valenza religiosa e vuole solo definire uno spazio di libertà da ingerenze esterne per ciò che riguarda le questioni della famiglia. Quest’ultima, come ricordato nell’ultimo incontro del MEIC viene considerata nella nostra Costituzione una delle principali  formazioni sociali, nella quali si svolge (vale a dire si plasma e si esprime) la personalità degli esseri umani, che sono protette da ingerenze esterne pubbliche e private mediante l’attribuzione di diritti inviolabili. La norma costituzionale non riguarda solo la protezione della famiglia da indebite ingerenze delle autorità della Repubblica: essa riguarda ogni tipo di autorità che si voglia esercitare in società  sulla famiglia. Di ciò non sempre si è ben consapevoli, specialmente in religione. Questo è un tema che riguarda specificamente la libertà religiosa, che la Costituzione della Repubblica prevede all’art.19. In religione si tende a inquadrarlo prevalentemente come libertà delle  nostre collettività religiose, ma in realtà i principali problemi che si pongono oggi in Italia riguardano in questa materia  sia il tema  della libertà  nelle  nostre collettività religiose, sia quello della libertà dalla  religione.
 Problemi molto seri possono sorgere, e in effetti talvolta sono sorti, per l’influsso sociale che le nostre autorità religiose, organizzate secondo principi non solo non democratici ma esplicitamente antidemocratici, pretendono ancora di avere in Italia, e non sono sulle nostre collettività di fede. La Costituzione della Repubblica, all’art.7, riconosce loro ampi spazi di autonomia. In particolare la Repubblica si è negata ogni potere di ingerenza nell’organizzazione interna delle nostre collettività di fede. Ma ha voluto anche respingere ogni analoga ingerenza delle nostre autorità religiose sulla sua organizzazione politica e civile. Questo significa l’espressione che “ Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”.  In  pratica le nostre autorità religiose hanno in genere improntato la loro azione a criteri di saggezza e  moderazione che hanno evitato  conflitti ideologici duri come quelli che si ebbero dopo l’Unità d’Italia e fino al compromesso con il regime fascista, attuato nel 1920 con i Patti Lateranensi.  In questo ha avuto un positivo influsso l’azione politica e sociale del cattolicesimo democratico italiano, che dal secondo dopoguerra è stato una componente fondamentale del nuovo regime democratico repubblicano.
6. Il processo di trasformazione dei modelli di famiglia
 Come ho ricordato, nell’ultimo incontro del MEIC è stato osservato che è in atto un processo sociale di trasformazione dei modelli di famiglia, che non si sa dove porterà. Accanto a modelli tradizionali di famiglia, tra i quali vi è quello di tipo religioso basato sull’idea di un’alleanza stabile tra coniugi fondata sulla fedeltà reciproca, ne vengono attuati diversi altri, alcuni dei quali non prevedono più il requisito della diversità sessuale. In Europa, il principio supremo di non discriminazione  lascia ampi spazi di libertà sociale in questa materia.
 I nostri capi religiosi considerano in genere in modo negativo questa dinamica, ritenendo preferibile che vi sia nella società un unico modello normativo di famiglia, quanto più possibile improntato ai principi che vengono ritenuti fondamentali in religione. Ma, oltre a queste resistenze, si colgono anche, in alcune componenti delle nostre collettività religiose, delle tendenze reazionarie, che spingono per attuare, almeno tra le persone di fede, modelli familiari improntati a principi superati nel corso del Concilio Vaticano 2°.
  Talvolta si sente dire, ad esempio, che l’autorità in famiglia dovrebbe essere una prerogativa maschile, così come l’attività lavorativa esterna. La donna nella famiglia dovrebbe essere il cuore e, in definitiva, dedicarsi alla cura degli altri componenti, in particolare della prole. E’ in definitiva il modello paternalistico, dove il fattore decisivo dell’unità familiare è visto nell’obbedienza all’autorità maritale/paterna. Ciò sarebbe conforme alla legge soprannaturale: l’obbedienza  al marito/padre sarebbe quindi anche manifestazione dell’obbedienza al padre soprannaturale.
 Quest’ultima concezione mi pare diverga marcatamente dalle norme che la nostra collettività religiosa si è data e quindi, come persona di fede, non mi sento obbligato in coscienza a seguirla. E’ ciò ho insegnato anche alle mie figlie. Non debbono sentirsi obbligate in coscienza, per questioni religiose, a seguire una concezione paternalistico/autoritaria della famiglia, particolarmente umiliante per le donne.
 In coscienza, posso dire che certe metamorfosi dei modelli di famiglia non sono state negative. Sono state, anzi, un progresso che ha beneficamente influito anche sulle concezioni religiose delle nostre collettività di fede.
 Del processo di trasformazione della famiglia fa parte anche quello di emancipazione della donna. Ma in esso è coinvolta anche una nuova concezione della dignità dei figli. Queste idee hanno trovato eco anche in religione, come si può notare,  ad esempio, nel Catechismo della Chiesa cattolica, dove, al n. 2203,  si legge, del resto su base neotestamentaria, che i membri della famiglia umana sono uguali in dignità. In questa concezione religiosa, le responsabilità, i diritti e i doveri dei membri della famiglia trovano fondamento nel bene comune, così come deve accadere nella società secondo la dottrina sociale.
 Quello dello sviluppo della dignità umana nella famiglia, in particolare di quella della donna, è una dinamica ancora in atto.  Di fatto, il modello di famiglia consigliato in religione non è più, se ho ben capito, quello paternalistico/autoritario  che aveva avuto corso, ad esempio, in epoca fascista, ma anche successivamente. I coniugi di fede ora condividono anche l’esercizio dell’autorità familiare sui figli e tale autorità si cerca di esercitare in modo da rispettare la dignità dei figli: non si trova in ciò alcun impedimento da parte di precetti religiosi. E il matrimonio concepito come alleanza tra i coniugi non comporta la sottomissione di uno di loro all’autorità dell’altro, per cui, ad esempio, si possa, ai tempi nostri (!),  dire che il marito è il capo della moglie, espressione di un testo di San Paolo (Ef 5,22) che faceva riferimento ai costumi del suo tempo, che oggi viene in genere  intesa nel senso che l’esercizio dell’autorità in famiglia deve essere improntato all’amore soprannaturale.
  In alcune spiritualità il modello paternalistico/autoritario di famiglia viene liberamente scelto come sostegno alla fede dei membri della famiglia. Io non ho obiezioni in merito fino a quando non mi si chieda di aderirvi o si ritenga la mia famiglia, basata su un diverso modello, nella specie sul modello conciliare, inadatta a svolgere alcune funzioni proprie della famiglia, come quella della collaborazione alla prima formazione religiosa della prole.
 Ricordo che, dopo la liturgia della Cresima di una delle mie figlie, ai genitori fu detto che la formazione religiosa post-Cresima sarebbe stata attuata inserendo i ragazzi in incontri presso le famiglie dei formatori, la cui spiritualità mi parve piuttosto propensa a modelli di famiglia più autoritaria di quello praticato nella mia. Si parlò anche della necessità di raddrizzare i ragazzi del post-Cresima. Ribattei che non avrei in alcun modo fatto pressione sulle mie figlie per partecipare a tali incontri, se esse si fossero trovate a disagio, e che, comunque, le mie figlie avevano già una famiglia.  Inoltre dissi che l’idea di raddrizzare  le mie figlie mediante una famiglia diversa dalla loro mi trovava assolutamente dissenziente. Temevo infatti una reazione di rigetto da parte dei ragazzi, che mi pare di aver capito che poi c’è stata, salvo che per le mie figlie, che non frequentarono quegli incontri, e, in genere, per i figli cresciuti e formati in famiglie che avevano adottato quel modello più autoritario e che quindi vi si erano assuefatti. In quell’occasione invocai il rispetto per i diritti della famiglia naturale, che è innanzi tutto quella da cui una persona è biologicamente derivata, che sono riconosciuti come inviolabili sia nella Repubblica sia dalle norme religiose.
 Penso che questioni simili siano particolarmente critiche in particolare nella formazione religiosa prematrimoniale, che in molti casi è l’ultima occasione per recuperare un contatto con persone le quali, per le varie vicende delle loro vite,  si sono allontanate dalle nostra collettività di fede. Va segnalato, in specie, che le donne sono diventate (giustamente) particolarmente insofferenti verso concezioni che le vorrebbero sottoporre nuovamente a umilianti forme di autoritarismo maschile in famiglia, da cui con molta difficoltà sono riuscite finalmente ad affrancarsi. E che in religione non si è obbligati a condividere.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli