Famiglie
1. Famiglia/famiglie
Nell’ultimo incontro del MEIC romano è stato
osservato che la famiglia è divenuta da isola arcipelago. La famiglia può
essere considerata isola nella sua
funzione di protezione dei suoi membri dal grande oceano sociale in cui
sono immersi. Se diviene arcipelago è perché diventano correnti diversi modelli
di famiglia. In religione questa metamorfosi è vista in genere come negativa
perché si ritiene che il modello familiare debba essere uno solo, quello che
troviamo tratteggiato, ad esempio, nei nostri catechismi e che rimanda al
magistero dei nostri capi religiosi. In realtà anche questo modello religioso
in concreto si articola in diverse interpretazioni, che tutte pretendono di
essere riconosciute come valide ed efficaci. Tra di esse può esserci una certa
tensione, quando si pensa che una o alcune siano da preferirsi ad altre. La
tensione è più marcata rispetto ad altri modelli correnti nella società, che
non si richiamano a principi religiosi.
2. Cellula originaria della società
L’antica tradizione del diritto romano
considerava la famiglia come la base della società e vivaio della politica.
Dalla famiglia uscivano i cittadini e in essa i giovani si formavano alla
partecipazione attiva al governo dello stato. Questa concezione è stata
recepita anche dalla nostra dottrina religiosa.
Il tema è trattato in moltissimi documenti del magistero e testi
teologici, ma possiamo fare riferimento, per tutti, alla formulazione che
troviamo nel Catechismo della Chiesa
Cattolica (1992-1997), al n. 2207,
inserito nel paragrafo 2° La famiglia e
la società, a sua volta compreso nell’articolo 4 Il Quarto Comandamento, del capitolo 2° “Amerai il prossimo come te stesso”, della Sezione 2° I Dieci Comandamenti, della
parte 3° La vita in Cristo (il
catechismo è stato costruito come un’opera sistematica, al modo di un codice
giuridico, per poter più facilmente rintracciare i principi di dottrina
specifici per ciascun caso della vita):
“La famiglia è la cellula originaria della società. E’ la società naturale in cui l’uomo e la
donna sono chiamati al dono di sé nell’amore e nel dono della vita. L’autorità,
la stabilità e la vita di relazione in seno alla famiglia costituiscono i
fondamenti della libertà, della sicurezza, della fraternità nell’ambito della
società. La famiglia è la comunità nella quale, fin dall’infanzia, si possono
apprendere i valori morali, si può incominciare ad onorare Dio e a fare buon
uso della libertà. La vita di famiglia è un’iniziazione alla vita nella
società”.
3. Concezioni religiose sulla famiglia
Nella concezione religiosa la famiglia ha anche significati specificamente
teologici, in quanto le relazioni del popolo dei fedeli con il soprannaturale
vengono presentate, su base biblica, come un’alleanza nuziale. E ciò con
particolare riferimento all’amore che lega il Maestro alla collettività che a
lui si richiama. Leggiamo ancora nel Catechismo della Chiesa cattolica,
nell’articolo 7 Il sacramento del
matrimonio, inserito nella Parte 2°La celebrazione del mistero cristiano:
n.1612: L’Alleanza nuziale tra Dio e il suo popolo Israele aveva preparato
l’Alleanza nuova ed eterna nella quale
il Figlio di Dio, incarnandosi e offrendo la propria vita, in certo modo ha
unito a sé tutta l’umanità da lui salvata, preparando così «le
nozze dell’Agnello».
[…]
n.1617: Tutta la vita cristiana porta il segno dell’amore sponsale di Cristo e
della Chiesa. Già il Battesimo, che introduce nel popolo di Dio, è mistero
nuziale: è per così dire, il lavacro di nozze, che precede il banchetto di
nozze, l’Eucaristia. Il Matrimonio cristiano diventa, a sua volta, segno
efficace, sacramento dell’Alleanza di Cristo e della Chiesa. Poiché ne
significa e ne comunica la grazia, il Matrimonio fra battezzati è un vero
sacramento della nuova alleanza [viene qui citato un deliberato del
Concilio di Trento, svoltosi nel Cinquecento, alla quale risale l’attuale
disciplina religiosa relativa al
matrimonio].
E fare di tutti i popoli della terra un’unica
famiglia viene presentato come un ideale anche religioso. Possiamo considerare,
ad esempio, questo testo della Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo Gaudium et spes (=la
gioia e la speranza), approvato nel corso del Concilio Vaticano 2°:
Per questo il Concilio, testimoniando e proponendo la fede di tutto
intero il popolo di Dio riunito dal Cristo, non potrebbe dare una dimostrazione
più eloquente di solidarietà, di rispetto e d'amore verso l'intera famiglia
umana, dentro la quale è inserito, che instaurando con questa un dialogo sui
vari problemi sopra accennati, arrecando la luce che viene dal Vangelo, e
mettendo a disposizione degli uomini le energie di salvezza che la Chiesa,
sotto la guida dello Spirito Santo, riceve dal suo Fondatore. Si tratta di
salvare l'uomo, si tratta di edificare l'umana società. [dal n.3 del
Proemio]
O quest’altro testo, tratto dal medesimo
documento:
Iddio, che ha cura paterna di tutti, ha voluto che tutti gli uomini
formassero una sola famiglia e si trattassero tra loro come fratelli. Tutti,
infatti, creati ad immagine di Dio « che da un solo uomo ha prodotto l'intero
genere umano affinché popolasse tutta la terra » (At17,26), sono chiamati al
medesimo fine, che è Dio stesso. Perciò l'amor di Dio e del prossimo è il primo
e più grande comandamento. La sacra Scrittura, da parte sua, insegna che l'amor
di Dio non può essere disgiunto dall'amor del prossimo, «e tutti gli altri
precetti sono compendiati in questa frase: amerai il prossimo tuo come te
stesso. La pienezza perciò della legge è l'amore » (Rm13,9); (1Gv4,20).[dal
n.24 L’indole comunitaria dell’umana
vocazione nel piano di Dio, inserito nel capitolo 2° La comunità degli uomini].
La famiglia fondata sul matrimonio
sacramentale è anche considerata come primo nucleo della Chiesa:
E infine i coniugi cristiani, in virtù del sacramento del matrimonio,
col quale significano e partecipano il mistero di unità e di fecondo amore che
intercorre tra Cristo e la Chiesa (cfr. Ef 5,32), si aiutano a vicenda per
raggiungere la santità nella vita coniugale; accettando ed educando la prole
essi hanno così, nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono
in mezzo al popolo di Dio. Da questa
missione, infatti, procede la famiglia, nella quale nascono i nuovi cittadini
della società umana, i quali per la grazia dello Spirito Santo diventano col
battesimo figli di Dio e perpetuano attraverso i secoli il suo popolo. In
questa che si potrebbe chiamare Chiesa
domestica, i genitori devono essere per i loro figli i primi maestri della
fede e secondare la vocazione propria di ognuno, quella sacra in modo speciale.
[dalla Costituzione dogmatica
sulla Chiesa Lumen Gentium (=luce per
le genti), del Concilio Vaticano 2° (1962-1965)].
In teologia è ritenuta particolarmente
significativa la Santa Famiglia di Gesù, Maria, e Giuseppe:
Cristo ha voluto nascere in seno alla santa Famiglia di Giuseppe e di
Maria. La Chiesa non è altro che la “famiglia di Dio”.
[dal Catechismo della Chiesa
cattolica, n.1655]
4. Famiglia e natura
Caricate di tutte queste attese, spesso le famiglie si ritengono
inadeguate e come tali vengono anche considerate. Insomma, la realtà finisce
con il deludere. Da un lato ci si sforza
di migliorarsi e dall’altro ci si sente oggetto di varie pressioni per
modificare i propri stili di vita secondo quello che in società di ritiene
preferibile. E’ difficile che, vivendo la famiglia, ci si limiti semplicemente
a lasciarsi andare, come accade quando
ci si abbandona ai moventi naturali,
come quando si respira, si mangia e si beve e ci si muove.
In effetto poi, quando in religione si parla
della famiglia come società naturale lo si fa in modo diverso
dalla filosofia e dall’antropologia. Semplificando, in teologia naturale significa secondo il disegno soprannaturale della
creazione. In altri ambiti invece il riferimento alla natura viene inteso nel
senso di una struttura biologica e di corrispondenti funzioni ed azioni che non
sono il prodotto dell’ingegno umano o delle dinamiche sociali, ma derivano
dalla lunghissima storia evolutiva degli organismi viventi e, come tali, sono
più difficilmente modificabili.
In genere, in società e anche in religione,
non si accetta di abbandonarsi in tutto ai moti naturali. Si pensa infatti che la civiltà abbia elevato gli esseri umani dalla loro condizione
semplicemente naturale, che li
accomuna agli altri esseri animati che vivono sulla terra, quelli che chiamiamo
animali per distinguerli dagli umani. Nelle nostre concezioni religiose
quest’idea assume un particolare aspetto, nel senso che in teologia riteniamo
che la natura sia decaduta e non risponda all’originario
disegno creatore. Questo pensiero è sintetizzato molto efficacemente, con
specifico riferimento al matrimonio, nel Catechismo della Chiesa cattolica:
n.1606. Ogni uomo fa l’esperienza del male, attorno a sé e in se stesso. Questa
esperienza si fa sentire anche nelle relazioni fra l’uomo e la donna. Da sempre
la loro unione è stata minacciata dalla discordia, dallo spirito di dominio,
dall’infedeltà, alla gelosia e dai conflitti che possono arrivare fino all’odio
e alla rottura. Questo disordine può manifestarsi in modo più o meno acuto, e
può essere più o meno superato, secondo le culture, le epoche, gli individui,
ma sembra proprio avere un carattere universale.
n.1607. Secondo la fede questo disordine che noi constatiamo con dolore, non
deriva dalla natura dell’uomo e
della donna, né dalla natura delle loro relazioni, ma dal peccato. Rottura con Dio, il primo peccato, ha come prima
conseguenza la relazione originale dell’uomo e della donna. […]
Quindi, mentre nelle scienze umane, in particolare nell’antropologia, si
vede la civilizzazione come un processo in progredire che ha portato l’umanità
da una condizione simile a quella degli animali a quella che si ritiene propria
degli esseri umani, in religione il progresso viene visto come un ritorno a una originaria condizione ideale, infranta
dalla violazione della legge soprannaturale, quindi come un rialzarsi dopo una caduta.
In ambito non religioso, in particolare a partire dagli scorsi anni ’60, il richiamo alla natura è stato anche concepito in funzione di liberazione dalle
costrizioni sociali, religiose e non, che
riguardano il matrimonio e la famiglia. La naturalità
delle unioni a carattere sessuale,
intesa come lasciarsi condurre in quelle relazioni dalle affinità psicologiche
e fisiologiche tra individui, preesistenti
alle norme sociali e indipendenti dagli influssi sociali, è stata vista come un
fattore di liberazione dall’oppressione sociale, in polemica in
particolare con le costrizioni a carattere religioso. Il libero amore viene contrapposto allora all’ordinamento sociale
riguardante la famiglia.
In qualche modo affine a questa concezione è
quella che, in religione, vede come base dell’unione coniugale il consenso libero
basato sull’amore e non, ad esempio, l’intesa tra le rispettive famiglie, come
storicamente accadeva nei matrimoni
combinati.
5. Influssi sociali sulla famiglia
La famiglia è stata sempre
molto importante nelle società umane e, specialmente in quelle del passato, ha
avuto anche una rilevanza politica. L’organizzazione tribale, basta su rapporti
di famiglia, è
stata infatti la prima organizzazione politica delle civiltà umane. Ancora oggi
le monarchie ereditarie si basano su rapporti di famiglia. E i costumi morali
di una società sono in larga misura riferiti alla famiglia. In conclusione, la
cultura di una società, come insieme dei costumi e delle concezioni in essa
correnti, sono in buona parte riferiti alla famiglia. Così, è considerato ancora molto importante, nel
giudizio che si dà su una persona, sapere come si comporta in famiglia. E le
norme sociali, quella morali e quelli propriamente giuridiche, si occupano
molto della famiglia. L’ordinamento della famiglia è stato sempre considerato
molto importante per la stabilità di una società e i gruppi sociali che hanno
storicamente dominato le società umane hanno cercato sempre di influire su di
esso. Questa influenza è stata particolarmente significativa in religione. In
Italia, il regime totalitario fascista, che ha dominato la nostra società dal
primo dopoguerra fino alla metà degli scorsi anni ’40 ha espresso una propria
marcata ideologia sulla famiglia, che ha limitato e, in parte, anche deformato
quella religiosa. In quell’epoca, infatti, le nostre collettività religiose
giunsero a un compromesso con quel regime, che ha lasciato tracce profonde
nella nostra cultura, in particolare nel campo della famiglia. E questo
nonostante che l’organizzazione dei nostri capi religiosi abbia chiaramente
avvertito il rischio dell’influenza totalitaria sull’ideologia riguardante la
famiglia e abbiano sempre cercato di mantenere uno spazio di autonomia.
Come è stato ricordato nell’ultimo incontro
del MEIC, l’ideologia fascista sulla famiglia era di tipo paternalistico e
autoritario: nella figura del marito/padre vedeva rappresentata l’autorità
dello stato. La moglie e i figli obbedivano al marito/padre e quest’ultimo
obbediva all'autorità, a sua volta accentrata, dello stato. La famiglia veniva
ad essere una articolazione dello stato e ad essere subordinata ai suoi
fini. Nel codice civile promulgato nel
1942, nell’ultima fase del regime fascista, e tuttora vigente, benché
modificato in molte norme per renderlo conforme ai nuovi principi
costituzionali repubblicani, era prevista una potestà maritale sulla moglie, analoga a quella patria sui figli. Il marito era definito come il capo della famiglia e la moglie
seguiva la sua condizione civile ed era obbligata a seguirla ovunque egli
ritenesse opportuno fissare la propria dimora. Il diritto di famiglia contenuto
in quel codice fu modificato solo nel 1975, all’esito di un processo in cui fu
fondamentale il progredire dell’emancipazione femminile nella società italiana
e a cui partecipò anche il pensiero sociale della nostra fede. Voglio dire che,
rispetto a quel processo, la posizione delle nostre collettività di fede non fu
solo reazionaria, anche se la componente reazionaria è stata sempre molto
sensibile. I testi che ho sopra citato, tratti da documenti normativi del
Concilio Vaticano 2° risalenti quindi alla metà degli scorsi anni Sessanta, lo
dimostrano chiaramente.
Nella Costituzione della Repubblica Italiana, all’art.29, 1°
comma, si legge:
La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Con questa norma si volle
impedire un influsso sulla famiglia analogo a quello che il regime totalitario
fascista aveva preteso di esercitare e di fatto esercitato.
In esso si sente il richiamo alla concezione religiosa della nostra fede, della famiglia come società naturale.
Nondimeno l’espressione è priva di valenza religiosa e vuole solo
definire uno spazio di libertà da ingerenze esterne per ciò che riguarda le
questioni della famiglia. Quest’ultima, come ricordato nell’ultimo incontro del
MEIC viene considerata nella nostra Costituzione una delle principali formazioni sociali, nella quali si svolge (vale a dire si plasma e si
esprime) la personalità degli esseri umani, che sono protette da ingerenze esterne
pubbliche e private mediante l’attribuzione di diritti inviolabili. La norma costituzionale non riguarda solo la
protezione della famiglia da indebite ingerenze delle autorità della
Repubblica: essa riguarda ogni tipo di autorità che si voglia esercitare in
società sulla famiglia. Di ciò non
sempre si è ben consapevoli, specialmente in religione. Questo è un tema che
riguarda specificamente la libertà
religiosa, che la Costituzione della Repubblica prevede all’art.19. In
religione si tende a inquadrarlo prevalentemente come libertà delle nostre collettività religiose, ma in realtà i
principali problemi che si pongono oggi in Italia riguardano in questa materia sia il tema
della libertà nelle nostre collettività religiose, sia quello
della libertà dalla religione.
Problemi molto seri possono sorgere, e in
effetti talvolta sono sorti, per l’influsso sociale che le nostre autorità
religiose, organizzate secondo principi non solo non democratici ma
esplicitamente antidemocratici, pretendono ancora di avere in Italia, e non
sono sulle nostre collettività di fede. La Costituzione della Repubblica,
all’art.7, riconosce loro ampi spazi di autonomia. In particolare la Repubblica
si è negata ogni potere di ingerenza nell’organizzazione interna delle nostre
collettività di fede. Ma ha voluto anche respingere ogni analoga ingerenza
delle nostre autorità religiose sulla sua organizzazione politica e civile.
Questo significa l’espressione che “ Lo
Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e
sovrani”. In pratica le nostre autorità religiose hanno in
genere improntato la loro azione a criteri di saggezza e moderazione che hanno evitato conflitti ideologici duri come quelli che si
ebbero dopo l’Unità d’Italia e fino al compromesso con il regime fascista,
attuato nel 1920 con i Patti Lateranensi. In questo ha avuto un positivo influsso
l’azione politica e sociale del cattolicesimo democratico italiano, che dal
secondo dopoguerra è stato una componente fondamentale del nuovo regime
democratico repubblicano.
6. Il processo di trasformazione dei modelli di famiglia
Come ho ricordato, nell’ultimo incontro del
MEIC è stato osservato che è in atto un processo sociale di trasformazione dei
modelli di famiglia, che non si sa dove porterà. Accanto a modelli tradizionali di famiglia, tra i quali vi
è quello di tipo religioso basato sull’idea di un’alleanza stabile tra coniugi
fondata sulla fedeltà reciproca, ne vengono attuati diversi altri, alcuni
dei quali non prevedono più il requisito della diversità sessuale. In Europa,
il principio supremo di non
discriminazione lascia ampi spazi di
libertà sociale in questa materia.
I nostri capi religiosi considerano in genere
in modo negativo questa dinamica, ritenendo preferibile che vi sia nella
società un unico modello normativo di famiglia, quanto più possibile improntato
ai principi che vengono ritenuti fondamentali in religione. Ma, oltre a queste
resistenze, si colgono anche, in alcune componenti delle nostre collettività
religiose, delle tendenze reazionarie, che spingono per attuare, almeno tra le
persone di fede, modelli familiari improntati a principi superati nel corso del
Concilio Vaticano 2°.
Talvolta si sente dire, ad esempio, che
l’autorità in famiglia dovrebbe essere una prerogativa maschile, così come
l’attività lavorativa esterna. La donna nella famiglia dovrebbe essere il cuore
e, in definitiva, dedicarsi alla cura degli altri componenti, in particolare
della prole. E’ in definitiva il modello paternalistico, dove il fattore
decisivo dell’unità familiare è visto nell’obbedienza
all’autorità maritale/paterna. Ciò sarebbe conforme alla legge soprannaturale:
l’obbedienza al marito/padre sarebbe quindi anche manifestazione
dell’obbedienza al padre
soprannaturale.
Quest’ultima concezione mi pare diverga
marcatamente dalle norme che la nostra collettività religiosa si è data e
quindi, come persona di fede, non mi sento obbligato in coscienza a seguirla.
E’ ciò ho insegnato anche alle mie figlie. Non debbono sentirsi obbligate in
coscienza, per questioni religiose, a seguire una concezione
paternalistico/autoritaria della famiglia, particolarmente umiliante per le
donne.
In coscienza, posso dire che certe metamorfosi
dei modelli di famiglia non sono state negative. Sono state, anzi, un progresso
che ha beneficamente influito anche sulle concezioni religiose delle nostre
collettività di fede.
Del processo di trasformazione della famiglia
fa parte anche quello di emancipazione della donna. Ma in esso è coinvolta
anche una nuova concezione della dignità dei figli. Queste idee hanno trovato
eco anche in religione, come si può notare, ad esempio, nel Catechismo della Chiesa
cattolica, dove, al n. 2203, si legge,
del resto su base neotestamentaria, che i
membri della famiglia umana sono uguali
in dignità. In questa
concezione religiosa, le responsabilità, i diritti e i doveri dei membri della
famiglia trovano fondamento nel bene comune, così come deve accadere nella
società secondo la dottrina sociale.
Quello dello sviluppo della dignità umana
nella famiglia, in particolare di quella della donna, è una dinamica ancora in
atto. Di fatto, il modello di famiglia
consigliato in religione non è più, se ho ben capito, quello
paternalistico/autoritario che aveva avuto corso, ad esempio, in epoca
fascista, ma anche successivamente. I coniugi di fede ora condividono anche
l’esercizio dell’autorità familiare sui figli e tale autorità si cerca di
esercitare in modo da rispettare la dignità dei figli: non si trova in ciò
alcun impedimento da parte di precetti religiosi. E il matrimonio concepito
come alleanza tra i coniugi non
comporta la sottomissione di uno di loro all’autorità dell’altro, per cui, ad
esempio, si possa, ai tempi nostri (!),
dire che il marito è il capo della
moglie, espressione di un testo di San Paolo (Ef 5,22) che faceva
riferimento ai costumi del suo tempo, che oggi viene in genere intesa nel senso che l’esercizio
dell’autorità in famiglia deve essere improntato all’amore soprannaturale.
In alcune spiritualità il modello paternalistico/autoritario di famiglia
viene liberamente scelto come sostegno alla fede dei membri della famiglia. Io
non ho obiezioni in merito fino a quando non mi si chieda di aderirvi o si
ritenga la mia famiglia, basata su un diverso modello, nella specie sul modello
conciliare, inadatta a svolgere alcune funzioni proprie della famiglia, come
quella della collaborazione alla prima formazione religiosa della prole.
Ricordo che, dopo la liturgia della Cresima di
una delle mie figlie, ai genitori fu detto che la formazione religiosa
post-Cresima sarebbe stata attuata inserendo i ragazzi in incontri presso le
famiglie dei formatori, la cui spiritualità mi parve piuttosto propensa a
modelli di famiglia più autoritaria di quello praticato nella mia. Si parlò
anche della necessità di raddrizzare
i ragazzi del post-Cresima. Ribattei che non avrei in alcun modo fatto
pressione sulle mie figlie per partecipare a tali incontri, se esse si fossero
trovate a disagio, e che, comunque, le mie figlie avevano già una famiglia.
Inoltre dissi che l’idea di raddrizzare
le mie figlie mediante una famiglia
diversa dalla loro mi trovava assolutamente dissenziente. Temevo infatti una
reazione di rigetto da parte dei ragazzi, che mi pare di aver capito che poi c’è
stata, salvo che per le mie figlie, che non frequentarono quegli incontri, e,
in genere, per i figli cresciuti e formati in famiglie che avevano adottato
quel modello più autoritario e che quindi vi si erano assuefatti. In quell’occasione
invocai il rispetto per i diritti della famiglia naturale, che è innanzi tutto quella da cui una persona è
biologicamente derivata, che sono riconosciuti come inviolabili sia nella Repubblica sia dalle norme religiose.
Penso che questioni simili siano
particolarmente critiche in particolare nella formazione religiosa
prematrimoniale, che in molti casi è l’ultima occasione per recuperare un
contatto con persone le quali, per le varie vicende delle loro vite, si sono allontanate dalle nostra collettività
di fede. Va segnalato, in specie, che le donne sono diventate (giustamente)
particolarmente insofferenti verso concezioni che le vorrebbero sottoporre
nuovamente a umilianti forme di autoritarismo maschile in famiglia, da cui con
molta difficoltà sono riuscite finalmente ad affrancarsi. E che in religione
non si è obbligati a condividere.
Mario Ardigò – Azione Cattolica
in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli