Elementi
critici della ideologia religiosa corrente sul matrimonio (2)
Fu pure detto: “Chi ripudia la propria
moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione
illegittima, la espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette
adulterio [Mt
5,31-32].
Allora gli si avvicinarono alcuni
farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: “E’ lecito a un uomo ripudiare
la propria moglie per qualsiasi motivo?”. Egli rispose: “Non avete letto che il
Creatore da principio li fece maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo
lascerà il padre le la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una
sola carne? Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida
quello che Dio ha congiunto”. Gli domandarono: “Perché allora Mosè ha ordinato
di darle l’atto di ripudio e di ripudiarla?”. Ripose loro: “Per la durezza del
vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli: all’inizio però
non fu così. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso
di unione illegittima, e ne sposa un’altra commette adulterio.
Gli dissero i suoi discepoli: “Se questa è la
situazione dell’uomo rispetto alla
donna, non conviene sposarsi”. Egli rispose loro: “Non tutti capiscono questa
parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Infatti vi sono eunuchi che
sono nati così dal grembo della madre, e ve ne sono altri che sono stati resi
tali dagli uomini, e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno
dei cieli. Chi può capire, capisca. [Mt 19,3-12]
Alcuni farisei si avvicinarono e, per
metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la
propria moglie. Ma egli rispose loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. Dissero:
“Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla”. Gesù disse
loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse pe vi questa norma. Ma
dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina, per questo l’uomo
lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una
carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida
quello che Dio ha congiunto”.
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo
su questo argomento. E disse loro: “Chi ripudia la moglie e ne sposa un’altra,
commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un
altro, commette adulterio”. [Mc 10, 2-12]
Chiunque ripudia la propria moglie e ne
sposa un’altra, commette adulterio; chi sposa una donna ripudiata al marito,
commette adulterio. [Lc
16,18]
[Citazioni
dai Vangeli secondo Matteo, secondo Marco e secondo Luca, dalla traduzione
ufficiale della Bibbia della CEI del 2008]
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L’intima comunità di vita e d’amore
coniugale, fondata al Creatore e strutturata con leggi proprie è stabilita
dall’alleanza dei coniugi, vale a dire dall’irrevocabile consenso personale. E
così, è dall’atto umano col quale i coniugi si danno e si ricevono, che nasce,
davanti alla società, l’istituzione del matrimonio, che ha stabilità per ordine
divino. In vista del bene dei coniugi, della prole e anche della società,
questo legame sacro non dipende dall’arbitrio dell’uomo.
Questa intima unione, in quanto mutua
donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà
dei coniugi e ne reclamano l’indissolubile unità.
L’autentico amore coniugale è assunto
dall’amore divino ed è sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo
e dalla azione salvifica della Chiesa, perché i coniugi in maniera efficace
siano condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nello svolgimento della
sublime missione di padre e di madre Per questo motivo i coniugi cristiani sono
fortificati e quasi consacrati da uno speciale sacramento per i doveri e la
dignità del loro stato.
[n.48]
Quest’amore, ratificato da un impegno
mutuo e soprattutto consacrato da un sacramento di Cristo, resta
indissolubilmente fedele nella prospera e cattiva sorte, sul piano del corpo e
dello spirito, di conseguenza esclude ogni adulterio e ogni divorzio [n.49]
[dalla
Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes (=la gioia e la
speranza), del Concilio Vaticano 2° (1962-1965)]
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L'uomo immagine di Dio
Amore
11. Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1,26s):
chiamandolo all'esistenza per amore, l'ha chiamato nello stesso tempo
all'amore.
Dio è amore (1Gv 4,8) e vive in se stesso un mistero di comunione personale
d'amore. Creandola a sua immagine e continuamente conservandola nell'essere,
Dio iscrive nell'umanità dell'uomo e della donna la vocazione, e quindi la
capacità e la responsabilità dell'amore e della comunione (cfr. «Gaudium et
Spes», 12). L'amore è, pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni
essere umano.
In quanto spirito incarnato, cioè anima che si esprime nel corpo e corpo
informato da uno spirito immortale, l'uomo è chiamato all'amore in questa sua
totalità unificata. L'amore abbraccia anche il corpo umano e il corpo è reso
partecipe dell'amore spirituale.
La Rivelazione cristiana conosce due modi specifici di realizzare la
vocazione della persona umana, nella sua interezza, all'amore: il Matrimonio e
la Verginità. Sia l'uno che l'altra nella forma loro propria, sono una
concretizzazione della verità più profonda dell'uomo, del suo «essere ad
immagine di Dio».
Di conseguenza la sessualità, mediante la quale l'uomo e la donna si donano
l'uno all'altra con gli atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto
qualcosa di puramente biologico, ma riguarda l'intimo nucleo della persona
umana come tale. Essa si realizza in modo veramente umano, solo se è parte
integrale dell'amore con cui l'uomo e la donna si impegnano totalmente l'uno
verso l'altra fino alla morte. La donazione fisica totale sarebbe menzogna se
non fosse segno e frutto della donazione personale totale, nella quale tutta la
persona, anche nella sua dimensione temporale, è presente: se la persona si
riservasse qualcosa o la possibilità di decidere altrimenti per il futuro, già
per questo essa non si donerebbe totalmente.
Questa totalità, richiesta dall'amore coniugale, corrisponde anche alle
esigenze di una fecondità responsabile, la quale, volta come è a generare un
essere umano, supera per sua natura l'ordine puramente biologico, ed investe un
insieme di valori personali, per la cui armoniosa crescita è necessario il
perdurante e concorde contributo di entrambi i genitori.
Il «luogo» unico, che rende possibile questa donazione secondo l'intera sua
verità, è il matrimonio, ossia il patto di amore coniugale o scelta cosciente e
libera, con la quale l'uomo e la donna accolgono l'intima comunità di vita e
d'amore, voluta da Dio stesso (cfr. «Gaudium et Spes», 48), che solo in questa
luce manifesta il suo vero significato. L'istituzione matrimoniale non è una
indebita ingerenza della società o dell'autorità, ne l'imposizione estrinseca
di una forma, ma esigenza interiore del patto d'amore coniugale che
pubblicamente si afferma come unico ed esclusivo perché sia vissuta così la
piena fedeltà al disegno di Dio Creatore. Questa fedeltà, lungi dal mortificare
la libertà della persona, la pone al sicuro da ogni soggettivismo e
relativismo, la fa partecipe della Sapienza creatrice.
[Dall’esortazione
apostolica Familiaris consortio (=la
famiglia), del papa Giovanni Paolo 2°, diffusa il 22-11-81
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Can. 1055 - §1. Il patto matrimoniale con cui l'uomo e la
donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura
ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole, tra
i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento.
§2. Pertanto tra i battezzati non può sussistere un valido
contratto matrimoniale, che non sia per ciò stesso sacramento.
Can. 1056 - Le proprietà essenziali del matrimonio sono
l'unità e l'indissolubilità, che nel matrimonio cristiano conseguono una
peculiare stabilità in ragione del sacramento.
Can. 1057 - §1. L'atto che costituisce il matrimonio è il
consenso delle parti manifestato legittimamente tra persone giuridicamente
abili; esso non può essere supplito da nessuna potestà umana.
§2. Il consenso matrimoniale è l'atto della volontà con cui
l'uomo e la donna, con patto irrevocabile, dànno e accettano reciprocamente se
stessi per costituire il matrimonio.
[dal Codice di diritto
canonico promulgato il 25-1-83 dal papa Giovanni Paolo 2°, con la Costituzione
apostolica Sacrae Disciplinae Leges (=le
leggi della sacra disciplina]
1.Matrimonio-atto e matrimonio-rapporto
L’insegnamento
costante dei nostri capi religiosi
sull’indissolubilità del matrimonio religioso è molto chiaro, risalente alle
nostre collettività religiose delle origini, quindi ad una tradizione molto
antica, ed ha fondamenta bibliche, e in
particolari neotestamentarie. Ho sopra trascritto i brani evangelici, con detti
del Maestro, che vengono di solito citati sul tema dell’indissolubilità
matrimoniale. Ho anche riportato brani della Costituzione pastorale sulla
Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et
spes (=la gioia e la speranza), dell’esortazione apostolica Familiaris consortio (=la famiglia) e
del Codice diritto canonico che ne trattano e ne forniscono la spiegazione
religiosa.
Rilevo che la disciplina giuridica del
matrimonio di impronta religiosa, come contratto consensuale indissolubile dal
quale discendono determinati effetti, in particolare doveri irrevocabili,
risale al Sesto Secolo, mentre il riconoscimento del matrimonio come sacramento
risale al Concilio di Firenze del 1439. Ciò ha determinato una particolare
concentrazione della teologia sacramentale sul momento costitutivo del
sacramento del matrimonio, quindi sul matrimonio-atto, secondo la più antica
impostazione giuridica (per altro certamente influenzata a sua volta dal
pensiero religioso). Infatti, in religione, si ritiene che, una volta espresso
validamente il consenso reciproco sul patto matrimoniale nell’atto-contratto
formale di matrimonio, la successiva volontà dei coniugi, anche consensuale, sia del
tutto ininfluente sul permanere del vincolo insieme sacramentale e giuridico.
L’attività del complesso apparato giurisdizionale, che nelle nostre
collettività religiose è stato organizzato sul modello di quello degli stati
fruendo degli spazi di autonomia garantiti dall’ordinamento costituzionale
italiano, ha contribuito a rafforzare e dettagliare questo orientamento facendo
riferimento, secondo le consuetudini giudiziarie, a un gran numero di casi
concreti, ma anche, come sempre accade nell’attività di interpretazione
giudiziaria, a venire incontro, nei limiti del possibile, a esigenze di
giustizia emergenti dalle parti in causa. Ciò è avvenuto, però, senza farsi lecito di
uscire dall’ideologia giuridica di impronta religiosa tutta concentrata
sull’atto costitutivo del vincolo sacramentale e giuridico, quindi sul
matrimonio-atto. Accade quindi che venga dichiarata la nullità di matrimoni
religiosi nonostante una prolungata convivenza dopo il matrimonio-atto,
addirittura oltre i dieci anni ed anche in presenza di figli, come era accaduto
nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione nella sentenza più avanti citata.
Va ricordato che, prima della riforma del diritto di famiglia del 1975, la
dichiarazione di nullità del matrimonio non comportava, per il coniuge alla
quale la nullità fosse imputabile, l’obbligo di versare periodicamente delle
somme all’altro coniuge a titoli di alimenti,
per aiutarlo nel caso non disponesse di
mezzi di sostentamento. Ciò rendeva il regime della nullità matrimoniale più
favorevole economicamente per il coniuge che disponeva di maggiori mezzi
economici, in genere il marito, rispetto a quello della separazione, che
prevedeva l’obbligo di versare un assegno di mantenimento, per consentire al
coniuge più debole, in genere la moglie, di mantenere
la condizione economica di cui
godeva in famiglia a seguito del matrimonio.
Nel diritto civile della Repubblica italiana
si è data invece sempre più importanza al matrimonio-rapporto (inteso come vincolo rafforzato da un periodo di esperienza matrimoniale,
in cui sia perdurante la volontà di vivere insieme in un nucleo caratterizzato
da diritti e doveri),
e, in particolare, alle concrete dinamiche della convivenza matrimoniale (concetto più esteso della
semplice coabitazione). Si è ritenuto in particolare, con la sentenza delle
Sezioni Unite della Corte di Cassazione
(il più importante collegio di giudici Repubblica) numero 16.379 del 17-7-14,
che la rilevanza del matrimonio-rapporto sia talmente grande nel nostro
ordinamento civile da costituire principio di ordine pubblico, quindi caratteristica essenziale dell’istituto
matrimoniale secondo la Costituzione e le leggi fondamentali della Repubblica,
tanto da affermare il principio di diritto che debba essere negata la
dichiarazione di efficacia nella Repubblica di dichiarazione di nullità matrimoniale
pronunciate da tribunale ecclesiastici nonostante che dopo la celebrazione del
matrimonio i coniugi abbiano convissuto al
modo di coniugi per oltre tre anni. Infatti, il particolare rilievo dato al
momento costitutivo del vincolo matrimoniale/sacramentale, porta il pensiero
giuridico ecclesiastico a negare la rilevanza della volontà dei coniugi
espressa in corso di rapporto sia in senso negativo, per sciogliere i vincolo,
sia in senso positivo, per sanare un iniziale vizio del consenso confermando
nei fatti, con la convivenza al modo di coniugi, la volontà di vivere da
coniugi cristiani. La disciplina
dell’ordinamento matrimoniale della Repubblica italiana è diversa e prevede
che, dopo un certo periodo di convivenza al modo di coniugi non possa più essere chiesta la dichiarazione
di nullità del matrimonio. Per questa via, già prima della riforma del diritto
di famiglia realizzata nel 1975 si dava rilevanza al matrimonio- rapporto, pur
non giungendo ad affermare che un’unione coniugale potesse costituirsi per via
di fatto, a prescindere da un atto formale di celebrazione di matrimonio.
Questo orientamento è stato poi determinante nell’introduzione in Italia dell’istituto
del divorzio, che per quanto riguarda il matrimonio religioso con effetti
civili si presenta come cessazione degli effetti civili del matrimonio
religioso, nel 1970, disciplina che ha superato, nel 1974, il vaglio di un
referendum, nel quale la posizione contraria all’abrogazione della legge sul
divorzio riportò il 59% dei consensi popolari (deve ritenersi comprendenti
anche in larga misura voti dell’elettorato cattolico). Il divorzio si presenta
infatti come soluzioni per problemi insorti nel corso del matrimonio rapporto.
Il medesimo orientamento poi ha inciso in diverse disposizioni della legge di
riforma del diritto di famiglia del 1975 e, in particolare, in quelle che hanno
allungato il tempo di convivenza richiesto perché non sia più proponibile una
domanda di annullamento del matrimonio. E, in epoca più recente, ha portato i
giudici italiani, in particolare la Corte Costituzionale, il giudice delle
leggi, e la Corte di Cassazione, il giudice che vaglia la corretta
interpretazione delle norme giuridiche da parte degli altri giudici, a
distinguere anche nella norma costituzionale dedicata al matrimonio e alla
famiglia
Art.29. La Repubblica riconosce i
diritti della famiglia come società
naturale fondata sul matrimonio.
Il matrimonio è
ordinata sulla eguaglianza morale e
giuridica dei coniugi, con i limiti stabili dalla legge a garanzia dell’unità
familiare.
un
distinto riferimento al matrimonio-atto (in relazione al matrimonio come atto
fondante della famiglia) e al matrimonio-rapporto (in relazione alla famiglia
come società naturale e all’ordinamento egualitario tra i coniugi), con analoga rilevanza.
Questo distinto rilievo del matrimonio
rapporto è ritenuto di grande importanza, in quanto lo si collega a
disposizioni costituzionali che hanno natura di principi costituzionali supremi,
come tali inderogabili anche dallo stesso legislatore costituzionale, e, in
particolare al principio personalistico (di
derivazione dal pensiero sociale cristiano) di cui si tratta nell’art.2 della
Costituzione, dove vengono riconosciuti come inviolabili
i diritti degli esseri umani nelle formazioni
sociali in cui si svolge la loro personalità: la famiglia è considerata
appunto una delle principali di tali formazioni sociali. Come insegnato dalla Corte Costituzionale in una sentenza del
2008:
La Costituzione
non giustifica una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro
diritti (...). E proprio da tale ultima disposizione l'art. 2 della
Costituzione, appunto, conformemente a quello che è stato definito il principio
personalistico che essa proclama, risulta che il valore delle "formazioni
sociali", tra le quali eminentemente la famiglia, è nel fine a esse
assegnato, di permettere e anzi promuovere lo svolgimento della personalità
degli esseri umani" [citazione dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 494 del 2002].
Ma la medesima grande rilevanza viene data al
matrimonio-rapporto anche in documenti normativi di carattere internazionale
che applicano i principi umanitari espressi dalla Dichiarazione universale dei
diritti umani approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 1948, e
precisamente nell’art. 8, paragrafo 1, della Convenzione Europea dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali e nell’art. 7 della Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione Europea, norme che hanno vigore nel nostro ordinamento
e vincolano la Repubblica Italiana alla loro osservanza.
Questo, della rilevanza del
matrimonio-rapporto, è attualmente uno degli elementi critici della ideologia
religiosa corrente sul matrimonio, in quanto le concezioni di quest’ultima, in
particolare quelle espresse dai giudici ecclesiastici, contrastano con principi
ritenuti supremi e inviolabili nel diritto della Repubblica Italiana, tanto che
i giudici di quest’ultima ritengono di non poterle recepire. Ma non si tratta
solo di questo, di una questione di contrasti giudiziari tra giudici operanti
in diversi ordinamenti. La scarsa rilevanza data al matrimonio-rapporto nelle
concezioni religiose riguardanti la stabilità del vincolo matrimoniale
contrasta ormai con un sentire comune diffuso anche nella gente di fede, che,
essendo espressione di principi umanitari definiti come supremi da importanti
norme di diritto internazionale e dalla nostra Costituzione, non può essere
sbrigativamente liquidato come peccaminoso in tutti i casi in cui si manifesta. E, infatti, come tale non è più considerato nemmeno dal magistero dei nostri
capi religiosi, che in merito si interrogano, come è avvenuto durante l’ultima
sessione, di quest’anno, del sinodo dei vescovi, convocato per discutere sulla vocazione e la missione della famiglia nella
Chiesa e nel mondo contemporano. Trascrivo, come esempio di questo
atteggiamento, alcuni passi della Lettera
ai vescovi della Chiesa cattolica circa la ricezione della Comunione
eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, diffusa nel 1994 dalla
Congregazione per la dottrina della fede:
2 […] una speciale attenzione meritano le
difficoltà e le sofferenze di quei fedeli che si trovano in situazioni
matrimoniali irregolari. I pastori
sono chiamati a far sentire la carità di Cristo e la materna vicinanza della
Chiesa; li accolgano con amore, esortandoli a confidare nella misericordia di
Dio, e suggerendo loro con prudenza e rispetto concreti cammini di
conversione e di partecipazione alla vita della comunità eccesiale.
6. Il fedele che convive abitualmente «more uxorio» con una persona che non
è la legittima moglie o il legittimo marito, non può accedere alla Comunione
eucaristica. Qualora egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori,
date la gravità della materia e le esigenze del bene spirituale della
persona(10) e del bene comune della Chiesa, hanno il grave dovere di ammonirlo
che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della
Chiesa. Devono anche ricordare questa dottrina nell'insegnamento a tutti i
fedeli loro affidati.
Ciò non significa che la Chiesa non abbia a cuore la situazione di questi
fedeli, che, del resto, non sono affatto
esclusi dalla comunione ecclesiale. Essa si preoccupa di accompagnarli
pastoralmente e di invitarli a partecipare alla vita ecclesiale nella misura in
cui ciò è compatibile con le disposizioni del diritto divino, sulle quali la
Chiesa non possiede alcun potere di dispensa. D'altra parte, è necessario
illuminare i fedeli interessati affinché non ritengano che la loro
partecipazione alla vita della Chiesa sia esclusivamente ridotta alla questione
della recezione dell'Eucaristia. I fedeli devono essere aiutati ad approfondire
la loro comprensione del valore della partecipazione al sacrificio di Cristo nella
Messa, della comunione spirituale(13), della preghiera, della meditazione della
Parola di Dio, delle opere di carità e di giustizia.
Trascrivo di seguito anche alcuni passi del
documento di sintesi (denominato con parola latina Lineamenta) del risultato
delle riflessioni svolte nell’ultima sessione del sinodo dei vescovi, tenutasi nell’ottobre di quest’anno:
23. Con intima gioia e
profonda consolazione, la Chiesa guarda alle famiglie che restano fedeli agli
insegnamenti del Vangelo, ringraziandole e incoraggiandole per la testimonianza
che offrono. Grazie ad esse, infatti, è resa credibile la bellezza del
matrimonio indissolubile e fedele per sempre. Nella famiglia,«che si potrebbe
chiamare Chiesa domestica» (Lumen
Gentium, 11), matura la prima esperienza ecclesiale della comunione tra
persone, in cui si riflette, per grazia, il mistero della Santa Trinità.
«È qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il
perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la
preghiera e l’offerta della propria vita» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1657). La Santa Famiglia di
Nazaret ne è il modello mirabile, alla cui scuola noi «comprendiamo perché
dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del
Vangelo e diventare discepoli del Cristo» (Paolo VI, Discorso a Nazaret, 5 gennaio 1964). Il Vangelo della famiglia,
nutre pure quei semi che ancora attendono di maturare, e deve curare quegli
alberi che si sono inariditi e necessitano di non essere trascurati.
24. La Chiesa, in quanto
maestra sicura e madre premurosa, pur riconoscendo che per i battezzati non vi
è altro vincolo nuziale che quello sacramentale, e che ogni rottura di esso è
contro la volontà di Dio, è anche consapevole della fragilità di molti suoi
figli che faticano nel cammino della fede. «Pertanto, senza sminuire il valore
dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le
possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per
giorno. […] Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere
più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi
giorni senza fronteggiare importanti difficoltà. A tutti deve giungere la
consolazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio, che opera
misteriosamente in ogni persona, al di là dei suoi difetti e delle sue cadute»
(Evangelii Gaudium, 44).
Gli orientamenti verso chi versa in
situazioni irregolari dal punto di vista della disciplina religiosa sul
matrimonio, improntati alla misericordia e alla non esclusione, divergono
marcatamente da quelli seguiti non molti decenni addietro, più o meno fino agli
scorsi anni Sessanta, quando, in un ambiente sociale che però a differenza di
oggi colpiva i divorziati con un giudizio negativo, i divorziati risposati
erano considerati pubblici peccatori
e duramente emarginati dalle nostre
collettività, quasi nella condizione di scomunicati.
2.La prassi nelle nostre collettività religiose
Per ciò che ho potuto constatare nelle
collettività religiose a cui partecipo e ho partecipate, in particolare nelle
parrocchie che ho avuto modo di frequentare, l’atteggiamento di misericordia
consigliato nella citata lettera della Congregazione per la dottrina della fede
è quello prevalente.
Devo rilevare tuttavia che persistono vari
pregiudizi sfavorevoli verso le persone che si trovano a vivere in situazioni
familiari che divergono da quella ritenuta ideale nella nostra dottrina
religiosa, che sono sentiti come umiliati da quelle persone. Ne sono vittime le
persone che vivono in famiglie basate su unioni di tipo coniugale non fondate
su un matrimonio religioso, che può mancare del tutto o essersi concluso come
effettiva convivenza, siano esse persone che vivono al modo di coniugi o i
figli nati da tali unioni. In particolare si dà per scontato, senza verificare
nei fatti se ciò corrisponda a realtà che in tali famiglie si vivano rapporti
di amore imperfetti, nel senso di meno intensi e generosi di quelli che
caratterizzano le famiglie basate su matrimoni religiosi. C’è anche il
pregiudizio, vale a dire la convinzione a prescindere da ogni valutazione delle
concrete dinamiche familiari, che le famiglie con un solo genitori, per morte
dell’altro genitore, separazione dei coniugi o dei genitori che vivevano come
coniugi pur non essendo legati da matrimonio, divorzio o dichiarazione di
nullità di un matrimonio, siano meno valide a crescere i figli di quelle fondata
su matrimoni religiosi in cui i coniugi abbiano persistito nella convivenza. La
dottrina religiosa sull’indissolubilità matrimoniale non ci impone di seguire
questi pregiudizi.
La discussione in collettività religiose su
questi temi presenta dei rischi specifici. Infatti l’esprimersi a favore di una
maggiore rilevanza del tema del matrimonio-rapporto può essere considerato
addirittura come un indizio della esclusione
della indissolubilità del vincolo matrimoniale ed essere posta a base di una
domanda di dichiarazione di nullità del matrimonio religioso davanti al giudice
ecclesiastico.
La scarsa rilevanza
delle concrete dinamiche dei rapporti coniugali nelle concezioni religiose sul
matrimonio è difficile da spiegare nella
formazione religiosa. Rimane l’idea che, in sede soprannaturale, sia stabilito
una sorta di ufficio dello stato civile in cui vengono registrati i matrimoni
religiosi e che tale ufficio sia del tutto insensibile, per partito preso, alla volontà dei coniugi, anche consensuale,
dopo la celebrazione dell’atto di matrimonio. Non è facile spiegare perché,
dopo aver definito la famiglia come società
naturale, si tenga così poco conto della naturalità del rapporto
coniugale, quindi delle concrete dinamiche dell’amore, che nei casi specifici
possono superare la possibilità di dominio delle persone. Di fatto, anche i
matrimoni religiosi falliscono e in sede religiosa se ne prende atto,
ammettendo l’istituto della separazione personale dei coniugi. Pretendere che
una persona, pur osservando gli obblighi di assistenza familiari previsti dalle
leggi civili, rinunci all’esperienza coniugale con altre persone è sentito ai
tempi nostri come una concezione della
famiglia nemica delle persone e dei loro diritti, nel senso inteso dalla
Corte Costituzionale nella sentenza che ho sopra citato.
Lasciando ai teologi
la riflessione se e come dare maggiore rilevanza al matrimonio-rapporto nel
matrimonio religioso e ai nostri capi religiosi le conseguenti decisioni, penso
che noi laici di fede possiamo contribuire a lenire gli aspetti critici della
nostra ideologia religiosa sul matrimonio che ho sopra ricordato evitando di
emarginare e umiliare chi si è trovato a vivere il fallimento del proprio
matrimonio e coloro che si trovano a vivere in famiglie basate su unioni al modo coniugale che
divergono dal modello previsto dalle leggi canoniche. E, innanzi tutto, non
lasciandoci trascinare da pregiudizi e partiti presi sulle loro famiglie e
accettando si ascoltarli in spirito di dialogo, per conoscere meglio loro e le
loro famiglie. Concludo scrivendo che noi laici, che non siamo pastori nel senso in cui ciò viene inteso nelle nostre collettività religiose, vale a dire titolari di una formale autorità religiosa sugli altri, dovremmo evitare di riferire tale atteggiamento a una nostra pretesa misericordia verso persone considerate come peccatrici, ciò che viene sentito come fortemente umiliante dai supposti beneficiari di tale sentimento, ma fare quello che va fatto semplicemente nello spirito del grande ideale dell'agàpe, il sentimento di amicizia analogo a quello che ci lega a coloro con i quali stiamo bene a tavola e che speriamo di vivere nella pienezza in ciò che chiamiamo banchetto celeste; atteggiamento amorevole che caratterizza fortemente le nostre convinzioni religiose e che è la cosa che più attira gli altri verso di noi, quando, nei nostri momenti migliori, riusciamo a metterlo in pratica.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma,
Monte Sacro, Valli