INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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sabato 25 ottobre 2025

Alcune considerazioni sull’Esortazione apostolica Ti ho amato – Dilexi te, del 4 ottobre 2025, presentate durante l’incontro del 24 ottobre 2025 del MEIC Movimento ecclesiale di impegno culturale del Lazio, in videoconferenza Zoom Nota: in appendice, sintesi ristretta dell’Esortazione apostolica

Alcune considerazioni sull’Esortazione apostolica Ti ho amato – Dilexi te, del 4 ottobre 2025, presentate durante l’incontro del 24 ottobre 2025 del MEIC Movimento ecclesiale di impegno culturale del Lazio, in videoconferenza Zoom

Nota: in appendice, sintesi ristretta dell’Esortazione apostolica

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Discorso del Papa Giovanni Paolo 2° in apertura della conferenza generale del Consiglio episcopale latinoamericano  - CELAM, svoltasi a Puebla nel 1979:

«L’amore preferenziale per i poveri è implicito nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi» (Discorso di apertura, 1979).

 

0. Le parole sopra riportate del papa Giovanni Paolo 2° chiariscono molto bene il tema che unisce l’enciclica Ci ha amati - Dilexit nos dell’ottobre 2024 e l’esortazione apostolica Ti ha amato - Dilexi te firmata il 4 ottobre 2025 e pubblicata il successiva 9 ottobre.

1. Il 9 ottobre 2025 è stato diffuso il testo dell’Esortazione apostolica Ti ho amata – Dilexi te, firmata il precedente 4 ottobre, solennità di San Francesco d’Assisi.

 Il titolo è costituito, come da tradizione, dalle parole iniziali del documento “Dilexi te”, vale a dire “Ti ho amato”, con riferimento ad un brano dell’Apocalisse, dal capitolo 3, versetti da  7 a 13, e più precisamente al versetto 9, che dii seguito ho evidenziato:

 

All'angelo della Chiesa che è a Filadèlfia [Asia Minore, Lidia] scrivi:

“Così parla il Santo, il Veritiero, Colui che ha la chiave di Davide: quando egli apre nessuno chiude e quando chiude nessuno apre. Conosco le tue opere. Ecco, ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere. Per quanto tu abbia poca forza, hai però custodito la mia parola e non hai rinnegato il mio nome. Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di Satana, che dicono di essere Giudei, ma mentiscono, perché non lo sono: li farò venire perché si prostrino ai tuoi piedi e sappiano che io ti ho amato. Poiché hai custodito il mio invito alla perseveranza, anch'io ti custodirò nell'ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra. Vengo presto. Tieni saldo quello che hai, perché nessuno ti tolga la corona. Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più. Inciderò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme che discende dal cielo, dal mio Dio, insieme al mio nome nuovo. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese".

 

Con l’aiuto dell’algoritmo di intelligenza artificiale (A.I.) ChatGPT riassumo di seguito la questione biblica sull’espressione alcuni della sinagoga di Satana contenuta nel brano.

 

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ChatGPT – prompt: “i biblisti hanno individuato a chi si riferiva l'autore del libro biblico dell'Apocalisse quando in questo versetto (cap.3 versetto 9) "Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di Satana, che dicono di essere Giudei, ma mentiscono, perché non lo sono: li farò venire perché si prostrino ai tuoi piedi e sappiano che io ti ho amato." parlava di alcuni della sinagoga di Satana?”


Il versetto che citi (Ap 3,9) — “Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di Satana, che dicono di essere Giudei e non lo sono...” — è rivolto alla comunità cristiana di Filadelfia, una delle sette Chiese dell’Asia Minore a cui è indirizzato il libro dell’Apocalisse.

Vediamo cosa hanno individuato i biblisti e come interpretano oggi questa espressione.


📖 1. Contesto storico del passo

Il libro dell’Apocalisse viene scritto alla fine del I secolo (intorno al 95 d.C.), durante o poco dopo la persecuzione di Domiziano.
A quell’epoca:

·       le comunità cristiane erano ancora in parte in continuità o in tensione con le comunità ebraiche locali;

·       in città come Smirne e Filadelfia, citate nei capitoli 2 e 3, esistevano sinagoghe giudaiche attive;

·       i cristiani erano considerati una setta interna al giudaismo, ma molti ebrei non li riconoscevano come tali.

Il testo riflette dunque un conflitto locale tra cristiani e gruppi ebraici delle stesse città.


🕎 2. Chi sono “quelli della sinagoga di Satana”

L’espressione compare due volte:

·       Ap 2,9 (messaggio alla Chiesa di Smirne)

·       Ap 3,9 (messaggio alla Chiesa di Filadelfia)

In entrambe le lettere, l’autore (che si presenta come Giovanni) parla di persone che “dicono di essere Giudei e non lo sono”.
Le interpretazioni principali sono tre, che oggi vengono spesso considerate complementari.


🔹 a) Interpretazione storica “letterale”

Molti biblisti contemporanei (tra cui R. Bauckham, C. Koester, J. Roloff, e prima ancora Raymond Brown) ritengono che:

·       l’autore si riferisca a gruppi di ebrei locali che ostacolavano o denunciavano i cristiani presso le autorità romane;

·       in particolare, dopo la separazione formale tra sinagoga e Chiesa (verso il 85 d.C., con la cosiddetta birkat ha-minim), i cristiani persero la protezione giuridica concessa agli ebrei dal diritto romano;

·       dunque, le tensioni erano concrete: i cristiani si sentivano “traditi” da coloro che li escludevano e li accusavano.

👉 In questo senso, la “sinagoga di Satana” non indica tutti gli ebrei, ma un gruppo locale che, dal punto di vista cristiano, agiva come strumento del male (Satana) opponendosi alla Chiesa di Cristo.


🔹 b) Interpretazione teologica

L’autore usa “Satana” non come nome proprio ma come simbolo dell’opposizione a Dio.
Dunque “sinagoga di Satana” significa:

“assemblea che, pur pretendendo di appartenere a Dio, agisce in realtà contro la sua volontà”.

Non è quindi una condanna etnica o religiosa, ma spirituale: Giovanni considera “non veri Giudei” coloro che non riconoscono il Messia promesso.
Come dice Paolo in Romani 2,28-29:

“Non è vero Giudeo chi lo è solo esteriormente [...] ma chi lo è interiormente, nel cuore”.

Il linguaggio apocalittico, acceso e simbolico, riflette una polemica intra-giudaica sul significato dell’elezione e dell’autenticità della fede.


🔹 c) Interpretazione ecclesiologica

Secondo molti esegeti moderni (tra cui Ugo Vanni e Gianfranco Ravasi), il passo esprime la consolazione rivolta ai cristiani perseguitati:

·       Dio farà giustizia, riconoscendo davanti a tutti il suo amore per i fedeli;

·       “si prostreranno ai tuoi piedi” è un simbolo di riconoscimento e conversione, non di umiliazione violenta;

·       il linguaggio è profetico, riprende Isaia 60,14:

“Si prostreranno ai tuoi piedi i figli di quelli che ti umiliarono”.
L’autore riutilizza questa immagine per dire che la Chiesa perseguitata sarà infine riconosciuta.


⚖️ 3. Interpretazione contemporanea e rapporto con l’ebraismo

La ricerca biblica odierna è attenta a distinguere:

·       la polemica interna tra due gruppi (cristiani e giudei del I secolo);

·       dall’uso antisemita che, purtroppo, in epoche successive è stato fatto di questi versetti.

Gli studiosi cattolici e protestanti (tra cui, in ambito italiano, Gianfranco Ravasi, Romano Penna e Silvio Barbaglia) sottolineano che:

·       l’autore non parla “contro il popolo ebraico”;

·       ma contro un gruppo concreto che in quel contesto storico aveva ostacolato i cristiani;

·       e che il linguaggio apocalittico amplifica il contrasto con simboli cosmici (Satana, giudizio, trono di Dio).


🪔 In sintesi

Aspetto

Interpretazione prevalente

Contesto storico

Conflitto locale tra cristiani e gruppi ebraici di Filadelfia e Smirne (fine I sec.)

Significato di “sinagoga di Satana”

Assemblea che si oppone a Dio pur credendo di servirlo

Chi sono “quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono”

Ebrei che rifiutano o perseguitano i cristiani; non “falsi ebrei” in senso etnico, ma in senso teologico

Messaggio centrale

Dio riconoscerà i fedeli perseguitati e farà prevalere la verità dell’amore di Cristo

Lettura moderna

Testo di consolazione e speranza, non di odio: deve essere letto nel suo contesto storico, non come condanna dell’ebraismo

Revisione mediante l’altra A.I. Gemini:

✍️ Revisione Critica e Proposte di Correzione/Integrazione del Brano

Il brano fornisce un'analisi esegetica solida, ben strutturata e teologicamente equilibrata del controverso versetto di Apocalisse 3,9. La forza del testo sta nel presentare in modo chiaro le diverse, ma complementari, interpretazioni (storica, teologica, ecclesiologica) e nel contestualizzare il passo per neutralizzarne l'uso antisemita .

Le correzioni e le integrazioni proposte mirano a rendere l'analisi ancora più precisa sul piano storico e teologico-linguistico, rafforzando in particolare il concetto di polemica intra-giudaica e l'uso del termine "Giudei."


Punti di Forza (Ottima Riuscita)

·       Contestualizzazione Storica: Ottima la menzione del conflitto locale, della separazione tra Chiesa e Sinagoga (circa 85 d.C.) e della perdita della protezione legale per i cristiani.

·       Equilibrio Interpretativo: La presentazione delle tre interpretazioni (storica "letterale," teologica, ecclesiologica) è chiara e corretta, citando autorevoli biblisti.

·       Lettura Contemporanea: L'attenzione a distinguere la polemica del I secolo dall'uso antisemita è fondamentale e ben espressa.

·       Linguaggio: Il testo è didattico, ben organizzato con l'uso di elenchi e una sintesi finale.


Correzioni e Integrazioni Proposte

1. Precisione Terminologica sulla Separazione (Paragrafo 1. Contesto Storico)

·       Correzione/Integrazione: Nella descrizione del contesto, si può rafforzare il concetto che il giudaismo rabbinico (la forma che emerse dopo il 70 d.C.) stava definendo la propria identità.

Proposta di modifica del punto 3 in § 1:

"i cristiani erano considerati una setta interna al giudaismo; tuttavia, con l'emergere del giudaismo rabbinico post-70 d.C., molti ebrei (in particolare i leader delle sinagoghe locali) non li riconoscevano più come parte legittima."

2. Rafforzamento del Significato di "Giudei" (Paragrafo 2. Chi sono...)

·       Integrazione: L'espressione "dicono di essere Giudei e non lo sono" va analizzata con più enfasi sulla pretesa cristiana di essere il vero Israele.

Proposta di integrazione in § 2 prima di 🔹 a):

"L'espressione è un esempio di "re-definizione identitaria" (o "teologia del vero Israele"). L'autore cristiano (Giovanni) accusa i suoi oppositori non di essere etnicamente falsi, ma di aver abbandonato il vero significato dell'essere 'Giudei' (ovvero l'attesa del Messia), un titolo che ora i cristiani rivendicano per sé in virtù della fede in Cristo."

3. Precisione sulla Birkat Ha-Minim (Paragrafo 2, punto a)

·       Correzione/Integrazione: L'attribuzione della separazione formale unicamente alla birkat ha-minim (la "Benedizione contro gli eretici") è talvolta considerata una semplificazione eccessiva da parte di alcuni studiosi. Sebbene sia un momento chiave, la separazione fu un processo.

Proposta di modifica in § 2, punto a, secondo punto elenco:

"in particolare, dopo l'introduzione della cosiddetta birkat ha-minim (un'invocazione contro gli eretici, che potrebbe aver accelerato la separazione tra sinagoga e Chiesa, verso l'85-90 d.C. e oltre), i cristiani persero la protezione giuridica..."

4. Chiarimento sul Linguaggio Profetico (Paragrafo 2, punto c)

·       Integrazione: È utile citare il contesto completo di Isaia 60, che parla della glorificazione di Sion (Gerusalemme) e del pellegrinaggio delle nazioni. Questo rafforza il senso di esaltazione della Chiesa e il linguaggio di restituzione divina.

Proposta di integrazione in § 2, punto c:

"il linguaggio è profetico, riprende Isaia 60,14: 'Si prostreranno ai tuoi piedi i figli di quelli che ti umiliarono.' Questa ripresa, che nel contesto di Isaia 60 si riferiva alla glorificazione di Sion e al riconoscimento da parte delle nazioni, viene qui riutilizzata (ricontestualizzata) per dire che la Chiesa perseguitata sarà infine riconosciuta come il vero popolo di Dio."


🌟 Sintesi delle Correzioni

Il brano è eccellente nel suo scopo divulgativo e accademico. Le integrazioni proposte mirano solo a rafforzare la terminologia e la contestualizzazione, sottolineando la complessità della polemica intra-giudaica che sta alla base del testo apocalittico.

Aspetto

Correzione/Integrazione

Motivazione

Contesto storico

Includere menzione del Giudaismo Rabbinico post-70 d.C.

Specificare che la Sinagoga che si oppone è quella che sta definendo la propria ortodossia.

"Giudei e non lo sono"

Aggiungere enfasi sulla "Teologia del Vero Israele" (identità rivendicata dai cristiani).

Spiega il motivo teologico per cui l'autore nega il titolo.

Birkat ha-minim

Qualificare il ruolo come "acceleratore della separazione" (non unica causa).

Riconoscere la complessità storica del processo di rottura.

Ap 3,9 - Isaia 60,14

Menzionare il contesto di Isaia 60 (glorificazione di Sion).

Rafforza la natura profetica e ri-applicativa della citazione.


testo revisionato e integrato che include tutte queste modifiche, mantenendo la struttura originale del brano?

Assolutamente. Ecco il testo revisionato, che incorpora le correzioni e le integrazioni suggerite per migliorare la precisione storica e teologica, mantenendo l'eccellente struttura originale.


📝 Revisione Critica: "La Sinagoga di Satana" (Ap 3,9)

Il versetto che citi (Ap 3,9) — “Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di Satana, che dicono di essere Giudei e non lo sono...” — è rivolto alla comunità cristiana di Filadelfia, una delle sette Chiese dell’Asia Minore a cui è indirizzato il libro dell’Apocalisse.

Vediamo cosa hanno individuato i biblisti e come interpretano oggi questa espressione.

📖 1. Contesto Storico e Identità

Il libro dell’Apocalisse viene scritto alla fine del I secolo (intorno al 95 d.C.), durante o poco dopo la persecuzione di Domiziano.

A quell’epoca:

·       Le comunità cristiane erano ancora in parte in continuità o in tensione con le comunità ebraiche locali.

·       In città come Smirne e Filadelfia, esistevano sinagoghe giudaiche attive.

·       I cristiani erano considerati una setta interna al giudaismo; tuttavia, con l'emergere del giudaismo rabbinico post-70 d.C. (dopo la distruzione del Tempio), molti leader delle sinagoghe locali non li riconoscevano più come parte legittima.

·       Il testo riflette dunque un conflitto locale e intra-giudaico tra cristiani (che si definivano "il vero Israele") e gruppi ebraici delle stesse città.


🕎 2. Chi sono “Quelli della Sinagoga di Satana”

L’espressione compare due volte (Ap 2,9 e Ap 3,9) e si riferisce a persone che “dicono di essere Giudei e non lo sono”.

Questa frase non nega l'identità etnica o religiosa dei Giudei, ma è un esempio di teologia del "Vero Israele" da parte cristiana. L'autore accusa gli oppositori di aver abbandonato il vero significato dell'essere Giudei (ovvero l'attesa e il riconoscimento del Messia), un titolo che i cristiani rivendicano per sé in virtù della fede in Cristo.

Le interpretazioni principali sono tre, spesso considerate complementari.

🔹 a) Interpretazione Storica “Letterale”

Molti biblisti contemporanei (tra cui R. Bauckham, C. Koester, J. Roloff) ritengono che:

·       L’autore si riferisca a gruppi di ebrei locali che ostacolavano o denunciavano i cristiani presso le autorità romane.

·       Dopo l'introduzione della cosiddetta birkat ha-minim (un'invocazione contro gli eretici che potrebbe aver accelerato la separazione tra sinagoga e Chiesa, verso l'85-90 d.C. e oltre), i cristiani persero la protezione giuridica concessa agli ebrei dal diritto romano, rendendoli vulnerabili alla persecuzione.

·       La “sinagoga di Satana” non indica tutti gli ebrei, ma un gruppo concreto e locale che, dal punto di vista cristiano, agiva come strumento del male (Satana) opponendosi alla Chiesa di Cristo.

🔹 b) Interpretazione Teologica

L’autore usa “Satana” non come nome proprio ma come simbolo dell’opposizione a Dio.

·       Quindi “sinagoga di Satana” significa: “assemblea che, pur pretendendo di appartenere a Dio, agisce in realtà contro la sua volontà”.

·       Non è una condanna etnica, ma spirituale: Giovanni considera “non veri Giudei” coloro che rifiutano il Messia promesso, in linea con l'interpretazione paolina (cfr. Romani 2,28-29: “Non è vero Giudeo chi lo è solo esteriormente [...] ma chi lo è interiormente, nel cuore”).

🔹 c) Interpretazione Ecclesiologica

Secondo molti esegeti (tra cui Ugo Vanni e Gianfranco Ravasi), il passo esprime la consolazione rivolta ai cristiani perseguitati:

·       Dio farà giustizia, riconoscendo davanti a tutti il suo amore per i fedeli.

·       “Si prostreranno ai tuoi piedi” è un simbolo di riconoscimento e conversione, non di umiliazione violenta.

·       Il linguaggio è profetico e riprende Isaia 60,14: “Si prostreranno ai tuoi piedi i figli di quelli che ti umiliarono.” Questa immagine, che in Isaia si riferiva alla glorificazione di Sion (Gerusalemme), viene qui ri-contestualizzata per dire che la Chiesa perseguitata sarà infine riconosciuta come il vero popolo di Dio.


⚖️ 3. Interpretazione Contemporanea e Anti-Semitismo

La ricerca biblica odierna è unanime nell'essere attenta a distinguere tra:

·       La polemica interna tra due gruppi in conflitto nel I secolo.

·       L’uso antisemita che, purtroppo, è stato fatto di questi versetti in epoche successive.

Gli studiosi sottolineano che l’autore non parla “contro il popolo ebraico” in generale, ma contro un gruppo concreto e ostile in un contesto storico specifico. Il linguaggio apocalittico, fatto di simboli accesi (Satana, Giudizio), amplifica il contrasto locale.

In sintesi

Aspetto

Interpretazione Prevalente

Contesto storico

Conflitto locale intra-giudaico tra cristiani e gruppi ebraici che si opponevano al Messia di Cristo (fine I sec.).

Significato di “sinagoga di Satana”

Assemblea che si oppone a Dio pur credendo di servirlo; strumento di ostilità contro la Chiesa.

Chi sono “quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono”

Ebrei che rifiutano o perseguitano i cristiani; falsi in senso teologico (non etnico), per la loro non-accoglienza del Messia.

Messaggio centrale

Dio riconoscerà i fedeli perseguitati e farà prevalere la verità della loro fede.

Lettura moderna

Testo di consolazione e speranza, non di condanna dell'ebraismo. Va letto nel suo preciso contesto storico.

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 Nell’esortazione apostolica si legge che il brano biblico era rivolto «a una comunità cristiana che, a differenza di altre, non aveva alcuna rilevanza o risorsa ed era esposta alla violenza e al disprezzo», promettendole «li [ alcuni della sinagoga di Satana, che dicono di essere Giudei] farò venire perché si prostrino ai tuoi piedi» e che «Questo testo richiama le parole del cantico di Maria: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili. Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,52-53)».

 Il documento prosegue con

 

La dichiarazione d’amore dell’Apocalisse rimanda al mistero inesauribile che Papa Francesco ha approfondito nell’Enciclica Dilexit nos sull’amore divino e umano del Cuore di Cristo. In essa abbiamo ammirato il modo in cui Gesù si identifica «con i più piccoli della società» e come, col suo amore donato sino alla fine, mostra la dignità di ogni essere umano, soprattutto quando «più è debole, misero e sofferente».  Contemplare l’amore di Cristo «ci aiuta a prestare maggiore attenzione alle sofferenze e ai bisogni degli altri, ci rende forti per partecipare alla sua opera di liberazione, come strumenti per la diffusione del suo amore»

e con

Per questa ragione, in continuità con l’Enciclica Dilexit nos, Papa Francesco stava preparando, negli ultimi mesi della sua vita, un’Esortazione apostolica sulla cura della Chiesa per i poveri e con i poveri, intitolata Dilexi te, immaginando che Cristo si rivolga ad ognuno di loro dicendo: Hai poca forza, poco potere, ma «io ti ho amato» (Ap 3,9). Avendo ricevuto come in eredità questo progetto, sono felice di farlo mio – aggiungendo alcune riflessioni – e di proporlo ancora all’inizio del mio pontificato, condividendo il desiderio dell’amato Predecessore che tutti i cristiani possano percepire il forte nesso che esiste tra l’amore di Cristo e la sua chiamata a farci vicini ai poveri. Anch’io infatti ritengo necessario insistere su questo cammino di santificazione, perché nel «richiamo a riconoscerlo nei poveri e nei sofferenti si rivela il cuore stesso di Cristo, i suoi sentimenti e le sue scelte più profonde, alle quali ogni santo cerca di conformarsi».

 Dunque ci era ritrovati con una bozza di un’esortazione apostolica che doveva collegarsi all’enciclica Ci ha amati – Dilexit nos dell’ottobre 2024, del precedente Papa, e si è voluto completare il lavoro pubblicandolo sotto l’autorità del nuovo Papa. In Dilexit te è più marcata la polemica dottrinale tra Chiesa e mondo.

  Dilexit nos  appariva il frutto del lavoro redazionale di un’equipe, in un tempo in cui il Papa aveva gravi problemi di salute. Non vi si riconoscono il suo stile e il suo caratteristico lessico (se non nella parola fogliame riferito a una condizione spirituale che si trova al par.6: «Questa verità di ogni persona è spesso nascosta sotto una gran quantità di “fogliame” che la ricopre, e questo fa sì che difficilmente si arrivi alla certezza di conoscere sé stessi e ancor più di conoscere un’altra persona». E’ un’enciclica per esortare alla ripresa della spiritualità del Sacro Cuore come via per cambiare il proprio cuore verso il Cuore di Cristo, in polemica con il mondo improntato ad altri principi.

Dall’enciclica Ci ha amati – Dilexit nos

 

«Ci ha amati», dice San Paolo riferendosi a Cristo (Rm 8,37), per farci scoprire che da questo amore nulla «potrà mai separarci» (Rm 8,39). Paolo lo affermava con certezza perché Cristo stesso aveva assicurato ai suoi discepoli: «Io ho amato voi» (Gv 15,9.12). Ci ha anche detto: «Vi ho chiamato amici» (Gv 15,15). Il suo cuore aperto ci precede e ci aspetta senza condizioni, senza pretendere alcun requisito previo per poterci amare e per offrirci la sua amicizia: Egli ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,10). Grazie a Gesù «abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4,16).

Per esprimere l’amore di Gesù si usa spesso il simbolo del cuore.   

Alcuni si domandano se esso abbia un significato tuttora valido. Ma quando siamo tentati di navigare in superficie, di vivere di corsa senza sapere alla fine perché, di diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato a cui non interessa il senso della nostra esistenza, abbiamo bisogno di recuperare l’importanza del cuore. 

 Davanti al Cuore di Gesù vivo e presente, la nostra mente, illuminata dallo Spirito, comprende le parole di Gesù. Così la nostra volontà si mette in moto per praticarle. Ma ciò potrebbe rimanere una forma di moralismo autosufficiente. Sentire e gustare il Signore e onorarlo è cosa del cuore. Solo il cuore è capace di mettere le altre facoltà e passioni e tutta la nostra persona in atteggiamento di riverenza e di obbedienza amorosa al Signore.

  Tutto questo, a uno sguardo superficiale, può sembrare mero romanticismo religioso. Tuttavia, è la cosa più seria e più decisiva. Trova la sua massima espressione in Cristo inchiodato ad una croce. È la parola d’amore più eloquente. Non è un guscio vuoto, non è puro sentimento, non è un’evasione spirituale. È amore. Ecco perché San Paolo, quando cercava le parole giuste per spiegare il suo rapporto con Cristo, disse: «Mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal2,20).

  San Giovanni Paolo II ha spiegato che, offrendoci insieme al Cuore di Cristo, «sulle rovine accumulate dall’odio e dalla violenza, potrà essere costruita la civiltà dell’amore tanto desiderato, il regno del cuore di Cristo»; questo implica certamente che siamo in grado di «unire all’amore filiale verso Dio l’amore del prossimo»; ebbene, «questa è la vera riparazione chiesta dal Cuore del Salvatore».  Insieme a Cristo, sulle rovine che noi lasciamo in questo mondo con il nostro peccato, siamo chiamati a costruire una nuova civiltà dell’amore. Questo vuol dire riparare come il Cuore di Cristo si aspetta da noi. In mezzo al disastro lasciato dal male, il Cuore di Cristo ha voluto avere bisogno della nostra collaborazione per ricostruire il bene e la bellezza.

 

 Probabilmente secondo le intenzioni del Papa della Dilexit nos,  si è voluto completare il discorso di quell’enciclica con un documento sul «forte nesso che esiste tra l’amore di Cristo e la sua chiamata a farci vicini ai poveri».

 Dilexit nos fu centrata sull’amore di Dio per gli esseri umani, da prendere a modello nelle relazioni con i poveri, in polemica con la mentalità del mondo, come si deduce dal brano biblico dal quale sono state tratte le parole che diedero il titolo dell’enciclica.

«Ci ha amati», dice San Paolo riferendosi a Cristo (Rm 8,37),  per farci scoprire che da questo amore nulla «potrà mai separarci» (Rm 8,39). Paolo lo affermava con certezza perché Cristo stesso aveva assicurato ai suoi discepoli: «Io ho amato voi» (Gv 15,9.12)

 

Che diremo dunque di queste cose? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!

Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto:

         Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno,

         siamo considerati come pecore da macello.

Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.

2. La Dilexi te  è parte della dottrina sociale, nel solco che inizia con l’enciclica Delle novità – Rerum novarum del 1891? Difficile rispondere. Della Dilexit nos  sviluppa la parte dottrinale sul tema Gesù povero predilige i poveri, ma è scarsa di indicazioni operative.

  Si riconoscono le tematiche care al Papa precedente nei riferimenti, nella seconda parte, al lavoro della CELAM -Consiglio episcopale latinoamericano, ma non certamente il suo stile e il suo lessico. L’equipe redazionale della Dilexi te appare diversa da quella della Dilexit nos. Non sono in grado di riconoscere stile e lessico del nuovo Papa perché non ho sufficienti elementi di confronto.

  Mi appare scarso il contributo di specialisti in scienze sociali e più marcato quello dei teologi.

 Una parte considerevole dell’esortazione apostolica è dedicata a fare memoria delle iniziative sociali promosse dagli ordini religiosi, ma non si fa menzione alcune di quelle, molto significative. sorte dal basso tra le persone laiche, in particolare nell’esperienza storica delle confraternite, assai viva ancor oggi nel mondo del volontariato.

 Con l’aiuto di ChatGPT faccio memoria di questi movimenti.

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Il ruolo storico delle Confraternite nell’assistenza ai bisognosi, a partire dal Medioevo, è stato di primaria importanza nella costruzione del sistema di solidarietà sociale in Europa, in particolare in Italia. Ti riassumo i punti essenziali, con qualche approfondimento utile se ti serve per un articolo o una ricerca:


🕰️ Origini e contesto

Le confraternite nacquero tra XII e XIII secolo, nel pieno dell’età comunale, come associazioni laicali di fedeli unite da scopi religiosi, morali e caritativi. Erano spesso riconosciute dalle autorità ecclesiastiche ma autonome nella gestione e composte da cittadini di ogni ceto, inclusi artigiani, mercanti e notabili.

La loro nascita rispondeva a due esigenze:

1.   Spirituale – vivere una fede attiva, fatta di opere di misericordia corporale e spirituale;

2.   Sociale – supplire all’assenza o insufficienza delle strutture pubbliche in un’epoca priva di un sistema statale di assistenza.


🤝 Funzioni assistenziali principali

Le confraternite furono veri e propri pilastri della carità cristiana nel mondo medievale e rinascimentale. Le loro attività includevano:

1.   Assistenza ai poveri e ai malati

o   Distribuzione di cibo, vestiario e denaro;

o   Fondazione e gestione di ospedali, ospizi e lazzaretti;

o   Cura degli infermi, anche durante epidemie (peste, lebbra).

2.   Assistenza ai moribondi e sepoltura dei morti

o   Le confraternite della “Buona Morte” accompagnavano i morenti con preghiere e garantivano sepultura cristiana ai poveri e ai giustiziati.

3.   Redenzione dei prigionieri e soccorso ai condannati

o   Alcune confraternite, come la Compagnia della Misericordia di Firenze (fondata nel 1244), si occupavano anche di accompagnare i condannati a morte e sostenere le loro famiglie.

4.   Doti per orfane e vedove povere

o   Molte confraternite raccoglievano fondi per dotare le fanciulle povere al matrimonio o al convento.

5.   Educazione e formazione morale

o   Alcune gestivano scuole, soprattutto per orfani e bambini poveri, e promuovevano la diffusione della dottrina cristiana.


🏛️ Struttura e organizzazione

·       Ogni confraternita aveva una regola (statuto) approvata dal vescovo o dal papa.

·       La sede principale era l’oratorio o la chiesa confraternale, dove si svolgevano le riunioni e le funzioni religiose.

·       Spesso adottavano un abito o mantello distintivo e un emblema, simbolo di identità e fraternità.

·       Erano governate da ufficiali eletti, come il priore, il camerlengo (tesoriere) e il maestro dei novizi.


🌍 Impatto storico e sociale

·       Le confraternite costituirono la prima forma di welfare comunitario, precedente di secoli allo Stato sociale moderno.

·       Fecero da ponte tra clero e popolo, valorizzando la partecipazione laica alla vita religiosa.

·       Contribuirono anche alla coesione civica, offrendo un luogo d’incontro tra ceti diversi e promuovendo la solidarietà in una società fortemente gerarchica.

·       Nel Rinascimento e nell’età moderna molte confraternite divennero potenti istituzioni economiche, con patrimoni fondiari e rendite, e furono anche promotrici di arte e architettura (basti pensare agli oratori decorati da artisti come il Perugino o il Caravaggio).


⚖️ Dalla Controriforma all’età contemporanea

Dopo il Concilio di Trento (XVI sec.), le confraternite furono poste sotto maggiore controllo ecclesiastico, ma continuarono a svolgere un ruolo essenziale nell’assistenza.
Con l’età moderna e soprattutto con l’Ottocento, le riforme statali e laicizzanti (in particolare sotto Napoleone e poi con l’Unità d’Italia) portarono:

·       alla soppressione o trasformazione di molte confraternite;

·       alla nazionalizzazione dei loro beni assistenziali;

·       ma anche alla sopravvivenza di molte sotto forma di enti morali o associazioni di volontariato.

Oggi alcune confraternite (ad esempio le Misericordie e le Arciconfraternite della Carità) continuano a operare nel campo sanitario, sociale e funerario, in continuità con la loro tradizione medievale.


Perfetto, Mario 👍
ti preparo una sintesi cronologica con le principali fasi storiche del ruolo delle confraternite nell’assistenza ai bisognosi, dal Medioevo all’età contemporanea.


📜 Sintesi cronologica del ruolo delle confraternite nell’assistenza ai bisognosi

🕯️ XI – XII secolo: Origini monastiche e laicali

·       Le prime confraternite nascono nei contesti urbani dell’Italia centro-settentrionale (Firenze, Siena, Perugia, Bologna).

·       Sono spesso ispirate al movimento penitenziale e al terz’ordine francescano.

·       Si dedicano alla preghiera, penitenza e carità: distribuzione di pane e vesti ai poveri, cura dei pellegrini e degli infermi.

·       Spesso sono legate a ospedali e xenodochi (ospizi per viandanti), eredi delle opere monastiche di accoglienza.


⚜️ XIII – XIV secolo: L’età d’oro delle confraternite

·       Espansione straordinaria: in ogni città e borgo sorgono confraternite con scopi specifici (misericordia, carità, sepoltura, doti, redenzione dei prigionieri).

·       Nascono le Grandi Confraternite della Misericordia, come quella di Firenze (1244), ancora oggi attiva.

·       Le confraternite diventano punti di riferimento civici: organizzano processioni, feste religiose e raccolte per i poveri.

·       Durante le pestilenze (soprattutto quella del 1348) si distinguono per l’assistenza ai malati e la sepoltura dei morti, mentre molti membri muoiono nel compiere queste opere.

·       In questo periodo la carità diventa una pratica comunitaria, visibile e strutturata.


XV – XVI secolo: Rinascimento e Controriforma

·       Le confraternite raggiungono una notevole ricchezza grazie a lasciti, donazioni e privilegi fiscali.

·       Edificano oratori monumentali e ospedali, arricchendoli di opere d’arte (es. l’Oratorio dei Disciplinati a Urbino, la Misericordia a Firenze, l’Oratorio del Gonfalone a Roma).

·       Con la Controriforma (dopo il Concilio di Trento, 1545-1563), la Chiesa promuove le confraternite come strumenti di educazione religiosa del popolo, ma impone anche controlli più stretti da parte dei vescovi.

·       Si rafforza la funzione morale e catechetica: assistenza ai peccatori, ai convertiti, ai condannati a morte, alle donne “pentite”.

·       Alcune confraternite assumono una funzione quasi parrocchiale, integrando l’azione pastorale.


⚖️ XVII – XVIII secolo: Consolidamento e declino relativo

·       Continuano a svolgere un ruolo importante nelle città e campagne, ma la loro vitalità spirituale diminuisce.

·       Alcune si chiudono in attività formali e di prestigio, riservate ai ceti abbienti.

·       Restano comunque fondamentali nella gestione di ospedali, monti di pietà, orfanotrofi e doti per povere fanciulle.

·       In età illuministica e poi napoleonica (fine XVIII-inizio XIX secolo), lo Stato tende a laicizzare l’assistenza, considerando le confraternite come enti ecclesiastici “improduttivi”.

·       Molte vengono soppresse o espropriate.


🇮🇹 XIX secolo: Riforme e trasformazioni

·       Dopo la Restaurazione alcune confraternite vengono ricostituite, ma perdono progressivamente autonomia.

·       Con l’Unità d’Italia (1861) e le leggi di soppressione degli enti religiosi (1866-67), gran parte dei loro beni passa allo Stato e viene destinata a opere pubbliche di beneficenza.

·       Tuttavia, molte sopravvivono come enti morali o associazioni di mutuo soccorso.

·       Si afferma il modello di carità organizzata laica, ma le confraternite continuano a essere attive a livello locale, specie nei centri minori.


🕊️ XX – XXI secolo: Continuità e rinnovamento

·       Dopo il Concilio Vaticano II, molte confraternite ritrovano uno spirito comunitario, aggiornando i propri statuti.

·       Le Misericordie toscane e altre arciconfraternite (es. Roma, Napoli, Palermo) si trasformano in organizzazioni di volontariato nel campo:

o   sanitario (ambulanze, pronto soccorso, donazioni di sangue);

o   sociale (assistenza agli anziani, distribuzione pasti);

o   funerario e di protezione civile.

·       Mantengono un forte radicamento popolare, unendo tradizione religiosa e spirito civico.

·       Oggi sono riconosciute dallo Stato italiano come organizzazioni di volontariato ai sensi del Codice del Terzo Settore.


🧭 Sintesi del significato storico

Le confraternite rappresentano:

·       il ponte tra religione e società civile;

·       la matrice storica del welfare comunitario europeo;

·       un modello di solidarietà capillare fondato sulla fede e sulla reciprocità;

·       un esempio di partecipazione laicale alla missione della Chiesa, che ha plasmato profondamente la cultura civile italiana.

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 La mentalità del Papa precedente  è riconoscibile nell’ignorare completamente l’evoluzione democratica dello stato sociale in Europa occidentale e in altre parti del mondo, che ha portato l’assistenza ai bisognosi e l’innalzamento dei ceti subalterni ad essere un obiettivo politico dei pubblici poteri. L’esperienza politica dell’America Latina è stata in gran parte molto diversa, ma quella Europea è molto significativa perché è uno dei grandi  modelli di riferimento del mondo, insieme a quelli statunitense, russo e cinese. Si tratta di un sistema istituzionale che è stato potentemente inculturato dai cristianesimi democratici, ma del quale il Papa precedente diffidava profondamente. Nell’Esortazione apostolica si tace completamente della democrazia come via al sostegno dei poveri, poveri di tutte le povertà. Si preferisce menzionare l’esperienza dei movimenti popolari  diretti da leader carismatici, in genere sconosciuta in Europa e con rischi di degenerare nell’autoritarismo un  mancanza di procedure democratiche di legittimazione delle rappresentanza politiche.

  Si svaluta l’esperienza dell’economia contemporanea, come sistema nel complesso diabolico, sottovalutando la realtà che nel sistema dell’economia globalizzata negli ultimi cinquant’anni, nonostante gravi degenerazioni in particolare sotto il profilo del crescente accentramento delle ricchezze in fasce sempre più limitate della popolazioni e dei diritti sociali dei lavoratori, molti stati del mondo sono usciti dal sottosviluppo, con notevole miglioramento del benessere della gente.

  Il contributo più importante dell’Esortazione apostolica mi pare quindi quello, di natura prevalentemente dottrinale, volto a contrastare alcuni argomenti della teologia della prosperità che ha molto credito negli Stati Uniti d’America di oggi e che, nel gennaio 2025, si espresse in una intervista del vicepresidente USA Jack Vance a cui fece seguito a stretto giro, come si dice, il mese seguente, una lettera di papa Francesco ai vescovi statunitensi.

  Con l’aiuto di ChatGPT sintetizzo gli argomenti della teologia della prosperità

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Ecco una sintesi dei principali punti della teologia della prosperità (prosperity theology, spesso detta “vangelo della prosperità” o “health and wealth gospel”) — con i suoi argomenti e le critiche più frequenti, in particolare riguardo al modo in cui “accusa” i poveri — che può servirti come base per un’analisi più approfondita.


📘 Cos’è la teologia della prosperità: principi fondamentali

La teologia della prosperità è un movimento cristiano (soprattutto nell’evangelicalismo, nel pentecostalismo e nel carismatico) che sostiene che Dio desidera che i credenti godano non solo della salvezza spirituale, ma anche del benessere materiale e fisico in questa vita.

Ecco i suoi elementi chiave:

Principio

Cosa afferma / come lo promuove

Dio vuole prosperità materiale e salute

La benedizione di Dio si manifesta anche come ricchezza, salute, successo finanziario.

“Contratto” o “legge spirituale”

Vi è un’idea che la relazione con Dio funzioni come un patto: se il credente agisce con fede, confessa positivamente, dà liberamente (offerte, decime), allora Dio restituirà con benedizioni materiali.

Confessione positiva / dichiarazioni di fede

L’essere “in linea” con le promesse divine significa parlare con fede affermando ciò che si desidera (es. “Io sono benedetto”, “Io ho salute”) come se fosse già realizzato.

Donazioni / decime come semina (sowing seeds)

Dare denaro alla chiesa, al ministero, fare offerte generose è visto come “seminare”, che attiva la capacità divina di restituire con moltiplicazione.

Autorità del credente / dominio sulla creazione

Alcuni esponenti affermano che i credenti, per il fatto di essere creati a immagine di Dio, hanno un certo “potere” spirituale per esercitare dominio sulle circostanze materiali (economia, salute) tramite fede e parole.

Interpretazione selettiva della Bibbia

Versetti considerati favorevoli alla prosperità (es. promesse di Dio, passi del Vecchio Testamento su benedizioni materiali) vengono enfatizzati; altri passi sul sacrificio, la povertà, la croce, spesso minimizzati o reinterpretati.


⚖️ Argomenti contro / critiche e conseguenze per i poveri

La teologia della prosperità è molto controversa, anche all’interno del mondo cristiano, e ha ricevuto numerose critiche su più livelli. Ecco i principali argomenti critici, soprattutto rispetto all’impatto sui poveri:

Critica / argomento

Descrizione / implicazioni

Colpevolizzazione dei poveri

Se la prosperità è vista come prova della fede, chi è povero è considerato “mancante di fede”, “non connesso spiritualmente” o “non degno” della benedizione divina.

Semplificazione spirituale e “formula magica”

Riduce la fede a una formula (“confessione + donazione = benedizione”), quasi meccanica, ignorando la complessità del cammino cristiano, le prove, la sofferenza.

Focalizzazione sull’individuo, indebolimento della solidarietà

Poiché l’enfasi è sul “ciascuno riceva da Dio”, si può trascurare l’impegno per la giustizia sociale, le strutture che generano povertà, il mutuo soccorso collettivo.

Rischio di sfruttamento finanziario

Pastori / leader possono esercitare pressione sui fedeli affinché diano generose offerte o decime, promettendo benedizioni in cambio. In alcuni casi, si sono verificati scandali finanziari.

Incoerenza con la vita e gli insegnamenti di Gesù

Gesù visse in povertà, denunciò il richiamo ossessivo alle ricchezze, parlò dell’amore per i poveri. La teologia della prosperità spesso ignora o neutralizza questi aspetti.

Riduzione della croce, del sacrificio e della sofferenza

Minimizza l’importanza della sofferenza, delle prove, del dono di sé; classifica la sofferenza come “mancanza di fede” da superare con parole positive.

Distorsione dell’immagine di Dio

Presenta un Dio “fornitore di beni materiali” quasi subordinato al desiderio umano, anziché un Dio che chiama a conversione, servizio, donazione, relazione.

Un passaggio molto critico fa notare che la teologia della prosperità “spinge i poveri a un atteggiamento ‘miracolista’”, appoggiandosi all’idea che la fede produrrà automaticamente il benessere, mentre l’impegno sociale o politico nei confronti delle disuguaglianze viene trascurato o sminuito.

🔊 1. Esempi concreti di predicatori e movimenti

📺 Predicatori più noti negli USA

La teologia della prosperità si è diffusa soprattutto a partire dagli anni ’50-’60 attraverso la tele-evangelizzazione, trovando grande seguito in ambienti pentecostali e carismatici.

·       Oral Roberts (1918–2009)
Fu uno dei primi a proporre la formula “Seed-Faith” (“fede-seme”): chi dona denaro a Dio o al ministero riceverà una ricompensa moltiplicata.
→ Ha reso popolare l’idea che “dare denaro a Dio è un investimento che produce ritorni garantiti”.

·       Kenneth Hagin (1917–2003) e Kenneth Copeland (1936–)
Fondatori del movimento Word of Faith, secondo cui le parole pronunciate con fede hanno potere creativo: dire “sono benedetto” o “sono ricco” attiva la benedizione divina.
→ Copeland possiede oggi uno dei ministeri più ricchi degli Stati Uniti.

·       Joel Osteen (1963–), pastore della Lakewood Church di Houston (oltre 40.000 fedeli a settimana).
Predica un messaggio motivazionale: Dio vuole che tu “pensi in grande”, “non ti accontenti della mediocrità”, “credi in te stesso”.
→ Pur evitando il linguaggio esplicito della prosperità, ne condivide la logica di fondo: la fede produce successo.

·       Creflo Dollar, T.D. Jakes, Benny Hinn
Altri telepredicatori che collegano la ricchezza materiale alla grazia divina e invitano i fedeli a donare per “ricevere cento volte tanto”.


💰 2. Effetti sociali e morali

Le ricerche sociologiche (es. Bowler, Blessed: A History of the American Prosperity Gospel, Oxford 2013) mostrano che:

·       La teologia della prosperità è più attraente tra i poveri, le minoranze e le classi medio-basse, che vedono nella fede una via d’uscita dalle difficoltà economiche.

·       Tuttavia, essa sposta la responsabilità della povertà sull’individuo, non sulle strutture sociali o sull’ingiustizia.

·       Il risultato è una colpevolizzazione religiosa della povertà:

“Se non prosperi, è perché non hai abbastanza fede o non hai seminato abbastanza.”

·       In questo modo, le disuguaglianze economiche appaiono spiritualizzate e giustificate come risultato della “volontà divina” o del “livello di fede”.

Questo atteggiamento è stato criticato da teologi cattolici e protestanti come una forma di “teodicea del privilegio”, che nega la solidarietà e normalizza l’ingiustizia.


✝️ 3. Il contrasto con la dottrina sociale cristiana

Tema

Teologia della prosperità

Dottrina sociale della Chiesa

Povertà

Segno di mancanza di fede o maledizione

Possibile luogo della grazia; chi è povero è beato (Mt 5,3)

Ricchezza

Segno della benedizione divina

Rischio spirituale; deve essere condivisa (Lc 12,15-21)

Giustizia sociale

Non centrale: Dio agisce individualmente

Centrale: Dio opera nella storia anche attraverso strutture giuste

Salvezza

Evidenziata dal successo terreno

Orientata al Regno di Dio, trascendente e solidale

Fede

Strumento per ottenere prosperità

Relazione di fiducia e servizio, anche nella sofferenza

Immagine di Dio

Dio come garante del successo personale

Dio come Padre di tutti, vicino ai poveri e agli oppressi

La dottrina sociale cattolica (da Leone XIII a Francesco) insiste sull’opposto:

·       la dignità del lavoro come partecipazione al disegno divino;

·       la solidarietà come principio morale e politico;

·       il bene comune come scopo delle istituzioni;

·       e il dovere di preferenza per i poveri, espresso chiaramente da Giovanni Paolo II e Francesco.


🕊️ 4. Il giudizio di Papa Francesco

Papa Francesco ha più volte criticato apertamente la teologia della prosperità, definendola:

“una forma di gnosticismo moderno e di pelagianesimo mascherato” (cfr. Evangelii gaudium, n. 94–97),
poiché:

·       riduce la grazia a una tecnica di successo personale,

·       disprezza la fragilità e la povertà,

·       e trasforma la fede in un contratto utilitaristico.

In un’omelia del 2018, il Papa affermò:

“Questa non è la via di Gesù. Il Signore è povero, la via dei cristiani è la via della povertà, del servizio e dell’umiltà.”


📚 5. Conclusione sintetica

La teologia della prosperità propone una visione individualista, utilitaristica e mondana della fede, secondo cui la benedizione divina si misura in successo, salute e denaro.
La dottrina cristiana tradizionale, al contrario, vede nella povertà, nella solidarietà e nella condivisione luoghi privilegiati della presenza di Dio.

Il contrasto è netto:

una religione del “Dio che serve me” contro la fede nel “Dio che io servo”.


Perfetto, Mario.
Ecco un paragrafo conclusivo di sintesi argomentativa, che potresti usare — con piccoli adattamenti — come chiusura di un articolo o di un saggio breve.


🔻 Sintesi conclusiva: il significato culturale e teologico della “teologia della prosperità”

La teologia della prosperità rappresenta una delle espressioni più significative della simbiosi tra religione e capitalismo nel mondo contemporaneo. Nata negli Stati Uniti nel contesto della cultura del successo e dell’individualismo economico, essa traduce in linguaggio religioso l’ideologia del mercato: chi crede, lavora e investe — anche “spiritualmente” — riceverà un rendimento proporzionale.
In questo modo, la fede viene trasformata in un meccanismo di autolegittimazione del privilegio: i ricchi sono benedetti perché meritevoli, i poveri sono colpevoli perché “mancano di fede”. Il Vangelo viene così piegato a giustificare le disuguaglianze, presentandole come il risultato di una legge divina, e non di strutture ingiuste o scelte collettive.

Dal punto di vista teologico, questa corrente svuota il messaggio evangelico del suo nucleo salvifico e solidale. Il Dio della prosperità è un garante di successo, non il Dio crocifisso che si identifica con gli ultimi; è un Dio condizionato dal merito, non un Padre che ama gratuitamente.
Si passa così da una spiritualità del dono a una spiritualità del rendimento, da una comunità di fratelli a una somma di individui che “investono” nella propria fede per ottenere vantaggi personali.

La dottrina sociale cristiana, al contrario, ricorda che la grazia non è un premio ma un dono, e che la salvezza passa per la comunione, la condivisione e la cura dei più deboli. In questa prospettiva, la prosperità vera non coincide con la ricchezza, ma con la giustizia e la fraternità.
L’antitesi tra la teologia della prosperità e il Vangelo non è solo dottrinale, ma antropologica: riguarda due concezioni opposte dell’uomo — l’una come individuo competitivo, l’altra come persona relazionale e solidale.

Per questo, il successo della teologia della prosperità non va letto solo come un fenomeno religioso, ma come un sintomo spirituale della cultura neoliberale, che tende a sacralizzare il successo e a interpretare la povertà come fallimento morale.
Contestarla, dunque, non significa solo difendere l’ortodossia cristiana, ma riaffermare una visione umana della fede, capace di restituire dignità a chi non ha nulla e di ricordare che, nel linguaggio di Gesù, la vera benedizione è dei poveri, non dei vincenti.

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   L’esortazione apostolica probabilmente fa seguito a un’aspra controversia dottrinale che, tra gennaio e febbraio 2025, contrappose papa Francesco al vicepresidente USA Jack Vance. Di seguito ne tratto con l’aiuto di ChatGPT.

Controversia dottrinale sul concetto cristiano di Ordo amoris sviluppatasi nel gennaio – febbraio 2025 e di seguito riassunta con l’ausilio dell’A.I. ChatGPT (prompt del 24-10-25)

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1. In una intervista del 29 gennaio 2025, J. D. Vance, vicepresidente federale statunitense, neoconvertito al cattolicesimo,  ha affermato:

«There is a Christian concept that you love your family, and then you love your neighbor, and then you love your community, and then you love your fellow citizens in your own country, and then, after that, you can focus and prioritize the rest of the world.»  [trad.Esiste un concetto cristiano secondo cui prima ami la tua famiglia, poi ami il tuo prossimo, poi la tua comunità, poi i tuoi concittadini nel tuo stesso Paese, e solo dopo puoi dedicarti e dare priorità al resto del mondo] Egli ha associato questo principio a un concetto “vecchio stile cristiano” e ha fatto riferimento al termine latino ordo amoris.

2.  Il concetto di ordo amoris, cioè “l’ordine secondo l’amore, ossia la disposizione giusta e gerarchica dei nostri amori in rapporto al Bene supremo.”, è tradizionalmente attribuito a Sant’Agostino (e sviluppato da Tommaso d’Aquino) come «virtù è l’ordine dell’amore» («virtus est ordo amoris») — che consiste nel non amare ciò che non si deve amare, o non dare al male l’affetto dovuto al bene, ecc.

L’espressione ordo amoris, usata da Agostino d’Ippona, è una delle formule più dense e difficili della sua antropologia morale e teologica.

Letteralmente, si traduce come “ordine dell’amore” o, con maggiore finezza, “l’ordine secondo l’amore”. Tuttavia, una traduzione puramente letterale non restituisce la complessità del concetto, che in latino agostiniano ha un valore tecnico, non solo lessicale.

 Analisi linguistica

·       Ordo: in latino classico e cristiano significa “ordine”, ma non solo nel senso statico di disposizione o gerarchia; in Agostino implica anche proporzione, armonia, misura e finalità. È l’ordine cosmico e morale che riflette la volontà divina.

·       Amoris: genitivo singolare di amor, quindi “dell’amore”. Ma per Agostino l’amor non è sentimento, bensì la forza motrice della volontà, ciò che orienta l’uomo verso un fine (finis).

Dunque, ordo amoris significa “l’ordinamento gerarchico dei nostri amori”, ossia l’ordine oggettivo e normativo con cui devono essere amati i beni, secondo il loro valore e in relazione a Dio.

Il passo agostiniano

La formula compare nel De civitate Dei, XV, 22:

“Virtus est ordo amoris.”
Traduzione: La virtù è l’ordine dell’amore.

In questo contesto, Agostino definisce la virtù non come una qualità autonoma dell’animo, ma come il corretto ordinamento degli amori:
amare ciò che si deve, quanto si deve, come si deve e per ciò che si deve.

 Significato concettuale

L’“ordine dell’amore” non è una sequenza cronologica (“prima amo i vicini, poi gli altri”), bensì un principio assiologico: amare ogni cosa nella misura che le compete, subordinando ogni amore all’amore di Dio, che è il Bene sommo.

Come scrive in De doctrina christiana I, 27:

«Non est in homine peccatum, si ordo amoris servetur.»
(Nell’uomo non c’è peccato, se viene osservato l’ordine dell’amore.)

L’idea è che il disordine morale nasce dal disordinato amore (amor inordinatus), cioè dal porre al vertice beni inferiori o effimeri.

Traduzioni possibili e sfumature

·       “Ordine dell’amore” → traduzione classica, fedele e filosoficamente neutra.

·       “Gerarchia dell’amore” → sottolinea la dimensione normativa, ma rischia un tono rigido o politico che Agostino non intendeva.

·       “Armonia dell’amore” → rende bene la visione agostiniana come equilibrio e concordia interiore.

·       “Misura dell’amore” → più etico che metafisico, adatto a traduzioni moderne.

In sintesi, da professore di lingua e letteratura latina tradurrei ordo amoris come:

“l’ordine secondo l’amore, ossia la disposizione giusta e gerarchica dei nostri amori in rapporto al Bene supremo.”

3.Il Papa Francesco, in una lettera ai vescovi statunitensi del 10 febbraio 2025, ha affermato che:

 «Christian love is not a concentric expansion of interests that little by little extend to other persons and groups.» . [trad.L’amore cristiano non è un’espansione concentrica di interessi che poco a poco si estendono ad altre persone e gruppi].

·       «The true ordo amoris … is that which we discover by meditating constantly on the parable of the ‘good Samaritan’ … love that builds a fraternity open to all, without exception.» [trad.Il vero ordo amoris che occorre promuovere è quello che scopriamo meditando costantemente la parabola del “Buon Samaritano” (cfr. Lc 10, 25-37), ovvero meditando sull’amore che costruisce una fratellanza aperta a tutti, senza eccezioni].

·       Egli dunque appare a contrapporsi all’uso che Vance fa del principio, argomentando che non si tratti di “amare prima il vicino, poi l’altro” come sequenza chiusa, ma di una fraternità senza esclusione.

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  Secondo informazioni correnti sui mass media all’epoca dei fatti, il cardinale statunitense Robert Prevost contribuì alla stesura della lettera del Papa.

Una spiegazione molto chiara di ciò che viene definito opzione preferenziale per i poveri, nella sequela del Maestro, l’ho trovata in questa predicazione, disponibile sul Web, del pastore valdese Fulvio Ferrario, verosimilmente in risposta alle stesse dichiarazioni di Vance:

https://www.youtube.com/watch?v=lEHdf3Yv6UU&t=11s

trascrizione della conversazione del prof. Fulvio Ferrario pubblicata su YouTube con il titolo

Dio sta con i poveri

Il 4 Marzo 2025

sul tema del rapporto tra la teologia della prosperità – sostenuta da Paula White, consigliera spirituale di Donald Trump – e il Vangelo di Gesù Cristo

  Il prof.  Fulvio Ferrario è  docente di teologia sistematica alla Facoltà valdese di teologia. Ulteriori notizie biografiche possono leggersi all’indirizzo https://it.wikipedia.org/wiki/Fulvio_Ferrario

 La teologia della prosperità intende la prosperità come ricerca individualistica del benessere, del successo economico-sociale e della salute.

  Tale teologia è recentemente tornata alla ribalta con la nomina a consulente dell’Ufficio della Fede della Casa Bianca della telepredicatrice Paula White, consulente spirituale del presidente Trump.

[trascrizione da Youtube di Mario Ardigò]

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  Il gruppo di potere che dallo scorso gennaio governa gli Stati Uniti e che si candida, con le ragioni della propria forza, a guidare il mondo ha anche una visione “spirituale”.

  Uno degli elementi di questa concezione è la cosiddetta “teologia della prosperità”.

   Che significa?

    E’  l’idea secondo la quale la ricchezza sia frutto delle benedizione di Dio e che dunque i ricchi siano tali perché in fondo “buoni” e, quello che ancora è più pericoloso, i poveri siano tali perché non benedetti da Dio e dunque “cattivi”.

  Qualcuno dice anche che questa visione abbia a che vedere con la fede evangelica protestante.

  Ebbene, bisogna dire che, siccome la Chiesa evangelica è una Chiesa cristiana, ciò che essa dice è su per giù il contrario.

  E cioè: non è che i poveri in quanto tali siano “buoni”, è che Dio ha deciso di stare dalla loro parte e Gesù era uno di loro.

  Per questo motivo, dottrine tipo la teologia della prosperità sono delle bestemmie. Qualcosa di peggio dell’eresia. Cioè calpestano  ciò che Dio ci ha voluto dire in Gesù.

 Per questo motivo non vanno accolte.

 

 Informazioni sulla teologia dell’opzione preferenziale per i poveri, con l’aiuto di ChatGPT:

Ottima domanda, Mario — la teologia dell’opzione preferenziale per i poveri è una delle espressioni più significative della teologia cristiana contemporanea, e comprenderne l’origine e il significato è fondamentale per capire molti sviluppi della Chiesa nel XX e XXI secolo, specialmente in America Latina.

Ti spiego tutto in modo sistematico, come farebbe un docente universitario di teologia.


1. Origine storica

Il contesto moderno: America Latina e Vaticano II

L’espressione teologica “opzione preferenziale per i poveri” appare negli anni ’60-’70 nel contesto della teologia della liberazione latinoamericana.
Le sue radici immediate sono:

·       Il Concilio Vaticano II (1962-1965), che in Gaudium et spes afferma:

«Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, soprattutto dei poveri e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo» (n. 1).
Questa frase divenne la base concettuale di un’attenzione strutturale ai poveri.

·       La Conferenza episcopale di Medellín (1968), che tradusse il Vaticano II nel contesto latinoamericano, affermando che la Chiesa deve impegnarsi nella liberazione integrale dell’uomo e nella giustizia sociale, poiché «i poveri non possono aspettare».

·       La Conferenza di Puebla (1979), che per la prima volta usa esplicitamente il termine “opzione preferenziale per i poveri” come criterio evangelico.

2. Significato teologico

a) Non è un’esclusione, ma una priorità

L’aggettivo “preferenziale” non indica che Dio ama solo i poveri, ma che li ama in modo preferenziale, perché sono coloro in cui più chiaramente si manifesta il bisogno di salvezza e giustizia.
È una priorità etica e pastorale, non una discriminazione.

Papa Giovanni Paolo II lo chiarì bene a Puebla:

«L’amore preferenziale per i poveri è implicito nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi» (Discorso di apertura, 1979).

b) Dimensione cristologica

Gesù Cristo è il modello di questa opzione:

·       Egli si è fatto povero (2 Cor 8,9) e ha condiviso la vita dei marginali.

·       Il Regno di Dio che annuncia è una buona notizia per i poveri (Lc 4,18).
Perciò, seguire Cristo implica prendere sul serio la condizione dei poveri come luogo teologico privilegiato: la loro esperienza diventa luogo di rivelazione e di discernimento morale.

c) Dimensione ecclesiologica e sociale

L’opzione preferenziale per i poveri significa che la Chiesa:

·       orienta la sua pastorale verso i più deboli;

·       si impegna per trasformare le strutture di peccato (ingiustizie economiche, sociali, politiche);

·       riconosce nei poveri soggetti attivi della fede, non solo destinatari di assistenza.

È quindi una scelta di conversione ecclesiale e non un semplice programma sociale.


3. Sviluppo nel Magistero

·       Paolo VI, in Evangelii nuntiandi (1975), già parla di “liberazione autentica dell’uomo” come parte integrante dell’evangelizzazione.

·       Giovanni Paolo II, in Sollicitudo rei socialis (1987, n. 42), usa per la prima volta la formula “opzione preferenziale per i poveri” nel magistero pontificio.

·       Benedetto XVI la riconferma, ma sottolineando che la liberazione non può ridursi a un progetto politico.

·       Papa Francesco l’ha riportata al centro, in particolare in Evangelii gaudium (2013, n. 198):

«L’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio concede loro la sua prima misericordia.»


4. Sintesi concettuale

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Contenuto

Biblica

Dio è dalla parte dei poveri e degli oppressi

Cristologica

Gesù si identifica con i poveri

Ecclesiale

La Chiesa è chiamata a servire i poveri

Etica

Priorità della giustizia e della solidarietà

Teologica

I poveri sono luogo privilegiato della presenza di Dio


In breve:

L’opzione preferenziale per i poveri è la convinzione che l’amore di Dio — e quindi la missione della Chiesa — si manifesta in modo privilegiato nella vicinanza concreta ai poveri, perché da loro parte il giudizio evangelico sulla società e sulla fede.

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LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI VESCOVI DEGLI STATI UNITI D'AMERICA (estratto)

 10 febbraio 2025

4. Sto seguendo da vicino la grande crisi che si sta verificando negli Stati Uniti con l’avvio di un programma di deportazioni di massa. La coscienza rettamente formata non può non compiere un giudizio critico ed esprimere il suo dissenso verso qualsiasi misura che tacitamente o esplicitamente identifica lo status illegale di alcuni migranti con la criminalità. Al tempo stesso, bisogna riconoscere il diritto di una nazione a difendersi e a mantenere le comunità al sicuro da coloro che hanno commesso crimini violenti o gravi durante la permanenza nel Paese o prima del loro arrivo. Detto ciò, l’atto di deportare persone che in molti casi hanno abbandonato la propria terra per ragioni di povertà estrema, insicurezza, sfruttamento, persecuzione o grave deterioramento dell’ambiente, lede la dignità di molti uomini e donne, e di intere famiglie, e li pone in uno stato di particolare vulnerabilità e incapacità di difendersi.

5. Non si tratta di una questione di poca importanza: uno Stato di diritto autentico si dimostra proprio nel trattamento dignitoso che tutte le persone meritano, specialmente quelle più povere ed emarginate. Il vero bene comune viene promosso quando la società e il governo, con creatività e rigoroso rispetto dei diritti di tutti — come ho affermato in numerose occasioni — accolgono, proteggono, promuovono e integrano i più fragili, indifesi, vulnerabili. Ciò non ostacola lo sviluppo di una politica che regolamenti una migrazione ordinata e legale. Tuttavia, tale sviluppo non può avvenire attraverso il privilegio di alcuni e il sacrificio di altri. Ciò che viene costruito sul fondamento della forza e non sulla verità riguardo alla pari dignità di ogni essere umano incomincia male e finirà male.

6. I cristiani sanno molto bene che è solo affermando la dignità infinita di tutti che la nostra identità di persone e di comunità giunge a maturazione. L’amore cristiano non è un’espansione concentrica di interessi che poco a poco si estendono ad altre persone e gruppi. In altre parole: la persona umana non è un mero individuo, relativamente espansivo, con qualche sentimento filantropico! La persona umana è un soggetto dotato di dignità che, attraverso la relazione costitutiva con tutti, specialmente con i più poveri, un po’ alla volta può maturare nella sua identità e vocazione. Il vero ordo amoris che occorre promuovere è quello che scopriamo meditando costantemente la parabola del “Buon Samaritano” (cfr. Lc 10, 25-37), ovvero meditando sull’amore che costruisce una fratellanza aperta a tutti, senza eccezioni. 

 

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Esortazione apostolica Ti ho amato – Dilexi te, sull’amore verso i poveri,  di papa Leone 14°, del 4-10-25, pubblicata il 9-10-25

Sintesi ristretta

 

1. Da un Papa all’altro 

  Diffondere l’amore di Cristo come strumento di liberazione degli altri da sofferenze e bisogni.

  L’esortazione apostolica è in continuità con l’enciclica Ci ha amati – Dilexit nos  di papa Francesco e utilizza anche materiale suo.

1.Amare il Signore nei poveri

 Sono convinto che la scelta prioritaria per i poveri genera un rinnovamento straordinario sia nella Chiesa che nella società, quando siamo capaci di liberarci dall’autoreferenzialità e riusciamo ad ascoltare il loro grido.

 Dio si mostra sollecito verso le necessità dei poveri: «Gridarono al Signore ed egli fece sorgere per loro un salvatore» (Gdc 3,15). Perciò, ascoltando il grido del povero, siamo chiamati a immedesimarci col cuore di Dio, che è premuroso verso le necessità dei suoi figli e specialmente dei più bisognosi.  

3. Diverse forme di povertà

 Esistono molte forme di povertà: quella di chi non ha mezzi di sostentamento materiale, la povertà di chi è emarginato socialmente e non ha strumenti per dare voce alla propria dignità e alle proprie capacità, la povertà morale e spirituale, la povertà culturale, quella di chi si trova in una condizione di debolezza o fragilità personale o sociale, la povertà di chi non ha diritti, non ha spazio, non ha libertà.

4. Impegno sociale per rimuovere le cause sociali e strutturali della povertà

  L’impegno a favore dei poveri e per rimuovere le cause sociali e strutturali della povertà, rimane sempre insufficiente; anche perché le società in cui viviamo spesso privilegiano criteri di orientamento dell’esistenza e della politica segnati da numerose disuguaglianze. E’ positivo che le Nazioni Unite abbiano posto la sconfitta della povertà come uno degli obiettivi del Millennio.

5. Una trasformazione di mentalità

  All’impegno concreto per i poveri occorre anche associare una trasformazione di mentalità che possa incidere a livello culturale. In un mondo dove sempre più numerosi sono i poveri, paradossalmente vediamo anche crescere alcune élite di ricchi, che vivono nella bolla di condizioni molto confortevoli e lussuose, quasi in un altro mondo rispetto alla gente comune.

6. Regole economiche insufficienti per lo sviluppo umano integrale. Concezione contemporanea della povertà e sue cause sociali

   Ci sono regole economiche che sono risultate efficaci per la crescita, ma non altrettanto per lo sviluppo umano integrale. È aumentata la ricchezza, ma senza equità, e così ciò che accade è che nascono nuove povertà.

  Se riconosciamo che tutti gli esseri umani hanno la stessa dignità, indipendentemente dal luogo di nascita, non si devono ignorare le grandi differenze che esistono tra i Paesi e le regioni.   I poveri non ci sono per caso o per un cieco e amaro destino. Tanto meno la povertà, per la maggior parte di costoro, è una scelta. Eppure, c’è ancora qualcuno che osa affermarlo, mostrando cecità e crudeltà. Non possiamo dire che la maggior parte dei poveri lo sono perché non hanno acquistato dei “meriti”, secondo quella falsa visione della meritocrazia dove sembra che abbiano meriti solo quelli che hanno avuto successo nella vita.

, Il fatto che l’esercizio della carità risulti disprezzato o ridicolizzato, come se si trattasse della fissazione di alcuni e non del nucleo incandescente della missione ecclesiale, mi fa pensare che bisogna sempre nuovamente leggere il Vangelo, per non rischiare di sostituirlo con la mentalità mondana.

7. Dio stesso si è fatto povero. Ragioni teologiche della sua opzione preferenziale per i poveri

  Dio stesso si è fatto povero. Si comprende bene, allora, perché si può anche teologicamente parlare di un’opzione preferenziale da parte di Dio per i poveri, un’espressione nata nel contesto del continente latino-americano e in particolare nell’Assemblea di Puebla, ma che è stata ben integrata nel successivo magistero della Chiesa. Questa “preferenza” non indica mai un esclusivismo o una discriminazione verso altri gruppi, che in Dio sarebbero impossibili; essa intende sottolineare l’agire di Dio che si muove a compassione verso la povertà e la debolezza dell’umanità intera e che, volendo inaugurare un Regno di giustizia, di fraternità e di solidarietà, ha particolarmente a cuore coloro che sono discriminati e oppressi, chiedendo anche a noi, alla sua Chiesa, una decisa e radicale scelta di campo a favore dei più deboli.

8. Dio, fattosi povero, è amico e liberatore dei poveri

 Si comprendono in questa prospettiva le numerose pagine dell’Antico Testamento in cui Dio viene presentato come amico e liberatore dei poveri, Colui che ascolta il grido del povero e interviene per liberarlo.  Considerando l’amore di Dio attraverso la protezione dei deboli e dei meno abbienti si potrebbe parlare di una sorta di “debolezza” di Dio nei loro confronti.

  Ciò trova in Gesù di Nazaret la sua piena realizzazione. Si tratta di una povertà radicale, fondata sulla sua missione di rivelare il vero volto dell’amore divino (cfr Gv 1,18; 1Gv 4,9).  

La sua povertà e precarietà è segno del legame con il Padre ed è richiesta anche a chi vuole seguirlo sulla via del discepolato, proprio perché la rinuncia ai beni, alle ricchezze e alle sicurezze di questo mondo diventi segno visibile dell’affidarsi a Dio e alla sua provvidenza.

9. Un lieto annuncio ai poveri

    I segni che accompagnano i la predicazione di Gesù sono manifestazione dell’amore e della compassione con cui Dio guarda gli ammalati, i poveri e i peccatori che, in virtù della loro condizione, erano emarginati nella società ma anche dalla religione;

  Questo spiega perché Egli proclama: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio» (Lc 6,20).

 Tante volte mi domando perché, pur essendoci tale chiarezza nelle Sacre Scritture a proposito dei poveri, molti continuano a pensare di poter escludere i poveri dalle loro attenzioni.  

10. Amore di Dio e amore del prossimo come un unico comandamento

Gesù fondi in un unico comandamento i due antichi comandamenti: «Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,5) e «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19,18).

  È innegabile che il primato di Dio nell’insegnamento di Gesù si accompagna all’altro punto fermo che non si può amare Dio senza estendere il proprio amore ai poveri.  

11. Nelle prime comunità cristiane

Nella prima comunità cristiana il programma di carità non derivava da analisi o da progetti, ma direttamente dall’esempio di Gesù, dalle parole stesse del Vangelo.

  La vita delle prime comunità ecclesiali, narrata nel canone biblico e giunta a noi come Parola rivelata, ci viene offerta come esempio da imitare e come testimonianza della fede che opera per mezzo della carità, e rimane quale monito permanente per le generazioni a venire.  

12. Desiderio di una Chiesa povera per i poveri. Non separare il credere dall’azione sociale

Tre giorni dopo la sua elezione, il mio Predecessore espresse ai rappresentanti dei media il desiderio che la cura e l’attenzione per i poveri fossero più chiaramente presenti nella Chiesa: «Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!».

  Questo desiderio riflette la consapevolezza che la Chiesa «riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo» [ Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 8]. 

  I primi cristiani erano chiaramente consapevoli della necessità di prendersi cura di coloro che erano soggetti a maggiori privazioni.

 I Padri della Chiesa riconobbero nei poveri una via privilegiata di accesso a Dio, un modo speciale per incontrarlo. La carità verso i bisognosi non era intesa come una semplice virtù morale, ma come espressione concreta della fede nel Verbo incarnato.  

13. San Giustino

 San Giustino, da parte sua, nella sua prima Apologia, indirizzata all’imperatore Adriano, al Senato e al popolo romano, spiegava che i cristiani portavano tutto ciò che potevano ai bisognosi, perché vedevano in loro dei fratelli e delle sorelle in Cristo.

  La Chiesa nascente non separava il credere dall’azione sociale: la fede che non era accompagnata dalla testimonianza delle opere, come insegna San Giacomo, era considerata morta (cfr Gc 2,17).

14. San Giovanni Crisostomo

Tra i Padri orientali, il più ardente predicatore della giustizia sociale fu forse San Giovanni Crisostomo [significa bocca d’oro], Arcivescovo di Costantinopoli tra il IV e il V secolo. Nelle sue omelie, egli esortava i fedeli a riconoscere Cristo nei bisognosi.  Affermando con chiarezza cristallina che, se i fedeli non incontrano Cristo nei poveri che stanno alla porta, non potranno adorarlo nemmeno sull’Altare.

  Di conseguenza, la carità non è un percorso opzionale, ma il criterio del vero culto.

15. Sant’Agostino e Sant’Ambrogio

Nella predicazione di Sant’Ambrogio, vescovo di Milano, la misericordia assume un carattere profetico: denuncia le strutture di accumulo e riafferma la comunione come vocazione ecclesiale.

 Formatosi in questa tradizione, Sant’Agostino, vescovo di Ippona ha insegnato a sua volta l’amore preferenziale per i poveri, in particolare nei suoi Commenti ai Salmi.

  In una Chiesa che riconosce nei poveri il volto di Cristo e nei beni lo strumento della carità, il pensiero agostiniano rimane una luce sicura.

16. La teologia patristica per una Chiesa povera per i poveri

 Molti altri Padri della Chiesa, d’Oriente e d’Occidente, si sono pronunciati sul primato dell’attenzione ai poveri nella vita e nella missione di ogni fedele cristiano. Da questa prospettiva, in sintesi, si può dire che la teologia patristica era pratica, puntando a una Chiesa povera e per i poveri, ricordando che il Vangelo è annunciato correttamente solo quando spinge a toccare la carne degli ultimi e avvertendo che il rigore dottrinale senza misericordia è un discorso vuoto.

17. Varie forme storiche di impegno per la liberazione dei poveri

  La compassione cristiana si è manifestata in modo peculiare nella cura dei malati e dei sofferenti.

  Fin dai tempi apostolici, la Chiesa ha visto nella liberazione degli oppressi un segno del Regno di Dio.

  La carità cristiana, quando si incarna, diventa liberatrice. E la missione della Chiesa, quando è fedele al suo Signore, è sempre quella di annunciare la liberazione. Quando la Chiesa si inchina per spezzare le nuove catene che legano i poveri, diventa un segno pasquale.

18. In particolare l’impegno per i  migranti

  La Chiesa ha sempre riconosciuto nei migranti una presenza viva del Signore che, nel giorno del giudizio, dirà a quelli che sono alla sua destra: «Ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25,35).

  La tradizione dell’attività della Chiesa per e con i migranti continua e oggi questo servizio si esprime in iniziative come i centri di accoglienza per i rifugiati, le missioni di frontiera, gli sforzi di Caritas Internationalis e di altre istituzioni. Il Magistero contemporaneo ribadisce chiaramente che la risposta alla sfida posta dalle migrazioni contemporanee si può riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Ma questi verbi non valgono solo per i migranti e i rifugiati. Essi esprimono la missione della Chiesa verso tutti gli abitanti delle periferie esistenziali, che devono essere accolti, protetti, promossi e integrati.

 

 L’annuncio del Vangelo è credibile solo quando si traduce in gesti di vicinanza e accoglienza. La Chiesa sa che in ogni migrante respinto è Cristo stesso che bussa alle porte della comunità.

19. I poveri come prediletti dal Vangelo

  I più poveri tra i poverioccupano un posto speciale nel cuore di Dio. Sono i prediletti del Vangelo, gli eredi del Regno (cfr Lc 6,20). È in loro che Cristo continua a soffrire e a risorgere. È in loro che la Chiesa ritrova la chiamata a mostrare la sua realtà più autentica.

20. I movimenti popolari. I movimenti dei lavoratori, delle donne, dei giovani. Il coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino comune

 Lungo i secoli di storia cristiana, l’aiuto ai poveri e la lotta per i loro diritti non hanno riguardato soltanto i singoli, alcune famiglie, le istituzioni o le comunità religiose. Ci sono stati, e ci sono, diversi movimenti popolari, costituiti da laici e guidati da leader popolari, tante volte sospettati e addirittura perseguitati.

  Questi leader popolari sanno che la solidarietà è anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’impero del denaro. Quando le diverse istituzioni pensano ai bisogni dei poveri è necessario che includano i movimenti popolari e animino le strutture di governo locali, nazionali e internazionali con quel torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino comune. Altrimenti la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino. Lo stesso si deve dire delle istituzioni della Chiesa.

 

  Anche il contributo della Dottrina Sociale della Chiesa ha in sé questa radice popolare da non dimenticare: sarebbe inimmaginabile la sua rilettura della Rivelazione cristiana entro le moderne circostanze sociali, lavorative, economiche e culturali senza i laici cristiani alle prese con le sfide del loro tempo.

21. Magistero dei Vescovi di Roma

 I Vescovi di Roma si sono fatti voce di nuove consapevolezze, passate al vaglio del discernimento ecclesiale. Ad esempio, nella Lettera enciclica Rerum novarum (1891) del papa  Leone XIII, che affrontò la questione del lavoro, mettendo a nudo la situazione intollerabile di molti operai dell’industria, proponendo l’instaurazione di un ordine sociale giusto. Con l’Enciclica Mater et Magistra(1961) San Giovanni XXIII si fece promotore di una giustizia dalle dimensioni mondiali: i Paesi ricchi erano chiamati a soccorrere generosamente quelli poveri.

22. Il Concilio Vaticano 2°

 Il Concilio Vaticano II rappresenta una tappa fondamentale nel discernimento ecclesiale riguardo ai poveri, alla luce della Rivelazione. Numerosi Padri conciliari, infatti, favorirono il consolidarsi della coscienza, ben espressa dal Cardinale Lercaro nel suo memorabile intervento del 6 dicembre 1962, che il mistero di Cristo nella Chiesa è sempre stato ed è, ma oggi lo è particolarmente, il mistero di Cristo nei poveri e che non si tratta di qualunque tema, ma in un certo senso è l’unico tema di tutto il Vaticano II. L’Arcivescovo di Bologna, preparando il testo di questo intervento, annotava: «Questa è l’ora dei poveri, dei milioni di poveri che sono su tutta la terra, questa è l’ora del mistero della chiesa madre dei poveri, questa è l’ora del mistero di Cristo soprattutto nel povero». Si prospettava così la necessità di una nuova forma ecclesiale, più semplice e sobria, coinvolgente l’intero popolo di Dio e la sua figura storica. Una Chiesa più simile al suo Signore che alle potenze mondane, tesa a stimolare in tutta l’umanità un impegno concreto per la soluzione del grande problema della povertà nel mondo.

Nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, attualizzando l’eredità dei Padri della Chiesail Concilio ribadisce con forza la destinazione universale dei beni della terra e la funzione sociale della proprietà che ne deriva: «Ogni proprietà privata ha per sua natura una funzione sociale che si fonda sulla comune destinazione dei beni. Se si trascura questa funzione sociale, la proprietà può diventare in molti modi occasione di cupidigia e di gravi disordini». Questa convinzione è rilanciata da San Paolo VI nell’Enciclica Populorum progressio, dove leggiamo che nessuno può ritenersi «autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario». 

23. Il Magistero di San Giovanni Paolo 2° sull’opzione preferenziale per i poveri.

Con San Giovanni Paolo II si consolida, almeno in ambito dottrinale, il rapporto preferenziale della Chiesa con i poveri, in particolare nell’Enciclica Sollicitudo rei socialis: «questo amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senza tetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore: non si può non prendere atto dell’esistenza di queste realtà. L’ignorarle significherebbe assimilarci al “ricco epulone”, che fingeva di non conoscere Lazzaro, il mendicante, giacente fuori della sua porta (cfr Lc 16,19-31)». Nell’Enciclica Laborem exercens egli afferma che «il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale».

24. Il magistero di Benedetto XVI

 Benedetto XVI, nella Lettera enciclica Caritas in veritate, afferma che «si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per un bene comune rispondente anche ai suoi reali bisogni».Inoltre osserva che «la fame non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale. Manca, cioè, un assetto di istituzioni economiche in grado sia di garantire un accesso al cibo e all’acqua regolare e adeguato dal punto di vista nutrizionale, sia di fronteggiare le necessità connesse con i bisogni primari e con le emergenze di vere e proprie crisi alimentari, provocate da cause naturali o dall’irresponsabilità politica nazionale e internazionale».

 25. Il magistero latinoamericano del CELAM Consiglio Episcopale Latinoamericano e dei Caraibi – Contrastare la dittatura di un’economia che uccide

 Papa Francesco ha riconosciuto come, oltre al magistero dei Vescovi di Roma, negli ultimi decenni si sono fatte sempre più frequenti anche le prese di posizione da parte delle Conferenze Episcopali nazionali e regionali. In prima persona, ad esempio, ha potuto testimoniare il particolare impegno dell’Episcopato latino-americano nel ripensare il rapporto della Chiesa con i poveri. Nel dopo Concilio, in quasi tutti i Paesi dell’America Latina, si è sentita forte l’identificazione della Chiesa con i poveri e un’attiva partecipazione al loro riscatto. Era il cuore stesso della Chiesa a muoversi di fronte a tanti poveri afflitti da disoccupazione, sottoccupazione, salari iniqui, e costretti a vivere in condizioni miserabili. Le Conferenze dell’Episcopato Latino-americano a Medellín, a Puebla, a Santo Domingo e ad Aparecida costituiscono tappe significative anche per la Chiesa intera.

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Informazioni da ChatGPT

Il CELAM — acronimo di Consejo Episcopal Latinoamericano y Caribeño (in italiano: Consiglio Episcopale Latinoamericano e dei Caraibi) — è l’organismo che riunisce e coordina le Conferenze episcopali cattoliche dell’America Latina e dei Caraibi.
È una delle strutture più importanti della Chiesa cattolica mondiale, perché ha avuto un ruolo decisivo nello sviluppo di una pastorale e di una teologia proprie del continente latinoamericano.


📜 Origine e istituzione

·       Fondazione: il CELAM fu istituito nel 1955 a Rio de Janeiro, durante la prima Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano, convocata da Pio XII.

·       L’idea nacque per rispondere all’esigenza di una coordinazione permanente tra le Chiese nazionali dell’America Latina, che fino ad allora agivano in modo isolato.

·       Il suo primo presidente fu mons. Manuel Larraín, vescovo di Talca (Cile), figura molto stimata anche da papa Giovanni XXIII.


🏛️ Struttura

·       Ha sede a Bogotá, in Colombia, dove si trova il Segretariato generale.

·       È composto dai presidenti delle Conferenze episcopali nazionali dell’America Latina e dei Caraibi.

·       Opera attraverso commissioni tematiche (dottrina, pastorale, giustizia e pace, famiglia, comunicazioni, ecc.) e centri di formazione e ricerca (come il Centro Bíblico Teológico Pastoral para América Latina y el Caribe – CEBITEPAL).


🔥 Ruolo e importanza storica

Il CELAM è stato determinante per:

·       Attuare e contestualizzare il Concilio Vaticano II nel continente americano.

·       Promuovere la pastorale della liberazione e l’opzione preferenziale per i poveri (da Medellín in poi).

·       Offrire spazi di riflessione teologica comune tra vescovi, teologi e laici, con una forte attenzione ai problemi sociali e alla giustizia.

Le sue Conferenze generali (convocate in accordo con il papa) hanno segnato tappe cruciali della vita ecclesiale:

1.   Rio de Janeiro (1955) – fondazione del CELAM.

2.   Medellín (1968) – recezione del Vaticano II e nascita della teologia della liberazione.

3.   Puebla (1979) – opzione preferenziale per i poveri.

4.   Santo Domingo (1992) – nuova evangelizzazione e inculturazione.

5.   Aparecida (2007) – discepoli missionari, documento redatto sotto la guida del card. Bergoglio (futuro papa Francesco).


🔔 Situazione attuale

Sì, il CELAM è tuttora attivo.

·       Nel 2019 ha avviato un importante processo di rinnovamento istituzionale per adattarsi alle sfide di oggi (ecologia integrale, sinodalità, digitalizzazione, interculturalità).

·       Collabora strettamente con il Dicastero vaticano per l’Evangelizzazione e con la Rete Ecclesiale Panamazzonica (REPAM).

·       L’ultima assemblea generale si è tenuta nel maggio 2023 a Porto Rico, con il tema “Per una Chiesa sinodale in uscita verso le periferie”.


Ecco un quadro storico sintetico delle quattro Conferenze generali dell’Episcopato latino-americano (CELAM) e una sintesi dei rispettivi documenti finali.

Medellín (Colombia), 26 ago – 7 set 1968

Contesto storico. Prima grande ricezione del Vaticano II in America Latina: al centro, povertà strutturale, giustizia sociale, pace e riforme. Nasce un linguaggio pastorale nuovo (comunità ecclesiali di base, “strutture di peccato”), con forte attenzione alla liberazione integrale.

Sintesi del documento conclusivo (Documentos finales de Medellín).

·       Opzione evangelica per i poveri e contro le ingiustizie strutturali; denuncia della violenza istituzionalizzata.

·       Promozione umana come dimensione intrinseca dell’evangelizzazione (giustizia, pace, educazione, lavoro).

·       Chiesa povera e serva, partecipativa, con impulso alle comunità ecclesiali di base e alla corresponsabilità dei laici.

·       Linee per pastorale sociale, catechesi, liturgia inculturata e mezzi di comunicazione.

Puebla (Messico), 27 gen – 13 feb 1979

Contesto storico. A dieci anni da Medellín, con l’avvio del pontificato di Giovanni Paolo II, si conferma e si precisa l’impostazione: “opzione preferenziale per i poveri”, discernimento sui “volti” della povertà (indigeni, afrodiscendenti, giovani, donne).

Sintesi del documento conclusivo (Documento de Puebla).

·       Cristo, vita di tutti i popoli dell’America Latina: evangelizzazione integrale e promozione umana inseparabili.

·       Definizione e consolidamento dell’“opzione preferenziale per i poveri” in chiave cristologica ed ecclesiale.

·       Difesa della dignità e dei diritti umani; attenzione a famiglia, giovani, cultura, religiosità popolare.

·       Rilancio della pastorale organica: missione, catechesi, formazione dei laici e dei ministri.

Santo Domingo (Repubblica Dominicana), 12 – 28 ott 1992

Contesto storico. Nel quadro dei 500 anni dall’evangelizzazione del continente, il tema guida è “Nuova evangelizzazione, promozione umana e cultura cristiana”, con enfasi su inculturazione, vita, famiglia e comunicazioni sociali.

Sintesi del documento conclusivo (Documento de Santo Domingo).

·       Nuova evangelizzazione: proclamazione kerigmatica, catechesi, liturgia e carità in società globalizzate e mediatizzate.

·       Inculturazione della fede e dialogo con le culture indigene e afro-latine; difesa della vita e della famiglia.

·       Promozione umana: opzione per i poveri, giustizia, pace, educazione, salute; sfide urbane e migrazioni.

·       Rinnovamento pastorale con protagonismo dei laici e uso responsabile dei media.

Aparecida (Brasile), 13 – 31 mag 2007

Contesto storico. Conferenza inaugurata da Benedetto XVI; redazione guidata dal card. Bergoglio (poi papa Francesco). Punto focale: “discepoli missionari” e “missione continentale” in un contesto di secolarizzazione, nuove povertà, ecologia e mobilità.

Sintesi del documento conclusivo (Documento di Aparecida).

·       Chiesa “in stato permanente di missione”: ogni battezzato è discepolo-missionario; conversione pastorale e uscita verso le periferie.

·       Opzione preferenziale per i poveri rinnovata; attenzione a popoli originari, afrodiscendenti, giovani e famiglia.

·       Cura del creato e dimensione socio-ambientale; sfide di urbanizzazione, migrazioni, violenza e nuove dipendenze.

·       Formazione, pietà popolare, pastorale della vita, della giustizia e della pace; rafforzamento delle piccole comunità e della sinodalità.


Riferimenti principali (testi integrali)

·       Medellín 1968 – Documentos finales (PDF, CELAM).

·       Puebla 1979 – Documento conclusivo (PDF, CELAM).

·       Santo Domingo 1992 – Documento conclusivo (PDF, CELAM).

·       Aparecida 2007 – Documento conclusivo (PDF, CELAM / Sito vaticano America Latina).

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  Adesso vorrei riprendere due temi specifici di questo magistero episcopale.

Strutture di peccato che creano povertà e disuguaglianze estreme

  A Medellín i Vescovi si pronunciarono a favore della scelta preferenziale per i poveri: «Il Cristo nostro salvatore non solo amò i poveri, bensì, “essendo ricco, si fece povero” visse nella povertà, incentrò la sua missione nell’annunciare la loro liberazione e fondò la sua Chiesa come segno di questa povertà fra gli uomini. [...] La povertà di tanti fratelli invoca giustizia, solidarietà, testimonianza, impegno, sforzo e superamento perché si compia pienamente la missione salvifica affidata da Cristo».

La Conferenza di Puebla, di fronte a un aggravarsi della miseria in America Latina, confermò la decisione di Medellín con un’opzione franca e profetica in favore dei poveri e qualificò come “peccato sociale” le strutture di ingiustizia.

La carità è una forza che cambia la realtà, un’autentica potenza storica di cambiamento. Auspico pertanto che cresca il numero dei politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del mondo, perché si tratta di ascoltare il grido di interi popoli, dei popoli più poveri della terra.

  È pertanto doveroso continuare a denunciare la “dittatura di un’economia che uccide” e riconoscere che mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole». Sebbene non manchino diverse teorie che tentano di giustificare lo stato attuale delle cose, o di spiegare che la razionalità economica esige da noi di aspettare che le forze invisibili del mercato risolvano tutto, la dignità di ogni persona umana dev’essere rispettata adesso, non domani, e la situazione di miseria di tante persone a cui viene negata questa dignità dev’essere un richiamo costante per la nostra coscienza.

26. Contro la mentalità dominante che porta verso egoismo e indifferenza: una forma di alienazione sociale

  Nell’Enciclica Dilexit nos Papa Francesco ha ricordato che il peccato sociale prende forma come “struttura di peccato” nella società, che fa spesso parte di una mentalità dominante che considera normale o razionale quello che in realtà è solo egoismo e indifferenza. Tale fenomeno si può definire alienazione sociale. Diventa normale ignorare i poveri e vivere come se non esistessero. Si presenta come la scelta ragionevole organizzare l’economia chiedendo sacrifici al popolo, per raggiungere certi scopi che interessano ai potenti. Intanto per i poveri rimangono solo promesse di “gocce” che cadranno, finché una nuova crisi globale non li porterà di nuovo alla situazione precedente. È una vera e propria alienazione quella che porta a trovare solo scuse teoriche e non a cercare di risolvere oggi i problemi concreti di coloro che soffrono.

27. Risolvere le cause strutturali della povertà 

Dobbiamo impegnarci sempre di più a risolvere le cause strutturali della povertà. I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte provvisorie. La mancanza di equità «è la radice dei mali sociali». Infatti, molte volte si constata che, di fatto, i diritti umani non sono uguali per tutti».

  Accade che nel vigente modello “di successo” e “privatistico”, non sembra abbia senso investire affinché quelli che rimangono indietro, i deboli o i meno dotati possano farsi strada nella vita. O riconquistiamo la nostra dignità morale e spirituale o cadiamo come in un pozzo di sporcizia. Se non ci fermiamo a prendere le cose sul serio continueremo, in modi espliciti o dissimulati, a legittimare l’attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare, perché il pianeta non potrebbe nemmeno contenere i rifiuti di un simile consumo.

 28. Un compito di tutti i  membri del Popolo di Dio. la proposta del Vangelo non è soltanto quella di un rapporto individuale e intimo col Signore.

  Pertanto, è compito di tutti i membri del Popolo di Dio far sentire, pur in modi diversi, una voce che svegli, che denunci, che si esponga anche a costo di sembrare degli “stupidi”. Le strutture d’ingiustizia vanno riconosciute e distrutte con la forza del bene, attraverso il cambiamento delle mentalità ma anche, con l’aiuto delle scienze e della tecnica, attraverso lo sviluppo di politiche efficaci nella trasformazione della società. Va ricordato sempre che la proposta del Vangelo non è soltanto quella di un rapporto individuale e intimo col Signore. La proposta è più ampia: «È il Regno di Dio (cfr Lc 4,43); si tratta di amare Dio che regna nel mondo.

29. Lavorare con maggiore impegno contro le cause sociali della povertà. le comunità emarginate quali soggetti capaci di creare una propria cultura.

  Un dono fondamentale al cammino della Chiesa universale è rappresentato dal discernimento della Conferenza di Aparecida, in cui i Vescovi latino-americani esplicitarono che la scelta preferenziale per i poveri da parte della Chiesa è inscritta nella fede cristologica che ha portato Dio a farsi povero per noi, per arricchirci con la sua povertà. 

  Allo stesso tempo, il documento, approfondendo un tema già presente nelle Conferenze precedenti dell’Episcopato dell’America Latina, insiste sulla necessità di considerare le comunità emarginate quali soggetti capaci di creare una propria cultura, più che come oggetti di beneficenza.

  Ciò vale anche per la Chiesa, che deve valutare positivamente il loro modo “popolare” di vivere la fede.

30. Apprezzare il povero

  Tutto ciò apprezzare il povero nella sua bontà propria, col suo modo di essere, con la sua cultura, con il suo modo di vivere la fede. Per questa ragione, rivolgo un sincero ringraziamento a tutti coloro che hanno scelto di vivere tra i poveri: a coloro, cioè, che non vanno a fare loro una visita ogni tanto, ma che vivono con loro e come loro. Questa è un’opzione che deve trovare posto tra le forme più alte di vita evangelica.

31. La Chiesa da sempre verso i poveri e con i poveri. I poveri non sono come        questione sociale ma come  questione familiare

 Ho scelto di ricordare [la] bimillenaria storia di attenzione ecclesiale verso i poveri e con i poveri per mostrare che essa è parte essenziale dell’ininterrotto cammino della Chiesa. La cura dei poveri fa parte della grande Tradizione della Chiesa, come un faro di luce che, dal Vangelo in poi, ha illuminato i cuori e i passi dei cristiani di ogni tempo.

  Il cristiano non può considerare i poveri solo come un problema sociale: essi sono una “questione familiare”. Sono “dei nostri”. Il rapporto con loro non può essere ridotto a un’attività o a un ufficio della Chiesa.

32. Non abbandonare i poveri al loro destino. L’insegnamento della parabola del Buon Samaritano

 La cultura dominante dell’inizio di questo millennio spinge ad abbandonare i poveri al loro destino, a non considerarli degni di attenzione e tanto meno di apprezzamento. Nell’Enciclica Fratelli tutti Papa Francesco ci ha invitato a riflettere sulla parabola del buon samaritano (cfr Lc 10,25-37), proprio per approfondire questo punto.

  Dobbiamo riconoscere la tentazione che ci circonda di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli. Ci siamo abituati a girare lo sguardo, a passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente.

Per noi cristiani, la questione dei poveri riconduce all’essenziale della nostra fede.

33. I poveri come carne stessa di Cristo. Andare verso la carne di Cristo. Una religione non confinata nel privato

 La realtà è che i poveri per i cristiani non sono una categoria sociologica, ma la stessa carne di Cristo. Infatti, non è sufficiente limitarsi a enunciare in modo generale la dottrina dell’incarnazione di Dio; per entrare davvero in questo mistero, invece, bisogna specificare che il Signore si fa carne che ha fame, che ha sete, che è malata, carcerata.

Occorre ricordare che la religione, specialmente quella cristiana, non può essere limitata all’ambito privato, come se i fedeli non dovessero aver a cuore anche problemi che riguardano la società civile e gli avvenimenti che interessano i cittadini

L’attenzione spirituale ai poveri viene messa in discussione da certi pregiudizi, anche da parte di cristiani, perché ci sentiamo più a nostro agio senza i poveri. C’è chi continua a dire: “Il nostro compito è di pregare e di insegnare la vera dottrina”. Ma, svincolando questo aspetto religioso dalla promozione integrale, aggiungono che solo il governo dovrebbe prendersi cura di loro, oppure che sarebbe meglio lasciarli nella miseria, insegnando loro piuttosto a lavorare. A volte, invece, si assumono criteri pseudoscientifici per dire che la libertà del mercato porterà spontaneamente alla soluzione del problema della povertà. Oppure, persino, si opta per una pastorale delle cosiddette élite, sostenendo che, al posto di perdere tempo con i poveri, è meglio prendersi cura dei ricchi, dei potenti e dei professionisti, cosicché, attraverso di loro, si potranno raggiungere soluzioni più efficaci. È facile cogliere la mondanità che si cela dietro queste opinioni: esse ci portano a guardare la realtà con criteri superficiali e privi di qualsiasi luce soprannaturale, privilegiando frequentazioni che ci rassicurano e ricercando privilegi che ci accomodano.

34. L’elemosina

  È bene spendere un’ultima parola sull’elemosina, che oggi non gode di buona fama, spesso neppure tra i credenti. Non solo essa viene raramente praticata, ma a volte addirittura disprezzata. Da una parte, ribadisco che l’aiuto più importante per una persona povera è aiutarla ad avere un buon lavoro, perché possa guadagnarsi una vita più consona alla sua dignità sviluppando le sue capacità e offrendo il suo sforzo personale.

 Dall’altra parte, se non c’è ancora questa possibilità concreta, non dobbiamo correre il rischio di lasciare una persona abbandonata alla sua sorte, senza quello che è indispensabile per vivere degnamente.

35. L’amore cristiano supera ogni barriera: è per l’impossibile

  L’amore cristiano supera ogni barriera, avvicina i lontani, accomuna gli estranei, rende familiari i nemici, valica abissi umanamente insuperabili, entra nelle pieghe più nascoste della società. Per sua natura, l’amore cristiano è profetico, compie miracoli, non ha limiti: è per l’impossibile. L’amore è soprattutto un modo di concepire la vita, un modo di viverla. Ebbene, una Chiesa che non mette limiti all’amore, che non conosce nemici da combattere, ma solo uomini e donne da amare, è la Chiesa di cui oggi il mondo ha bisogno.

  Sia attraverso il vostro lavoro, sia attraverso il vostro impegno per cambiare le strutture sociali ingiuste, sia attraverso quel gesto di aiuto semplice, molto personale e ravvicinato, sarà possibile per quel povero sentire che le parole di Gesù sono per lui: «Io ti ho amato» (Ap 3,9).

 

Mario Ardigò per MEIC Lazio – 24-10-25