ESORTAZIONE APOSTOLICA
DILEXI TE
DEL SANTO PADRE LEONE XIV
SULL’AMORE VERSO I POV ERI
Versione condensata. Vengono
riportati i brani del documento con le sue idee chiave
1. Da un
Papa all’altro
Contemplare l’amore di
Cristo ci aiuta a prestare maggiore attenzione alle sofferenze e ai bisogni
degli altri, ci rende forti per partecipare alla sua opera di liberazione, come
strumenti per la diffusione del suo amore.
Per questa ragione, in continuità con
l’Enciclica Ci ha amati - Dilexit nos, Papa Francesco stava
preparando, negli ultimi mesi della sua vita, un’Esortazione apostolica sulla
cura della Chiesa per i poveri e con i poveri, intitolata Dilexi te,
immaginando che Cristo si rivolga ad ognuno di loro dicendo: Hai poca forza,
poco potere, ma «io ti ho amato» (Ap 3,9). Avendo ricevuto come in
eredità questo progetto, sono felice di farlo mio – aggiungendo alcune
riflessioni – e di proporlo ancora all’inizio del mio pontificato, condividendo
il desiderio dell’amato Predecessore che tutti i cristiani possano percepire il
forte nesso che esiste tra l’amore di Cristo e la sua chiamata a farci vicini
ai poveri.
1.Amare il Signore nei poveri
Nessun gesto di affetto, neanche il più
piccolo, sarà dimenticato, specialmente se rivolto a chi è nel dolore, nella
solitudine, nel bisogno, com’era il Signore in quell’ora.
Ed è proprio in tale
prospettiva che l’affetto per il Signore si unisce a quello per i poveri.
Ci tornano alla mente quelle parole del
Signore: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più
piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Non siamo nell’orizzonte
della beneficenza, ma della Rivelazione: il contatto con chi non ha potere e
grandezza è un modo fondamentale di incontro con il Signore della storia.
E’ stata anche la scelta di San Francesco
d’Assisi: nel lebbroso fu Cristo stesso ad abbracciarlo, cambiandogli la vita.
La figura luminosa del Poverello non cesserà mai di ispirarci.
L’antica storia del buon samaritano è stata
il paradigma della spiritualità del Concilio» [S. Paolo VI, Omelia nella Messa in occasione dell’ultima
sessione pubblica del Concilio Ecumenico Vaticano II(7 dicembre 1965)] Sono convinto che la scelta prioritaria per i poveri genera un
rinnovamento straordinario sia nella Chiesa che nella società, quando siamo
capaci di liberarci dall’autoreferenzialità e riusciamo ad ascoltare il loro
grido.
Dio si mostra
sollecito verso le necessità dei poveri: «Gridarono al Signore ed egli fece
sorgere per loro un salvatore» (Gdc 3,15). Perciò, ascoltando il
grido del povero, siamo chiamati a immedesimarci col cuore di Dio, che è
premuroso verso le necessità dei suoi figli e specialmente dei più bisognosi.
La condizione dei poveri rappresenta un grido
che, nella storia dell’umanità, interpella costantemente la nostra vita, le
nostre società, i sistemi politici ed economici e, non da ultimo, anche la
Chiesa.
3. Diverse forme di povertà
Dovremmo parlare forse più correttamente dei
numerosi volti dei poveri e della povertà, poiché si tratta di un fenomeno
variegato; infatti, esistono molte forme di povertà: quella di chi non ha mezzi
di sostentamento materiale, la povertà di chi è emarginato socialmente e non ha
strumenti per dare voce alla propria dignità e alle proprie capacità, la
povertà morale e spirituale, la povertà culturale, quella di chi si trova in
una condizione di debolezza o fragilità personale o sociale, la povertà di chi non
ha diritti, non ha spazio, non ha libertà.
4. Impegno sociale per rimuovere le cause sociali e strutturali della
povertà
Si può dire che l’impegno a favore dei poveri
e per rimuovere le cause sociali e strutturali della povertà, pur essendo
diventato importante negli ultimi decenni, rimane sempre insufficiente; anche
perché le società in cui viviamo spesso privilegiano criteri di orientamento
dell’esistenza e della politica segnati da numerose disuguaglianze e, perciò, a
vecchie povertà di cui abbiamo preso coscienza e che si tenta di contrastare,
se ne aggiungono di nuove, talvolta più sottili e pericolose. Da questo punto
di vista, è da salutare con favore il fatto che le Nazioni Unite abbiano posto
la sconfitta della povertà come uno degli obiettivi del Millennio.
5. Una trasformazione di mentalità
All’impegno concreto per i poveri occorre
anche associare una trasformazione di mentalità che possa incidere a livello
culturale. Infatti, l’illusione di una felicità che deriva da una vita agiata
spinge molte persone verso una visione dell’esistenza imperniata sull’accumulo
della ricchezza e sul successo sociale a tutti i costi, da conseguire anche a
scapito degli altri e profittando di ideali sociali e sistemi
politico-economici ingiusti, che favoriscono i più forti. Così, in un mondo
dove sempre più numerosi sono i poveri, paradossalmente vediamo anche crescere
alcune élite di ricchi, che vivono nella bolla di condizioni molto confortevoli
e lussuose, quasi in un altro mondo rispetto alla gente comune.
6. Regole economiche insufficienti per lo sviluppo umano integrale. Concezione
contemporanea della povertà e sue cause sociali
Al di
là dei dati – che a volte vengono “interpretati” in modo tale da convincere che
la situazione dei poveri non sia così grave –, la realtà generale è abbastanza
chiara: Ci sono regole economiche che sono risultate efficaci per la crescita,
ma non altrettanto per lo sviluppo umano integrale. È aumentata la ricchezza,
ma senza equità, e così ciò che accade è che nascono nuove povertà. Quando si
dice che il mondo moderno ha ridotto la povertà, lo si fa misurandola con
criteri di altre epoche non paragonabili con la realtà attuale. Infatti, in
altri tempi, per esempio, non avere accesso all’energia elettrica non era
considerato un segno di povertà e non era motivo di grave disagio. La povertà
si analizza e si intende sempre nel contesto delle possibilità reali di un
momento storico concreto». Tuttavia, al di là delle situazioni specifiche e
contestuali, in un documento della Comunità Europea, nel 1984, si affermava che
«per persone povere s’intendono: i singoli individui, le famiglie e i gruppi di
persone le cui risorse (materiali, culturali e sociali) sono così scarse da
escluderli dal tenore di vita minimo accettabile nello Stato membro in cui
vivono». Ma se riconosciamo che tutti gli esseri umani hanno la stessa
dignità, indipendentemente dal luogo di nascita, non si devono ignorare le
grandi differenze che esistono tra i Paesi e le regioni. I
poveri non ci sono per caso o per un cieco e amaro destino. Tanto meno la
povertà, per la maggior parte di costoro, è una scelta. Eppure, c’è ancora
qualcuno che osa affermarlo, mostrando cecità e crudeltà. Non possiamo dire che
la maggior parte dei poveri lo sono perché non hanno acquistato dei “meriti”,
secondo quella falsa visione della meritocrazia dove sembra che abbiano meriti
solo quelli che hanno avuto successo nella vita.
Anche i cristiani, in tante occasioni, si
lasciano contagiare da atteggiamenti segnati da ideologie mondane o da
orientamenti politici ed economici che portano a ingiuste generalizzazioni e a
conclusioni fuorvianti. Il fatto che l’esercizio della carità risulti
disprezzato o ridicolizzato, come se si trattasse della fissazione di alcuni e
non del nucleo incandescente della missione ecclesiale, mi fa pensare che
bisogna sempre nuovamente leggere il Vangelo, per non rischiare di sostituirlo
con la mentalità mondana.
7. Dio stesso si è fatto povero. Ragioni teologiche della sua opzione preferenziale
per i poveri
Proprio per condividere i
limiti e le fragilità della nostra natura umana, [Dio] stesso si è fatto
povero, è nato nella carne come noi e lo abbiamo conosciuto nella piccolezza di
un bambino deposto in una mangiatoia e nell’estrema umiliazione della croce,
laddove ha condiviso la nostra radicale povertà, che è la morte. Si comprende
bene, allora, perché si può anche teologicamente parlare di un’opzione
preferenziale da parte di Dio per i poveri, un’espressione nata nel contesto
del continente latino-americano e in particolare nell’Assemblea di Puebla, ma
che è stata ben integrata nel successivo magistero della Chiesa [Cfr S. Giovanni Paolo II, Catechesi (27 ottobre 1999): L’Osservatore Romano, 28 ottobre 199]. Questa “preferenza” non indica mai un esclusivismo o una
discriminazione verso altri gruppi, che in Dio sarebbero impossibili; essa
intende sottolineare l’agire di Dio che si muove a compassione verso la povertà
e la debolezza dell’umanità intera e che, volendo inaugurare un Regno di
giustizia, di fraternità e di solidarietà, ha particolarmente a cuore coloro
che sono discriminati e oppressi, chiedendo anche a noi, alla sua Chiesa, una
decisa e radicale scelta di campo a favore dei più deboli.
8. Dio, fattosi povero, è amico e liberatore dei poveri
Si comprendono in questa prospettiva le
numerose pagine dell’Antico Testamento in cui Dio viene presentato come amico e
liberatore dei poveri, Colui che ascolta il grido del povero e interviene per
liberarlo (cfr Sal 34,7).
Dall’inizio la Scrittura manifesta con così
viva intensità l’amore di Dio attraverso la protezione dei deboli e dei meno
abbienti, al punto che si potrebbe parlare di una sorta di “debolezza” di Dio
nei loro confronti.
Tutta la vicenda veterotestamentaria della
predilezione di Dio per i poveri e il desiderio divino di ascoltare il loro
grido – che ho brevemente richiamato – trova in Gesù di Nazaret la sua piena
realizzazione. Nella sua incarnazione, Egli «svuotò sé stesso assumendo una
condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto
come uomo» (Fil 2,7) e in quella forma portò la nostra salvezza. Si
tratta di una povertà radicale, fondata sulla sua missione di rivelare il vero
volto dell’amore divino (cfr Gv 1,18; 1Gv 4,9).
Non vi fu luogo accogliente nemmeno per la
sua morte: lo condussero fuori da Gerusalemme per la crocifissione (cfr Mc 15,22).
È in questa condizione che si può riassumere in maniera chiara la povertà di
Gesù. Si tratta della stessa esclusione che caratterizza la definizione dei
poveri: essi sono gli esclusi dalla società. Gesù è la rivelazione di
questo privilegium pauperum. Egli si presenta al mondo non solo come Messia povero, ma anche come Messia dei
poveri e per i poveri.
Vi sono alcuni indizi a proposito della
condizione sociale di Gesù. Anzitutto, egli svolge il mestiere di artigiano o
carpentiere, téktōn (cfr Mc 6,3 - non è costui il falegname, il
figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone?]) Si tratta di una categoria di persone che vivono con
il loro lavoro manuale. Non essendo possessori di terra, venivano considerati
inferiori rispetto ai contadini.
Gesù stesso, poi, dice di sé: «Le volpi hanno
le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha
dove posare il capo» (Mt 8,20; Lc 9,58). Egli,
infatti, è un maestro itinerante, la cui povertà e precarietà è segno del
legame con il Padre ed è richiesta anche a chi vuole seguirlo sulla via del
discepolato, proprio perché la rinuncia ai beni, alle ricchezze e alle
sicurezze di questo mondo diventi segno visibile dell’affidarsi a Dio e alla
sua provvidenza.
9. Un lieto annuncio ai poveri
All’inizio del suo ministero pubblico, Gesù
si presenta nella sinagoga di Nazaret leggendo il rotolo del profeta Isaia e
applicando a sé stesso la parola del profeta: «Lo Spirito del Signore è sopra
di me; per questo mi ha consacrato con son e mi ha mandato a portare ai poveri
il lieto annuncio» (Lc 4,18; cfr Is 61,1).
I segni che accompagnano infatti la
predicazione di Gesù sono manifestazione dell’amore e della compassione con cui
Dio guarda gli ammalati, i poveri e i peccatori che, in virtù della loro
condizione, erano emarginati nella società ma anche dalla religione;
Questo spiega perché Egli proclama: «Beati
voi poveri, perché vostro è il regno di Dio» (Lc 6,20). Verso i
poveri, infatti, Dio mostra predilezione: prima di tutto a loro è rivolta la
parola di speranza e di liberazione del Signore e, perciò, pur nella condizione
di povertà o debolezza, nessuno deve sentirsi più abbandonato.
Tante volte mi
domando perché, pur essendoci tale chiarezza nelle Sacre Scritture a proposito
dei poveri, molti continuano a pensare di poter escludere i poveri dalle loro
attenzioni.
10. Amore di Dio e amore del prossimo come un unico comandamento
Gesù riprende i due
antichi comandamenti: «Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con
tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,5) e «Amerai il tuo
prossimo come te stesso» (Lv 19,18), fondendoli in un unico
comandamento. L’evangelista Marco riporta la risposta di Gesù in questi
termini: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico
Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua
anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo:
Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più
importante di questi» (Mc 12,29-31).
È innegabile che il primato di Dio
nell’insegnamento di Gesù si accompagna all’altro punto fermo che non si può
amare Dio senza estendere il proprio amore ai poveri.
11. Nelle prime comunità cristiane
Nella prima comunità
cristiana il programma di carità non derivava da analisi o da progetti, ma
direttamente dall’esempio di Gesù, dalle parole stesse del Vangelo. La la fede,
se non è seguita dalle opere, in sé stessa è morta» (Gc 2,14-17).
Nella Prima Lettera di Giovanni troviamo un
appello simile: «Se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello
in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio?»
(1Gv 3,17).
Quello della Parola rivelata «è un messaggio
così chiaro, così diretto, così semplice ed eloquente, che nessuna ermeneutica
ecclesiale ha il diritto di relativizzarlo. La riflessione della Chiesa su
questi testi non dovrebbe oscurare o indebolire il loro significato esortativo,
ma piuttosto aiutare a farli propri con coraggio e fervore. Perché complicare
ciò che è così semplice? Gli apparati concettuali esistono per favorire il
contatto con la realtà che si vuole spiegare e non per allontanarci da essa» [Id., Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 194: AAS 105 (2013), 1101].
Le promesse bibliche rivolte a chi dà con
generosità sono molte: «Chi ha pietà del povero fa un prestito al Signore, che
gli darà la sua ricompensa» (Pr 19,17). «Date e vi sarà dato: […]
con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6,38).
«Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto»
(Is 58,8). I primi cristiani ne erano convinti.
La vita delle prime comunità ecclesiali,
narrata nel canone biblico e giunta a noi come Parola rivelata, ci viene
offerta come esempio da imitare e come testimonianza della fede che opera per
mezzo della carità, e rimane quale monito permanente per le generazioni a
venire.
12. Desiderio di una Chiesa povera per i poveri. Non separare il credere
dall’azione sociale
Tre giorni dopo la sua
elezione, il mio Predecessore espresse ai rappresentanti dei media il desiderio
che la cura e l’attenzione per i poveri fossero più chiaramente presenti nella
Chiesa: «Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!».
Questo desiderio riflette la consapevolezza
che la Chiesa «riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo
fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne la indigenza e in
loro cerca di servire il Cristo» [ Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium,
8].
I primi cristiani erano chiaramente
consapevoli della necessità di prendersi cura di coloro che erano soggetti a
maggiori privazioni. Già agli albori del cristianesimo gli Apostoli imposero le
mani su sette uomini scelti dalla comunità e, in un certo grado, li integrarono
nel proprio ministero, istituendoli per il servizio – diakonía in
greco – dei più poveri (cfr At 6,1-5).
Fin dai primi secoli, i Padri della Chiesa
riconoscevano nei poveri una via privilegiata di accesso a Dio, un modo
speciale per incontrarlo. La carità verso i bisognosi non era intesa come una
semplice virtù morale, ma come espressione concreta della fede nel Verbo
incarnato.
13. San Giustino
San Giustino, da parte sua, nella sua prima
Apologia, indirizzata all’imperatore Adriano, al Senato e al popolo romano,
spiegava che i cristiani portavano tutto ciò che potevano ai bisognosi, perché
vedevano in loro dei fratelli e delle sorelle in Cristo.
La Chiesa nascente non separava il credere
dall’azione sociale: la fede che non era accompagnata dalla testimonianza delle
opere, come insegna San Giacomo, era considerata morta (cfr Gc 2,17).
14. San Giovanni Crisostomo
Tra i Padri orientali, il
più ardente predicatore della giustizia sociale fu forse San Giovanni
Crisostomo [significa bocca d’oro], Arcivescovo di Costantinopoli tra il
IV e il V secolo. Nelle sue omelie, egli esortava i fedeli a riconoscere Cristo
nei bisognosi. Affermando con chiarezza cristallina che, se i fedeli non
incontrano Cristo nei poveri che stanno alla porta, non potranno adorarlo
nemmeno sull’Altare.
Di conseguenza, la carità non è un percorso
opzionale, ma il criterio del vero culto.
15. Sant’Agostino e Sant’Ambrogio
Agostino [che fu vescovo a Ippona] ebbe come
maestro spirituale Sant’Ambrogio [che fu vescovo di Milano], che insisteva
sull’esigenza etica della condivisione dei beni. Per il Vescovo di Milano,
l’elemosina è giustizia ristabilita, non un gesto di paternalismo. Nella sua
predicazione, la misericordia assume un carattere profetico: denuncia le
strutture di accumulo e riafferma la comunione come vocazione ecclesiale.
Formatosi in questa tradizione, il santo
Vescovo di Ippona ha insegnato a sua volta l’amore preferenziale per i poveri Nei
suoi Commenti ai Salmi, ricorda che i veri cristiani non trascurano l’amore per
i più bisognosiPer Agostino, il povero non è solo una persona da aiutare, ma la
presenza sacramentale del Signore.
L’Altissimo non si lascia vincere in
generosità nei confronti di coloro che lo servono nei più bisognosi: maggiore è
l’amore per i poveri, maggiore è la ricompensa da parte di Dio.
Questa
prospettiva cristocentrica e profondamente ecclesiale porta a sostenere che le
offerte, quando nascono dall’amore, non solo alleviano i bisogni del fratello,
ma purificano anche il cuore di chi dona, se disposto a cambiare.
In una Chiesa che riconosce nei poveri il
volto di Cristo e nei beni lo strumento della carità, il pensiero agostiniano
rimane una luce sicura. Oggi la fedeltà agli insegnamenti di Agostino esige non
solo lo studio delle sue opere, ma la prontezza a vivere radicalmente il suo
invito alla conversione, che include necessariamente il servizio della carità.
16. La teologia patristica per una Chiesa povera per i poveri
Molti altri Padri della Chiesa, d’Oriente e
d’Occidente, si sono pronunciati sul primato dell’attenzione ai poveri nella
vita e nella missione di ogni fedele cristiano. Da questa prospettiva, in
sintesi, si può dire che la teologia patristica era pratica, puntando a una
Chiesa povera e per i poveri, ricordando che il Vangelo è annunciato
correttamente solo quando spinge a toccare la carne degli ultimi e avvertendo
che il rigore dottrinale senza misericordia è un discorso vuoto.
17. Varie forme storiche di impegno per la liberazione dei poveri
La compassione cristiana si è manifestata in
modo peculiare nella cura dei malati e dei sofferenti. Sulla base dei segni
presenti nel ministero pubblico di Gesù – la guarigione di ciechi, lebbrosi e
paralitici –, la Chiesa comprende che la cura dei malati, nei quali riconosce
prontamente il Signore crocifisso, è una parte importante della sua missione. Nei
malati, i membri della Chiesa «toccano la carne sofferente di Cristo».
Fin dai tempi apostolici, la Chiesa ha visto
nella liberazione degli oppressi un segno del Regno di Dio. Gesù stesso,
all’inizio della sua missione pubblica, ha proclamato: «Lo Spirito del Signore
è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a
portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la
liberazione» (Lc 4,18). I primi cristiani, anche in condizioni
precarie, pregavano e assistevano i loro fratelli e sorelle prigionieri, come
testimoniano gli Atti degli Apostoli (cfr 12,5; 24,23) e vari scritti dei
Padri.
La carità cristiana, quando si incarna,
diventa liberatrice. E la missione della Chiesa, quando è fedele al suo
Signore, è sempre quella di annunciare la liberazione. Quando la Chiesa si
inchina per spezzare le nuove catene che legano i poveri, diventa un segno
pasquale.
Non si può concludere questa riflessione
sulle persone private di libertà senza menzionare i carcerati che si trovano in
diversi penitenziari e centri di detenzione.
Rivolgendosi ad alcuni
educatori, Papa Francesco ricordava che l’educazione è sempre stata una delle
espressioni più alte della carità cristiana. Fin dai tempi più antichi, i
cristiani hanno capito che la conoscenza libera, dà dignità e avvicina alla
verità. Per la Chiesa, insegnare ai poveri era un atto di giustizia e di fede.
L’educazione
dei poveri, per la fede cristiana, non è un favore, ma un dovere. I piccoli
hanno diritto alla conoscenza, come requisito fondamentale per il
riconoscimento della dignità umana. Insegnare ad essi è affermarne il valore,
dotandoli degli strumenti per trasformare la loro realtà. La tradizione
cristiana considera il sapere come un dono di Dio e una responsabilità
comunitaria. L’educazione cristiana non forma solo professionisti, ma persone
aperte al bene, al bello e alla verità.
18. In particolare l’impegno per i
migranti
La Chiesa ha sempre riconosciuto nei migranti
una presenza viva del Signore che, nel giorno del giudizio, dirà a quelli che
sono alla sua destra: «Ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25,35).
La tradizione dell’attività della Chiesa per
e con i migranti continua e oggi questo servizio si esprime in iniziative come
i centri di accoglienza per i rifugiati, le missioni di frontiera, gli sforzi
di Caritas Internationalis e di altre istituzioni. Il Magistero
contemporaneo ribadisce chiaramente questo impegno. Papa Francesco ha ricordato
che la missione della Chiesa verso i migranti e i rifugiati è ancora più ampia,
insistendo sul fatto che «la risposta alla sfida posta dalle migrazioni
contemporanee si può riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere,
promuovere e integrare. Ma questi verbi non valgono solo per i migranti e i
rifugiati. Essi esprimono la missione della Chiesa verso tutti gli abitanti
delle periferie esistenziali, che devono essere accolti, protetti, promossi e
integrati» [ Francesco,
Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 2019] La Chiesa,
come una madre, cammina con coloro che camminano. Dove il mondo vede minacce,
lei vede figli; dove si costruiscono muri, lei costruisce ponti. Sa che il suo
annuncio del Vangelo è credibile solo quando si traduce in gesti di vicinanza e
accoglienza. E sa che in ogni migrante respinto è Cristo stesso che bussa alle
porte della comunità.
19. I poveri come prediletti dal Vangelo
La santità cristiana spesso fiorisce nei
luoghi più dimenticati e feriti dell’umanità. I più poveri tra i poveri –
coloro che non solo mancano di beni, ma anche di voce e di riconoscimento della
loro dignità – occupano un posto speciale nel cuore di Dio. Sono i prediletti
del Vangelo, gli eredi del Regno (cfr Lc 6,20). È in loro che
Cristo continua a soffrire e a risorgere. È in loro che la Chiesa ritrova la
chiamata a mostrare la sua realtà più autentica.
20. I movimenti popolari. I movimenti dei lavoratori,
delle donne, dei giovani. Il coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del
destino comune
Dobbiamo riconoscere pure che, lungo i secoli
di storia cristiana, l’aiuto ai poveri e la lotta per i loro diritti non hanno
riguardato soltanto i singoli, alcune famiglie, le istituzioni o le comunità
religiose. Ci sono stati, e ci sono, diversi movimenti popolari, costituiti da
laici e guidati da leader popolari, tante volte sospettati e addirittura
perseguitati.
Questi leader popolari sanno che la
solidarietà è anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la
disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione
dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori
dell’impero del denaro. Quando le diverse istituzioni pensano ai bisogni dei
poveri è necessario che includano i movimenti popolari e animino le strutture
di governo locali, nazionali e internazionali con quel torrente di energia
morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino
comune. I movimenti popolari, infatti, invitano a superare quell’idea
delle politiche sociali concepite come una politica verso i
poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e
tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli. Se i politici e i
professionisti non li ascoltano, la democrazia si atrofizza, diventa un
nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi perché
lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella
costruzione del suo destino. Lo stesso si deve dire delle istituzioni della
Chiesa.
L’accelerazione delle trasformazioni
tecnologiche e sociali degli ultimi due secoli, piena di tragiche
contraddizioni, non è stata solo subita, ma anche affrontata e pensata dai
poveri. I movimenti dei lavoratori, delle donne, dei giovani, così come la lotta
contro le discriminazioni razziali hanno comportato una nuova coscienza della
dignità di chi è ai margini. Anche il contributo della Dottrina Sociale della
Chiesa ha in sé questa radice popolare da non dimenticare: sarebbe
inimmaginabile la sua rilettura della Rivelazione cristiana entro le moderne
circostanze sociali, lavorative, economiche e culturali senza i laici cristiani
alle prese con le sfide del loro tempo.
21. Magistero dei Vescovi di Roma
I Vescovi di Roma si sono fatti voce di nuove
consapevolezze, passate al vaglio del discernimento ecclesiale. Ad esempio,
nella Lettera enciclica Rerum novarum (1891), Leone XIII
affrontò la questione del lavoro, mettendo a nudo la situazione intollerabile
di molti operai dell’industria, proponendo l’instaurazione di un ordine sociale
giusto. In questa linea si sono espressi pure altri Pontefici. Con l’Enciclica Mater
et Magistra(1961) San Giovanni XXIII si fece promotore di una giustizia
dalle dimensioni mondiali: i Paesi ricchi non potevano rimanere indifferenti
davanti ai Paesi oppressi dalla fame e dalla miseria; erano chiamati a
soccorrerli generosamente con tutti i loro beni.
22. Il Concilio Vaticano 2°
Il Concilio Vaticano II rappresenta una tappa
fondamentale nel discernimento ecclesiale riguardo ai poveri, alla luce della
Rivelazione. Sebbene nei documenti preparatori tale tema fosse marginale, sin
dal Radiomessaggio dell’11 settembre 1962, a un mese dall’apertura del
Concilio, San Giovanni XXIII accese l’attenzione su di esso con parole
indimenticabili: «La Chiesa si presenta quale è e quale vuole essere, come la
Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei poveri È fondamentale la natura
cristocentrica, quindi dottrinale e non solo sociale, di un simile fermento.
Numerosi Padri conciliari, infatti, favorirono
il consolidarsi della coscienza, ben espressa dal Cardinale Lercaro nel suo
memorabile intervento del 6 dicembre 1962, che il mistero di Cristo nella
Chiesa è sempre stato ed è, ma oggi lo è particolarmente, il mistero di Cristo
nei poverie che non si tratta di qualunque tema, ma in un certo senso è l’unico
tema di tutto il Vaticano II. L’Arcivescovo di Bologna, preparando
il testo di questo intervento, annotava: «Questa è l’ora dei poveri, dei
milioni di poveri che sono su tutta la terra, questa è l’ora del mistero della
chiesa madre dei poveri, questa è l’ora del mistero di Cristo soprattutto nel
povero». Si prospettava così la necessità di una nuova forma ecclesiale, più
semplice e sobria, coinvolgente l’intero popolo di Dio e la sua figura storica.
Una Chiesa più simile al suo Signore che alle potenze mondane, tesa a stimolare
in tutta l’umanità un impegno concreto per la soluzione del grande problema
della povertà nel mondo.
Nella Costituzione
pastorale Gaudium et spes, attualizzando l’eredità dei Padri della
Chiesa, il Concilio ribadisce con forza la destinazione universale
dei beni della terra e la funzione sociale della proprietà che ne deriva: «Dio
ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene, all’uso di tutti gli
uomini e popoli, e pertanto i beni creati debbono, secondo un equo criterio,
essere partecipati a tutti […]. Perciò l’uomo, usando di questi beni, deve
considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non solo come
proprie, ma anche come comuni, nel senso che possono giovare non solo a lui ma
anche agli altri. Del resto, a tutti gli uomini spetta il diritto di avere una
parte di beni sufficienti a sé e alla propria famiglia. […] Colui che si trova
in estrema necessità ha il diritto di procurarsi il necessario dalle ricchezze
altrui. […] Ogni proprietà privata ha per sua natura una funzione sociale che
si fonda sulla comune destinazione dei beni. Se si trascura questa funzione
sociale, la proprietà può diventare in molti modi occasione di cupidigia e di
gravi disordini». Questa convinzione è rilanciata da San Paolo VI
nell’Enciclica Populorum progressio, dove leggiamo che nessuno può
ritenersi «autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo
bisogno, quando gli altri mancano del necessario».
23. Il Magistero di San Giovanni Paolo 2° sull’opzione preferenziale per
i poveri.
Con San Giovanni Paolo II
si consolida, almeno in ambito dottrinale, il rapporto preferenziale della
Chiesa con i poveri. Nell’Enciclica Sollicitudo rei socialis scrive
ancora che oggi, attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha
assunto, «questo amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non
può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senza
tetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro
migliore: non si può non prendere atto dell’esistenza di queste realtà.
L’ignorarle significherebbe assimilarci al “ricco epulone”, che fingeva di non
conoscere Lazzaro, il mendicante, giacente fuori della sua porta (cfr Lc 16,19-31)».
Il suo insegnamento sul lavoro acquista importanza quando vogliamo pensare al
ruolo attivo dei poveri nel rinnovamento della Chiesa e della società,
lasciandoci alle spalle il paternalismo della sola assistenza ai loro bisogni
immediati. Nell’Enciclica Laborem exercens egli afferma che
«il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta
la questione sociale».
24. Il magistero di Benedetto XVI
A fronte delle molteplici crisi che hanno
contraddistinto l’inizio del terzo millennio, la lettura di Benedetto XVI si fa
più marcatamente politica. Così, nella Lettera enciclica Caritas in
veritate, afferma che «si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto
più ci si adopera per un bene comune rispondente anche ai suoi reali bisogni».Inoltre
osserva che «la fame non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto
da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura
istituzionale. Manca, cioè, un assetto di istituzioni economiche in grado sia
di garantire un accesso al cibo e all’acqua regolare e adeguato dal punto di
vista nutrizionale, sia di fronteggiare le necessità connesse con i bisogni
primari e con le emergenze di vere e proprie crisi alimentari, provocate da
cause naturali o dall’irresponsabilità politica nazionale e internazionale».
25. Il
magistero latinoamericano del CELAM Consiglio Episcopale
Latinoamericano e dei Caraibi – Contrastare la dittatura di un’economia che
uccide
Papa Francesco ha riconosciuto come, oltre al
magistero dei Vescovi di Roma, negli ultimi decenni si sono fatte sempre più
frequenti anche le prese di posizione da parte delle Conferenze Episcopali
nazionali e regionali. In prima persona, ad esempio, ha potuto testimoniare il
particolare impegno dell’Episcopato latino-americano nel ripensare il rapporto
della Chiesa con i poveri. Nel dopo Concilio, in quasi tutti i Paesi
dell’America Latina, si è sentita forte l’identificazione della Chiesa con i
poveri e un’attiva partecipazione al loro riscatto. Era il cuore stesso della
Chiesa a muoversi di fronte a tanti poveri afflitti da disoccupazione,
sottoccupazione, salari iniqui, e costretti a vivere in condizioni miserabili. Le
Conferenze dell’Episcopato Latino-americano a Medellín, a Puebla, a Santo
Domingo e ad Aparecida costituiscono tappe significative anche per la Chiesa
intera.
********************
Informazioni da ChatGPT
Il CELAM — acronimo di Consejo
Episcopal Latinoamericano y Caribeño (in italiano: Consiglio Episcopale
Latinoamericano e dei Caraibi) — è l’organismo che riunisce e coordina le Conferenze
episcopali cattoliche dell’America Latina e dei Caraibi.
È una delle strutture più importanti della Chiesa cattolica mondiale, perché ha
avuto un ruolo decisivo nello sviluppo di una pastorale e di una teologia
proprie del continente latinoamericano.
📜 Origine e istituzione
·
Fondazione: il CELAM fu istituito nel 1955 a Rio de Janeiro, durante la
prima Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano, convocata da Pio XII.
·
L’idea nacque per rispondere all’esigenza di una coordinazione permanente
tra le Chiese nazionali dell’America Latina, che fino ad allora agivano in modo
isolato.
·
Il suo primo presidente fu mons. Manuel Larraín, vescovo di Talca (Cile),
figura molto stimata anche da papa Giovanni XXIII.
🏛️ Struttura
·
Ha sede a Bogotá, in Colombia, dove si trova il Segretariato generale.
·
È composto dai presidenti delle Conferenze episcopali nazionali
dell’America Latina e dei Caraibi.
·
Opera attraverso commissioni tematiche (dottrina, pastorale, giustizia e
pace, famiglia, comunicazioni, ecc.) e centri di formazione e ricerca (come il Centro
Bíblico Teológico Pastoral para América Latina y el Caribe – CEBITEPAL).
🔥 Ruolo e importanza storica
Il CELAM è stato determinante per:
·
Attuare e contestualizzare il Concilio Vaticano II nel continente
americano.
·
Promuovere la pastorale della liberazione e l’opzione preferenziale per i
poveri (da Medellín in poi).
·
Offrire spazi di riflessione teologica comune tra vescovi, teologi e
laici, con una forte attenzione ai problemi sociali e alla giustizia.
Le sue Conferenze generali (convocate
in accordo con il papa) hanno segnato tappe cruciali della vita ecclesiale:
1.
Rio de Janeiro (1955) – fondazione del CELAM.
2.
Medellín (1968) – recezione del Vaticano II e nascita della teologia
della liberazione.
3.
Puebla (1979) – opzione preferenziale per i poveri.
4.
Santo Domingo (1992) – nuova evangelizzazione e inculturazione.
5.
Aparecida (2007) – discepoli missionari, documento redatto sotto la guida
del card. Bergoglio (futuro papa Francesco).
🔔 Situazione attuale
Sì, il CELAM è tuttora attivo.
·
Nel 2019 ha avviato un importante processo di rinnovamento istituzionale
per adattarsi alle sfide di oggi (ecologia integrale, sinodalità,
digitalizzazione, interculturalità).
·
Collabora strettamente con il Dicastero vaticano per l’Evangelizzazione e
con la Rete Ecclesiale Panamazzonica (REPAM).
·
L’ultima assemblea generale si è tenuta nel maggio 2023 a Porto Rico, con
il tema “Per una Chiesa sinodale in uscita verso le periferie”.
Certo! Ecco un quadro storico
sintetico delle quattro Conferenze generali dell’Episcopato latino-americano
(CELAM) e una sintesi dei rispettivi documenti finali.
Medellín
(Colombia), 26 ago – 7 set 1968
Contesto storico. Prima grande
ricezione del Vaticano II in America Latina: al centro, povertà strutturale,
giustizia sociale, pace e riforme. Nasce un linguaggio pastorale nuovo
(comunità ecclesiali di base, “strutture di peccato”), con forte attenzione
alla liberazione integrale.
Sintesi del documento conclusivo
(Documentos finales de Medellín).
·
Opzione evangelica per i poveri e contro le ingiustizie strutturali;
denuncia della violenza istituzionalizzata.
·
Promozione umana come dimensione intrinseca dell’evangelizzazione
(giustizia, pace, educazione, lavoro).
·
Chiesa povera e serva, partecipativa, con impulso alle comunità
ecclesiali di base e alla corresponsabilità dei laici.
·
Linee per pastorale sociale, catechesi, liturgia inculturata e mezzi di
comunicazione.
Puebla (Messico),
27 gen – 13 feb 1979
Contesto storico. A dieci anni da
Medellín, con l’avvio del pontificato di Giovanni Paolo II, si conferma e si
precisa l’impostazione: “opzione preferenziale per i poveri”, discernimento sui
“volti” della povertà (indigeni, afrodiscendenti, giovani, donne).
Sintesi del documento conclusivo
(Documento de Puebla).
·
Cristo, vita di tutti i popoli dell’America Latina: evangelizzazione
integrale e promozione umana inseparabili.
·
Definizione e consolidamento dell’“opzione preferenziale per i poveri” in
chiave cristologica ed ecclesiale.
·
Difesa della dignità e dei diritti umani; attenzione a famiglia, giovani,
cultura, religiosità popolare.
·
Rilancio della pastorale organica: missione, catechesi, formazione dei
laici e dei ministri.
Santo Domingo
(Repubblica Dominicana), 12 – 28 ott 1992
Contesto storico. Nel quadro dei 500
anni dall’evangelizzazione del continente, il tema guida è “Nuova
evangelizzazione, promozione umana e cultura cristiana”, con enfasi su
inculturazione, vita, famiglia e comunicazioni sociali.
Sintesi del documento conclusivo
(Documento de Santo Domingo).
·
Nuova evangelizzazione: proclamazione kerigmatica, catechesi, liturgia e
carità in società globalizzate e mediatizzate.
·
Inculturazione della fede e dialogo con le culture indigene e
afro-latine; difesa della vita e della famiglia.
·
Promozione umana: opzione per i poveri, giustizia, pace, educazione,
salute; sfide urbane e migrazioni.
·
Rinnovamento pastorale con protagonismo dei laici e uso responsabile dei
media.
Aparecida
(Brasile), 13 – 31 mag 2007
Contesto storico. Conferenza
inaugurata da Benedetto XVI; redazione guidata dal card. Bergoglio (poi papa
Francesco). Punto focale: “discepoli missionari” e “missione continentale” in
un contesto di secolarizzazione, nuove povertà, ecologia e mobilità.
Sintesi del documento conclusivo
(Documento di Aparecida).
·
Chiesa “in stato permanente di missione”: ogni battezzato è
discepolo-missionario; conversione pastorale e uscita verso le periferie.
·
Opzione preferenziale per i poveri rinnovata; attenzione a popoli
originari, afrodiscendenti, giovani e famiglia.
·
Cura del creato e dimensione socio-ambientale; sfide di urbanizzazione,
migrazioni, violenza e nuove dipendenze.
·
Formazione, pietà popolare, pastorale della vita, della giustizia e della
pace; rafforzamento delle piccole comunità e della sinodalità.
Riferimenti
principali (testi integrali)
·
Medellín 1968 – Documentos finales (PDF, CELAM).
·
Puebla 1979 – Documento conclusivo (PDF, CELAM).
·
Santo Domingo 1992 – Documento conclusivo (PDF, CELAM).
·
Aparecida 2007 – Documento conclusivo (PDF, CELAM / Sito vaticano America
Latina).
*******************************
Io stesso, per lunghi anni missionario in
Perù, devo molto a questo cammino di discernimento ecclesiale, che Papa Francesco
ha saputo sapientemente legare a quello delle altre Chiese particolari, specie
del Sud globale. Adesso vorrei riprendere due temi specifici di questo
magistero episcopale.
Strutture di peccato che creano povertà e
disuguaglianze estreme
A Medellín i Vescovi si pronunciarono a
favore della scelta preferenziale per i poveri: «Il Cristo nostro salvatore non
solo amò i poveri, bensì, “essendo ricco, si fece povero” visse nella povertà,
incentrò la sua missione nell’annunciare la loro liberazione e fondò la sua
Chiesa come segno di questa povertà fra gli uomini. [...] La povertà di tanti
fratelli invoca giustizia, solidarietà, testimonianza, impegno, sforzo e
superamento perché si compia pienamente la missione salvifica affidata da
Cristo». I Vescovi affermano con forza che la Chiesa, per essere pienamente
fedele alla sua vocazione, deve non solo condividere la condizione dei poveri,
ma mettersi anche al loro fianco e impegnarsi fattivamente per la loro
promozione integrale. La Conferenza di Puebla, di fronte a un aggravarsi della
miseria in America Latina, confermò la decisione di Medellín con un’opzione
franca e profetica in favore dei poveri e qualificò come “peccato sociale” le
strutture di ingiustizia.
La carità è una forza che
cambia la realtà, un’autentica potenza storica di cambiamento. Auspico pertanto
che cresca il numero dei politici capaci di entrare in un autentico dialogo che
si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali
del mondo, perché si tratta di ascoltare il grido di interi popoli, dei popoli
più poveri della terra.
È pertanto doveroso continuare a denunciare
la “dittatura di un’economia che uccide” e riconoscere che mentre i guadagni di
pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre
più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede
da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione
finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di
vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia
invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le
sue leggi e le sue regole». Sebbene non manchino diverse teorie che
tentano di giustificare lo stato attuale delle cose, o di spiegare che la
razionalità economica esige da noi di aspettare che le forze invisibili del
mercato risolvano tutto, la dignità di ogni persona umana dev’essere rispettata
adesso, non domani, e la situazione di miseria di tante persone a cui viene
negata questa dignità dev’essere un richiamo costante per la nostra coscienza.
26. Contro la mentalità dominante che porta verso egoismo e indifferenza:
una forma di alienazione sociale
Nell’Enciclica Dilexit nos Papa
Francesco ha ricordato che il peccato sociale prende forma come “struttura di
peccato” nella società, che fa spesso parte di una mentalità dominante che
considera normale o razionale quello che in realtà è solo egoismo e
indifferenza. Tale fenomeno si può definire alienazione sociale. Diventa
normale ignorare i poveri e vivere come se non esistessero. Si presenta come la
scelta ragionevole organizzare l’economia chiedendo sacrifici al popolo, per
raggiungere certi scopi che interessano ai potenti. Intanto per i poveri
rimangono solo promesse di “gocce” che cadranno, finché una nuova crisi globale
non li porterà di nuovo alla situazione precedente. È una vera e propria
alienazione quella che porta a trovare solo scuse teoriche e non a cercare di
risolvere oggi i problemi concreti di coloro che soffrono.
27. Risolvere le cause strutturali della povertà
Dobbiamo impegnarci sempre
di più a risolvere le cause strutturali della povertà. È un’urgenza che non può
attendere, non solo per un’esigenza pragmatica di ottenere risultati e di
ordinare la società, ma per guarirla da una malattia che la rende fragile e
indegna e che potrà solo portarla a nuove crisi. I piani assistenziali, che
fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte
provvisorieLa mancanza di equità «è la radice dei mali sociali». Infatti, molte
volte si constata che, di fatto, i diritti umani non sono uguali per tutti».
Accade che nel vigente modello “di successo”
e “privatistico”, non sembra abbia senso investire affinché quelli che
rimangono indietro, i deboli o i meno dotati possano farsi strada nella vita». La
domanda che ritorna è sempre la stessa: i meno dotati non sono persone umane? I
deboli non hanno la stessa nostra dignità? Quelli che sono nati con meno
possibilità valgono meno come esseri umani, devono solo limitarsi a
sopravvivere? Dalla risposta che diamo a queste domande dipende il valore delle
nostre società e da essa dipende pure il nostro futuro. O riconquistiamo la
nostra dignità morale e spirituale o cadiamo come in un pozzo di sporcizia. Se
non ci fermiamo a prendere le cose sul serio continueremo, in modi espliciti o
dissimulati, a legittimare l’attuale modello distributivo, in cui una minoranza
si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile
generalizzare, perché il pianeta non potrebbe nemmeno contenere i rifiuti di un
simile consumo.
Tra le questioni strutturali che non si può
immaginare di risolvere dall’alto e che al più presto domandano di essere prese
in carico c’è quella dei luoghi, degli spazi, delle case, delle città dove i
poveri vivono e camminano.
28. Un compito di tutti i membri
del Popolo di Dio. la proposta del Vangelo non è soltanto quella di un rapporto
individuale e intimo col Signore.
Pertanto, è compito di tutti i membri del
Popolo di Dio far sentire, pur in modi diversi, una voce che svegli, che
denunci, che si esponga anche a costo di sembrare degli “stupidi”. Le strutture
d’ingiustizia vanno riconosciute e distrutte con la forza del bene, attraverso
il cambiamento delle mentalità ma anche, con l’aiuto delle scienze e della
tecnica, attraverso lo sviluppo di politiche efficaci nella trasformazione
della società. Va ricordato sempre che la proposta del Vangelo non è soltanto
quella di un rapporto individuale e intimo col Signore. La proposta è più
ampia: «È il Regno di Dio (cfr Lc 4,43); si tratta
di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui Egli riuscirà a regnare
tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di
pace, di dignità per tutti. Dunque, tanto l’annuncio quanto l’esperienza
cristiana tendono a provocare conseguenze sociali. Cerchiamo il suo Regno»[ Esort. ap.Evangelii gaudium (24 novembre 2013]
29. Lavorare con maggiore impegno contro le cause sociali della povertà. le
comunità emarginate quali soggetti capaci di creare una
propria cultura.
Un dono fondamentale al cammino della Chiesa
universale è rappresentato dal discernimento della Conferenza di Aparecida, in
cui i Vescovi latino-americani esplicitarono che la scelta preferenziale per i
poveri da parte della Chiesa è inscritta nella fede cristologica che ha portato
Dio a farsi povero per noi, per arricchirci con la sua povertà. Nel
documento si contestualizza la missione nell’attuale situazione del mondo
globalizzato con i suoi nuovi e drammatici squilibri e, nel
messaggio finale, i Vescovi scrivono: «Le forti differenze tra ricchi e poveri
ci invitano a lavorare con maggiore impegno per essere discepoli capaci di
condividere la mensa della vita, mensa di tutti i figli e figlie del Padre,
mensa aperta, includente, dalla quale non sia escluso nessuno. Perciò ribadiamo
la nostra opzione preferenziale ed evangelica per i poveri».
Allo stesso tempo, il documento,
approfondendo un tema già presente nelle Conferenze precedenti dell’Episcopato
dell’America Latina, insiste sulla necessità di considerare le comunità
emarginate quali soggetti capaci di creare una propria
cultura, più che come oggetti di beneficenza. Ciò implica che
tali comunità hanno il diritto di vivere il Vangelo e celebrare e comunicare la
fede secondo i valori presenti nelle loro culture. L’esperienza della povertà
dà loro la capacità di riconoscere aspetti della realtà che altri non riescono
a vedere, e per questo la società ha bisogno di ascoltarli. Lo stesso vale per
la Chiesa, che deve valutare positivamente il loro modo “popolare” di vivere la
fede. Un bel testo del Documento finale di Aparecida ci aiuta a riflettere su
questo punto per trovare l’atteggiamento giusto: «Solo la vicinanza che ci
rende amici ci permette di apprezzare profondamente i valori dei poveri di
oggi, i loro legittimi desideri e il loro modo di vivere la fede. [...] Giorno
dopo giorno, i poveri diventano soggetti di evangelizzazione e di promozione
umana integrale: educano i figli alla fede, vivono una costante solidarietà tra
parenti e vicini, cercano costantemente Dio e danno vita al pellegrinaggio
della Chiesa. Alla luce del Vangelo ne riconosciamo l’immensa dignità e il
valore sacro agli occhi di Cristo, povero come loro ed escluso tra loro. Da
questa esperienza di fedeltà, condivideremo con loro la difesa dei loro
diritti».
30. Apprezzare il povero
Tutto ciò comporta la presenza di un aspetto
nell’opzione per i poveri che dobbiamo ricordare costantemente: quest’opzione
esige, infatti, da noi un’attenzione rivolta all’altro […]. Questa attenzione
d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione per la sua persona e a partire da
essa desidero cercare effettivamente il suo bene. Questo implica apprezzare il
povero nella sua bontà propria, col suo modo di essere, con la sua cultura, con
il suo modo di vivere la fede. L’amore autentico è sempre contemplativo, ci
permette di servire l’altro non per necessità o vanità, ma perché è bello, al
di là delle apparenze. […] Solo a partire da questa vicinanza reale e cordiale
possiamo accompagnarli adeguatamente nel loro cammino di liberazione». Per
questa ragione, rivolgo un sincero ringraziamento a tutti coloro che hanno
scelto di vivere tra i poveri: a coloro, cioè, che non vanno a fare loro una
visita ogni tanto, ma che vivono con loro e come loro. Questa è un’opzione che
deve trovare posto tra le forme più alte di vita evangelica.
31. La Chiesa da sempre verso i poveri e con i poveri. I poveri non sono
come questione sociale ma come questione familiare
Ho scelto di ricordare [la] bimillenaria
storia di attenzione ecclesiale verso i poveri e con i poveri per mostrare che
essa è parte essenziale dell’ininterrotto cammino della Chiesa. La cura dei
poveri fa parte della grande Tradizione della Chiesa, come un faro di luce che,
dal Vangelo in poi, ha illuminato i cuori e i passi dei cristiani di ogni
tempo.
Il cristiano non può considerare i poveri
solo come un problema sociale: essi sono una “questione familiare”. Sono “dei
nostri”. Il rapporto con loro non può essere ridotto a un’attività o a un
ufficio della Chiesa. Come insegna la Conferenza di Aparecida, «ci viene
chiesto di dedicare tempo ai poveri, di dare loro un’attenzione amorevole, di
ascoltarli con interesse, di accompagnarli nei momenti difficili, scegliendoli
per condividere ore, settimane o anni della nostra vita, e cercando, a partire
da loro, la trasformazione della loro situazione. Non possiamo dimenticare che
Gesù stesso lo ha proposto con il suo modo di agire e con le sue parole».
32. Non abbandonare i poveri al loro destino. L’insegnamento della parabola
del Buon Samaritano
La cultura dominante dell’inizio di questo
millennio spinge ad abbandonare i poveri al loro destino, a non considerarli
degni di attenzione e tanto meno di apprezzamento. Nell’Enciclica Fratelli
tutti Papa Francesco ci ha invitato a riflettere sulla parabola del
buon samaritano (cfr Lc 10,25-37), proprio per approfondire
questo punto. Nella parabola, infatti, vediamo che, di fronte a quell’uomo
ferito e abbandonato lungo la strada, quelli che passano hanno atteggiamenti
diversi. Soltanto il buon samaritano se ne prende cura. Allora torna la domanda
che interpella ciascuno in prima persona: «Con chi ti identifichi? Questa
domanda è dura, diretta e decisiva. A quale di loro assomigli? Dobbiamo
riconoscere la tentazione che ci circonda di disinteressarci degli altri,
specialmente dei più deboli. Diciamolo, siamo cresciuti in tanti aspetti ma
siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli
delle nostre società sviluppate. Ci siamo abituati a girare lo sguardo, a
passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano
direttamente.
Per noi cristiani, la
questione dei poveri riconduce all’essenziale della nostra fede.
33. I poveri come carne stessa di Cristo. Andare verso la carne di Cristo.
Una religione non confinata nel privato
La realtà è che i poveri per i cristiani non
sono una categoria sociologica, ma la stessa carne di Cristo. Infatti, non è
sufficiente limitarsi a enunciare in modo generale la dottrina
dell’incarnazione di Dio; per entrare davvero in questo mistero, invece,
bisogna specificare che il Signore si fa carne che ha fame, che ha sete, che è
malata, carcerata. «Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare
verso la carne di Cristo. Se noi andiamo verso la carne di Cristo, incominciamo
a capire qualcosa, a capire che cosa sia questa povertà del Signore. E questo
non è facile» [Francesco,Veglia
di Pentecoste 18-5-2013].
Occorre ricordare che la religione,
specialmente quella cristiana, non può essere limitata all’ambito privato, come
se i fedeli non dovessero aver a cuore anche problemi che riguardano la società
civile e gli avvenimenti che interessano i cittadini
L’attenzione spirituale ai
poveri viene messa in discussione da certi pregiudizi, anche da parte di
cristiani, perché ci sentiamo più a nostro agio senza i poveri. C’è chi
continua a dire: “Il nostro compito è di pregare e di insegnare la vera
dottrina”. Ma, svincolando questo aspetto religioso dalla promozione integrale,
aggiungono che solo il governo dovrebbe prendersi cura di loro, oppure che
sarebbe meglio lasciarli nella miseria, insegnando loro piuttosto a lavorare. A
volte, invece, si assumono criteri pseudoscientifici per dire che la libertà
del mercato porterà spontaneamente alla soluzione del problema della povertà.
Oppure, persino, si opta per una pastorale delle cosiddette élite, sostenendo
che, al posto di perdere tempo con i poveri, è meglio prendersi cura dei
ricchi, dei potenti e dei professionisti, cosicché, attraverso di loro, si
potranno raggiungere soluzioni più efficaci. È facile cogliere la mondanità che
si cela dietro queste opinioni: esse ci portano a guardare la realtà con
criteri superficiali e privi di qualsiasi luce soprannaturale, privilegiando
frequentazioni che ci rassicurano e ricercando privilegi che ci accomodano.
34. L’elemosina
È bene spendere un’ultima parola
sull’elemosina, che oggi non gode di buona fama, spesso neppure tra i credenti.
Non solo essa viene raramente praticata, ma a volte addirittura disprezzata. Da
una parte, ribadisco che l’aiuto più importante per una persona povera è
aiutarla ad avere un buon lavoro, perché possa guadagnarsi una vita più consona
alla sua dignità sviluppando le sue capacità e offrendo il suo sforzo
personale.
Dall’altra parte, se non c’è ancora questa
possibilità concreta, non dobbiamo correre il rischio di lasciare una persona
abbandonata alla sua sorte, senza quello che è indispensabile per vivere
degnamente. E quindi l’elemosina rimane un momento necessario di contatto, di
incontro e di immedesimazione nella condizione altrui.
L’amore e le convinzioni più profonde vanno
alimentate, e lo si fa con gesti. Rimanere nel mondo delle idee e delle
discussioni, senza gesti personali, frequenti e sentiti, sarà la rovina dei
nostri sogni più preziosi. Per questa semplice ragione come cristiani non
rinunciamo all’elemosina.
35. L’amore cristiano supera ogni barriera: è per l’impossibile
L’amore cristiano supera ogni barriera,
avvicina i lontani, accomuna gli estranei, rende familiari i nemici, valica
abissi umanamente insuperabili, entra nelle pieghe più nascoste della società.
Per sua natura, l’amore cristiano è profetico, compie miracoli, non ha limiti:
è per l’impossibile. L’amore è soprattutto un modo di concepire la vita, un
modo di viverla. Ebbene, una Chiesa che non mette limiti all’amore, che non
conosce nemici da combattere, ma solo uomini e donne da amare, è la Chiesa di
cui oggi il mondo ha bisogno.
Sia attraverso il vostro lavoro, sia
attraverso il vostro impegno per cambiare le strutture sociali ingiuste, sia
attraverso quel gesto di aiuto semplice, molto personale e ravvicinato, sarà
possibile per quel povero sentire che le parole di Gesù sono per lui: «Io ti ho
amato» (Ap 3,9).
Dato a Roma, presso San Pietro, il 4 ottobre,