INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9.

Dall’anno associativo 2025\2026 sono in programma:

  • condivisione di brevi podcast informativi sul Catechismo per gli adulti e sul Compendio della dottrina sociale della Chiesa;
  • un gruppo di lettura e dialogo in videoconferenza, utilizzando anche contenuti pubblicati sul quotidiano Avvenire;

Per partecipare alle riunioni in videoconferenza sulla piattaforma Zoom verrà inviato via email o whatsapp il link di accesso. Delle riunioni in videoconferenza verrà data notizia sul blog e le persone interessate potranno chiedere quel link inviando una email a ardigo.mario@virgilio.it ,comunicando il loro nome, l’indirizzo email a cui desiderano ricevere il link, la parrocchia di residenza e i temi di interesse.

La riunione in videoconferenza t sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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sabato 11 ottobre 2025

Esortazione apostolica "Dilexi te - Ti ho amato" - versione condensata con le idee chiave

 

ESORTAZIONE APOSTOLICA

DILEXI TE

DEL SANTO PADRE LEONE XIV

SULL’AMORE VERSO I POV ERI

 

Versione condensata. Vengono riportati i brani del documento con le sue idee chiave

 

 

1. Da un Papa all’altro 

Contemplare l’amore di Cristo ci aiuta a prestare maggiore attenzione alle sofferenze e ai bisogni degli altri, ci rende forti per partecipare alla sua opera di liberazione, come strumenti per la diffusione del suo amore.

 Per questa ragione, in continuità con l’Enciclica Ci ha amati - Dilexit nos, Papa Francesco stava preparando, negli ultimi mesi della sua vita, un’Esortazione apostolica sulla cura della Chiesa per i poveri e con i poveri, intitolata Dilexi te, immaginando che Cristo si rivolga ad ognuno di loro dicendo: Hai poca forza, poco potere, ma «io ti ho amato» (Ap 3,9). Avendo ricevuto come in eredità questo progetto, sono felice di farlo mio – aggiungendo alcune riflessioni – e di proporlo ancora all’inizio del mio pontificato, condividendo il desiderio dell’amato Predecessore che tutti i cristiani possano percepire il forte nesso che esiste tra l’amore di Cristo e la sua chiamata a farci vicini ai poveri.

1.Amare il Signore nei poveri

 Nessun gesto di affetto, neanche il più piccolo, sarà dimenticato, specialmente se rivolto a chi è nel dolore, nella solitudine, nel bisogno, com’era il Signore in quell’ora.

Ed è proprio in tale prospettiva che l’affetto per il Signore si unisce a quello per i poveri.

  Ci tornano alla mente quelle parole del Signore: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Non siamo nell’orizzonte della beneficenza, ma della Rivelazione: il contatto con chi non ha potere e grandezza è un modo fondamentale di incontro con il Signore della storia.

  E’ stata anche la scelta di San Francesco d’Assisi: nel lebbroso fu Cristo stesso ad abbracciarlo, cambiandogli la vita. La figura luminosa del Poverello non cesserà mai di ispirarci.

  L’antica storia del buon samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio» [S. Paolo VI, Omelia nella Messa in occasione dell’ultima sessione pubblica del Concilio Ecumenico Vaticano II(7 dicembre 1965)] Sono convinto che la scelta prioritaria per i poveri genera un rinnovamento straordinario sia nella Chiesa che nella società, quando siamo capaci di liberarci dall’autoreferenzialità e riusciamo ad ascoltare il loro grido.

 Dio si mostra sollecito verso le necessità dei poveri: «Gridarono al Signore ed egli fece sorgere per loro un salvatore» (Gdc 3,15). Perciò, ascoltando il grido del povero, siamo chiamati a immedesimarci col cuore di Dio, che è premuroso verso le necessità dei suoi figli e specialmente dei più bisognosi.   

 La condizione dei poveri rappresenta un grido che, nella storia dell’umanità, interpella costantemente la nostra vita, le nostre società, i sistemi politici ed economici e, non da ultimo, anche la Chiesa.

3. Diverse forme di povertà

  Dovremmo parlare forse più correttamente dei numerosi volti dei poveri e della povertà, poiché si tratta di un fenomeno variegato; infatti, esistono molte forme di povertà: quella di chi non ha mezzi di sostentamento materiale, la povertà di chi è emarginato socialmente e non ha strumenti per dare voce alla propria dignità e alle proprie capacità, la povertà morale e spirituale, la povertà culturale, quella di chi si trova in una condizione di debolezza o fragilità personale o sociale, la povertà di chi non ha diritti, non ha spazio, non ha libertà.

4. Impegno sociale per rimuovere le cause sociali e strutturali della povertà

  Si può dire che l’impegno a favore dei poveri e per rimuovere le cause sociali e strutturali della povertà, pur essendo diventato importante negli ultimi decenni, rimane sempre insufficiente; anche perché le società in cui viviamo spesso privilegiano criteri di orientamento dell’esistenza e della politica segnati da numerose disuguaglianze e, perciò, a vecchie povertà di cui abbiamo preso coscienza e che si tenta di contrastare, se ne aggiungono di nuove, talvolta più sottili e pericolose. Da questo punto di vista, è da salutare con favore il fatto che le Nazioni Unite abbiano posto la sconfitta della povertà come uno degli obiettivi del Millennio.

5. Una trasformazione di mentalità

  All’impegno concreto per i poveri occorre anche associare una trasformazione di mentalità che possa incidere a livello culturale. Infatti, l’illusione di una felicità che deriva da una vita agiata spinge molte persone verso una visione dell’esistenza imperniata sull’accumulo della ricchezza e sul successo sociale a tutti i costi, da conseguire anche a scapito degli altri e profittando di ideali sociali e sistemi politico-economici ingiusti, che favoriscono i più forti. Così, in un mondo dove sempre più numerosi sono i poveri, paradossalmente vediamo anche crescere alcune élite di ricchi, che vivono nella bolla di condizioni molto confortevoli e lussuose, quasi in un altro mondo rispetto alla gente comune.

6. Regole economiche insufficienti per lo sviluppo umano integrale. Concezione contemporanea della povertà e sue cause sociali

   Al di là dei dati – che a volte vengono “interpretati” in modo tale da convincere che la situazione dei poveri non sia così grave –, la realtà generale è abbastanza chiara: Ci sono regole economiche che sono risultate efficaci per la crescita, ma non altrettanto per lo sviluppo umano integrale. È aumentata la ricchezza, ma senza equità, e così ciò che accade è che nascono nuove povertà. Quando si dice che il mondo moderno ha ridotto la povertà, lo si fa misurandola con criteri di altre epoche non paragonabili con la realtà attuale. Infatti, in altri tempi, per esempio, non avere accesso all’energia elettrica non era considerato un segno di povertà e non era motivo di grave disagio. La povertà si analizza e si intende sempre nel contesto delle possibilità reali di un momento storico concreto». Tuttavia, al di là delle situazioni specifiche e contestuali, in un documento della Comunità Europea, nel 1984, si affermava che «per persone povere s’intendono: i singoli individui, le famiglie e i gruppi di persone le cui risorse (materiali, culturali e sociali) sono così scarse da escluderli dal tenore di vita minimo accettabile nello Stato membro in cui vivono». Ma se riconosciamo che tutti gli esseri umani hanno la stessa dignità, indipendentemente dal luogo di nascita, non si devono ignorare le grandi differenze che esistono tra i Paesi e le regioni.   I poveri non ci sono per caso o per un cieco e amaro destino. Tanto meno la povertà, per la maggior parte di costoro, è una scelta. Eppure, c’è ancora qualcuno che osa affermarlo, mostrando cecità e crudeltà. Non possiamo dire che la maggior parte dei poveri lo sono perché non hanno acquistato dei “meriti”, secondo quella falsa visione della meritocrazia dove sembra che abbiano meriti solo quelli che hanno avuto successo nella vita.

   Anche i cristiani, in tante occasioni, si lasciano contagiare da atteggiamenti segnati da ideologie mondane o da orientamenti politici ed economici che portano a ingiuste generalizzazioni e a conclusioni fuorvianti. Il fatto che l’esercizio della carità risulti disprezzato o ridicolizzato, come se si trattasse della fissazione di alcuni e non del nucleo incandescente della missione ecclesiale, mi fa pensare che bisogna sempre nuovamente leggere il Vangelo, per non rischiare di sostituirlo con la mentalità mondana.

7. Dio stesso si è fatto povero. Ragioni teologiche della sua opzione preferenziale per i poveri

Proprio per condividere i limiti e le fragilità della nostra natura umana, [Dio] stesso si è fatto povero, è nato nella carne come noi e lo abbiamo conosciuto nella piccolezza di un bambino deposto in una mangiatoia e nell’estrema umiliazione della croce, laddove ha condiviso la nostra radicale povertà, che è la morte. Si comprende bene, allora, perché si può anche teologicamente parlare di un’opzione preferenziale da parte di Dio per i poveri, un’espressione nata nel contesto del continente latino-americano e in particolare nell’Assemblea di Puebla, ma che è stata ben integrata nel successivo magistero della Chiesa [Cfr S. Giovanni Paolo II, Catechesi (27 ottobre 1999): L’Osservatore Romano, 28 ottobre 199]. Questa “preferenza” non indica mai un esclusivismo o una discriminazione verso altri gruppi, che in Dio sarebbero impossibili; essa intende sottolineare l’agire di Dio che si muove a compassione verso la povertà e la debolezza dell’umanità intera e che, volendo inaugurare un Regno di giustizia, di fraternità e di solidarietà, ha particolarmente a cuore coloro che sono discriminati e oppressi, chiedendo anche a noi, alla sua Chiesa, una decisa e radicale scelta di campo a favore dei più deboli.

8. Dio, fattosi povero, è amico e liberatore dei poveri

 Si comprendono in questa prospettiva le numerose pagine dell’Antico Testamento in cui Dio viene presentato come amico e liberatore dei poveri, Colui che ascolta il grido del povero e interviene per liberarlo (cfr Sal 34,7).

  Dall’inizio la Scrittura manifesta con così viva intensità l’amore di Dio attraverso la protezione dei deboli e dei meno abbienti, al punto che si potrebbe parlare di una sorta di “debolezza” di Dio nei loro confronti.

  Tutta la vicenda veterotestamentaria della predilezione di Dio per i poveri e il desiderio divino di ascoltare il loro grido – che ho brevemente richiamato – trova in Gesù di Nazaret la sua piena realizzazione. Nella sua incarnazione, Egli «svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo» (Fil 2,7) e in quella forma portò la nostra salvezza. Si tratta di una povertà radicale, fondata sulla sua missione di rivelare il vero volto dell’amore divino (cfr Gv 1,18; 1Gv 4,9).   

  Non vi fu luogo accogliente nemmeno per la sua morte: lo condussero fuori da Gerusalemme per la crocifissione (cfr Mc 15,22). È in questa condizione che si può riassumere in maniera chiara la povertà di Gesù. Si tratta della stessa esclusione che caratterizza la definizione dei poveri: essi sono gli esclusi dalla società. Gesù è la rivelazione di questo privilegium pauperum. Egli si presenta al mondo non solo  come Messia povero, ma anche come Messia dei poveri e per i poveri.

 Vi sono alcuni indizi a proposito della condizione sociale di Gesù. Anzitutto, egli svolge il mestiere di artigiano o carpentiere, téktōn (cfr Mc 6,3 - non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone?]) Si tratta di una categoria di persone che vivono con il loro lavoro manuale. Non essendo possessori di terra, venivano considerati inferiori rispetto ai contadini.   

  Gesù stesso, poi, dice di sé: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20; Lc 9,58). Egli, infatti, è un maestro itinerante, la cui povertà e precarietà è segno del legame con il Padre ed è richiesta anche a chi vuole seguirlo sulla via del discepolato, proprio perché la rinuncia ai beni, alle ricchezze e alle sicurezze di questo mondo diventi segno visibile dell’affidarsi a Dio e alla sua provvidenza.

9. Un lieto annuncio ai poveri

  All’inizio del suo ministero pubblico, Gesù si presenta nella sinagoga di Nazaret leggendo il rotolo del profeta Isaia e applicando a sé stesso la parola del profeta: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con son e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18; cfr Is 61,1).

  I segni che accompagnano infatti la predicazione di Gesù sono manifestazione dell’amore e della compassione con cui Dio guarda gli ammalati, i poveri e i peccatori che, in virtù della loro condizione, erano emarginati nella società ma anche dalla religione;

  Questo spiega perché Egli proclama: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio» (Lc 6,20). Verso i poveri, infatti, Dio mostra predilezione: prima di tutto a loro è rivolta la parola di speranza e di liberazione del Signore e, perciò, pur nella condizione di povertà o debolezza, nessuno deve sentirsi più abbandonato.

 Tante volte mi domando perché, pur essendoci tale chiarezza nelle Sacre Scritture a proposito dei poveri, molti continuano a pensare di poter escludere i poveri dalle loro attenzioni.   

10. Amore di Dio e amore del prossimo come un unico comandamento

Gesù riprende i due antichi comandamenti: «Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,5) e «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19,18), fondendoli in un unico comandamento. L’evangelista Marco riporta la risposta di Gesù in questi termini: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questi» (Mc 12,29-31).

 È innegabile che il primato di Dio nell’insegnamento di Gesù si accompagna all’altro punto fermo che non si può amare Dio senza estendere il proprio amore ai poveri.   

11. Nelle prime comunità cristiane

Nella prima comunità cristiana il programma di carità non derivava da analisi o da progetti, ma direttamente dall’esempio di Gesù, dalle parole stesse del Vangelo. La la fede, se non è seguita dalle opere, in sé stessa è morta» (Gc 2,14-17).

  Nella Prima Lettera di Giovanni troviamo un appello simile: «Se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio?» (1Gv 3,17).

  Quello della Parola rivelata «è un messaggio così chiaro, così diretto, così semplice ed eloquente, che nessuna ermeneutica ecclesiale ha il diritto di relativizzarlo. La riflessione della Chiesa su questi testi non dovrebbe oscurare o indebolire il loro significato esortativo, ma piuttosto aiutare a farli propri con coraggio e fervore. Perché complicare ciò che è così semplice? Gli apparati concettuali esistono per favorire il contatto con la realtà che si vuole spiegare e non per allontanarci da essa» [Id., Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 194: AAS 105 (2013), 1101].

  Le promesse bibliche rivolte a chi dà con generosità sono molte: «Chi ha pietà del povero fa un prestito al Signore, che gli darà la sua ricompensa» (Pr 19,17). «Date e vi sarà dato: […] con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6,38). «Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto» (Is 58,8). I primi cristiani ne erano convinti.

  La vita delle prime comunità ecclesiali, narrata nel canone biblico e giunta a noi come Parola rivelata, ci viene offerta come esempio da imitare e come testimonianza della fede che opera per mezzo della carità, e rimane quale monito permanente per le generazioni a venire.   

12. Desiderio di una Chiesa povera per i poveri. Non separare il credere dall’azione sociale

Tre giorni dopo la sua elezione, il mio Predecessore espresse ai rappresentanti dei media il desiderio che la cura e l’attenzione per i poveri fossero più chiaramente presenti nella Chiesa: «Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!».

  Questo desiderio riflette la consapevolezza che la Chiesa «riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo» [ Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 8]. 

  I primi cristiani erano chiaramente consapevoli della necessità di prendersi cura di coloro che erano soggetti a maggiori privazioni. Già agli albori del cristianesimo gli Apostoli imposero le mani su sette uomini scelti dalla comunità e, in un certo grado, li integrarono nel proprio ministero, istituendoli per il servizio – diakonía in greco – dei più poveri (cfr At 6,1-5).

  Fin dai primi secoli, i Padri della Chiesa riconoscevano nei poveri una via privilegiata di accesso a Dio, un modo speciale per incontrarlo. La carità verso i bisognosi non era intesa come una semplice virtù morale, ma come espressione concreta della fede nel Verbo incarnato.   

13. San Giustino

 San Giustino, da parte sua, nella sua prima Apologia, indirizzata all’imperatore Adriano, al Senato e al popolo romano, spiegava che i cristiani portavano tutto ciò che potevano ai bisognosi, perché vedevano in loro dei fratelli e delle sorelle in Cristo.

  La Chiesa nascente non separava il credere dall’azione sociale: la fede che non era accompagnata dalla testimonianza delle opere, come insegna San Giacomo, era considerata morta (cfr Gc 2,17).

14. San Giovanni Crisostomo

Tra i Padri orientali, il più ardente predicatore della giustizia sociale fu forse San Giovanni Crisostomo [significa bocca d’oro], Arcivescovo di Costantinopoli tra il IV e il V secolo. Nelle sue omelie, egli esortava i fedeli a riconoscere Cristo nei bisognosi.  Affermando con chiarezza cristallina che, se i fedeli non incontrano Cristo nei poveri che stanno alla porta, non potranno adorarlo nemmeno sull’Altare.

  Di conseguenza, la carità non è un percorso opzionale, ma il criterio del vero culto.

15. Sant’Agostino e Sant’Ambrogio

  Agostino [che fu vescovo a Ippona] ebbe come maestro spirituale Sant’Ambrogio [che fu vescovo di Milano], che insisteva sull’esigenza etica della condivisione dei beni. Per il Vescovo di Milano, l’elemosina è giustizia ristabilita, non un gesto di paternalismo. Nella sua predicazione, la misericordia assume un carattere profetico: denuncia le strutture di accumulo e riafferma la comunione come vocazione ecclesiale.

 Formatosi in questa tradizione, il santo Vescovo di Ippona ha insegnato a sua volta l’amore preferenziale per i poveri Nei suoi Commenti ai Salmi, ricorda che i veri cristiani non trascurano l’amore per i più bisognosiPer Agostino, il povero non è solo una persona da aiutare, ma la presenza sacramentale del Signore.

   L’Altissimo non si lascia vincere in generosità nei confronti di coloro che lo servono nei più bisognosi: maggiore è l’amore per i poveri, maggiore è la ricompensa da parte di Dio.

  Questa prospettiva cristocentrica e profondamente ecclesiale porta a sostenere che le offerte, quando nascono dall’amore, non solo alleviano i bisogni del fratello, ma purificano anche il cuore di chi dona, se disposto a cambiare.

  In una Chiesa che riconosce nei poveri il volto di Cristo e nei beni lo strumento della carità, il pensiero agostiniano rimane una luce sicura. Oggi la fedeltà agli insegnamenti di Agostino esige non solo lo studio delle sue opere, ma la prontezza a vivere radicalmente il suo invito alla conversione, che include necessariamente il servizio della carità.

16. La teologia patristica per una Chiesa povera per i poveri

 Molti altri Padri della Chiesa, d’Oriente e d’Occidente, si sono pronunciati sul primato dell’attenzione ai poveri nella vita e nella missione di ogni fedele cristiano. Da questa prospettiva, in sintesi, si può dire che la teologia patristica era pratica, puntando a una Chiesa povera e per i poveri, ricordando che il Vangelo è annunciato correttamente solo quando spinge a toccare la carne degli ultimi e avvertendo che il rigore dottrinale senza misericordia è un discorso vuoto.

17. Varie forme storiche di impegno per la liberazione dei poveri

  La compassione cristiana si è manifestata in modo peculiare nella cura dei malati e dei sofferenti. Sulla base dei segni presenti nel ministero pubblico di Gesù – la guarigione di ciechi, lebbrosi e paralitici –, la Chiesa comprende che la cura dei malati, nei quali riconosce prontamente il Signore crocifisso, è una parte importante della sua missione. Nei malati, i membri della Chiesa «toccano la carne sofferente di Cristo».

  Fin dai tempi apostolici, la Chiesa ha visto nella liberazione degli oppressi un segno del Regno di Dio. Gesù stesso, all’inizio della sua missione pubblica, ha proclamato: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione» (Lc 4,18). I primi cristiani, anche in condizioni precarie, pregavano e assistevano i loro fratelli e sorelle prigionieri, come testimoniano gli Atti degli Apostoli (cfr 12,5; 24,23) e vari scritti dei Padri.  

  La carità cristiana, quando si incarna, diventa liberatrice. E la missione della Chiesa, quando è fedele al suo Signore, è sempre quella di annunciare la liberazione. Quando la Chiesa si inchina per spezzare le nuove catene che legano i poveri, diventa un segno pasquale.

  Non si può concludere questa riflessione sulle persone private di libertà senza menzionare i carcerati che si trovano in diversi penitenziari e centri di detenzione.

Rivolgendosi ad alcuni educatori, Papa Francesco ricordava che l’educazione è sempre stata una delle espressioni più alte della carità cristiana. Fin dai tempi più antichi, i cristiani hanno capito che la conoscenza libera, dà dignità e avvicina alla verità. Per la Chiesa, insegnare ai poveri era un atto di giustizia e di fede.

  L’educazione dei poveri, per la fede cristiana, non è un favore, ma un dovere. I piccoli hanno diritto alla conoscenza, come requisito fondamentale per il riconoscimento della dignità umana. Insegnare ad essi è affermarne il valore, dotandoli degli strumenti per trasformare la loro realtà. La tradizione cristiana considera il sapere come un dono di Dio e una responsabilità comunitaria. L’educazione cristiana non forma solo professionisti, ma persone aperte al bene, al bello e alla verità.

18. In particolare l’impegno per i  migranti

  La Chiesa ha sempre riconosciuto nei migranti una presenza viva del Signore che, nel giorno del giudizio, dirà a quelli che sono alla sua destra: «Ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25,35).

  La tradizione dell’attività della Chiesa per e con i migranti continua e oggi questo servizio si esprime in iniziative come i centri di accoglienza per i rifugiati, le missioni di frontiera, gli sforzi di Caritas Internationalis e di altre istituzioni. Il Magistero contemporaneo ribadisce chiaramente questo impegno. Papa Francesco ha ricordato che la missione della Chiesa verso i migranti e i rifugiati è ancora più ampia, insistendo sul fatto che «la risposta alla sfida posta dalle migrazioni contemporanee si può riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Ma questi verbi non valgono solo per i migranti e i rifugiati. Essi esprimono la missione della Chiesa verso tutti gli abitanti delle periferie esistenziali, che devono essere accolti, protetti, promossi e integrati» [ Francesco, Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 2019]   La Chiesa, come una madre, cammina con coloro che camminano. Dove il mondo vede minacce, lei vede figli; dove si costruiscono muri, lei costruisce ponti. Sa che il suo annuncio del Vangelo è credibile solo quando si traduce in gesti di vicinanza e accoglienza. E sa che in ogni migrante respinto è Cristo stesso che bussa alle porte della comunità.

19. I poveri come prediletti dal Vangelo

 La santità cristiana spesso fiorisce nei luoghi più dimenticati e feriti dell’umanità. I più poveri tra i poveri – coloro che non solo mancano di beni, ma anche di voce e di riconoscimento della loro dignità – occupano un posto speciale nel cuore di Dio. Sono i prediletti del Vangelo, gli eredi del Regno (cfr Lc 6,20). È in loro che Cristo continua a soffrire e a risorgere. È in loro che la Chiesa ritrova la chiamata a mostrare la sua realtà più autentica.

20. I movimenti popolari. I movimenti dei lavoratori, delle donne, dei giovani. Il coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino comune

 Dobbiamo riconoscere pure che, lungo i secoli di storia cristiana, l’aiuto ai poveri e la lotta per i loro diritti non hanno riguardato soltanto i singoli, alcune famiglie, le istituzioni o le comunità religiose. Ci sono stati, e ci sono, diversi movimenti popolari, costituiti da laici e guidati da leader popolari, tante volte sospettati e addirittura perseguitati.

  Questi leader popolari sanno che la solidarietà è anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’impero del denaro. Quando le diverse istituzioni pensano ai bisogni dei poveri è necessario che includano i movimenti popolari e animino le strutture di governo locali, nazionali e internazionali con quel torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino comune. I movimenti popolari, infatti, invitano a superare quell’idea delle politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli. Se i politici e i professionisti non li ascoltano, la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino. Lo stesso si deve dire delle istituzioni della Chiesa.

  L’accelerazione delle trasformazioni tecnologiche e sociali degli ultimi due secoli, piena di tragiche contraddizioni, non è stata solo subita, ma anche affrontata e pensata dai poveri. I movimenti dei lavoratori, delle donne, dei giovani, così come la lotta contro le discriminazioni razziali hanno comportato una nuova coscienza della dignità di chi è ai margini. Anche il contributo della Dottrina Sociale della Chiesa ha in sé questa radice popolare da non dimenticare: sarebbe inimmaginabile la sua rilettura della Rivelazione cristiana entro le moderne circostanze sociali, lavorative, economiche e culturali senza i laici cristiani alle prese con le sfide del loro tempo.

21. Magistero dei Vescovi di Roma

 I Vescovi di Roma si sono fatti voce di nuove consapevolezze, passate al vaglio del discernimento ecclesiale. Ad esempio, nella Lettera enciclica Rerum novarum (1891), Leone XIII affrontò la questione del lavoro, mettendo a nudo la situazione intollerabile di molti operai dell’industria, proponendo l’instaurazione di un ordine sociale giusto. In questa linea si sono espressi pure altri Pontefici. Con l’Enciclica Mater et Magistra(1961) San Giovanni XXIII si fece promotore di una giustizia dalle dimensioni mondiali: i Paesi ricchi non potevano rimanere indifferenti davanti ai Paesi oppressi dalla fame e dalla miseria; erano chiamati a soccorrerli generosamente con tutti i loro beni.

22. Il Concilio Vaticano 2°

 Il Concilio Vaticano II rappresenta una tappa fondamentale nel discernimento ecclesiale riguardo ai poveri, alla luce della Rivelazione. Sebbene nei documenti preparatori tale tema fosse marginale, sin dal Radiomessaggio dell’11 settembre 1962, a un mese dall’apertura del Concilio, San Giovanni XXIII accese l’attenzione su di esso con parole indimenticabili: «La Chiesa si presenta quale è e quale vuole essere, come la Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei poveri È fondamentale la natura cristocentrica, quindi dottrinale e non solo sociale, di un simile fermento.

 Numerosi Padri conciliari, infatti, favorirono il consolidarsi della coscienza, ben espressa dal Cardinale Lercaro nel suo memorabile intervento del 6 dicembre 1962, che il mistero di Cristo nella Chiesa è sempre stato ed è, ma oggi lo è particolarmente, il mistero di Cristo nei poverie che non si tratta di qualunque tema, ma in un certo senso è l’unico tema di tutto il Vaticano II. L’Arcivescovo di Bologna, preparando il testo di questo intervento, annotava: «Questa è l’ora dei poveri, dei milioni di poveri che sono su tutta la terra, questa è l’ora del mistero della chiesa madre dei poveri, questa è l’ora del mistero di Cristo soprattutto nel povero». Si prospettava così la necessità di una nuova forma ecclesiale, più semplice e sobria, coinvolgente l’intero popolo di Dio e la sua figura storica. Una Chiesa più simile al suo Signore che alle potenze mondane, tesa a stimolare in tutta l’umanità un impegno concreto per la soluzione del grande problema della povertà nel mondo.

Nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, attualizzando l’eredità dei Padri della Chiesail Concilio ribadisce con forza la destinazione universale dei beni della terra e la funzione sociale della proprietà che ne deriva: «Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene, all’uso di tutti gli uomini e popoli, e pertanto i beni creati debbono, secondo un equo criterio, essere partecipati a tutti […]. Perciò l’uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che posso­no giovare non solo a lui ma anche agli altri. Del resto, a tutti gli uomini spetta il diritto di avere una parte di beni sufficienti a sé e alla propria famiglia. […] Colui che si trova in estre­ma necessità ha il diritto di procurarsi il necessario dalle ricchezze altrui. […] Ogni proprietà privata ha per sua natura una funzione sociale che si fonda sulla comune destinazione dei beni. Se si trascura questa funzione sociale, la proprietà può diventare in molti modi occasione di cupidigia e di gravi disordini». Questa convinzione è rilanciata da San Paolo VI nell’Enciclica Populorum progressio, dove leggiamo che nessuno può ritenersi «autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario». 

23. Il Magistero di San Giovanni Paolo 2° sull’opzione preferenziale per i poveri.

Con San Giovanni Paolo II si consolida, almeno in ambito dottrinale, il rapporto preferenziale della Chiesa con i poveri. Nell’Enciclica Sollicitudo rei socialis scrive ancora che oggi, attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha assunto, «questo amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senza tetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore: non si può non prendere atto dell’esistenza di queste realtà. L’ignorarle significherebbe assimilarci al “ricco epulone”, che fingeva di non conoscere Lazzaro, il mendicante, giacente fuori della sua porta (cfr Lc 16,19-31)». Il suo insegnamento sul lavoro acquista importanza quando vogliamo pensare al ruolo attivo dei poveri nel rinnovamento della Chiesa e della società, lasciandoci alle spalle il paternalismo della sola assistenza ai loro bisogni immediati. Nell’Enciclica Laborem exercens egli afferma che «il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale».

24. Il magistero di Benedetto XVI

 A fronte delle molteplici crisi che hanno contraddistinto l’inizio del terzo millennio, la lettura di Benedetto XVI si fa più marcatamente politica. Così, nella Lettera enciclica Caritas in veritate, afferma che «si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per un bene comune rispondente anche ai suoi reali bisogni».Inoltre osserva che «la fame non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale. Manca, cioè, un assetto di istituzioni economiche in grado sia di garantire un accesso al cibo e all’acqua regolare e adeguato dal punto di vista nutrizionale, sia di fronteggiare le necessità connesse con i bisogni primari e con le emergenze di vere e proprie crisi alimentari, provocate da cause naturali o dall’irresponsabilità politica nazionale e internazionale».

 25. Il magistero latinoamericano del CELAM Consiglio Episcopale Latinoamericano e dei Caraibi – Contrastare la dittatura di un’economia che uccide

 Papa Francesco ha riconosciuto come, oltre al magistero dei Vescovi di Roma, negli ultimi decenni si sono fatte sempre più frequenti anche le prese di posizione da parte delle Conferenze Episcopali nazionali e regionali. In prima persona, ad esempio, ha potuto testimoniare il particolare impegno dell’Episcopato latino-americano nel ripensare il rapporto della Chiesa con i poveri. Nel dopo Concilio, in quasi tutti i Paesi dell’America Latina, si è sentita forte l’identificazione della Chiesa con i poveri e un’attiva partecipazione al loro riscatto. Era il cuore stesso della Chiesa a muoversi di fronte a tanti poveri afflitti da disoccupazione, sottoccupazione, salari iniqui, e costretti a vivere in condizioni miserabili. Le Conferenze dell’Episcopato Latino-americano a Medellín, a Puebla, a Santo Domingo e ad Aparecida costituiscono tappe significative anche per la Chiesa intera.

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Informazioni da ChatGPT

Il CELAM — acronimo di Consejo Episcopal Latinoamericano y Caribeño (in italiano: Consiglio Episcopale Latinoamericano e dei Caraibi) — è l’organismo che riunisce e coordina le Conferenze episcopali cattoliche dell’America Latina e dei Caraibi.
È una delle strutture più importanti della Chiesa cattolica mondiale, perché ha avuto un ruolo decisivo nello sviluppo di una pastorale e di una teologia proprie del continente latinoamericano.


📜 Origine e istituzione

·         Fondazione: il CELAM fu istituito nel 1955 a Rio de Janeiro, durante la prima Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano, convocata da Pio XII.

·         L’idea nacque per rispondere all’esigenza di una coordinazione permanente tra le Chiese nazionali dell’America Latina, che fino ad allora agivano in modo isolato.

·         Il suo primo presidente fu mons. Manuel Larraín, vescovo di Talca (Cile), figura molto stimata anche da papa Giovanni XXIII.


🏛️ Struttura

·         Ha sede a Bogotá, in Colombia, dove si trova il Segretariato generale.

·         È composto dai presidenti delle Conferenze episcopali nazionali dell’America Latina e dei Caraibi.

·         Opera attraverso commissioni tematiche (dottrina, pastorale, giustizia e pace, famiglia, comunicazioni, ecc.) e centri di formazione e ricerca (come il Centro Bíblico Teológico Pastoral para América Latina y el Caribe – CEBITEPAL).


🔥 Ruolo e importanza storica

Il CELAM è stato determinante per:

·         Attuare e contestualizzare il Concilio Vaticano II nel continente americano.

·         Promuovere la pastorale della liberazione e l’opzione preferenziale per i poveri (da Medellín in poi).

·         Offrire spazi di riflessione teologica comune tra vescovi, teologi e laici, con una forte attenzione ai problemi sociali e alla giustizia.

Le sue Conferenze generali (convocate in accordo con il papa) hanno segnato tappe cruciali della vita ecclesiale:

1.    Rio de Janeiro (1955) – fondazione del CELAM.

2.    Medellín (1968) – recezione del Vaticano II e nascita della teologia della liberazione.

3.    Puebla (1979) – opzione preferenziale per i poveri.

4.    Santo Domingo (1992) – nuova evangelizzazione e inculturazione.

5.    Aparecida (2007) – discepoli missionari, documento redatto sotto la guida del card. Bergoglio (futuro papa Francesco).


🔔 Situazione attuale

Sì, il CELAM è tuttora attivo.

·         Nel 2019 ha avviato un importante processo di rinnovamento istituzionale per adattarsi alle sfide di oggi (ecologia integrale, sinodalità, digitalizzazione, interculturalità).

·         Collabora strettamente con il Dicastero vaticano per l’Evangelizzazione e con la Rete Ecclesiale Panamazzonica (REPAM).

·         L’ultima assemblea generale si è tenuta nel maggio 2023 a Porto Rico, con il tema “Per una Chiesa sinodale in uscita verso le periferie”.


Certo! Ecco un quadro storico sintetico delle quattro Conferenze generali dell’Episcopato latino-americano (CELAM) e una sintesi dei rispettivi documenti finali.

Medellín (Colombia), 26 ago – 7 set 1968

Contesto storico. Prima grande ricezione del Vaticano II in America Latina: al centro, povertà strutturale, giustizia sociale, pace e riforme. Nasce un linguaggio pastorale nuovo (comunità ecclesiali di base, “strutture di peccato”), con forte attenzione alla liberazione integrale.

Sintesi del documento conclusivo (Documentos finales de Medellín).

·         Opzione evangelica per i poveri e contro le ingiustizie strutturali; denuncia della violenza istituzionalizzata.

·         Promozione umana come dimensione intrinseca dell’evangelizzazione (giustizia, pace, educazione, lavoro).

·         Chiesa povera e serva, partecipativa, con impulso alle comunità ecclesiali di base e alla corresponsabilità dei laici.

·         Linee per pastorale sociale, catechesi, liturgia inculturata e mezzi di comunicazione.

Puebla (Messico), 27 gen – 13 feb 1979

Contesto storico. A dieci anni da Medellín, con l’avvio del pontificato di Giovanni Paolo II, si conferma e si precisa l’impostazione: “opzione preferenziale per i poveri”, discernimento sui “volti” della povertà (indigeni, afrodiscendenti, giovani, donne).

Sintesi del documento conclusivo (Documento de Puebla).

·         Cristo, vita di tutti i popoli dell’America Latina: evangelizzazione integrale e promozione umana inseparabili.

·         Definizione e consolidamento dell’“opzione preferenziale per i poveri” in chiave cristologica ed ecclesiale.

·         Difesa della dignità e dei diritti umani; attenzione a famiglia, giovani, cultura, religiosità popolare.

·         Rilancio della pastorale organica: missione, catechesi, formazione dei laici e dei ministri.

Santo Domingo (Repubblica Dominicana), 12 – 28 ott 1992

Contesto storico. Nel quadro dei 500 anni dall’evangelizzazione del continente, il tema guida è “Nuova evangelizzazione, promozione umana e cultura cristiana”, con enfasi su inculturazione, vita, famiglia e comunicazioni sociali.

Sintesi del documento conclusivo (Documento de Santo Domingo).

·         Nuova evangelizzazione: proclamazione kerigmatica, catechesi, liturgia e carità in società globalizzate e mediatizzate.

·         Inculturazione della fede e dialogo con le culture indigene e afro-latine; difesa della vita e della famiglia.

·         Promozione umana: opzione per i poveri, giustizia, pace, educazione, salute; sfide urbane e migrazioni.

·         Rinnovamento pastorale con protagonismo dei laici e uso responsabile dei media.

Aparecida (Brasile), 13 – 31 mag 2007

Contesto storico. Conferenza inaugurata da Benedetto XVI; redazione guidata dal card. Bergoglio (poi papa Francesco). Punto focale: “discepoli missionari” e “missione continentale” in un contesto di secolarizzazione, nuove povertà, ecologia e mobilità.

Sintesi del documento conclusivo (Documento di Aparecida).

·         Chiesa “in stato permanente di missione”: ogni battezzato è discepolo-missionario; conversione pastorale e uscita verso le periferie.

·         Opzione preferenziale per i poveri rinnovata; attenzione a popoli originari, afrodiscendenti, giovani e famiglia.

·         Cura del creato e dimensione socio-ambientale; sfide di urbanizzazione, migrazioni, violenza e nuove dipendenze.

·         Formazione, pietà popolare, pastorale della vita, della giustizia e della pace; rafforzamento delle piccole comunità e della sinodalità.


Riferimenti principali (testi integrali)

·         Medellín 1968 – Documentos finales (PDF, CELAM).

·         Puebla 1979 – Documento conclusivo (PDF, CELAM).

·         Santo Domingo 1992 – Documento conclusivo (PDF, CELAM).

·         Aparecida 2007 – Documento conclusivo (PDF, CELAM / Sito vaticano America Latina).

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 Io stesso, per lunghi anni missionario in Perù, devo molto a questo cammino di discernimento ecclesiale, che Papa Francesco ha saputo sapientemente legare a quello delle altre Chiese particolari, specie del Sud globale. Adesso vorrei riprendere due temi specifici di questo magistero episcopale.

Strutture di peccato che creano povertà e disuguaglianze estreme

  A Medellín i Vescovi si pronunciarono a favore della scelta preferenziale per i poveri: «Il Cristo nostro salvatore non solo amò i poveri, bensì, “essendo ricco, si fece povero” visse nella povertà, incentrò la sua missione nell’annunciare la loro liberazione e fondò la sua Chiesa come segno di questa povertà fra gli uomini. [...] La povertà di tanti fratelli invoca giustizia, solidarietà, testimonianza, impegno, sforzo e superamento perché si compia pienamente la missione salvifica affidata da Cristo». I Vescovi affermano con forza che la Chiesa, per essere pienamente fedele alla sua vocazione, deve non solo condividere la condizione dei poveri, ma mettersi anche al loro fianco e impegnarsi fattivamente per la loro promozione integrale. La Conferenza di Puebla, di fronte a un aggravarsi della miseria in America Latina, confermò la decisione di Medellín con un’opzione franca e profetica in favore dei poveri e qualificò come “peccato sociale” le strutture di ingiustizia.

La carità è una forza che cambia la realtà, un’autentica potenza storica di cambiamento. Auspico pertanto che cresca il numero dei politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del mondo, perché si tratta di ascoltare il grido di interi popoli, dei popoli più poveri della terra.

  È pertanto doveroso continuare a denunciare la “dittatura di un’economia che uccide” e riconoscere che mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole». Sebbene non manchino diverse teorie che tentano di giustificare lo stato attuale delle cose, o di spiegare che la razionalità economica esige da noi di aspettare che le forze invisibili del mercato risolvano tutto, la dignità di ogni persona umana dev’essere rispettata adesso, non domani, e la situazione di miseria di tante persone a cui viene negata questa dignità dev’essere un richiamo costante per la nostra coscienza.

26. Contro la mentalità dominante che porta verso egoismo e indifferenza: una forma di alienazione sociale

  Nell’Enciclica Dilexit nos Papa Francesco ha ricordato che il peccato sociale prende forma come “struttura di peccato” nella società, che fa spesso parte di una mentalità dominante che considera normale o razionale quello che in realtà è solo egoismo e indifferenza. Tale fenomeno si può definire alienazione sociale. Diventa normale ignorare i poveri e vivere come se non esistessero. Si presenta come la scelta ragionevole organizzare l’economia chiedendo sacrifici al popolo, per raggiungere certi scopi che interessano ai potenti. Intanto per i poveri rimangono solo promesse di “gocce” che cadranno, finché una nuova crisi globale non li porterà di nuovo alla situazione precedente. È una vera e propria alienazione quella che porta a trovare solo scuse teoriche e non a cercare di risolvere oggi i problemi concreti di coloro che soffrono.

27. Risolvere le cause strutturali della povertà 

Dobbiamo impegnarci sempre di più a risolvere le cause strutturali della povertà. È un’urgenza che non può attendere, non solo per un’esigenza pragmatica di ottenere risultati e di ordinare la società, ma per guarirla da una malattia che la rende fragile e indegna e che potrà solo portarla a nuove crisi. I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte provvisorieLa mancanza di equità «è la radice dei mali sociali». Infatti, molte volte si constata che, di fatto, i diritti umani non sono uguali per tutti».

  Accade che nel vigente modello “di successo” e “privatistico”, non sembra abbia senso investire affinché quelli che rimangono indietro, i deboli o i meno dotati possano farsi strada nella vita». La domanda che ritorna è sempre la stessa: i meno dotati non sono persone umane? I deboli non hanno la stessa nostra dignità? Quelli che sono nati con meno possibilità valgono meno come esseri umani, devono solo limitarsi a sopravvivere? Dalla risposta che diamo a queste domande dipende il valore delle nostre società e da essa dipende pure il nostro futuro. O riconquistiamo la nostra dignità morale e spirituale o cadiamo come in un pozzo di sporcizia. Se non ci fermiamo a prendere le cose sul serio continueremo, in modi espliciti o dissimulati, a legittimare l’attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare, perché il pianeta non potrebbe nemmeno contenere i rifiuti di un simile consumo.

 Tra le questioni strutturali che non si può immaginare di risolvere dall’alto e che al più presto domandano di essere prese in carico c’è quella dei luoghi, degli spazi, delle case, delle città dove i poveri vivono e camminano.   

28. Un compito di tutti i  membri del Popolo di Dio. la proposta del Vangelo non è soltanto quella di un rapporto individuale e intimo col Signore.

  Pertanto, è compito di tutti i membri del Popolo di Dio far sentire, pur in modi diversi, una voce che svegli, che denunci, che si esponga anche a costo di sembrare degli “stupidi”. Le strutture d’ingiustizia vanno riconosciute e distrutte con la forza del bene, attraverso il cambiamento delle mentalità ma anche, con l’aiuto delle scienze e della tecnica, attraverso lo sviluppo di politiche efficaci nella trasformazione della società. Va ricordato sempre che la proposta del Vangelo non è soltanto quella di un rapporto individuale e intimo col Signore. La proposta è più ampia: «È il Regno di Dio (cfr Lc 4,43); si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui Egli riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti. Dunque, tanto l’annuncio quanto l’esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali. Cerchiamo il suo Regno»[ Esort. ap.Evangelii gaudium  (24 novembre 2013]

29. Lavorare con maggiore impegno contro le cause sociali della povertà. le comunità emarginate quali soggetti capaci di creare una propria cultura.

  Un dono fondamentale al cammino della Chiesa universale è rappresentato dal discernimento della Conferenza di Aparecida, in cui i Vescovi latino-americani esplicitarono che la scelta preferenziale per i poveri da parte della Chiesa è inscritta nella fede cristologica che ha portato Dio a farsi povero per noi, per arricchirci con la sua povertà. Nel documento si contestualizza la missione nell’attuale situazione del mondo globalizzato con i suoi nuovi e drammatici squilibri  e, nel messaggio finale, i Vescovi scrivono: «Le forti differenze tra ricchi e poveri ci invitano a lavorare con maggiore impegno per essere discepoli capaci di condividere la mensa della vita, mensa di tutti i figli e figlie del Padre, mensa aperta, includente, dalla quale non sia escluso nessuno. Perciò ribadiamo la nostra opzione preferenziale ed evangelica per i poveri».

  Allo stesso tempo, il documento, approfondendo un tema già presente nelle Conferenze precedenti dell’Episcopato dell’America Latina, insiste sulla necessità di considerare le comunità emarginate quali soggetti capaci di creare una propria cultura, più che come oggetti di beneficenza. Ciò implica che tali comunità hanno il diritto di vivere il Vangelo e celebrare e comunicare la fede secondo i valori presenti nelle loro culture. L’esperienza della povertà dà loro la capacità di riconoscere aspetti della realtà che altri non riescono a vedere, e per questo la società ha bisogno di ascoltarli. Lo stesso vale per la Chiesa, che deve valutare positivamente il loro modo “popolare” di vivere la fede. Un bel testo del Documento finale di Aparecida ci aiuta a riflettere su questo punto per trovare l’atteggiamento giusto: «Solo la vicinanza che ci rende amici ci permette di apprezzare profondamente i valori dei poveri di oggi, i loro legittimi desideri e il loro modo di vivere la fede. [...] Giorno dopo giorno, i poveri diventano soggetti di evangelizzazione e di promozione umana integrale: educano i figli alla fede, vivono una costante solidarietà tra parenti e vicini, cercano costantemente Dio e danno vita al pellegrinaggio della Chiesa. Alla luce del Vangelo ne riconosciamo l’immensa dignità e il valore sacro agli occhi di Cristo, povero come loro ed escluso tra loro. Da questa esperienza di fedeltà, condivideremo con loro la difesa dei loro diritti».

30. Apprezzare il povero

  Tutto ciò comporta la presenza di un aspetto nell’opzione per i poveri che dobbiamo ricordare costantemente: quest’opzione esige, infatti, da noi un’attenzione rivolta all’altro […]. Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione per la sua persona e a partire da essa desidero cercare effettivamente il suo bene. Questo implica apprezzare il povero nella sua bontà propria, col suo modo di essere, con la sua cultura, con il suo modo di vivere la fede. L’amore autentico è sempre contemplativo, ci permette di servire l’altro non per necessità o vanità, ma perché è bello, al di là delle apparenze. […] Solo a partire da questa vicinanza reale e cordiale possiamo accompagnarli adeguatamente nel loro cammino di liberazione». Per questa ragione, rivolgo un sincero ringraziamento a tutti coloro che hanno scelto di vivere tra i poveri: a coloro, cioè, che non vanno a fare loro una visita ogni tanto, ma che vivono con loro e come loro. Questa è un’opzione che deve trovare posto tra le forme più alte di vita evangelica.

31. La Chiesa da sempre verso i poveri e con i poveri. I poveri non sono come questione sociale ma come  questione familiare

 Ho scelto di ricordare [la] bimillenaria storia di attenzione ecclesiale verso i poveri e con i poveri per mostrare che essa è parte essenziale dell’ininterrotto cammino della Chiesa. La cura dei poveri fa parte della grande Tradizione della Chiesa, come un faro di luce che, dal Vangelo in poi, ha illuminato i cuori e i passi dei cristiani di ogni tempo.

  Il cristiano non può considerare i poveri solo come un problema sociale: essi sono una “questione familiare”. Sono “dei nostri”. Il rapporto con loro non può essere ridotto a un’attività o a un ufficio della Chiesa. Come insegna la Conferenza di Aparecida, «ci viene chiesto di dedicare tempo ai poveri, di dare loro un’attenzione amorevole, di ascoltarli con interesse, di accompagnarli nei momenti difficili, scegliendoli per condividere ore, settimane o anni della nostra vita, e cercando, a partire da loro, la trasformazione della loro situazione. Non possiamo dimenticare che Gesù stesso lo ha proposto con il suo modo di agire e con le sue parole». 

32. Non abbandonare i poveri al loro destino. L’insegnamento della parabola del Buon Samaritano

 La cultura dominante dell’inizio di questo millennio spinge ad abbandonare i poveri al loro destino, a non considerarli degni di attenzione e tanto meno di apprezzamento. Nell’Enciclica Fratelli tutti Papa Francesco ci ha invitato a riflettere sulla parabola del buon samaritano (cfr Lc 10,25-37), proprio per approfondire questo punto. Nella parabola, infatti, vediamo che, di fronte a quell’uomo ferito e abbandonato lungo la strada, quelli che passano hanno atteggiamenti diversi. Soltanto il buon samaritano se ne prende cura. Allora torna la domanda che interpella ciascuno in prima persona: «Con chi ti identifichi? Questa domanda è dura, diretta e decisiva. A quale di loro assomigli? Dobbiamo riconoscere la tentazione che ci circonda di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli. Diciamolo, siamo cresciuti in tanti aspetti ma siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate. Ci siamo abituati a girare lo sguardo, a passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente.

Per noi cristiani, la questione dei poveri riconduce all’essenziale della nostra fede.

33. I poveri come carne stessa di Cristo. Andare verso la carne di Cristo. Una religione non confinata nel privato

 La realtà è che i poveri per i cristiani non sono una categoria sociologica, ma la stessa carne di Cristo. Infatti, non è sufficiente limitarsi a enunciare in modo generale la dottrina dell’incarnazione di Dio; per entrare davvero in questo mistero, invece, bisogna specificare che il Signore si fa carne che ha fame, che ha sete, che è malata, carcerata. «Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo. Se noi andiamo verso la carne di Cristo, incominciamo a capire qualcosa, a capire che cosa sia questa povertà del Signore. E questo non è facile» [Francesco,Veglia di Pentecoste 18-5-2013].  

 Occorre ricordare che la religione, specialmente quella cristiana, non può essere limitata all’ambito privato, come se i fedeli non dovessero aver a cuore anche problemi che riguardano la società civile e gli avvenimenti che interessano i cittadini

L’attenzione spirituale ai poveri viene messa in discussione da certi pregiudizi, anche da parte di cristiani, perché ci sentiamo più a nostro agio senza i poveri. C’è chi continua a dire: “Il nostro compito è di pregare e di insegnare la vera dottrina”. Ma, svincolando questo aspetto religioso dalla promozione integrale, aggiungono che solo il governo dovrebbe prendersi cura di loro, oppure che sarebbe meglio lasciarli nella miseria, insegnando loro piuttosto a lavorare. A volte, invece, si assumono criteri pseudoscientifici per dire che la libertà del mercato porterà spontaneamente alla soluzione del problema della povertà. Oppure, persino, si opta per una pastorale delle cosiddette élite, sostenendo che, al posto di perdere tempo con i poveri, è meglio prendersi cura dei ricchi, dei potenti e dei professionisti, cosicché, attraverso di loro, si potranno raggiungere soluzioni più efficaci. È facile cogliere la mondanità che si cela dietro queste opinioni: esse ci portano a guardare la realtà con criteri superficiali e privi di qualsiasi luce soprannaturale, privilegiando frequentazioni che ci rassicurano e ricercando privilegi che ci accomodano.

34. L’elemosina

  È bene spendere un’ultima parola sull’elemosina, che oggi non gode di buona fama, spesso neppure tra i credenti. Non solo essa viene raramente praticata, ma a volte addirittura disprezzata. Da una parte, ribadisco che l’aiuto più importante per una persona povera è aiutarla ad avere un buon lavoro, perché possa guadagnarsi una vita più consona alla sua dignità sviluppando le sue capacità e offrendo il suo sforzo personale.

 Dall’altra parte, se non c’è ancora questa possibilità concreta, non dobbiamo correre il rischio di lasciare una persona abbandonata alla sua sorte, senza quello che è indispensabile per vivere degnamente. E quindi l’elemosina rimane un momento necessario di contatto, di incontro e di immedesimazione nella condizione altrui.

  L’amore e le convinzioni più profonde vanno alimentate, e lo si fa con gesti. Rimanere nel mondo delle idee e delle discussioni, senza gesti personali, frequenti e sentiti, sarà la rovina dei nostri sogni più preziosi. Per questa semplice ragione come cristiani non rinunciamo all’elemosina.  

35. L’amore cristiano supera ogni barriera: è per l’impossibile

  L’amore cristiano supera ogni barriera, avvicina i lontani, accomuna gli estranei, rende familiari i nemici, valica abissi umanamente insuperabili, entra nelle pieghe più nascoste della società. Per sua natura, l’amore cristiano è profetico, compie miracoli, non ha limiti: è per l’impossibile. L’amore è soprattutto un modo di concepire la vita, un modo di viverla. Ebbene, una Chiesa che non mette limiti all’amore, che non conosce nemici da combattere, ma solo uomini e donne da amare, è la Chiesa di cui oggi il mondo ha bisogno.

  Sia attraverso il vostro lavoro, sia attraverso il vostro impegno per cambiare le strutture sociali ingiuste, sia attraverso quel gesto di aiuto semplice, molto personale e ravvicinato, sarà possibile per quel povero sentire che le parole di Gesù sono per lui: «Io ti ho amato» (Ap 3,9).

Dato a Roma, presso San Pietro, il 4 ottobre,