Parrocchie
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A Roma, il numero delle parrocchie cattoliche varia leggermente a seconda delle fonti e dei confini considerati. Ecco una sintesi basata sulle informazioni disponibili:
• Diocesi di Roma: Secondo l’Annuario della Chiesa Cattolica Italiana, la diocesi di Roma comprende 333 parrocchie.
• Comune di Roma: All’interno del territorio comunale di Roma Capitale, ci sono 354 parrocchie cattoliche, distribuite tra diverse diocesi:
• Diocesi di Roma: 328 parrocchie
• Diocesi di Porto-Santa Rufina: 18 parrocchie
• Diocesi di Frascati: 4 parrocchie
• Diocesi di Ostia: 2 parrocchie
• Diocesi di Tivoli: 2 parrocchie
Questa suddivisione riflette la complessità amministrativa e territoriale della Chiesa cattolica a Roma.
[info da elaborazione di ChatGPT di OpenAI 12MAR25]
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Nelle parrocchie c’è la popolazione di fede di Roma, poi ci sono piccole convivenze comunitarie di religiose e religiosi, tutto il resto è fatto di gente che ricopre ruoli sociali e che c’è solo mentre li svolge e ne crea l’apparenza.
Le parrocchie sono ambienti abitati, la burocrazia ecclesiastica che c’è intorno è fatta di ambienti solo inscenati.
La popolazione vive e pensa la propria fede in modo molto diverso, però in genere nelle parrocchie si riesce a convivere insieme. Al centro c’è la liturgia, in cui svolge un ruolo centrale il clero. Di solito è celebrata in modi molto formalizzati e la gente vi ha poco spazio, tutt’al più come comparse, e questo anche se nell’interiorità la si può vivere con molta partecipazione spirituale.
La parrocchia viene vissuta da un gran numero di persone, in modi diversi nelle varie età della persona, in genere per celebrare eventi importanti nella vita comunitaria o delle famiglie. Non sono tante le persone che la frequentano con regolarità e ancor meno quelle che vi svolgono una qualche attività nell’interesse collettivo. Vi domina quindi il clero, che a questo viene formato e che in genere non è abituato a lasciare spazio, spesso avendo avuto anche esperienze negative quando l’ha fatto.
Il principale problema è che il clero e l’altra gente parlano lingue differenti. Raramente si è anche solo acculturati alla sofisticata cultura delle teologie a cui è istruito il clero.
La teologia è strumento del potere ecclesiastico, ma non solo. A chi non è del clero si cerca principalmente di inculcare l’obbedienza verso la gerarchia, e questo non è un valore evangelico. Il vangelo, anzi, è caratterizzato, come è stato osservato, da una certa anarchia, che è manifesta nella vita pubblica del Maestro.
Di fatto chi abita la parrocchia riesce a farlo senza generare irrisolvibili tensioni con le altre persone che praticano e immaginano la vita in religione in modi molto differenti e talvolta veramente molto distanti. Non ci si frequenta molto da vicino e all’occorrenza ci si può distanziare, e anche perdersi di vista. Questa è una buona strategia per prevenire situazioni conflittuali.
Il modo di vivere la religione cambia molto nelle varie età della vita, ma anche a seconda delle situazioni. Da anziani non si è religiosi nello stesso modo di quando si era ragazzi.
Il grado di istruzione, gli ambienti sociali di riferimento, le esperienze della vita, tutto questo conta molto.
Progressivamente sono diventato piuttosto insofferente verso lo spiritualismo più intenso, che talvolta vira verso un franco spiritismo, ma accompagnavo volentieri mia madre nei santuari mariani e mi piaceva ascoltare le sue spiegazioni, questo perché mi affascinava il suo modo di vivere la fede, anche se il culto mariano mi coinvolge poco. Da lei ho imparato a pregare il Rosario nelle prove della vita e questo mi è stato molto utile nelle interminabili veglie notturne nei miei ricoveri ospedalieri. Invecchiando, le prove della vita mi hanno reso molto più tollerante verso la religione altrui.
In genere mi piacciono le persone religiose anche se non arrivo sempre a condividere le loro mitologie di riferimento. Però non sopporto quelle che fanno soffrire la gente con la loro intransigenza, alcuni gerarchi ecclesiastici compresi, e non mi faccio scrupolo di mandarle di fatto a quel paese distanziandomene. La società italiana in questo s’è fatta più tollerante di com’era ancora negli scorsi anni ’70.
C’è chi vorrebbe la vita parrocchiale più coesa in senso comunitario, e lo fa con buone intenzioni. Tra l’83 e il 2015, un periodo veramente molto lungo, nella nostra parrocchia s’è tentato un esperimento del genere, cercando di radicarvi un movimento fondamentalista che vuole formare a una religione comunitaria. Ora, dopo tanti anni insieme, si va d’accordo, e ho imparato a stimare veramente molto alcune persone della nostra parrocchia che ne fanno parte e che ho avuto modo di conoscere più da vicino. E questo anche se la mia via religiosa è molto distante dalla loro, e in alcuni punti radicalmente diversa. Il vangelo, tuttavia ci unisce. La pratica del vangelo, preciso, non il modo di parlarne. Soffrirei molto se dovessero lasciare la parrocchia e mi sono trovato ad amare anche l’architettura e le altre forme d’arte che hanno introdotto nella nuova chiesa parrocchiale, che, dopo diversi anni di lavori in cui si è speso tanto il precedente parroco, il caro don Remo, sta per esserci restituita senza più impalcature. Tra qualche giorno verrà benedetta una nuova grande croce che verrà installata sul frontone, arricchito dai mosaici realizzati con amorevole sapienza dal gruppo artistico della parrocchia. Peccato solo che, a quanto so, non sia stato il frutto di una decisione sinodale, nel Consiglio pastorale parrocchiale. Certo, tanto più grandi sono le croci che si installano, tanto più quindi esse sono visibili, tanto più è impegnativa l’azione in senso evangelico che ci si aspetta dalla sottostante comunità.
La sinodalità, che si sta faticosamente cercando di praticare anche nella vita delle parrocchie, potrebbe aiutare, ma ci si dovrebbe sforzare di saperne di più. Sarebbe necessario istituire programmaticamente percorsi formativi anche per le persone adulte, e non solo in preparazione del matrimonio religioso, non di rado preceduto da una Cresima per così dire d’emergenza, perché dopo la Prima Comunione non s’è proseguito.
Va detto che quell’attività richiede di avvicinarsi e, avvicinandosi, non di rado ci si scopre molto diversi. Ma la formazione religiosa non si fa solo sui libri o a distanza, radio, televisione, reti sociali: è proprio necessario frequentarsi faccia a faccia. Si prende consapevolezza anche dei dolori altrui. Come si può restare indifferenti? È quello che si chiedeva, e ci chiedeva, il caro don Carlo, che è stato il nostro pastore per oltre trent’anni e a cui ho imparato a voler bene anche se la pensavamo in modo veramente molto diverso su molte cose, però, credo, non sull’essenziale, sul vangelo.
Da anziano, ormai alle soglie della pensione, il ricordo di tutti I miei parroci mi è molto caro: don Vincenzo, il parroco dei miei catechismi; don Carlo, il parroco del catechismo delle mie figlie; don Remo, quasi mio coetaneo, il parroco della mia maturità e del tempo in cui le mie figlie sono diventate a loro volta catechiste; e ora don Salvatore, che mi potrebbe essere figlio e che apprezzo con spirito quasi paterno, anche se, per il suo ministero, è lui ad essermi padre.
Lo dicevo agli amici con i quali periodicamente mi vedo per ragionare di fede e di cose sociali: le parrocchie italiane esprimono ancora una straordinaria vitalità delle nostre popolazioni di fede, e ci si fa ancora molto conto.
Le parrocchie della mia vita: San Giuseppe sposo, a Bologna, la mia prima ; sempre a Bologna, San Paolo di Ravone, dove fui battezzato; la nostra San Clemente, dove fui istruito da cristiano; quella degli Angeli Custodi, a piazza Sempione, la mia parrocchia da scout, con il caro padre Nello che mi fu assistente e che mi aiutò a radicarmi nella fede (un suo insegnamento a me che gli raccontavo di aver partecipato alla solita Messa: “La messa non è mai solita); San Saba all’Aventino, la parrocchia di mia moglie, dove ci sposammo e fu battezzata la mia primogenita; la parrocchia della Natività di Maria Vergine a Giulianova Lido, in provincia di Teramo, in Abruzzo, nel cui territorio abitai quando lavoravo da quelle parti; la parrocchia Santa Maria Assunta a Cervia, in Romagna, lì dove per anni andai in vacanza, ma anche sempre a Cervia, a Milano Marittima, la Stella Maris, che però dal 2022 non è più parrocchia, dove mia nonna Adelaide mi parlò a lungo della fede e mi istruì alla liturgia; poi di nuovo San Clemente, dove la mia secondogenita fu battezzata, entrambe le mie figlie ricevettero Prima Comunione e Cresima, furono celebrate le messe funebri per i miei genitori; Santa Cristina a Bolsena, la Chiesa madre della famiglia del padre di mia moglie e anche la mia d’adozione. Questa è veramente la mia Chiesa, le sono figlio ed essa mi è stata e mi è madre.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro,Valli.