Costruzione
sociale - inizi
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[ChatGPT ricerca 30MAR25]
La metafora
del tessitore è una delle immagini più significative utilizzate
dagli antichi filosofi greci — in particolare da Platone
[Platone
nacque ad Atene (secondo alcune
fonti nella vicina isola di Egina,
ma la maggior parte concorda su Atene) intorno al 428/427 a.C.
Morì sempre ad Atene intorno al 348/347 a.C., probabilmente all'età di
circa 80 anni.
Riepilogo:
Nome:
Platone (in greco antico Πλάτων)
Nascita:
428/427 a.C., Atene
Morte:
348/347 a.C., Atene
Fu
discepolo di Socrate, maestro di Aristotele, e fondatore della scuola dell’Accademia.]
— per
descrivere l’attività politica come un’arte complessa, unificatrice e
ordinatrice.
Platone: il
politico come tessitore
Nel dialogo "Politico" (o "Politicus"), Platone
sviluppa ampiamente questa metafora:
·
Il vero politico è paragonato
a un tessitore
che ha il compito di intessere
insieme le diverse nature degli esseri umani, creando un tessuto sociale armonico.
·
In particolare,
egli deve unire i caratteri
coraggiosi e quelli prudenti, cioè le nature attive e quelle riflessive,
in una composizione
equilibrata.
·
Come il tessitore
unisce trama e ordito per creare un tessuto resistente, così il politico deve conciliare gli opposti, armonizzare i diversi ruoli nella città,
e produrre una cooperazione
ordinata tra cittadini.
Significato
filosofico
·
Questa immagine
sottolinea che la politica
non è dominio o potere, ma arte del bene comune.
·
Il vero uomo
politico, secondo Platone, non è un demagogo o un tecnico del potere, ma un sapiente, capace di guidare con giustizia come
un artigiano guida la sua opera.
Riferimenti
·
Platone, Politico
(soprattutto da 305e a 311c).
·
L'immagine ha
influenzato anche pensatori successivi come Plotino e i filosofi cristiani medievali, ma resta centrale
nell’opera platonica.
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La gran parte delle persone non anziane
che non rimangono impegnate in qualche modo nella formazione religiosa che si
fa in parrocchia ci lascia e non so dar loro torto. A loro la religione che si
pratica in parrocchia serve a poco o a nulla: è infatti tarata sulle esigenze
di spiritualità di persone pensionate ultrasettantenni. Non ne faccio una colpa
ai preti, ai quali ancora in parrocchia mette capo ogni cosa: fanno quello che
possono e lo fanno senza risparmiarsi. Sono stati formati, nel corso della loro
lunga istruzione da chierici, in un modo
che rende loro difficile fare diversamente, e poi hanno poco tempo, perché
danno pochissimo spazio ad altre persone, così devono arrangiarsi a fare tutto più o meno da soli.
Quando si esce dall’infanzia, al tempo delle
scuole secondarie di primo grado, che un tempo si chiamavano “medie”, la cosa
più importante è l’inserimento in società, a partire dai gruppi di ragazze e
ragazzi. A volte ci si ferma lì e, quando riesce di trovarlo, agli ambienti di
lavoro. Poi, naturalmente c’è la famiglia, quella di origine e quella che in
genere ci si forma, alla quale si aggregano figlie e figli. Da persone anziane
queste forme di socialità progressivamente vengono meno e non di rado ad un certo
punto si rimane solə. Nel complesso, in genere, si permane per tutta la vita in una socialità
di prossimità, che comunque rimane sempre importante.
Tuttavia quando si parla di “radici cristiane”
dell’Europa si fa riferimento allo sviluppo storico di socialità molto più
estese, che però a lungo vennero dominate dai vertici gerarchici civili e
religiosi, sovrani, oligarchi, gerarchie ecclesiastiche, sapienti, ma anche mercanti, artigiani,
banchieri, proprietari terrieri, e poi,
più recentemente, oligarchie industriali e finanziarie. Inizialmente però,
almeno per circa due secoli, si trattò di socialità dal basso, diffusa tra il
popolo minuto, quando però le comunità cristiane erano molto meno numerose di
come divennero, già dal Quarto secolo, quando un cristianesimo venne inglobato
nell’ideologia istituzionale dell’Impero romano, all’epoca in cui la sua
romanità venne rapidamente attenuandosi a favore della sua universalità
e il suo centro si spostò dal Lazio in Tracia, nella città ridenominata
Costantinopoli, che adesso si chiama Istanbul ed è una delle più grandi città
europee, ma compresa nella Turchia moderna.
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[ChatGPT]
Il
nome Istanbul (in turco moderno: İstanbul) deriva dalla frase greca
medievale εἰς τὴν Πόλιν (eis tēn
pólin), che significa "verso la
città" o "nella
città".
Spiegazione:
·
Nell’Impero
Bizantino, Costantinopoli (oggi
Istanbul) era la Città per eccellenza,
talmente importante che i greci spesso si riferivano ad essa semplicemente come
hē Pólis (ἡ Πόλις).
·
Quando
si diceva "vado in città", si diceva appunto εἰς τὴν Πόλιν, che nella pronuncia popolare e nel tempo si è
contratta fino a diventare Istanbul.
Evoluzione del nome:
·
Bisanzio (nome originario della colonia greca fondata
nel VII sec. a.C.)
·
Costantinopoli (dal 330 d.C., quando l'imperatore Costantino
la rifondò come "Nuova Roma")
·
Istanbul (nome usato da secoli colloquialmente, reso
ufficiale nel 1930 con la riforma post-ottomana della Repubblica di Turchia)
Se
vuoi, posso anche mostrarti come il nome Istanbul è cambiato nelle varie lingue
o nel corso della storia.
🏛️ 1. Bisanzio (Βυζάντιον – Byzantion)
·
Origine: fondata da coloni greci di Megara intorno al 667 a.C.
·
Nome: dedicato, secondo la tradizione, a Byzas, il mitico fondatore.
·
Era
una città greca strategica
sull’accesso al Mar Nero.
🏰 2. Costantinopoli (Κωνσταντινούπολις – Kōnstantinoúpolis)
·
Dal
330 d.C., l’imperatore Costantino il Grande rifonda la città e
la chiama:
o
"Città di Costantino"
o
Nome
ufficiale durante tutto l’Impero Bizantino (fino al 1453).
·
In
latino: Constantinopolis
·
In
arabo: Qusṭanṭīniyya (قسطنطينيّة)
·
In
armeno: Kostandnupolis
🌍 3. Istanbul (İstanbul)
·
Usato
colloquialmente già in epoca
bizantina e ottomana, derivato dal greco εἰς
τὴν Πόλιν (eis tēn pólin) = "alla città".
·
Dopo
la conquista ottomana nel 1453, l’uso del nome
"Istanbul" si diffuse sempre più.
·
Nel
1930, il governo della Repubblica di
Turchia (fondata da Atatürk) ufficializzò
il nome "Istanbul" e chiese che anche i paesi stranieri lo
adottassero al posto di "Costantinopoli".
📜 Lingue e varianti nel tempo:
Lingua |
Nome della città |
Greco
antico |
Βυζάντιον
(Byzantion) |
Greco
medievale |
Κωνσταντινούπολις,
ἡ Πόλις |
Latino |
Constantinopolis |
Turco
ottomano |
Konstantiniyye
(قسطنطينيّة), Istanbul |
Arabo |
Qusṭanṭīniyya |
Armeno |
Kostandnupolis |
Slavo
ecclesiastico |
Tsargrad
(Царьград – "Città dello Zar") |
Inglese
(prima del 1930) |
Constantinople |
Italiano |
Bisanzio
/ Costantinopoli / Istanbul |
Benissimo,
Mario! Istanbul è un crocevia di religioni e civiltà, e i suoi nomi nel tempo riflettono il potere religioso e politico
dominante in ogni epoca. Vediamo come:
✝️ Età cristiana – Costantinopoli, "la Seconda Roma"
Dopo
la rifondazione da parte di Costantino
il Grande nel 330 d.C.:
·
La
città divenne capitale dell’Impero
Romano d’Oriente, e presto anche centro
del Cristianesimo.
·
Fu
chiamata "Seconda Roma",
perché erede della grandezza di Roma, ma più spirituale, più cristiana.
·
Il
nome "Costantinopoli"
assunse un valore sacro: non era solo la città dell’Imperatore, ma la città di Dio sulla Terra.
·
Il
patriarca di Costantinopoli divenne la seconda autorità della cristianità dopo
il Papa.
Molti
nomi ne riflettono la sacralità:
·
ἡ Πόλις (la Città) per eccellenza, come
Gerusalemme lo era nell’Antico Testamento.
·
In
slavo ecclesiastico: Царьград (Tsargrad)
= "Città dello zar", cioè del sovrano cristiano, usato anche nella
Russia ortodossa che si considerava erede di Bisanzio.
☪️ Età islamica – Istanbul, "la città del Califfo"
Dopo
la conquista da parte di Mehmet II
nel 1453, la città divenne:
·
Capitale
dell’Impero Ottomano
·
Centro
del califfato islamico, con un nuovo
significato spirituale.
Il
sultano ottomano si proclamava anche califfo,
quindi capo del mondo musulmano. La città divenne il simbolo della gloria dell’Islam.
La
cattedrale di Santa Sofia (Hagia Sophia) fu trasformata in moschea, e il nome Konstantiniyye
(versione araba di Costantinopoli) si mantenne nei documenti ufficiali.
Parallelamente,
però, si diffuse anche l’uso popolare di "Istanbul",
che rifletteva:
·
il
multilinguismo e la mescolanza etnica dell’Impero,
·
l’uso
comune dei mercanti e dei viaggiatori musulmani.
🟦 Età contemporanea – Istanbul, città laica e moderna
Dopo
la fondazione della Repubblica di
Turchia (1923), Atatürk impose
un’identità:
·
nazionale, non più imperiale,
·
laica, non più religiosa.
Nel
1930:
·
Il
governo chiese alle nazioni straniere di non
usare più il nome "Costantinopoli", considerato legato al passato
cristiano-imperiale.
·
Il
nome İstanbul fu ufficializzato in
tutte le comunicazioni postali e diplomatiche.
·
Anche
Santa Sofia fu trasformata da
moschea in museo, come simbolo di
neutralità religiosa (poi riconvertita a moschea nel 2020, ma questa è un’altra
storia).
🧭 In sintesi:
Nome |
Epoca |
Significato religioso-politico |
Bisanzio |
Greca
(fino al 330) |
Colonia
commerciale |
Costantinopoli |
Cristiana
(330–1453) |
Città
sacra, "Seconda Roma" |
Konstantiniyye |
Islamica
(1453–1923) |
Capitale
del califfato |
Istanbul |
Moderna
(dal 1930) |
Città
nazionale, laica, turca |
Istanbul,
la città più popolosa della Turchia, ha una popolazione stimata per il 2025 che
varia leggermente a seconda delle fonti:
·
16.237.000 abitanti secondo le proiezioni delle Nazioni Unite riportate
da Macrotrends. citeturn0search0
·
15.806.279 abitanti secondo l'Istituto di Statistica Turco, citato da
CityofIstanbul.net. citeturn0search2
Questa
discrepanza è comune nelle stime demografiche, poiché diverse organizzazioni
utilizzano metodologie e dati differenti.
Per
quanto riguarda la distribuzione tra le due parti della città:
·
Circa il 64,9% della popolazione
risiede nella parte europea
di Istanbul.
·
Circa il 35,1% vive nella parte asiatica.
Applicando
queste percentuali alle stime totali:
·
Parte europea: circa 10,3 milioni (su una popolazione totale di
15,8 milioni) o 10,5 milioni (su 16,2 milioni).
·
Parte asiatica: circa 5,5 milioni (su 15,8 milioni) o 5,7 milioni
(su 16,2 milioni).
Questi
numeri sottolineano l'importanza della parte europea come centro principale
della città, ospitando la maggioranza dei suoi abitanti.
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La storia
di Istanbul, città che da Quarto al Nono secolo della nostra era fu
fondamentale per lo sviluppo della dogmatica cristiana, vale a dire per la formulazione
delle più importanti enunciazioni sulla nostra fede, rende chiaro quanto sia
importante la costruzione sociale, attività che fin dalle remote origini
caratterizzò le nostre comunità di fede e che, notata dai ceti dominanti la
politica dell’Impero romano, venne utilizzata per il lavoro di tessitura
sociale e istituzionale di una epocale e grandiosa riforma delle istituzioni
pubbliche di quel tempo. Il processo alle origini rimane in gran parte ancora
misterioso, per la scarsità di fonti affidabili. Molto di ciò che sappiamo dei
primi tre secoli delle nostre Chiese ha connotati leggendari ed è stato
ricostruito nel Quarto con una certa libertà, come s’usava allora.
Dalla fine del Settecento in Europa, e poi
nelle parti del mondo di colonizzazione europea, la costruzione sociale vide
progressivamente il sempre maggiore coinvolgimento dei ceti che fino ad allora
ne erano stati esclusi e ciò fino al
formarsi di regimi democratici, caratterizzati dal costituire limiti
inderogabili all’esercizio dei poteri sociali, basati su norme formali (è il
principio detto dello “stato di diritto”), nei quali sono coinvolte tendenzialmente,
in qualche modo, tutte le persone adulte
stanziate stabilmente su un territorio, secondo vari tipi di procedure
presidiate dagli ordinamenti costituzionali.
Fece e fa ancora eccezione la nostra Chiesa,
che è ordinata ancora come una monarchia assoluta clericocentrica, vale a dire
in cui tutto il potere spetta al clero, e per questo motivo è stata
progressivamente posta ai margini della costruzione sociale, diretta da altri
centri. Questo tuttavia non significa che le forze cristiane siano rimaste ai
margini, tutt’altro: anzi, la costruzione dell’Unione Europea si è fatta
principalmente ad opera loro. Solo che ciò è avvenuto fuori degli spazi
ecclesiastici. Il pensiero sociale cristiano ha sopravanzato di gran lunga la
dottrina sociale diffusa dalle gerarchie ecclesiastiche e quest’ultima ne è
venuta a dipendere, anche se, nella narrazione che se ne fa in ambiti
ecclesiali, il rapporto è presentato come invertito.
Fin dall’antichità la costruzione sociale è
stata presentata come un lavoro di tessitura, e più precisamente di
tessitura di relazioni sociali, in particolare di quelle che vanno oltre gli
ambiti di prossimità, i piccoli gruppi di riferimento per l’affettività delle
persone. Lì dove, per tessere, bisogna impratichirsi di elementi culturali, che
sono quelli che servono a mantenere le relazioni oltre le cerchie di prossimità
e sono fondamentalmente costituiti da miti e diritto. Entrambi richiedono una
consapevolezza storica realistica, della quale assolutamente non ci si occupa
nella formazione religiosa di base (che per i più rimane l’unica della vita), e
una certa capacità di argomentare pubblicamente in modo ordinato e razionale,
cioè conseguente, ciò che anticamente si insegnava nelle scuole di retorica.
Bisogna tener conto che la formazione religiosa
non dovrebbe in genere essere mirata per generare monache e monaci e invece di solito la
spiritualità che si insegna appare più tarata su quella che si fa per novizie e
novizi di ordini religiosi.
Come spesso mi capita di scrivere, la
formazione alla costruzione sociale, alla tessitura sociale, è anzitutto
un tirocinio, un apprendistato: si impara mentre si prova a fare, sbagliando e
correggendosi. Ma non vi è spazio, in genere, nelle parrocchie per queste attività:
vi si sta più che altro come comparse devote, che ascoltano e rispondono a
comando, e che contano solo quando si muovono in gruppo salmodiando, come
accade in via della Conciliazione nella lunga file di pellegrini diretti verso
la cosiddetta “Porta Santa” nel chiesone di fronte. Si va, si fa la comparsata
e poi ci si scioglie. Qualcosa, certo, rimane, ma solo nella propria interiorità.
Si va in gruppi anche molto numerosi, ma si rimane legati solo con quelli più
piccoli nei quali si è arrivati lì dove bisogna iniziare la liturgia.
Capisco, come ho scritto prima, che le
persone giovani non se ne appassionino, anche se vi possono anche partecipare, perché,
almeno a Roma, si va anche in bei posti e una qualche emozione se ne ricava. Può
rimanere un bel ricordo. E anch’io ricordo distintamente i miei passaggi attraverso
le “Porte sante”. Questa volta, però, non penso che ci sarò. Voglio cercare di santificare
la mia vita in altro modo. Quel modo non mi basta più. E a voi?
Non ho ancora settant’anni e non sono ancora
in pensione. Chissà, quando arriverò a quei traguardi forse sarà diverso. Vedrò.
Ma, per me non credo che ci sarà un altro Anno Santo, tenendo conto che in
Italia per gli uomini la speranza di vita è attualmente di 81 anni. Però ogni
tanto se ne fanno di straordinari, quindi non è detto.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma Monte Sacro, Valli.