Scoprire l’amicizia tra compagni di viaggio
A volte interpretiamo l’ecumenismo più che altro come un
ascoltare solo chi ci viene incontro e mostra di concordare in qualcosa,
sperando poi di poterlo assimilare. Invece credo che lo spirito giusto sia
quello di ascoltare, puramente e semplicemente, cercando di
rimanere amici, e quindi anche andando incontro alle persone di
altre tradizioni scoprendo quanto ci accumuna, nel nome di Cristo.
Perché, quando si rimane amici in Cristo, non c’è più reale
separazione, il comandamento dell’unità è adempiuto senza che occorra che
qualcuno si lasci assimilare da qualcun altro o accetti di sottomettersi ad altri
poteri ecclesiastici, e questo anche se
d’abitudine si prega in posti diversi e guidati da diversi pastori.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte
Sacro, Valli
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Il Signore ci incontra e ci
chiama a servirlo. La sua presenza ci guida, la sua parola ci libera, il suo
amore ci illumina.
Signore nostro Dio, noi veniamo a
te per pregarti; Signore nostro pastore,
noi veniamo a te per udire la tua voce; Signore nostro giudice, noi
veniamo a te per ricevere il tuo perdono; Signore nostra luce, illumina la
nostra vita e riempila d’amore; con il
tuo spirito donaci nuova vita. Te lo chiediamo nel nome di Gesù. Amen.
Ascoltiamo dal Vangelo secondo
Marco, al capitolo 9, i versetti tra 38 a 42.
Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo
visto un uomo che usava il tuo nome per scacciare i demòni, e noi abbiamo
cercato di farlo smettere perché non è uno dei nostri».
Ma Gesù disse: «Lasciatelo fare. Perché non
c’è nessuno che possa fare un miracolo in nome mio, e poi subito si metta a
parlar male di me. Chi non è contro di noi è per noi».
«E se qualcuno vi darà anche soltanto un
bicchiere d’acqua per il fatto che siete discepoli di Cristo, vi
assicuro che riceverà la sua ricompensa».
[testo italiano dalla versione TILC –
Traduzione interconfessionale in lingua corrente
Care
ascoltatrici e cari ascoltatori, le parole che il discepolo Giovanni pronuncia in questo brano
dell’Evangelo di Marco sono sorprendenti, da lasciare letteralmente di stucco.
Giovanni informa Gesù di aver incontrato un tale “che scaccia i
dèmoni nel tuo nome”, così gli dice. Questa è una semplice informazione
che, a ben vedere, porta una buona notizia. C’è un uomo che usa il nome di Gesù
e lo usa bene. Scaccia i dèmoni, cioè
lotta contro il male, invocando il nome del
Signore. Non lo nomina invano, non lo pronuncia a sproposito, come chi invece
capita a chi benedice le armi delle guerre, a chi fa della religione, anche
quella cristiana, un modo per escludere altri dalla propria responsabilità e
dall’amore di Dio, ma quest’uomo invece usa il nome di Gesù e lo usa bene.
Ecco
un servitore a cui offrire la mano di associazione come fa per esempio chi presiede la liturgia di
consacrazione dei nuovi pastori e delle nuove pastore delle Chiese valdesi e
metodiste. Non so se l’avete mai vista, ma chi presiede dà la mano al candidato o alla candidata e lo accoglie, l’accoglie,
non solo come fratello o sorella, ma come compagno, compagna, nell’opera del
Signore. C’è un operaio in più nella vigna del Signore.
E
invece no!
Le
parole sorprendenti di Giovanni sono proprio quelle che seguono e contraddicono
la premessa: «Noi abbiamo visto uno che scacciava i démoni nel tuo nome e
glielo abbiamo vietato perché non ci seguiva». Beh, è un’affermazione che
può ben essere accolta con qualche momento di silenzio imbarazzato! Giovanni
rimprovera quel guaritore, non perché magari cacciava i démoni, sì, ma non nel
modo giusto, recando danno al nome di Gesù: no, non è per questo. Dice invece
che lo hanno zittito perché non era dei loro, non faceva parte del loro gruppo,
«non ci seguiva». Non basta fare
del bene, aver compreso chi è Gesù: bisogna essere dei nostri. Questo è
l’essenziale.
La
stoltezza delle parole di Giovanni è ben
chiara all’evangelista Marco, che si permette di prendere in giro i discepoli
di Gesù per la loro presunzione e ottusità. Nello stesso capitolo, il capitolo
9, infatti, Marco fa precedere il nostro episodio da un racconto nel quale un
padre si rivolge a Gesù affinché guarisca il figlio che è posseduto da uno spirito che lo fa cadere a
terra, schiumare, e stridere i denti.
Sentite bene che cosa dice il padre di questo ragazzo a Gesù: «ho
detto ai tuoi discepoli che lo scacciassero, ma non hanno potuto». I
discepoli sono protagonisti di un fallimento pubblico. Agitandosi invano attorno
a quel povero ragazzo, probabilmente epilettico, senza saperlo guarire. E ora
c’è qualcuno che non è dei loro che pronuncia il nome di Gesù con autenticità,
sebbene nessuno lo abbia autorizzato, e scaccia i dèmoni. Riuscendoci per
giunta! “Ma cacciamo lui! Mandiamo via quest’uomo che ci rovina la piazza”.
La
visione piccina dei discepoli è quella che trasforma dei potenziali amici in
nemici, con del resto è spesso avvenuto nelle relazioni tra cristiani di
diverse tradizioni. C’è una sorprendente presuntuosa affermazione di
esclusività che ha reso le Chiese cristiane nemiche le una delle altre. “Solo
noi possiamo dirci evangelici, perché conosciamo meglio degli altri la Bibbia!”;
“solo noi possiamo davvero rappresentare Cristo perché il nostro Pastore è il
suo vicario!”; “solo noi siamo gli unici profetti su questa Terra perché
sappiamo cogliere i nessi tra vangelo e bisogni sociali!”. E nonostante tutte
queste pretese di esclusività, grazie a Dio ci sarà sempre qualcuno che non è
dei nostri, ma sa pronunciare con fedeltà il nome di Gesù per combattere il
male e annunciare la salvezza, perché, come dice Gesù allargando l’orizzonte
dei discepoli, “Chi non è contro di noi è con noi”.
Oltre
a quello confessionale c’è però un altro esclusivismo ed è quello
identitario. C’è chi intende la fede come elemento di identità,
per escludere chi non ha i nostri stessi tratti. C’è chi usa la religione per
dire “io sono europeo o italiano, bianco e cristiano” per marcare una distanza
da chi non lo è. La realtà è che la fede
in Cristo non serve per definire un gruppo, un’identità. La fede c’è non per confermare
la nostra identità, ma per cambiarla, per donarcene una totalmente nuova nel
nome di Gesù.
In
verità, non è necessario che chi annuncia il nome del Signore Gesù sia uno di
noi, né tanto meno che sia come noi: perché l’essenziale è che sia con Cristo.
Se
uno è in Cristo non può essere contro di
noi, né noi possiamo essere contro di lui. Al di là delle nostre
appartenenze.
Rimangono
ancora di rara saggezza le parole di uno dei maggiori predicatori evangelici di
tutti i tempi, l’inglese John Wesley, il fondatore del movimento metodista [1703-1791], che nel Diciottesimo secolo diceva: «Parla sempre dell’opera di Dio con
rispetto, indipendentemente da chi la compie, abbi parole amabili per i suoi
messaggeri a qualunque Chiesa essi appartengano. Chi non è contro di
noi, è per noi. Amen».
Signore,
tu conosci la nostra presunzione, la
nostra difficoltà a guardare il nostro piccolo mondo con il tuo sguardo
ampio e accogliente. Donaci invece di scoprire l’amicizia tra compagni di
viaggio, provenienti da tradizioni e storie diverse, che però si ritrovano
a camminare insieme nel tuo nome. E’ sempre occasione di grande speranza lo scoprire
che qualcuno diverso da noi e a noi sconosciuto è animato dallo stesso amore
che tu ci hai insegnato.
Signore
insegnaci l’amicizia, nel nome di Gesù, amen.