Igitur
qui desiderat pacem, praeparet bellum
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La
frase latina **"Si vis pacem, para bellum"**, che significa "se
vuoi la pace, prepara la guerra", è attribuita a **Publio Flavio Vegezio
Renato**. Questa locuzione è contenuta nel prologo del libro III dell'opera
**"Epitoma Rei Militaris"** o **"Epitome sull’arte della
guerra"**, composta alla fine del IV secolo¹². La frase completa da cui è
derivata è: "Igitur qui desiderat pacem, praeparet bellum", che
letteralmente si traduce in "Dunque, chi aspira alla pace, prepari la
guerra"¹.
Conversazione
con Copilot (il sistema di intelligenza artificiale di Bing, il motore
di ricerca di Microsoft Edge)08/06/2024
(1)
Si vis pacem, para bellum - Wikipedia.
https://it.wikipedia.org/wiki/Si_vis_pacem,_para_bellum.
(2)
"Si vis pacem para bellum" - LATINORUM.
https://www.latinorum.it/blog/si-vis-pacem-para-bellum.
(3)
Se vuoi la pace, preparati alla guerra: significato e storia del detto ....
https://bing.com/search?q=autore+latino+%22si+vis+pacem+para+bellum%22+opera.
(4)
Se vuoi la pace, preparati alla guerra: significato e storia del detto ....
https://iccivitella.it/se-vuoi-la-pace-preparati-alla-guerra/.
(5)
Si vis pacem para bellum: traduzione e significato - SoloLibri.net.
https://www.sololibri.net/si-vis-pacem-para-bellum-traduzione-significato.html.
(6)
it.wikipedia.org. https://it.wikipedia.org/wiki/Si_vis_pacem,_para_bellum.
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Di fronte al problema
della guerra e delle vie della pace (più o meno il titolo di un illuminante
testo sulla materia di Norberto Bobbio, pubblicato da Il Mulino nel 2009,
purtroppo non disponibile in formato ebook o Kindle) torna in mente l’antico
detto “se vuoi la pace, prepara la guerra”, anche se l’esperienza
storica dimostra l’esatto contrario. In particolare quella del processo di
unificazione continentale europea dal quale, dal 2009, è emersa l’Unione
Europea come la stiamo vivendo.
Va detto che le
popolazioni in esso coinvolte e i rispettivi sistemi politici non si erano mai dimostrati, prima degli
scorsi anni ’50, particolarmente pacifici, tutt’altro.
Anzi, le due guerre
dette mondiali del secolo scorso, che gli storici cominciano a
considerare come un unico processo bellico in due fasi, furono in realtà guerre
europee, originate nell’Europa
occidentale e veicolate da un micidiale sistema di alleanze con cui ci si impegnava
alla guerra. Lo stesso che, nel quadro dell’alleanza del Trattato del Nord
Atlantico, ci trascinò nella ventennale guerra per il controllo dell’Afghanistan
e ci sta ora trascinando in guerra contro la Federazione Russa.
La storia dimostra
chiaramente che il metodo più efficace di ottenere la pace è di premere per la
pace contro il proprio governo.
È così che l’Impero
russo, sulla via della trasformazione in un regime comunista totalitario basato
su una struttura a soviet (=assemblea di lavoratori proletari),
fu sganciato dalla Prima guerra mondiale e, va ricordato, l’Ucraina ebbe la sua
indipendenza.
È per quella via
che il governo federale statunitense fu piegato a sganciarsi dalla guerra nell’Indocina,
che interessò Vietnam, Laos e Cambogia.
La dura sconfitta
militare degli Imperi centrali nella Prima guerra mondiale finita nel 1918 non
impedì che vent’anni dopo scatenassero una nuova guerra, dopo esservisi
pervicacemente preparati, mentre totalmente diversa fu l’evoluzione del Secondo
dopoguerra, dal 1945, quando in tutta l’Europa occidentale si rimase
affascinati dal modello di vita sociale che si era sviluppato negli Stati Uniti
d’America e che venne veicolato alle popolazioni europee non cadute nel dominio
dei sovietici fondamentalmente dal cinema e dal consumismo.
Tempo fa il Papa
ha ripetuto un’osservazione che pare ovvia e che è confermata dalla storia: la
pace viene quando i governi impegnati in una guerra ordinano il cessate il
fuoco e, passando per un armistizio, concludono un trattato di pace. Un potente
incentivo per arrivare a questo viene dalla pressione di una popolazione contro
il proprio governo, posto che premere contro un governo nemico non è possibile
perché, in quanto nemico, non è sensibile ai moti dell’altra parte, e, al più,
cercherà di approfittarne.
La pressione più
forte è il rifiuto di obbedire a ordini di mobilitazione, fenomeno che si
produsse massivamente negli Stati Uniti a cavallo tra gli anni Sessanta e
Settanta e, sempre massivamente, si è manifestato in Ucraina e Federazione
Russa dopo lo scoppio della guerra, nel 2022.
Nel ’68 Joan Baez
tenne uno storico concerto a Milano, nel quale cantò la canzone per David:
David era il marito il quale, a quel tempo, era detenuto per aver rifiutato la
chiamata militare per la guerra in Indocina.
Rapporti economici
intensi creano una dipendenza reciproca che
rende meno conveniente la guerra. La circolazione libera di persone e idee ha
lo stesso effetto. Era questa la situazione che c’era tra Unione Europea e
Federazione Russa fino all’inizio degli anni ‘20, poi gli Stati Uniti e il
governo britannico che aveva ottenuto la Brexit dal 2020 cominciarono a
premere per interrompere quelle relazioni molto strette. I prodromi delle
guerre sono segnalati dalla rottura forzata della cooperazione economica e dalla
progressiva impermeabilità delle frontiere.
Le cosiddette sanzioni contro
la Federazione russa e gli analoghi provvedimenti presi da quest’ultima contro
chi la sanzionava stanno producendo questo effetto.
Poco dopo l’inizio
della guerra venne sabotato il gasdotto Nord stream, installato sotto il
mar Baltico, che doveva portare il gas russo all’Europa occidentale, e, come ho
letto ieri, l’anno prossimo l’Ucraina
non rinnoverà l’adesione all’accordo che consente di collegare Europa
occidentale e Russia mediante un gasdotto che corre sul suo territorio (il cui
flusso si è ridotto a circa un quinto di quello di prima della guerra).
Il regime russo e
quello ucraino sono assai simili quanto a limitazioni della libertà di pensiero
e di parola. Governati in modo autoritario da presidenze che accentrano i maggiori
poteri e, in particolare, quello sulla
guerra, rimangono tuttavia fortemente pluralistici a causa della loro
storia. La guerra però impedisce a questo pluralismo di manifestarsi in moti di
protesta contro il coinvolgimento nel conflitto, che sono duramente repressi.
Il dissenso si è però manifestato in modo eclatante con la fuga degli uomini
soggetti alla mobilitazione bellica oltre che di moltissime donne con figli
piccoli.
Se non fosse
scoppiata la guerra e si fosse deciso per la resistenza nonviolenta, le
proteste popolari di russi e ucraini si sarebbero potuti saldare, visti i
fortissimi legami culturali che indubitabilmente esistono tra quelle
popolazioni; ora invece è molto diverso e occorreranno generazioni per
stringerli nuovamente, il che, in prospettiva, certamente accadrà perché si
tratta di genti con culture e lingue molto vicine.
Si considera la
resistenza nonviolenta come un metodo irrealistico, al contrario di come lo
spiegò l’indiano Ghandi. il quale la
praticò con successo e teorizzò contro
l’efferato e razzista impero britannico com’era tra le due guerre mondiali.
Ma la
pressione popolare nonviolenta sui propri governi, in regimi democratici in cui
il pluralismo delle popolazione può pienamente esprimersi e dispiegarsi, è stata, anche nello sviluppo dell’Unione
Europea, il fattore determinante per il mantenimento della pace. Questo moto fu
favorito dalla grande circolazione di persone consentita dal regime di mercato
comune e dalle intensissime relazioni economiche e commerciali consentite
dalla costituzione di un mercato comune, con abbandono dei vecchi
protezionismi nazionalistici.
La
storia insegna, insomma, che se si vuole la pace, occorre preparare la pace.
E,
infatti, in particolare, i trattati per la riduzione degli armamenti nucleari
strategici conclusi tra statunitensi mie sovietici catalizzarono, dalla fine
degli scorsi anni Ottanta, la risoluzione pacifica della uscita dei
cosiddetti paesi satelliti (dell’Urss) dalla egemonia prima sovietica e
poi russa, Ai nostri giorni sta accadendo il contrario.
Mario Ardigò – Azione Cattolica e MEIC –
Movimento ecclesiale di impegno culturale